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Autore: dedalo1987    02/04/2010    2 recensioni
E' la storia di un giovane studente universitario piuttosto chiuso che all'improvviso trova una curiosa cabina telefonica in una strada di periferia: entrandoci ci si trova catapultati nella natura più selvaggia.
Genere: Avventura, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 1

Primavera

Certi eventi sono talmente importanti che quando accadono non riesci a non pensare ad altro per alcuni giorni, o anche di più. Sono come una ferita, finché non si chiude il dolore non si sopisce, né inizia la guarigione. Ma dopo, col passare del tempo, tutto sparisce in secondo piano, ed allora inizi a chiederti come sia possibile che tu abbia sprecato tanto tempo a pensarci, e ti convinci che in fondo non sia così importante, e che nella vita si superi di tutto e tante piccole disavventure sembrino chissà che mostri, ma che poi il tempo le faccia passare.

E’ una convinzione sbagliata. In verità il segno da qualche parte rimane sempre, come una cicatrice, o un graffio su un telefono. Quando ci posi di nuovo gli occhi, ovvero fuor di metafora quando accade qualcosa che ti fa ricordare gli eventi traumatici, ci torni sempre, e torni a pensarci come allora, almeno per un po’. Succede. Come le stagioni. Gli alberi non dimenticano l’inverno solo perché le foglie sono ricresciute. E gli uomini non dimenticano l’esperienza del passato che potrebbe servirgli nella prossima stagione fredda della loro esistenza.

Major Tom pretende invece, dopo alcuni giorni di inappetenza e insonnia, di aver scordato o lasciato alle spalle la foresta telefonica. Non sa, o meglio fa finta di non sapere, che i nostri antenati scimmia hanno lasciato nel nostro cervello e nel nostro sangue un brandello della loro selvatichezza, un chiodo fisso piantato proprio nel fondo del DNA. Un’antichissima corda preistorica che la foresta segreta continua a stuzzicare anche quando il nostro uomo pensa ad altro, mentre lui fa finta di averle scordate. Ricorda ancora il suo incontro con la farfalla, e sogna, anche se non vuole ammetterlo, di tornarla a trovare senza essere di disturbo come l’ultima volta.

Ma l’eterna lotta fra la primitivo ed evoluto, civiltà e barbarie, legno e asfalto, continua anche dentro di lui, e inesorabilmente l’evoluto, il civile, l’asfaltato si riappropriano di ciò che gli appartiene: il cuore e la mente di uno studente universitario. Così passano prima i giorni, poi le settimane, quindi i mesi. E i libri, le relazioni, le notti prima degli esami, si accumulano in un vorticoso affannarsi che non lascia più spazio al richiamo tribale lasciatoci dentro dai nostri antenati. E se i voti riempiono il libretto e le giornate sono ricche di soddisfazioni, il piccolo prurito, causato da una zampina di donnola o da una foglia di conifera che pizzica proprio quella corda, rimane in fondo al petto. Impercettibile, ma pronto a tornare in superficie quando l’occasione arriva.

E dopo dei mesi, l’occasione arriva. O meglio, è lui che la vuole far arrivare. Non coscientemente, ma la vuole far arrivare. E’ un istinto irrefrenabile, forse un sussulto della sua natura primordiale che tenta violentemente di tornare in superficie, quello che lo prende. Una mattina presto, all’inizio di aprile, molti mesi dopo il suo primo, estivo incontro con la foresta, decide di fare un percorso diverso per andare a lezione. Si dice che il traffico lungo la solita via è eccessivo, e che rischia di arrivare in ritardo, ma la verità è che vuole solo passare da una strada che ormai conosciamo già da qualche pagina. Prima non vuole ammetterlo neanche a sé stesso, dopo un po’ si dice che è soltanto per vederla un secondo, che già è come ammettere che ci entrerà dentro nuovamente, trascinato da quel chiodo piantato dai suoi antichi progenitori.

Con l’auto di mamma che oggi è in ferie, prende il viale in cui la strada è come un rivo strozzato, la vede da lontano, il cuore gli balza in gola ricordando l’odore, i suoni, e l’umidità del sottobosco. La  vede da lontano, e già sa di non averla sognata, che lei è lì e lo aspetta, come l’ultima volta. La vede da lontano, e deglutisce pensando che dovrà di nuovo mettersi alla prova, anche se magari solo per pochi secondi, col selvaggio.

Accosta. Ci ripensa subito dopo, in fondo è meglio andare via e lasciarla là ancora per alcuni decenni, possibilmente per una vita. Poi ci ripensa ancora, non si può scappare dopo aver guardato negli occhi il proprio avversario. Si prepara psicologicamente alla sorpresa di trovarsi in un ambiente completamente diverso un istante dopo. Sempre che sia vero quello che ricorda sempre più vagamente. Il suo cervello lo ha come avvolto nella nebbia, lo ha convinto pian piano nei mesi che le sensazioni e la memoria lo abbiano tradito, cancellando parzialmente la sua esperienza per dargli modo di razionalizzarla. Major Tom in realtà è però ancora certo che sia tutto vero, e non riesce a non domandarsi quanto siano buffi i casi della vita: prima di entrare nella cabina si crogiolava nel sogno di una foresta segreta, ora si crogiola nel sogno che quella foresta non esista. A volte vorresti che i tuoi desideri si realizzassero solo perché non capisci davvero la portata dei cambiamenti che potrebbero apportare alla tua vita. E Major Tom non riesce a immaginare quanto potrebbe cambiare la sua esistenza se prendesse l’abitudine di frequentare la foresta telefonica.

 

Tira il freno a mano. Ultimi preparativi prima del decollo, commencing countdown, engines on! Si promette di non perdere la testa come durante l’estate precedente, cerca di nuovo di convincersi che in fondo sta riprovando a passare la porta della cabina solo per avere la certezza di essersi immaginato tutto, poi di nuovo abbandona il proposito razionalizzante e inizia, da persona precisa quale è, a comporsi uno schema mentale di ciò che deve fare oltre la porta della foresta telefonica. Non che possa fare molto, deve andare a lezione a minuti, ma per qualcosa il tempo c’è: vedere se il telefono funziona. E come è collegato alla rete telefonica. Sembra una cosa stupida, ma non lo è. Per esempio, se il telefono avesse le istruzioni in italiano stampate sopra, allora vorrebbe dire che la foresta si trova in Italia come la cabina dalla quale vi si accede. Potrebbe localizzarla facilmente e perfino usarla per viaggiare rapidamente, se ne vale la pena. Oppure il cavo telefonico potrebbe perdersi nel selvaggio e nell’ignoto, dipanandosi come un serpente tra i tronchi e le radici di un milione di alberi che non hanno mai conosciuto la dura legge dell’ascia e della sega, imposta dall’uomo. E allora sarebbe forse ancora più eccitante, una porta verso l’evasione che lui ha sempre sognato, ma mai davvero potuto mettere in pratica. Una fuga dalla civiltà proprio accanto a casa. In fondo, una fortuna insperata.

Apre lo sportello. Adesso ogni istante sembra veramente un’eternità. Il cuore rimbomba come un masso scagliato dentro un pozzo, ogni colpo cadenzato come un tamburo, mentre il suo eco si perde già tra gli alberi. Un silenzio minaccioso sembra scendere su tutta la strada, un silenzio di tomba che sarà interrotto soltanto dai rumori della vita tra gli alberi della foresta. Finalmente, poggia il piede a terra, sulla confortante durezza dell’asfalto. Non spegne l’auto, pensa, tanto ci vorrà solo il tempo di controllare il telefono, e poi tornerà indietro. E’ talmente stordito dall’adrenalina che ci sta un po’ a rendersi conto che qualcuno potrebbe rubargliela. Spegne l’auto. Si infila le chiavi in tasca. Si alza, gli tremano le gambe e l’emozione è così forte che gli sembra di galleggiare in un’allucinazione, tutto sembra slegato e inconsistente. Per un attimo, afferra addirittura la borsa coi libri dal sedile del passeggero. Poi la rigetta giù sul sedile, in un misero istante di lucidità, e torna a mettere i piedi l’uno davanti all’altro come un automatismo, un robot che punta solo alla porta della foresta telefonica, senza la coscienza di rendersi conto di cosa stia facendo.

La porta. Il telefono, le foglie di edera. Tutto è ancora lì come in estate. Forse le piante sono un po’ più vive, meno stordite dal caldo. Anzi, sicuramente lo sono, sembrano ancora più lussureggianti di come le ricordasse. Vivide, verdi, quasi visibilmente felici. Anche il pavimento della cabina ne è ricoperto, anche se qua e là balugina un po’ del fondo metallico. Si guarda intorno, vuole essere sicuro che non passi nessuno oltre lui. Nessuno deve disturbare quel momento.

E così chiude gli occhi. E il piede sinistro va avanti quasi da solo. Ed entra nella foresta.

Di tutte le sorprese che si sarebbe potuto aspettare, quella è la peggiore. Entrarci stavolta è stato come tuffarsi in una piscina vestito. Piove fittissimo, così fitto da ridurre la visibilità a pochi passi. Le gambe affondano fino alle ginocchia nella mota fangosa. Intorno, tutto gronda neve che si sta sciogliendo. I rami fino a poche settimane carichi di peso adesso stanno trovando finalmente il loro sollievo. Goccia dopo goccia, istante dopo istante, ritornano alla vecchia forma, non più curva e affaticata, ma ritta e fiera. Il freddo è ancora pungente, ma si può facilmente immaginare che ci siano stati giorni molto peggiori, da quelle parti, e che il momento più brutto sia ormai passato. E’ il disgelo.

E’ la situazione più sfigata che si sia mai vista, ma stavolta passata la porta è passata l’emozione almeno. I vestiti sono già completamente zuppi d’acqua, pensa Major Tom con lucidità, e non vale la pena di tornare indietro senza nemmeno dare un’occhiata in giro. Mamma è a casa, non può ritornare immediatamente in quello stato, ma neanche andare a lezione. Ma a questo ci si penserà dopo. Adesso bisogna dare un’occhiata al telefono. Fatica immane, benché la distanza non sia più di qualche metro, a causa del fango e della pioggia. Le ginocchia fanno fatica ad avanzare, e Major Tom decide di non fare lo sforzo di avvicinarsi. Nota però che c’è un cavo. Un cavo che si tuffa nel fango, in questo momento, ma che forse col bel tempo è allo scoperto. Dove vada, se funzioni, da questa distanza non è dato saperlo. Ed è meglio non avvicinarsi, ora bisogna tornare indietro, si era detto di passare nella foresta solo un minuto.

Già, tornare indietro, basta fare un passo indietro, ma cosa c’è dietro Major Tom? La porta della cabina, come dall’altra parte? Nossignori, non c’è per niente, c’è una parete di foglie fitte, attraverso le quali non è dato veder niente. Ma Major Tom sa che tuffandosi in mezzo ritornerà alla familiare strada deserta come una pianura lunare. E per adesso forse è meglio così.

Passa la barriera, forse in maniera un po’ affrettata. Visto che non è palesemente in grado di andare a lezione, forse sarebbe stato il caso di dedicare un po’ più tempo all’esplorazione della foresta, pensa. Ma in effetti con quel clima terribile, la voglia è poca. Non appena i sensi avvertono l’effetto del ritorno al solito mondo, e lo sbalzo di temperatura di parecchi gradi, e il confortante tepore della primavera della sua città, Major Tom si convince che ci saranno momenti migliori per soddisfare la sua curiosità, e magari anche un equipaggiamento migliore, se riesce a procurarselo.

Certamente Major Tom ricorderà a lungo la lezione di questa mattina. Quando hai un sacco di ore per rifletterci, vestito di abiti bagnati, senza alcun ricambio, e non puoi sporcare l’auto di mamma col fango che ti ricopre fino alle cosce, tendi a ricordarti le lezioni molto facilmente. Passa la mattinata a camminare avanti e indietro aspettando che i vestiti si asciughino almeno in parte, e a scrostare il fango dai jeans e dalle scarpe per non lasciarne tracce sul sedile e sui pedali. Per fortuna, quando torna a casa, mamma è intenta a cucinare, e non solo non si gira, ma non chiede nemmeno cosa abbia fatto a lezione. Meno male, Major Tom detesta mentire.

Finalmente si toglie di dosso i disgustosi pantaloni, e li nasconde in attesa di un momento opportuno, quando sarà solo in casa, per pulirli meglio. Sarebbe problematico spiegare in famiglia le ragioni dell’immonda sporcizia. Nel frattempo, riflette ancora sulla sua lezione del giorno, forse più importante di quella che avrebbe potuto seguire nella sua aula universitaria: non basta avere cinque minuti liberi prima delle lezioni, la natura ha i suoi ritmi, che non sono i tuoi, e bisogna rispettarli.

  
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