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Autore: Camelia Jay    01/04/2010    4 recensioni
Jenice, allegra, gentile, riflessiva, con il cuore spezzatole da un ragazzo.
Kyle, freddo, distaccato, misterioso, nessuno che sappia nulla di lui.
Come reagirà Jenice, quando scoprirà la verità sul suo compagno di classe? E cosa farà, quando il suo migliore amico di sempre l'abbandonerà per il successo? Si accorgerà di Kyle, o scoprirà che non può vivere senza l'amico ventiquattrenne?
Adesso conoscevo il colore dei suoi occhi, che ogni giorno sembravano affascinarmi sempre di più, e quelle tristi e profonde occhiaie che aveva sotto di essi erano finalmente scomparse.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lonely'
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Da quello che ho letto nelle recensioni, sento il bisogno di dire una cosa: prima di tutto sono felice che vi piaccia questa storia, ma non è una trama tanto scontata, ve ne accorgerete più andrete avanti =) non succederà affatto quel che vi aspettate.Ringrazio per la pazienza e per la disponibilità di Delicious_R_ =)

Capitolo ventunesimo 

 

– Ciao Jenice! Quanto tempo! È da Natale che non ti vedo!

Mia cugina Lindsay mi strinse a lei peggio di quanto non facesse la mamma, e ci fece entrare in casa.

Le presentai anche Kyle, e lei pensò immediatamente che fosse il mio ragazzo. La cosa mise in imbarazzo entrambi, ovviamente.

La casa era nel centro della città, appena scesi dal treno trovammo immediatamente un taxi, che ci condusse fino all’indirizzo che Lindsay mi aveva detto per telefono qualche giorno prima della partenza. Trovarlo fu facile, grazie all’esperienza del tassista, ma pagammo un’esagerazione. Decisi che non avrei mai più preso un taxi in tutta la mia vita.

– Beh a dire il vero dovrei lasciare la casa in mano vostra per alcuni giorni, perché devo andare a fare delle interviste a Washington, ma questo tu Jen lo sapevi già, non è vero?

Lindsay era una giornalista in carriera, si occupava soprattutto di interviste, infatti. Nulla di troppo importante, ma stava facendo dei grandi progressi. Spesso aveva necessità di spostarsi per alcuni giorni per andare a intervistare diversi personaggi e il tempo non bastava mai. Avrebbe lasciato casa sua in mano a noi. La cosa mi preoccupava, e non poco, perché non solo eravamo minorenni, ma non abitavamo neanche nella casa, in teoria. E poi… chi l’avrebbe pulita la casa? Io, che non ero capace, essendo cresciuta come una bimba viziata fino ad allora? Tuttavia ero disposta anche a questa condizione, e non dissi niente a Kyle per paura, e certezza, che si rifiutasse di venire ancora una volta.

Lindsay ci fece vedere la casa, ma la cosa che colpì di più sia me che Kyle fu la camera da letto: il letto era matrimoniale. Mi sbagliavo, quando dicevo che in quella casa ci sarebbero state sicuramente le stanze per gli ospiti. Il letto dove dormiva Lindsay e talvolta anche il suo fidanzato era grande e spazioso, dava l’idea di essere molto comodo. Ma dovevo dormirci insieme a Kyle. Ero sicura che se la sarebbe presa tremendamente con me quando Lindsay sarebbe uscita, non tanto per il letto ma per il fatto che non gli avevo detto che avremo fatto una specie di “marito e moglie che vanno ad abitare in una casetta a New York”. In fondo era come una specie di gioco. Ma alla fine lui non disse niente, solo che da me si aspettava questo e molto, ma molto peggio. Ma cosa ci poteva essere, peggio di così?

Sistemammo in fretta le valigie, mentre Lindsay era già partita per Washington. Mi domandavo come faceva a stare tranquilla lasciandoci casa sua per dei giorni. Non era mai stata una ragazza molto responsabile, ma le ero grata per la sua disponibilità. Mi aveva lasciato una chiave, dato tutte le indicazioni necessarie a mandare avanti la casa, e siccome non mi vedevo nemmeno bene come casalinga da grande, non riuscii ad assorbire tutte le informazioni. Fortunatamente alle cose più difficili ci pensava Kyle per me. Sarebbe stato un bravo marito. E a quel pensiero mi venne da ridere.

– E adesso che facciamo? – mi chiese Kyle, evidentemente su di giri per la storia del letto matrimoniale e della casa tutta per noi.

– So esattamente dove dobbiamo andare, adesso. – gli dissi io, per non farlo arrabbiare ulteriormente dicendogli che non ne avevo idea – Intanto dobbiamo rintracciare lo studio di registrazione… oppure potremmo vedere se c’è qualche concerto dei Contagious… il che non dovrebbe essere troppo difficile.

Kyle non sembrò approvare molto… si capiva dal mio tono che non sapevo da dove cominciare, e mi chiesi allora perché aveva accettato di accompagnarmi. Forse sperava che così ci avrei messo definitivamente una pietra sopra, con Jonathan.

– E hai qualche idea di dove si trovi questo studio? Magari possiamo provare a chiedere lì, oppure potremmo cercare su Internet le date dei concerti, se ce ne sono…

– Beh penso di sapere dove si trovi. Non è lontano da qui, possiamo benissimo arrivarci a piedi e… senza prendere taxi.

Kyle rise finalmente, era dall’inizio del viaggio che non lo faceva:

– Ti verrà la fobia dei taxi e dei tassisti così.

– No, ti sbagli. Solo a New York è così. Io ho paura solo dei taxi di New York.

Non pensai al fatto che forse era quel tassista che ci aveva truffati. In fondo io non avevo mai preso un taxi in realtà, lo avevo solo visto fare nei film.

Il giorno dopo saremmo andati allo studio di registrazione a controllare. Magari Jonathan era lì e non c’era bisogno di fare ulteriori giri per la città. Comunque ero sicura che l’avremmo trovato presto, famoso o non famoso che fosse. Quel giorno comunque eravamo troppo stanchi per muoverci di casa, così cercammo di condividere la casa più come due compagni di classe nella stessa stanza in gita, che come una coppietta appena trasferita.

 

Momento decisamente drammatico. Il letto. Un letto matrimoniale.

Ero davanti ad esso in camicia da notte, tutto ben rifatto, non una piega fuori posto o un cuscino anche leggermente storto. Sembrava che aspettasse proprio noi… che andassimo da lui… fuori era buio, le lampade sui due comodini ai lati del letto facevano luce in tutta la stanza, sugli armadi e anche un po’ sui muri erano appesi poster di attori e cantanti famosi che Lindsay adorava.

Mi sedetti sul piumone, e strinsi nelle mani i lembi della camicia da notte rosa, leggermente sotto pressione. Ero seduta sul lato più vicino alla porta, l’altro lato invece era quello vicino alla finestra. Chiusi gli occhi qualche secondo cercando di rilassarmi, dai, in fondo mica dovevamo fare l’amore! Vero?

Quando riaprii gli occhi mi accorsi della presenza di Kyle dietro di me, che era già nel letto.

– Non farti venire in mente strane idee. – gli dissi secca senza girarmi.

Lui inevitabilmente scoppiò a ridere.

– Ma figurati… non ti farò niente… a meno che… – e qui si fermò creando la suspense.

– A meno che…? – lo incitai a finire la frase, girandomi lentamente verso di lui.

– A meno che il mio istinto maschile non prenda il sopravvento, in tal caso saresti spacciata!

Non mi andava di scherzare. Sarebbe potuta andare a finire che ci avrei creduto veramente.

– Smettila! Non fare lo scemo, Kyle! – fissai un punto sulla porta e strinsi ancora di più nelle mani i lembi della camicia da notte.

– Dai Jen, stavo solo scherzando!

Non mi aveva mai chiamata Jen. Quando non lo conoscevo non mi chiamava proprio, quando ancora non eravamo in confidenza mi chiamava Ross, il mio cognome, poi Jenice, ma mai per il mio solito soprannome che tutti mi affibbiano per accorciarmi il nome, cosa che non avevo mai sopportato, finché non lo fece lui.

Spostai lo sguardo sul comodino, dove era appoggiato un giornalino, uno di quelli per ragazze che fanno solo pettegolezzi sulle star. Sulla copertina una scritta a caratteri cubitali inconfondibile: “Contagious, nuovo gruppo sulla cresta dell’onda! e subito sotto a questa, una foto grande quasi quanto l’intera pagina del gruppo, riconobbi immediatamente Jonathan al centro, con un sorriso smagliante che mi era alquanto familiare, perché me lo ritrovavo sempre davanti, fino a sei o sette mesi fa, ormai avevo perso il conto.

– Guarda, Kyle! I Contagious! – e gli misi il giornalino davanti alla faccia.

Lui con molta calma me lo sfilò di mano e lo aprì alle prime pagine:

– Qui dice che ci sarà tra pochi giorni un loro live proprio qui, a New York.

– Davvero? Dammi! – e gli presi il giornalino, leggendo con attenzione. Sì, in effetti mancava davvero poco, appena quattro giorni.

– E come facciamo? Cosa facciamo adesso eh? – gli chiesi, agitata.

– Calmati, – disse lui con il suo solito tono – lì dovrebbe esserci un numero, è per i biglietti del concerto. Basta che lo chiami, ne prenoti uno in prima fila e il gioco è fatto.

Immediatamente mi alzai e andai a prendere il telefono, digitai in tutta fretta il numero e mi misi il telefono all’orecchio.

– Ma sei matta? – cominciò lui – A quest’ora chi vuoi che ti risponda?

Giusto, mi ero scordata che erano le due di notte. Riagganciai, poi mi venne un dubbio:

– Aspetta, cos’è che hai detto prima? Di prenotare un biglietto? Uno solo?

– Già – rispose in tutta calma.

– No, no! devi venire anche tu! Non puoi lasciarmi andare da sola! – mi sentivo come una bimba di tre anni che faceva i capricci.

– Smettila, non sono interessato a quelli lì.

Il suo comportamento mi irritò un po’, sapevo che parlava male dei Contagious solo perché era geloso.

– Beh vorrà dire che sarò libera di andare dietro le quinte e… fare ciò che voglio con Jonathan senza nessuno che mi controlli...

Lui mi guardò male, e io mi convinsi che avevo fatto centro, imparando a sfruttare questo suo punto debole.

– Forse è meglio che venga anch’io, chissà chi potresti mai incontrare da sola a New York in mezzo a tutti quei fan!

Ridacchiai, rimisi il giornalino sul comodino infilandomi sotto le coperte.

– Buonanotte… geloso!

Lui mi rispose con uno sbuffo, spegnendo infine la luce.

   
 
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