Capitolo
III
Il Sole
Esiste
Per Tutti
“Ok, benissimo
Luna, ora sorridi e guarda verso sinistra…”.
Cercai di
stare agli ordini di Angelo, il fotografo di fiducia di mamma che ella
ingaggiava sempre per i servizi fotografici della sua linea di moda,
così
accennai un piccolo sorriso. Mi girai un po’ di
più nella direzione che mi
aveva indicato, ma mi sentivo ancora un po’ rigida, il che
poteva seriamente
essere giustificato dal fatto che stessi indossando un eccentrico
costume fatto
di paillettes dorate e che fossi truccata in un modo tale che mi
sentissi tutta
quell’enorme quantità di trucco che mi avevano
messo in faccia circa un’ora
prima. Finchè si era trattato di farsi fotografare di spalle
e leggermente di
profilo andava bene, ma ora iniziavo a sentirmi in imbarazzo.
“No, non va
bene, devi sorridere di più! Pensa a qualcosa di
bello…” mi spronò Angelo,
avvicinandosi con quell’enorme macchina fotografica nera.
Voleva forse mettermi
ancora più in soggezione? Complimenti, ci stava riuscendo
sul serio.
“E a che
cosa?” sbuffai, togliendomi una ciocca da davanti il viso.
“Tipo al mio
magnifico sorriso quando mamma vedrà questo servizio e
capirà che come modella
fai schifo” disse una voce poco distante.
Alzai lo
sguardo e notai, con una certa ira, che mia sorella se la stava godendo
un
mondo a squadrarmi dall’altra parte della stanza, vicino a
Marco che fino a
quel momento non aveva ancora detto mezza parola. Era venuto per
supportarmi
come gli avevo chiesto, e per fortuna non mi stava mettendo a disagio,
cosa che
invece mia sorella sembrava voler e saper fare egregiamente.
“Vieni tu qui
e mettiti in poso al mio posto, allora!” sbraitai.
Non ebbi il
tempo di finire di pronunciare la frase che Angelo fece un paio di
scatti.
“Devo dire che arrabbiata sei molto più
espressiva, Luna! Ma ora sorridi, su,
tesoro…!”.
Mi girai di
lato, sconsolata, senza sapere cosa fare visto che grazie alle parole
della mia
gemella mi sentivo ancora più a disagio, quando spalancai
gli occhi davanti
alla visione che mi si parava di fronte: Marco sorrideva in mia
direzione
mentre, con una lentezza degna dei migliori spogliarellisti, iniziava a
togliersi la sua maglietta azzurra.
Cosa volesse
fare lo capii poco dopo: alla vista di quella scena iniziai a ridere a
crepapelle,
riempiendo di gioia Angelo che ne approfittò
dell’occasione per fare più scatti
possibili.
“Luna, sei
stata bravissima dopo l’imbarazzo iniziale” si
congratulò Angelo un’ora e mezza
dopo, stringendomi la mano con vigore appena ebbi terminato di
indossare un
pareo che mi avevano passato.
Sorrisi,
soddisfatta di essere riuscita a migliorare un po’.
“Devo ringraziare quel
pagliaccio del mio ragazzo” dissi, ammiccando verso Marco che
mi aspettava
all’uscita della sala. Dopo il finto streap tease, aveva
combinato di tutto: aveva
indossato il cerchietto di Stella, aveva iniziato a fare una serie
idiota di
smorfie… Per fortuna, almeno, il
tutto
aveva funzionato visto che nelle foto risultavo più
sorridente e naturale che
mai.
Salutai il
fotografo e raggiunsi Marco, che mi scortò fino allo
spogliatoio.
“Sei un
cretino patentato, ecco quello che sei” lo rimproverai
affettuosamente mentre
prendevo i jeans e il top che avrebbero sostituito il costume che
indossavo.
“Senti chi
parla! Tu sei più cretina di me, insomma, avevi una faccia
da funerale! E non
sei nemmeno riuscita a cogliere che sono stato io a dire a Stella di
prenderti
in giro per spronarti di più” mi rispose,
avvicinandosi. “Ma ammetto che
rendermi ridicolo mi ha aiutato a distrarmi…”.
“Distrarti?”.
“Si, distrarmi
dall’eccessiva sensualità che mi ispira la mia
ragazza modella, so che non
risulterò fine, ma mi ci è voluto uno sforzo
madornale per non saltarti
addosso” spiegò, con un tono di voce basso ma
eccessivamente eccitante per i
miei gusti. Nella seconda parte della frase aveva totalmente
abbandonato il
tono scherzoso, anzi, era diventato più serio e deciso che
mai.
Quelle sue
parole mi aiutarono a sentirmi meglio, ma diciamo che è un
meglio un po’
relativo, perché al momento saltargli addosso e perdere
totalmente la ragione
non poteva essere qualcosa di positivo visto che ci trovavamo in uno
spogliatoio e mia sorella ci stava aspettando al piano di sotto.
Eppure,
infischiandomene, mi lasciai prendere dalla frenesia e lo baciai,
stringendomi
forte a lui, tanto che, non so come, mi ritrovai seduta su un banchetto
che si
trovava lì, con le gambe ancorate ai suoi fianchi e le
nostre braccia così
intrecciate che probabilmente non si sarebbe riuscito a capire quali
fossero le
mani dell’uno e dell’altra.
Fu solo in
quel momento che realizzai di essere sicura al diecimila per cento del
fatto di
voler sul serio vivere la mia prima volta con Marco e tutte le
successive a
venire, mi sentivo sicura di me, non imbarazzata come credevo, e le
sensazioni che
era capace di regalarmi anche solo sfiorandomi erano assurdamente
paradisiache.
Le sue mani percorrevano tutta la mia schiena nuda, le sue labbra
sfioravano il
mio collo, le spalle, lasciando, evidentemente, una serie di percorsi
ardenti
visto che mi sentivo andare totalmente a fuoco.
“Sul serio ti
ho fatto quest’effetto?” chiesi a mezza voce, quasi
affannata.
“Si, anzi,
sono stato fin troppo sintetico ad essere onesto…”
rispose, smettendo per un
istante di baciarmi.
“E
cioè?”.
“E
cioè…
Cercavo di immaginare cosa…”.
“Cosa?” lo
spronai.
“Cosa ci fosse
lì sotto” dichiarò infine, guardandomi
negli occhi e indicando il costume.
Sembrava quasi imbarazzato! Che faccia da cucciolo che aveva, non me la
sarei
mai dimenticata, era passato da sensuale a timido…
Però non
andava bene, assolutamente, a breve saremmo diventati un
tutt’uno e credevo che
sarebbe stato meglio abbattere qualche barriera per evitare imbarazzi e
ansie
inutili una volta arrivati in Abruzzo. Non ero in me, decisamente, ma
l’adrenalina ormai era l’unico costituente di tutto
il mio corpo e
così, dopo avergli fatto notare che non
dovevamo più essere imbarazzati come due bambini delle
elementari, presi una
decisione.
“Amore, che
fai?” domandò, quando vide che stavo scostando
leggermente le sue braccia e le
allontanavo da me.
Non risposi,
ma presi un sospiro decisivo e, portando le mani dietro alla schiena,
tremanti,
dopo mezzo minuto slacciai l’aggancio della parte superiore
del costume.
Marco era
stralunato, mi fissava tra l’incredulo e il desideroso, e
quasi sobbalzò quando
lasciai cadere le braccia dopo aver gettato il reggiseno per
l’aria. Eccomi,
per la prima volta mezza nuda di fronte ad un ragazzo, coperta solo da
un paio
di slip a vita bassa. Scesi dal banchetto e lo guardai incerta,
timorosa di un
suo eventuale giudizio negativo oltre che piena di vergogna. Ma sapevo
che
dovevo farlo, così l’imbarazzo che avrei provato
in seguito sarebbe stato molto
di meno.
“L-Luna…”
bofonchiò, con gli occhi quasi dilatati.
Feci un passo
indietro, senza sapere cosa dire o fare. Voltai lo sguardo altrove,
dicendomi
che probabilmente non avevo retto le sue aspettative.
“Ti aspettavi
di meglio, vero?” mormorai. Improvvisamente mi sentii
stupida: ma che cavolo ci
facevo lì, impalata come una deficiente che mostravo il mio
seno a qualcuno? La
vecchia Luna non avrebbe mai fatto una cosa simile!
“Scherzi?”.
Marco si
avvicinò ancora di più. “Sei stupenda,
credimi, e credo sia saggio che ora tu indossi
di nuovo il reggiseno del costume se non vuoi farmi morire”
disse con
sincerità, senza smettere di fissarmi.
“Non prendermi
in giro… Di certo sei abituato a standard più
alti”. Era ovvio, mi dicevo, sai
con quante ragazze era andato a letto in tutti quegli anni?
Lo sentii
sospirare, esasperato. “Piantala! Forse sarò stato
anche con qualcuna che aveva
il seno rifatto, ma tu vali più di tutte loro messe insieme
perché sai che ti
amo e ti desidero sopra ogni cosa! Per me è… Una
tortura… E te lo ripeto per
l’ennesima volta che quando faremo l’amore
sarò ancora più felice perché non
vedo l’ora” esclamò e, quasi come
conferma alle sue parole, tracciò una linea
invisibile che partiva dalla mia spalla fino ad arrivare al mio ventre,
passando per il seno sinistro, che sfiorò in un modo tale
che mi venne la pelle
d’oca.
Socchiusi gli
occhi e ripresi la sua mano, facendola ripassare sull’altro
seno. “Scusami, è
che sono sempre così insicura…” ammisi,
riaprendo gli occhi.
“Ed
io sono
qui per farti passare quest’insicurezza, anche
perché
quello che ti dico è
tutto vero. Ora, però, ti prego, rivestiti se non vuoi
perdere
qui la tua
verginità” dichiarò. “Vado a
prendere una
boccata d’aria” e così dicendo
uscì,
lasciandomi da sola ancora senza fiato per quello che avevo fatto.
Quando
tornammo a casa, trovammo mamma che si dava da fare davanti ai
fornelli.
Vederla così, con il grembiule bianco e azzurro che metteva
in evidenza la sua
pancia, mi fece sorridere.
“Lunaaaa!”.
Mi voltai di
scatto e vidi Vic la furia raggiungermi, correndo per tutto il
corridoio prima
di abbracciarmi con calore, come se fossi una sua vecchia parente che
non
vedeva da anni e che credeva essere morta in guerra. “Come
è andato il
servizio?”.
Esitai,
lanciando uno sguardo di sbieco sia a Stella che a Marco. Alla fine
decisi di
optare per un “Bene”, ma ovviamente
quell’idiota di mia sorella non perse
occasione per mettermi in ridicolo.
“Ma che bene!
Per farla sorridere decentemente ci è voluto Marco che
faceva il pagliaccio! Ho
cercato di spronare il suo orgoglio prendendola in giro, ma senza
successo,
figurati!” disse, con l’aria di chi la sapeva
lunga.
Tuttavia, Vic
la guardava attentamente, con un’aria un po’
indecifrabile. “Sorry,
Stella,ma puoi spiegarmi più
lentamente?”.
Io e Marco
ridemmo mentre Stella sbuffava, ma, per mia sfortuna, mia madre era fin
troppo
in grado di capire l’italiano.
“Cos’è
questa
storia, Luna?” domandò, vedendoci incontro con la
cucchiaia di legno in mano
che le rendeva un’aria un po’ inquietante.
“Ma niente,
Cristiana, all’inizio era solo un po’ a disagio ma
poi si è sciolta tantissimo”
mi difese Marco, e così dicendo mi lanciò
un’occhiata che il mio cervellino
bacato interpretò un po’ come una frase maliziosa.
Che volesse riferirsi a
quello che avevo fatto dopo, nello spogliatoio? Al solo pensiero, mi
veniva
ancora da arrossire come una matta e da domandarmi chi mi avesse dato
il
coraggio di fare una cosa simile così, senza meditarci e
senza che fosse
richiesto.
Probabilmente
lui comprese, perché dopo aver rassicurato mamma mi fece
segno di seguirlo nel
soggiorno nell’attesa che papà e Mario
ritornassero da un giro turistico per
Firenze e per poter pranzare.
Prendemmo
posto sul divano e mi accoccolai addosso a lui, chiedendomi se stesse
ancora
ripensando a ciò che avevo fatto.
“Oggi
pomeriggio si parte” disse all’improvviso,
accarezzandomi i capelli.
“Si…”.
“Sei
contenta?”.
“Ovvio, non ce
la faccio più con tutta questa gente tra i piedi”
risposi, stringendolo di più
a me.
“Anche io”
sussurrò. “Eppure ti vedo strana”
aggiunse, obbligandomi a guardarlo in faccia.
“Io? No, no, ripenso
solo a come verrà il servizio, ecco…”
mentii, cosa che invece non mi
preoccupava minimamente, ormai le foto me l’ero fatte
scattare e poco
m’importava del giudizio degli altri.
“Ti offendi se
ti dico che non ti credo? Ormai ti conosco bene, Lulù”
dichiarò. “E credo che ciò riguardi
quelli che…”.
“Quello che ho
fatto nel camerino, si! Non so cosa mi è preso, credimi,
volevo solo avere
qualche certezza in più…” sbottai,
conscia di essere stata scoperta sin
dall’inizio e che non servisse a nulla continuare a mentire
spudoratamente. Con
Marco mentire ormai era diventata una battaglia persa.
“Perché ti fai
tanti problemi? Non è successo nulla… Purtroppo”
aggiunse, con quello che sul
serio era il suo sorriso malizioso finalmente uscito allo scoperto.
“E anche
quando tra di noi succederà quello che succederà,
quell’immagine tua, così
ingenua, timida e perfetta, sarà quella che voglio
più portare scolpita nella
mia mente” disse con una sincerità così
palese che mi precipitai ad
abbracciarlo con tutto l’affetto e il sentimento che sentivo.
Era in momenti
come quelli che mi domandavo cosa avessi mai fatto di così
magnificamente buono
per potermi meritare un simile angelo al mio fianco, che mi amava per
quello
che ero.
Restammo così,
stretti, per svariati minuti, finchè quella zanzara
petulante di mia sorella
non entrò in soggiorno con Vic alle calcagna.
“Sorellina!
Dimmi che sono un genio” esordì, battendo le mani.
Sembrava fin troppo
entusiasta.
“E perché
dovrei dire una così grossa bugia?” risposi,
ancora offesa per il modo in cui
aveva cercato di spronarmi durante il servizio.
“Perché ti
ricrederai. Ho trovato un modo per avere più entrate visto
che siamo senza
lavoro, e mamma ha approvato” disse, sedendosi sul divano
accanto a me. Non
aspettò nemmeno che domandassi quale pazza idea le fosse
frullata in testa,
perché subito iniziò: “Mi è
venuto in mente vedendo Friends!
Visto che la nostra casa è grande, affittiamo le stanze a
due persone e così ci dividiamo il guadagno! Ora che vai in
Abruzzo metto
subito gli annunci nella bacheca della tua università, in
quella di Marco e
anche a quella di Giurisprudenza dove andava Mario, lui ha tanti amici
che sono
potenziali clienti…”.
“Amici?!”.
Marco la guardò come se fosse
impazzita. “A parte che conosco gli amici di Mario, ma non
permetterai mai ad
un ragazzo di vivere sotto lo stesso tetto con la mia
ragazza” disse deciso,
con un tono fin troppo autoritario.
Stella lo
guardò sprezzante. “Prima le fai fare delle foto
mezza nuda e poi fai la parte
del tipo geloso?!”.
“Ehi, calma”
m’intromisi, visto che la conversazione rischiava di
degenerare. “A parte che,
amore, di certo non ti tradirei col primo idiota a cui affitto la casa,
e poi
cercheremo di affittarla a delle ragazze, ok? Devo ammettere che
è una bella
idea” aggiunsi rivolta a mia sorella, che mi sorrise.
“Te l’avevo
detto che ero un genio!”.
Il viaggio
verso l’Abruzzo fu abbastanza divertente visto che io e Marco
facemmo amicizia
con una coppia Pisana che si era appena sposata. Avevamo salutato
mamma, con la
promessa che io e Stella saremmo tornate lì a settembre,
mese in cui avrebbe
saputo il sesso del bambino, quindi per accompagnarla alla visita
ginecologica
insieme a papà, e avevo cercato di tranquillizzare
papà che continuava a
guardare me e Marco in cagnesco per la settimana di vacanza che ci
concedevamo
da soli.
Vic mi aveva
stritolato per l’ennesima volta con uno dei suoi abbracci
ferrei e poi mi aveva
domandato sotto voce se avevo messo in valigia il
suo regalo, il completo di Victoria Secret. Al mio ritorno
l’avrei già trovata a Maddaloni, ma speravo che
per quel momento Stella non
avesse ancora trovato qualche coinquilino.
“Eccoci a
casa, madame”
annunciò Marco molte
ore dopo, quando ci trovammo davanti la casa che Mario e Stella avevano
affittato e che poi ci avevano ceduto. Nel progetto iniziale, quella
specie di
piccola villetta sarebbe stata abitata anche dalla cugina dei ragazzi
con il
suo fidanzato, quindi alla fine io e Marco avevamo dovuto rimborsare
solo loro
due visto che i nostri
fratelli ci
avevano fatto un piccolo regalo.
“In questa mattina
grigia
In questa casa che ora è veramente solo mia
Riconosco che sei l’unica persona che conosca
Che incontrando una persona la conosce
E guardandola le parla per la prima volta
Concedendosi una vera lunga sosta
Una sosta dai concetti e i preconcetti
Una sosta dalla prima impressione
Che rischiando di sbagliare
Prova a chiedersi per prima
Cosa sia quella persona veramente
Potrò mai volere bene
Tu che pensi solamente spinta dall’affetto
E non ne vuoi sapere di battaglie d’odio di ripicche e di
rancore
E t’intenerisci ad ogni mio difetto
Tu che ridi solamente insieme a me
Insieme a chi sa ridere ma ridere di cuore
Tu che ti metti da parte sempre troppo spesso
E che mi vuoi bene più di quanto faccia con me
stesso”
Era troppo
grande per noi, ne ero certa, ma lamentarmi era l’unica cosa
che dovevo fare
vista la situazione. Sette giorni di puro relax da sola con il mio
ragazzo…
“E’
bellissima! Solo che, ti prego, avvisiamo che siamo arrivati e poi
spegniamo i
telefoni, o mettiamo come minimo il silenzioso” decretai
decisa.
Marco sorrise.
“Certo, hai ragione”.
Prima che me
ne accorgessi, mi prese in braccio dopo aver posato le valigie
nell’ingresso, e
insieme facemmo il giro della casa.
La cucina era
enorme, molto rustica; il soggiorno aveva due divani con tanto di
camino,
ovviamente spento anche se, essendo sera, faceva un po’
freschetto; c’erano due
camere da letto, due bagni, un lungo corridoio e un grande ingresso e
fuori,
oltre al giardino, c’era un piccolo laghetto su cui ormai si
rifletteva la luna
piena.
Dopo aver
sistemato le nostre cose, cenammo e vedemmo un po’ di tv
prima di fare un giro
vicino al lago, ma io ero esausta per la giornata che avevo avuto e il
viaggio,
ragion per cui alle undici gli chiesi se potevamo andare a dormire.
“Si, andiamo,
sono stanco morto anch’io” acconsentì.
“Mi sa che per i primi giorni dobbiamo
recuperare per bene tutte le forze perse, e poi magari possiamo andare a fare un giro al centro”.
“Giusto, tanto
ce n’è di tempo e il centro non è molto
grande” osservai.
Quella sera
dormii per bene dopo tanto tempo; anche se già altre volte
avevamo dormito
insieme, quella sera fu diversa, e non ne sapevo nemmeno io il
perché.
Nonostante la
stanchezza, però, pensai se ci fosse rimasto male che subito
m ne fossi andata
a letto, ma poi ripensai al colloquio avuto nella mia stanza quando
mamma mi
aveva proposto di fare da modella e mi calmai, dicendomi che lui sapeva
che non
volevo che succedesse qualcosa tra da noi come se fosse stata
programmata.
In realtà,
però, non sapevo che il modo in cui sarebbe successo sul
serio sarebbe stato in
qualche circostanza diversa dal solito.
La mattina
dopo ci svegliammo alle undici passate, e così decidemmo di
fare un brunch.
“Ma il brunch
non era pranzo e cena insieme?” mi chiese lui quando glielo
proposi, un po’
stranito.
“Che? No! E’
colazione e pranzo insieme, asino! Devo istruirti per bene sulla
cultura
inglese…” ribattei.
“E in che
consiste? Latte e pasta?!” mi prese in giro.
Inutile dire
che le risate non erano mancate, proprio come quando erano venuti a
trovarci i
padroni di casa per vedere se fosse tutto ok e per avvisarci che
probabilmente
nei giorni seguenti ci sarebbe stato un piccolo blackout per alcuni
problemi
che c’erano in paese.
“Per cui vi
abbiamo portato delle candele che di sicuro vi saranno utili,
ragazzi” dichiarò
il padrone, il signor Rodolfo, un uomo sulla cinquantina
particolarmente
simpatico e bravo nel metterci a nostro agio.
“La ringrazio”
risposi, sorridendo. “E complimenti per la casa, sul serio,
se potessi ci
resterei per il resto dell’anno, qui riuscirei a studiare con
molta più
tranquillità”.
Eppure, le
candele ci furono utili subito dopo, verso le dieci, quando ero in
bagno per
una doccia. Improvvisamente, dopo aver indossato mutandine e reggiseno,
le luci
si spensero all’improvviso e rischiai di urtare contro il
mobiletto vicino al
lavandino, non conoscendo bene la stanza e quindi non potendo
orientarmi alla
perfezione. Grazie al cellulare che recupererai con un po’ di
difficoltà, però,
riuscii a farmi strada grazie alla luce del display.
“Luna, amore,
sto accendendo le candele, un secondo e ti raggiungo!” sentii
urlare Marco
dalla camera da letto in cui ci eravamo sistemati.
“Tranquillo,
sto già venendo” lo rassicurai, e fu
così che tre secondi dopo ci ritrovammo
faccia a faccia.
Manteneva in
mano una candela, in pantaloncini, e mi sorrise.
“Ecco
a cosa servono i cellulari” sussurrai,
posando l’oggetto sul comodino.
“Si, ma le candele
sono più romantiche, non trovi?”
domandò lui, poggiandola su un mobile e
continuando a scrutarmi.
Esitai un
secondo, non riuscendo a non
contemplare
quanto fosse ancora più bello grazie alla luce soffusa delle
candele. “Si, ma
se sono con te tutto è romantico” decretai. Poi,
improvvisamente, nella mia
mente folgorò l’immagine di due giorni prima, di
quello che avevo fatto nel
camerino. E, come se fosse una decisione già radicata dentro
di me da secoli,
mi avvicinai ancora di più a lui finchè il mio
corpo nudo in buona parte non si
trovasse a contatto con lui. Quella era la sera giusta, me lo sentivo,
proprio
come se qualcuno al di sopra di me l’avesse deciso e mi
avesse convinto con la
più grande delle arti oratorie…
“Marco, mi
vuoi?” dissi, senza meditarci, prendendo la sua mano e
facendola scendere lungo
la mia schiena.
Vidi il suo
sguardo un po’ sbigottito, prima sorpreso, poi
improvvisamente deciso e felice.
“Me lo domandi pure? E’ da quando ho capito di
amarti che ti voglio” dichiarò,
aggiungendo anche l’altra mano a quella che già
cingeva la mia schiena.
Ci sorridemmo,
prima di perderci in un bacio che superava il passionale di molto.
“Hai spento il
cellulare?” mi domandò, prima di ribaciarmi.
“Mmm, no, ma
al momento non ne avrei la forza. Ho il
silenzioso…” mormorai, prima di
lasciarmi stendere sul letto e sentirlo sopra di me, pelle contro
pelle,
sospiro contro sospiro. Ero certa che quella notte sarebbe stata la più bella della
mia vita, era poco
ma sicuro, perché ottenere una cosa attesa dopo tanto tempo
è ancora più
appagante, e le carezze e i baci impetuosi di Marco me ne fecero avere
un vago
sentore, anche se eravamo solo all’inizio…
*°*°*°*°
Buonasera a
tutti!
Rieccomi qui
con il terzo capitolo! Ammetto che è stato un po’
difficile da scrivere, ma
semplicemente perché ora si inizia a spiegare il rating
arancione e io non sono
abituata descrivere scene un
po’ più intime, quindi
credo che nel prossimo dovrò impegnarmi ancora di
più visto che verrà descritta
la tanto attesa prima volta dei nostri amati Marco e Luna xD
Purtroppo non
ho il tempo per dilungarmi molto, quindi come sempre ringrazio chi
segue la
storia e chi ha recensito, ovvero CriCri88, alina 95 e
Lola SteP per le loro recensioni!
Vi ringrazio di cuore e vi
chiedo di farmi
sapere osa ne pensate anche di questo capitolo, perché
vedendo così poche
recensioni inizio a domandarmi se questa storia vi stia annoiando e
quindi è
inutile continuarla, anche perché se sto sbagliando qualcosa
non so cosa visto
la mancanza di eventuali giudizi negativi. Anche quelli sono sempre
accettati,
anche se costruttivi ovviamente!
Comunque,
vi ripeto il mio account Facebook se vi
va di seguirmi anche lì visto che lì pubblico
notizie, spoiler e alcuni lavori
di Photoshop: Mena Milly.
VI AUGURO UNA
SERENA E DOLCE PASQUA!
la vostra
milly92.