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Autore: pizia    02/04/2010    2 recensioni
La donna che mi ha allevato diceva che io appartengo al Piccolo Popolo e che quindi non posso fare altro che avvertire il richiamo della Madre, e assecondarlo. Io non sono sicura di cosa questo significhi, ma qualcosa di vero ci deve essere per spiegare quello che sento
Prendete Merlin, prendete Le Nebbie di Avalon, mescolateli e stravolgeteli un po' entrambi, ed avrete l'ambientazione della mia storia.
Non ho idea se questa storia sarà lunga o breve, se sarà una commedia drammatica o una tragedia, se sarà bella oppure brutta, per cui non prendete per oro colato i generi o i rating che ora scrivo: potrei cambiarli in corso d'opera.
Per il momento ho iniziato a scriverla per il puro e semplice amore che nutro verso questi personaggi, Artù in primis.
Buona lettura... spero...
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Morgana, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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PARTE SECONDA

 

Erano ormai quasi due ore che pattugliavano i campi attorno alle mura di Camelot.

Era ovvio che chi avesse deciso di disubbidire alla nuova legge del re non lo avrebbe certo fatto là dove chiunque avrebbe potuto vederlo senza nemmeno fare fatica, ma suo padre gli aveva ordinato controllare che nessuno trasgredisse e Artù non aveva certo potuto rifiutarsi, anche se gli sembrava una cosa ingiusta e insensata. Suo padre, tuttavia, non aveva specificato quanto in là dalle mura avrebbe dovuto spingersi nella sua perlustrazione e lui non aveva davvero nessuna intenzione di mettere alla gogna qualcuno solo perché, per una notte, aveva deciso di festeggiare senza fare del male a nessuno.

L’Antica Religione poteva anche essere intrisa di magia, ma Artù non riusciva proprio a capire cosa potesse esserci di magico o pericoloso nell’accendere grandi falò e festeggiarvi intorno.

“L’unico pericolo che corriamo è che a Camelot nasca qualche decina  di bambini il prossimo inverno” borbottò Merlino.

Artù si soffermò per un attimo a guardarlo quasi con sospetto oltre che con una certa meraviglia: il suo servo, come al solito, aveva blaterato incessantemente per tutta la durata della pattuglia e, sempre come al solito, lui aveva ascoltato meno di un decimo di tutte le sue stupidaggini, ma ora se ne veniva fuori con quell’affermazione che non sembrava essere altro che la conclusione delle sue stesse riflessioni, nello stesso preciso istante in cui le stava pensando, proprio come se il ragazzo gli avesse letto nella mente.

Qualche volta, e quella era una di quelle volte, aveva il sospetto che Merlino fosse più di quello per cui si faceva passare, ma poi il ragazzo faceva o diceva qualcosa di talmente stupido o goffo che Artù si ritrovava a darsi dell’idiota per aver anche solo potuto pensare che potesse essere più di un maldestro servitore. Però doveva ammettere che era divertente, non nel modo in cui lo sarebbe stato un giullare di corte, ma come amico. Quando non esagerava con la sua parlantina, il che accadeva di rado, era meglio di tanti altri ragazzi. Un buon amico, in fondo, e il fatto che, pur non essendo che il suo servitore, non lo trattasse come se lui fosse davvero il principe ereditario, lo indispettiva da morire, ma lo apprezzava al tempo stesso.

“Sentì Artù, io sto congelando. Sarà anche la festa del ritorno della Primavera, ma quest’anno fa ancora un maledetto freddo e, passi per accendere i fuochi, ma dubito che coglieremo qualcuno in flagranza di reato di accoppiamento sotto le stelle questa notte!” disse Merlino concludendo un lungo discorso che Artù non aveva praticamente ascoltato.

“Merlino ha ragione: e poi che razza di reato è l’accoppiamento sotto le stelle!” convenne, ridendo, Lancillotto.

“Attento amico mio: Ginevra avrebbe da ridire sulla tua ultima affermazione…” lo punzecchiò Artù.

Lancillotto smise di ridacchiare all’istante, e Artù quasi non riuscì a non cominciare , dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.

Ginevra era ufficialmente a Camelot solo come ospite per qualche mese, ma se suo padre si era illuso di essere riuscito a nascondere le sue vere intenzioni si sbagliava di grosso.

Artù sapeva benissimo che suo padre e il padre di lei si erano già praticamente accordati sull’entità della dote che lui avrebbe portato a Camelot e che al massimo in un paio di anni lei sarebbe diventata prima sua moglie e poi regna del regno. La cosa non lo entusiasmava granché perché per quanto bella potesse essere, Ginevra era decisamente noiosa e persino pesante a volte.Tuttavia era certo che suo padre non si fosse fatto incantare dai suoi occhi azzurri e dai suoi lunghi capelli biondi, e che quindi se suo padre davvero si era già accordato con Leodegranz, la dote pattuita doveva essere particolarmente vantaggiosa per Camelot. Il resto importava poco: una donna valeva l’altra; l’amore non era che una bella fiaba per femmine. Se in un matrimonio c’era anche quello, tanto meglio, ma finché la dote era buona, i figli sani e il pasto caldo, sposare una donna piuttosto che un’altra non faceva poi grande differenza. Quindi se era destino che lui sposasse Ginevra, lo avrebbe fatto, innamorato o meno che fosse.

Tuttavia non era uno sciocco: si era ben reso conto che Lancillotto non la pensava allo stesso modo, e sapeva bene che era stata Ginevra a ragli cambiare idea. Era solo per l’amicizia che li legava, per la lealtà nei suoi confronti  e per il fatto che la sua discendenza nobile non fosse ancora del tutto chiara che non aveva mai nemmeno provato ad avvicinarla, ma quello che provavano l’uno per l’altra era evidente. Fosse stato per lui, le avrebbe messo un bel fiocco rosso in testa e gliel’avrebbe donata di cuore; anzi, si sarebbe assicurato di persona che il matrimonio tra i due fosse celebrato, e consumato, al più presto da quanto poco la desiderava per sé, ma in quella vicenda non aveva voce in capitolo e quindi non poteva fare alcunché per l’amico, salvo sperare che gli passasse e cercare, nel frattempo, di sdrammatizzare la situazione ogni volta che ne capitava l’occasione, come in quel momento.

Lancillotto stette allo scherzo, ma era evidente una certa forzatura nel suo comportamento.

“Voi tornate al castello. Io farò ancora un altro giro, giusto per evitare che mio padre possa accusarmi di tradimento per non essermi impegnato abbastanza, ma alla fine me ne andrò a dormire anche io, con buona pace di tutti coloro che passeranno in altro modo la nottata” disse ridendo.

Lancillotto fece finta di protestare un po’, ma alla fine accettò di rientrare a palazzo: Artù non dubitava certo che lui, pur essendo stato riconosciuto infine come figlio di colei che era conosciuta come la Dama del Lago di Avalon,  si facesse alcuna illusione riguardo a quella notte e a Ginevra, ma sembrava che anche solo respirare la stessa aria che respirava lei lo facesse stare un po’ meno peggio.

Decisamente lo compativa.

 

***

 

Morgana si trattenne dal sospirare rumorosamente quando finalmente Ginevra si rassegnò a congedarla.

La sua padrona aveva cercato in tutti i modi di convincerla a passare con lei in preghiera la notte di Beltane e si era quasi arrabbiata quando lei le aveva risposto che sarebbe stata solo un’ipocrisia se lo avesse fatto dato che, pur non avendo nulla contro di lui o i suoi fedeli, non credeva nel Dio morto in croce e risorto.

Per ripicca, Ginevra aveva trovato da affidarle almeno una decina di inutili compiti che, tutto d’un tratto, erano diventati di vitale importanza, come se il sole non avesse potuto sorgere l’indomani se l’argenteria non fosse stata lucidata a specchio prima di sera.

Alla fine però si era dovuta rassegnare e l’aveva lasciata libera dopo essersi fatta accompagnare nella piccola cappella appena fuori dalla prima cerchia di mura della città. Ormai era quasi buio, ma se avesse allungato il passo sarebbe forse riuscita ad arrivare in tempo per l’accensione dei primi falò.

L’unico modo per descrivere come si sentiva era “viva”. Viva e consapevole di esserlo fin nei minimi dettagli. Non si trattava solo di essere coscienti del battito del proprio cuore o del brontolio del proprio stomaco vuoto ormai da troppe ore. Le sembrava di poter percepire i propri capelli allungarsi, le proprie unghie crescere, le piccole ferite rimarginarsi. E soprattutto poteva avvertire il suo sangue scorrerle nelle vene, accelerato dal passo spedito che si era imposta e dall’eccitazione. Faceva tutt’altro che caldo quella sera per essere una notte di fine aprile, eppure il sangue circolava in lei talmente impetuosamente che le sue mani e i suoi piedi erano comunque caldi, quando invece di solito sarebbero stati gelati.

Era sempre stato così per lei, sin da quando riusciva a ricordare. Era sempre stato così e non aveva dubbi che sempre lo sarebbe stato.

Quella sera poi, oltre ad essere la notte di Beltane, era anche notte di luna piena, e l’influsso che da sempre l’astro esercitava sul mondo e gli esseri umani, le donne in particolare, amplificava come una marea crescente lo stato ormai quasi febbrile in cui si trovava.

Come aveva detto a Merlino, fino ad allora non aveva mai partecipato ai riti più sacri di quella notte, perché sino a quel momento il timore e la sensazione che qualcuno o qualcosa la trattenesse non l’avevano mai fatta giungere a giacere sotto le stelle con un qualsiasi sconosciuto per il piacere proprio e della Madre. Non avrebbe saputo dire se quell’anno sarebbe stato diverso; non lo avrebbe saputo finché i Fuochi non fossero stati accesi e le tenebre dell’inverno scacciate, ma questa volta dubitava di poter resistere contemporaneamente a Beltane e alla luna.

E, per la prima volta da che era diventata donna, quell’idea non la intimoriva più.

 

***

 

Artù si godette per lunghi istanti il silenzio. Solo, di tanto in tanto, il richiamo di qualche uccello notturno o il fruscio di qualche animaletto che si muoveva veloce nel sottobosco. Era una sensazione quasi strana. Non era abituato al silenzio e non era certo che gli sarebbe piaciuto se fosse durato troppo a lungo. Ma per un po’ era piacevole.

Chiuse gli occhi e lo ascoltò con attenzione, lasciando che gli entrasse nell’anima e cancellasse ogni altro pensiero. Suo padre, la magia, i cavalieri, Merlino, Ginevra e Lancillotto,i Fuochi di Beltane, Avalon e Camelot; tutto sperito per un breve, lunghissimo istante.

C’erano solo lui, Artù Pendragon, e il silenzio.

Poi riaprì gli occhi, tornò alla realtà, e decise che per quella notte aveva fatto ronda più che a sufficienza. Fece voltare il suo cavallo e si avviò verso le mura della città.

Non poca fu la sua sorpresa quando, raggiungendo l’incrocio tra il sentiero che satava percorrendo, che correva concentrico alla cinta più esterna di mura, e quello che usciva da una delle porte secondarie della città, vive poco più avanti a sé la giovane serva di Ginevra.

“Morgana!” esclamò meravigliato.

La ragazza sobbalzò, lasciandosi sfuggire un piccolo grido.

“Scusami, non volevo spaventarti, ma proprio non immaginavo di trovarti qui. Cosa fai da sola?”.

“Una commissione, Maestà” rispose lei.

“A quest’ora?” chiese Artù, scettico.

“Oggi Lady Ginevra ha avuto molti compiti da affidarmi, e così ho terminato più tardi del solito. Tuttavia Gaius mi aveva chiesto di raccogliere per lui alcune erbe dato che, dopo l’inverno, le sue scorte si sono ridotte, e quindi eccomi qui che andavo nel bosco a cercarle”.

“Ma non sarebbe meglio aspettare la luce del sole per cercare erbe?” chiese di nuovo il principe.

“La luna è piena, e, se si sa dove cercare, non c’è bisogno degli occhi per riconoscere le piante. Basta il naso. Inoltre alcune di queste piante fioriscono di notte, quindi non esiste altro momento per poterle raccogliere” rispose Morgana.

“Merlino non mi ha detto nulla… Stano…”.

“Oh Artù, sapete bene quanto sia sbadato a volte: se ne sarà dimenticato, oppure avrà semplicemente pensato che la cosa non potesse interessarvi”.

“Vuoi che ti accompagni?”

“No grazie. Potrebbe volerci un’ora come anche tutta la notte, anche se è improbabile. Non è la prima volta che lo faccio, e vi assicuro che non corro alcun pericolo. Vi auguro una buona notte” concluse, e prese ad allontanarsi prima di dargli il tempo di insistere.

Artù la guardò andarsene per alcuni attimi, perplesso. Fece per montare di nuovo a cavallo, ma poi cambiò idea e ternò a guardarla.

“Vai a raccogliere erbe, ma non hai con te  nemmeno un cesto in cui riporle. Cosa mi stai nascondendo, Morgana?” chiese parlando tra sé e sé.

Legò il suo cavallo ad un albero e prese a seguire la ragazzo, stando ben attento a non farsi scoprire.

 

  
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