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Autore: milly92    02/04/2010    8 recensioni
Seguito di "Dillo Alla Luna". Luna e Marco, finalmente insieme. Nonostante siano insieme da poco, sembrano cresciuti moltissimo e tantissime responsabilità si accavallano addosso a loro: una casa da gestire da sola con sua sorella per Luna, l’ultimo anno di università per Marco, che lo condurrà alla fatidica laurea in architettura. Eppure, come tutti i rapporti, il loro dovrà consolidarsi e superare varie prove, rappresentate soprattutto da Tommaso, affittuario di una stanza in casa di Luna. “Vedi, Tommaso, il fatto è che a pelle non mi hai dato una buona impressione, ed io sono fatta un po’ così, pensa che fino a quasi un anno fa avevo un brutto rapporto con Stella e con Marco stesso… Poi il fatto di averti trovato alla mia porta quando aspettavo Marco…”. “Ma c’è sempre Marco in mezzo? Cioè, voglio capire che state insieme, ma a me sembra quasi che non respiri se non te lo dice lui..!” m’interruppe Tommaso, con un’accentuata vena critica nella voce che non mi piacque affatto. “Ma come ti permetti? Tu non mi conosci…”. “E non ti conoscerò mai se continui a lanciarmi frecciatine in presenza sua e a parlare sempre e solo di lui!” ribattè. Lo guardai furente, alzandomi dal letto. “E dove sta scritto che devi conoscermi per forza? Te lo ha prescritto il medico?”. Tommaso si alzò a sua volta, guardandomi con disprezzo. “E pensare che quando ti vedevo all’Università mi ispiravi simpatia e dolcezza. Sei solo una vipera insicura che non vive senza il suo cagnolino da guardia” disse.
Genere: Commedia, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Odi, Sed Amo'
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Capitolo III

Il Sole Esiste Per Tutti

“Ok, benissimo Luna, ora sorridi e guarda verso sinistra…”.

Cercai di stare agli ordini di Angelo, il fotografo di fiducia di mamma che ella ingaggiava sempre per i servizi fotografici della sua linea di moda, così accennai un piccolo sorriso. Mi girai un po’ di più nella direzione che mi aveva indicato, ma mi sentivo ancora un po’ rigida, il che poteva seriamente essere giustificato dal fatto che stessi indossando un eccentrico costume fatto di paillettes dorate e che fossi truccata in un modo tale che mi sentissi tutta quell’enorme quantità di trucco che mi avevano messo in faccia circa un’ora prima. Finchè si era trattato di farsi fotografare di spalle e leggermente di profilo andava bene, ma ora iniziavo a sentirmi in imbarazzo.

“No, non va bene, devi sorridere di più! Pensa a qualcosa di bello…” mi spronò Angelo, avvicinandosi con quell’enorme macchina fotografica nera. Voleva forse mettermi ancora più in soggezione? Complimenti, ci stava riuscendo sul serio.

“E a che cosa?” sbuffai, togliendomi una ciocca da davanti il viso.

“Tipo al mio magnifico sorriso quando mamma vedrà questo servizio e capirà che come modella fai schifo” disse una voce poco distante.

Alzai lo sguardo e notai, con una certa ira, che mia sorella se la stava godendo un mondo a squadrarmi dall’altra parte della stanza, vicino a Marco che fino a quel momento non aveva ancora detto mezza parola. Era venuto per supportarmi come gli avevo chiesto, e per fortuna non mi stava mettendo a disagio, cosa che invece mia sorella sembrava voler e saper fare egregiamente.

“Vieni tu qui e mettiti in poso al mio posto, allora!” sbraitai.

Non ebbi il tempo di finire di pronunciare la frase che Angelo fece un paio di scatti. “Devo dire che arrabbiata sei molto più espressiva, Luna! Ma ora sorridi, su, tesoro…!”.

Mi girai di lato, sconsolata, senza sapere cosa fare visto che grazie alle parole della mia gemella mi sentivo ancora più a disagio, quando spalancai gli occhi davanti alla visione che mi si parava di fronte: Marco sorrideva in mia direzione mentre, con una lentezza degna dei migliori spogliarellisti, iniziava a togliersi la sua maglietta azzurra.

Cosa volesse fare lo capii poco dopo: alla vista di quella scena iniziai a ridere a crepapelle, riempiendo di gioia Angelo che ne approfittò dell’occasione per fare più scatti possibili.

“Luna, sei stata bravissima dopo l’imbarazzo iniziale” si congratulò Angelo un’ora e mezza dopo, stringendomi la mano con vigore appena ebbi terminato di indossare un pareo che mi avevano passato.

Sorrisi, soddisfatta di essere riuscita a migliorare un po’. “Devo ringraziare quel pagliaccio del mio ragazzo” dissi, ammiccando verso Marco che mi aspettava all’uscita della sala. Dopo il finto streap tease, aveva combinato di tutto: aveva indossato il cerchietto di Stella, aveva iniziato a fare una serie idiota di smorfie… Per fortuna, almeno, il tutto aveva funzionato visto che nelle foto risultavo più sorridente e naturale che mai.

Salutai il fotografo e raggiunsi Marco, che mi scortò fino allo spogliatoio.

“Sei un cretino patentato, ecco quello che sei” lo rimproverai affettuosamente mentre prendevo i jeans e il top che avrebbero sostituito il costume che indossavo.

“Senti chi parla! Tu sei più cretina di me, insomma, avevi una faccia da funerale! E non sei nemmeno riuscita a cogliere che sono stato io a dire a Stella di prenderti in giro per spronarti di più” mi rispose, avvicinandosi. “Ma ammetto che rendermi ridicolo mi ha aiutato a distrarmi…”.

“Distrarti?”.

“Si, distrarmi dall’eccessiva sensualità che mi ispira la mia ragazza modella, so che non risulterò fine, ma mi ci è voluto uno sforzo madornale per non saltarti addosso” spiegò, con un tono di voce basso ma eccessivamente eccitante per i miei gusti. Nella seconda parte della frase aveva totalmente abbandonato il tono scherzoso, anzi, era diventato più serio e deciso che mai.

Quelle sue parole mi aiutarono a sentirmi meglio, ma diciamo che è un meglio un po’ relativo, perché al momento saltargli addosso e perdere totalmente la ragione non poteva essere qualcosa di positivo visto che ci trovavamo in uno spogliatoio e mia sorella ci stava aspettando al piano di sotto. Eppure, infischiandomene, mi lasciai prendere dalla frenesia e lo baciai, stringendomi forte a lui, tanto che, non so come, mi ritrovai seduta su un banchetto che si trovava lì, con le gambe ancorate ai suoi fianchi e le nostre braccia così intrecciate che probabilmente non si sarebbe riuscito a capire quali fossero le mani dell’uno e dell’altra.

Fu solo in quel momento che realizzai di essere sicura al diecimila per cento del fatto di voler sul serio vivere la mia prima volta con Marco e tutte le successive a venire, mi sentivo sicura di me, non imbarazzata come credevo, e le sensazioni che era capace di regalarmi anche solo sfiorandomi erano assurdamente paradisiache. Le sue mani percorrevano tutta la mia schiena nuda, le sue labbra sfioravano il mio collo, le spalle, lasciando, evidentemente, una serie di percorsi ardenti visto che mi sentivo andare totalmente a fuoco.

“Sul serio ti ho fatto quest’effetto?” chiesi a mezza voce, quasi affannata.

“Si, anzi, sono stato fin troppo sintetico ad essere onesto…” rispose, smettendo per un istante di baciarmi.

“E cioè?”.

“E cioè… Cercavo di immaginare cosa…”.

“Cosa?” lo spronai.

“Cosa ci fosse lì sotto” dichiarò infine, guardandomi negli occhi e indicando il costume. Sembrava quasi imbarazzato! Che faccia da cucciolo che aveva, non me la sarei mai dimenticata, era passato da sensuale a timido…

Però non andava bene, assolutamente, a breve saremmo diventati un tutt’uno e credevo che sarebbe stato meglio abbattere qualche barriera per evitare imbarazzi e ansie inutili una volta arrivati in Abruzzo. Non ero in me, decisamente, ma l’adrenalina ormai era l’unico costituente di tutto il mio corpo e così, dopo avergli fatto notare che non dovevamo più essere imbarazzati come due bambini delle elementari, presi una decisione.

“Amore, che fai?” domandò, quando vide che stavo scostando leggermente le sue braccia e le allontanavo da me.

Non risposi, ma presi un sospiro decisivo e, portando le mani dietro alla schiena, tremanti, dopo mezzo minuto slacciai l’aggancio della parte superiore del costume.

Marco era stralunato, mi fissava tra l’incredulo e il desideroso, e quasi sobbalzò quando lasciai cadere le braccia dopo aver gettato il reggiseno per l’aria. Eccomi, per la prima volta mezza nuda di fronte ad un ragazzo, coperta solo da un paio di slip a vita bassa. Scesi dal banchetto e lo guardai incerta, timorosa di un suo eventuale giudizio negativo oltre che piena di vergogna. Ma sapevo che dovevo farlo, così l’imbarazzo che avrei provato in seguito sarebbe stato molto di meno.

“L-Luna…” bofonchiò, con gli occhi quasi dilatati.

Feci un passo indietro, senza sapere cosa dire o fare. Voltai lo sguardo altrove, dicendomi che probabilmente non avevo retto le sue aspettative.

“Ti aspettavi di meglio, vero?” mormorai. Improvvisamente mi sentii stupida: ma che cavolo ci facevo lì, impalata come una deficiente che mostravo il mio seno a qualcuno? La vecchia Luna non avrebbe mai fatto una cosa simile!

“Scherzi?”.

Marco si avvicinò ancora di più. “Sei stupenda, credimi, e credo sia saggio che ora tu indossi di nuovo il reggiseno del costume se non vuoi farmi morire” disse con sincerità, senza smettere di fissarmi.

“Non prendermi in giro… Di certo sei abituato a standard più alti”. Era ovvio, mi dicevo, sai con quante ragazze era andato a letto in tutti quegli anni?

Lo sentii sospirare, esasperato. “Piantala! Forse sarò stato anche con qualcuna che aveva il seno rifatto, ma tu vali più di tutte loro messe insieme perché sai che ti amo e ti desidero sopra ogni cosa! Per me è… Una tortura… E te lo ripeto per l’ennesima volta che quando faremo l’amore sarò ancora più felice perché non vedo l’ora” esclamò e, quasi come conferma alle sue parole, tracciò una linea invisibile che partiva dalla mia spalla fino ad arrivare al mio ventre, passando per il seno sinistro, che sfiorò in un modo tale che mi venne la pelle d’oca.

Socchiusi gli occhi e ripresi la sua mano, facendola ripassare sull’altro seno. “Scusami, è che sono sempre così insicura…” ammisi, riaprendo gli occhi.

“Ed io sono qui per farti passare quest’insicurezza, anche perché quello che ti dico è tutto vero. Ora, però, ti prego, rivestiti se non vuoi perdere qui la tua verginità” dichiarò. “Vado a prendere una boccata d’aria” e così dicendo uscì, lasciandomi da sola ancora senza fiato per quello che avevo fatto.

Quando tornammo a casa, trovammo mamma che si dava da fare davanti ai fornelli. Vederla così, con il grembiule bianco e azzurro che metteva in evidenza la sua pancia, mi fece sorridere.

“Lunaaaa!”.

Mi voltai di scatto e vidi Vic la furia raggiungermi, correndo per tutto il corridoio prima di abbracciarmi con calore, come se fossi una sua vecchia parente che non vedeva da anni e che credeva essere morta in guerra. “Come è andato il servizio?”.

Esitai, lanciando uno sguardo di sbieco sia a Stella che a Marco. Alla fine decisi di optare per un “Bene”, ma ovviamente quell’idiota di mia sorella non perse occasione per mettermi in ridicolo.

“Ma che bene! Per farla sorridere decentemente ci è voluto Marco che faceva il pagliaccio! Ho cercato di spronare il suo orgoglio prendendola in giro, ma senza successo, figurati!” disse, con l’aria di chi la sapeva lunga.

Tuttavia, Vic la guardava attentamente, con un’aria un po’ indecifrabile. “Sorry, Stella,ma puoi spiegarmi più lentamente?”.

Io e Marco ridemmo mentre Stella sbuffava, ma, per mia sfortuna, mia madre era fin troppo in grado di capire l’italiano.

“Cos’è questa storia, Luna?” domandò, vedendoci incontro con la cucchiaia di legno in mano che le rendeva un’aria un po’ inquietante.

“Ma niente, Cristiana, all’inizio era solo un po’ a disagio ma poi si è sciolta tantissimo” mi difese Marco, e così dicendo mi lanciò un’occhiata che il mio cervellino bacato interpretò un po’ come una frase maliziosa. Che volesse riferirsi a quello che avevo fatto dopo, nello spogliatoio? Al solo pensiero, mi veniva ancora da arrossire come una matta e da domandarmi chi mi avesse dato il coraggio di fare una cosa simile così, senza meditarci e senza che fosse richiesto.

Probabilmente lui comprese, perché dopo aver rassicurato mamma mi fece segno di seguirlo nel soggiorno nell’attesa che papà e Mario ritornassero da un giro turistico per Firenze e per poter pranzare.

Prendemmo posto sul divano e mi accoccolai addosso a lui, chiedendomi se stesse ancora ripensando a ciò che avevo fatto.

“Oggi pomeriggio si parte” disse all’improvviso, accarezzandomi i capelli.

“Si…”.

“Sei contenta?”.

“Ovvio, non ce la faccio più con tutta questa gente tra i piedi” risposi, stringendolo di più a me.

“Anche io” sussurrò. “Eppure ti vedo strana” aggiunse, obbligandomi a guardarlo in faccia.

“Io? No, no, ripenso solo a come verrà il servizio, ecco…” mentii, cosa che invece non mi preoccupava minimamente, ormai le foto me l’ero fatte scattare e poco m’importava del giudizio degli altri.

“Ti offendi se ti dico che non ti credo? Ormai ti conosco bene, Lulù” dichiarò. “E credo che ciò riguardi quelli che…”.

“Quello che ho fatto nel camerino, si! Non so cosa mi è preso, credimi, volevo solo avere qualche certezza in più…” sbottai, conscia di essere stata scoperta sin dall’inizio e che non servisse a nulla continuare a mentire spudoratamente. Con Marco mentire ormai era diventata una battaglia persa.

“Perché ti fai tanti problemi? Non è successo nulla… Purtroppo” aggiunse, con quello che sul serio era il suo sorriso malizioso finalmente uscito allo scoperto. “E anche quando tra di noi succederà quello che succederà, quell’immagine tua, così ingenua, timida e perfetta, sarà quella che voglio più portare scolpita nella mia mente” disse con una sincerità così palese che mi precipitai ad abbracciarlo con tutto l’affetto e il sentimento che sentivo. Era in momenti come quelli che mi domandavo cosa avessi mai fatto di così magnificamente buono per potermi meritare un simile angelo al mio fianco, che mi amava per quello che ero.

Restammo così, stretti, per svariati minuti, finchè quella zanzara petulante di mia sorella non entrò in soggiorno con Vic alle calcagna.

“Sorellina! Dimmi che sono un genio” esordì, battendo le mani. Sembrava fin troppo entusiasta.

“E perché dovrei dire una così grossa bugia?” risposi, ancora offesa per il modo in cui aveva cercato di spronarmi durante il servizio.

“Perché ti ricrederai. Ho trovato un modo per avere più entrate visto che siamo senza lavoro, e mamma ha approvato” disse, sedendosi sul divano accanto a me. Non aspettò nemmeno che domandassi quale pazza idea le fosse frullata in testa, perché subito iniziò: “Mi è venuto in mente vedendo Friends! Visto che la nostra casa è grande, affittiamo le stanze a due persone e così ci dividiamo il guadagno! Ora che vai in Abruzzo metto subito gli annunci nella bacheca della tua università, in quella di Marco e anche a quella di Giurisprudenza dove andava Mario, lui ha tanti amici che sono potenziali clienti…”.

Amici?!”. Marco la guardò come se fosse impazzita. “A parte che conosco gli amici di Mario, ma non permetterai mai ad un ragazzo di vivere sotto lo stesso tetto con la mia ragazza” disse deciso, con un tono fin troppo autoritario.

Stella lo guardò sprezzante. “Prima le fai fare delle foto mezza nuda e poi fai la parte del tipo geloso?!”.

“Ehi, calma” m’intromisi, visto che la conversazione rischiava di degenerare. “A parte che, amore, di certo non ti tradirei col primo idiota a cui affitto la casa, e poi cercheremo di affittarla a delle ragazze, ok? Devo ammettere che è una bella idea” aggiunsi rivolta a mia sorella, che mi sorrise.

“Te l’avevo detto che ero un genio!”.

Il viaggio verso l’Abruzzo fu abbastanza divertente visto che io e Marco facemmo amicizia con una coppia Pisana che si era appena sposata. Avevamo salutato mamma, con la promessa che io e Stella saremmo tornate lì a settembre, mese in cui avrebbe saputo il sesso del bambino, quindi per accompagnarla alla visita ginecologica insieme a papà, e avevo cercato di tranquillizzare papà che continuava a guardare me e Marco in cagnesco per la settimana di vacanza che ci concedevamo da soli.

Vic mi aveva stritolato per l’ennesima volta con uno dei suoi abbracci ferrei e poi mi aveva domandato sotto voce se avevo messo in valigia il suo regalo, il completo di Victoria Secret. Al mio ritorno l’avrei già trovata a Maddaloni, ma speravo che per quel momento Stella non avesse ancora trovato qualche coinquilino.

“Eccoci a casa, madame” annunciò Marco molte ore dopo, quando ci trovammo davanti la casa che Mario e Stella avevano affittato e che poi ci avevano ceduto. Nel progetto iniziale, quella specie di piccola villetta sarebbe stata abitata anche dalla cugina dei ragazzi con il suo fidanzato, quindi alla fine io e Marco avevamo dovuto rimborsare solo loro due visto che i nostri fratelli ci avevano fatto un piccolo regalo.

“In questa mattina grigia
In questa casa che ora è veramente solo mia
Riconosco che sei l’unica persona che conosca
Che incontrando una persona la conosce
E guardandola le parla per la prima volta
Concedendosi una vera lunga sosta
Una sosta dai concetti e i preconcetti
Una sosta dalla prima impressione
Che rischiando di sbagliare
Prova a chiedersi per prima
Cosa sia quella persona veramente
Potrò mai volere bene

Tu che pensi solamente spinta dall’affetto
E non ne vuoi sapere di battaglie d’odio di ripicche e di rancore
E t’intenerisci ad ogni mio difetto
Tu che ridi solamente insieme a me
Insieme a chi sa ridere ma ridere di cuore
Tu che ti metti da parte sempre troppo spesso
E che mi vuoi bene più di quanto faccia con me stesso”

Era troppo grande per noi, ne ero certa, ma lamentarmi era l’unica cosa che dovevo fare vista la situazione. Sette giorni di puro relax da sola con il mio ragazzo…

“E’ bellissima! Solo che, ti prego, avvisiamo che siamo arrivati e poi spegniamo i telefoni, o mettiamo come minimo il silenzioso” decretai decisa.

Marco sorrise. “Certo, hai ragione”.

Prima che me ne accorgessi, mi prese in braccio dopo aver posato le valigie nell’ingresso, e insieme facemmo il giro della casa.

La cucina era enorme, molto rustica; il soggiorno aveva due divani con tanto di camino, ovviamente spento anche se, essendo sera, faceva un po’ freschetto; c’erano due camere da letto, due bagni, un lungo corridoio e un grande ingresso e fuori, oltre al giardino, c’era un piccolo laghetto su cui ormai si rifletteva la luna piena.

Dopo aver sistemato le nostre cose, cenammo e vedemmo un po’ di tv prima di fare un giro vicino al lago, ma io ero esausta per la giornata che avevo avuto e il viaggio, ragion per cui alle undici gli chiesi se potevamo andare a dormire.

“Si, andiamo, sono stanco morto anch’io” acconsentì. “Mi sa che per i primi giorni dobbiamo recuperare per bene tutte le forze perse, e poi magari possiamo andare a fare un giro al centro”.

“Giusto, tanto ce n’è di tempo e il centro non è molto grande” osservai.

Quella sera dormii per bene dopo tanto tempo; anche se già altre volte avevamo dormito insieme, quella sera fu diversa, e non ne sapevo nemmeno io il perché.

Nonostante la stanchezza, però, pensai se ci fosse rimasto male che subito m ne fossi andata a letto, ma poi ripensai al colloquio avuto nella mia stanza quando mamma mi aveva proposto di fare da modella e mi calmai, dicendomi che lui sapeva che non volevo che succedesse qualcosa tra da noi come se fosse stata programmata.

In realtà, però, non sapevo che il modo in cui sarebbe successo sul serio sarebbe stato in qualche circostanza diversa dal solito.

La mattina dopo ci svegliammo alle undici passate, e così decidemmo di fare un brunch.

“Ma il brunch non era pranzo e cena insieme?” mi chiese lui quando glielo proposi, un po’ stranito.

“Che? No! E’ colazione e pranzo insieme, asino! Devo istruirti per bene sulla cultura inglese…” ribattei.

“E in che consiste? Latte e pasta?!” mi prese in giro.

Inutile dire che le risate non erano mancate, proprio come quando erano venuti a trovarci i padroni di casa per vedere se fosse tutto ok e per avvisarci che probabilmente nei giorni seguenti ci sarebbe stato un piccolo blackout per alcuni problemi che c’erano in paese.

“Per cui vi abbiamo portato delle candele che di sicuro vi saranno utili, ragazzi” dichiarò il padrone, il signor Rodolfo, un uomo sulla cinquantina particolarmente simpatico e bravo nel metterci a nostro agio.

“La ringrazio” risposi, sorridendo. “E complimenti per la casa, sul serio, se potessi ci resterei per il resto dell’anno, qui riuscirei a studiare con molta più tranquillità”.

Eppure, le candele ci furono utili subito dopo, verso le dieci, quando ero in bagno per una doccia. Improvvisamente, dopo aver indossato mutandine e reggiseno, le luci si spensero all’improvviso e rischiai di urtare contro il mobiletto vicino al lavandino, non conoscendo bene la stanza e quindi non potendo orientarmi alla perfezione. Grazie al cellulare che recupererai con un po’ di difficoltà, però, riuscii a farmi strada grazie alla luce del display.

“Luna, amore, sto accendendo le candele, un secondo e ti raggiungo!” sentii urlare Marco dalla camera da letto in cui ci eravamo sistemati.

“Tranquillo, sto già venendo” lo rassicurai, e fu così che tre secondi dopo ci ritrovammo faccia a faccia.

Manteneva in mano una candela, in pantaloncini, e mi sorrise.

“Ecco a cosa servono i cellulari” sussurrai, posando l’oggetto sul comodino.

“Si, ma le candele sono più romantiche, non trovi?” domandò lui, poggiandola su un mobile e continuando a scrutarmi.

Esitai un secondo, non riuscendo a non contemplare quanto fosse ancora più bello grazie alla luce soffusa delle candele. “Si, ma se sono con te tutto è romantico” decretai. Poi, improvvisamente, nella mia mente folgorò l’immagine di due giorni prima, di quello che avevo fatto nel camerino. E, come se fosse una decisione già radicata dentro di me da secoli, mi avvicinai ancora di più a lui finchè il mio corpo nudo in buona parte non si trovasse a contatto con lui. Quella era la sera giusta, me lo sentivo, proprio come se qualcuno al di sopra di me l’avesse deciso e mi avesse convinto con la più grande delle arti oratorie…

“Marco, mi vuoi?” dissi, senza meditarci, prendendo la sua mano e facendola scendere lungo la mia schiena.

Vidi il suo sguardo un po’ sbigottito, prima sorpreso, poi improvvisamente deciso e felice. “Me lo domandi pure? E’ da quando ho capito di amarti che ti voglio” dichiarò, aggiungendo anche l’altra mano a quella che già cingeva la mia schiena.

Ci sorridemmo, prima di perderci in un bacio che superava il passionale di molto.

“Hai spento il cellulare?” mi domandò, prima di ribaciarmi.

“Mmm, no, ma al momento non ne avrei la forza. Ho il silenzioso…” mormorai, prima di lasciarmi stendere sul letto e sentirlo sopra di me, pelle contro pelle, sospiro contro sospiro. Ero certa che quella notte sarebbe stata la più bella della mia vita, era poco ma sicuro, perché ottenere una cosa attesa dopo tanto tempo è ancora più appagante, e le carezze e i baci impetuosi di Marco me ne fecero avere un vago sentore, anche se eravamo solo all’inizio…

*°*°*°*°

Buonasera a tutti!

Rieccomi qui con il terzo capitolo! Ammetto che è stato un po’ difficile da scrivere, ma semplicemente perché ora si inizia a spiegare il rating arancione e io non sono abituata descrivere scene un po’ più intime, quindi credo che nel prossimo dovrò impegnarmi ancora di più visto che verrà descritta la tanto attesa prima volta dei nostri amati Marco e Luna xD

Purtroppo non ho il tempo per dilungarmi molto, quindi come sempre ringrazio chi segue la storia e chi ha recensito, ovvero CriCri88, alina 95 e Lola SteP per le loro recensioni! Vi ringrazio di cuore e vi chiedo di farmi sapere osa ne pensate anche di questo capitolo, perché vedendo così poche recensioni inizio a domandarmi se questa storia vi stia annoiando e quindi è inutile continuarla, anche perché se sto sbagliando qualcosa non so cosa visto la mancanza di eventuali giudizi negativi. Anche quelli sono sempre accettati, anche se costruttivi ovviamente!

Comunque, vi ripeto il mio account Facebook se vi va di seguirmi anche lì visto che lì pubblico notizie, spoiler e alcuni lavori di Photoshop: Mena Milly.

VI AUGURO UNA SERENA E DOLCE PASQUA!

la vostra milly92.

  
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