Mi sembrava quasi impossibile che
dopo tutto quel tempo insieme, adesso avevo anche solo apparentemente accettato
la sua assenza e riuscivo a fare le cose di sempre anche senza di lui. Anche
se, dovevo ammetterlo, non era per niente facile e ci avevo impiegato tre
settimane in cui ero dimagrita di sette chili. Ma quello era il male minore.
Avevo fatto disperare i miei genitori, mia sorella, ma soprattutto la mia
povera migliore amica, che fin da subito non mi aveva negato una spalla su cui
piangere.
«L’hai fatta la versione?» le
chiesi, mentre leggevo distrattamente i titoli dei suoi cd.
«A metà. Ma almeno c’ho provato!» mi
rispose lei con un sorriso. Era brava a scuola la mia adorata Elena e sapevo
perfettamente che entro il mattino dopo quella versione sarebbe stata
completata molto velocemente.
Erano giorni che non mi chiedeva più
di Paolo e sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto. Infatti dopo cinque
secondi…
«Senti… non è per tornare sul solito
discorso, ma non lo hai ancora sentito?»
«No» risposi secca «E non ho nessuna
intenzione di sentirlo!»
«Ma perché non cerchi di capirlo?!»
Ecco lo sapevo! Tutti prendevano
sempre le SUE difese, tutti mi vedevano come l’esagerata che, da egoista,
avrebbe voluto tutti intorno a sé, tutti al suo servizio. Non sapevano come mi
sentivo dentro, non capivano cosa si prova ad essere abbandonate.
«Dobbiamo per forza discutere,
Elena? Ti ho già spiegato quello che provo, l’ho spiegato a tutti, ma voi è
come se non ascoltate quello che cerco di dirvi!»
«E’ finito il tempo di fare la
vittima, Rory! Non passerà mai il peso che senti sullo stomaco se non gli
parli!»
«Ma lo vuoi capire che non ce la
faccio?! Vuoi capire che se lo sento mi sembra di morire?! Lo vuoi capire che
mi manca?!»
Scoppiai in lacrime, come tutte le
volte che un suo sorriso mi rimbalzava in testa. Scoppiai in lacrime di rabbia,
rabbia con tutti quelli che mi stavano intorno.
«Si, ma se continui così non lo
supererai mai!»
«Non voglio superare niente! Voglio
solo dimenticarlo e buttarlo via come lui ha fatto con me! Lo sai cosa si prova
quando il tuo migliore amico, quello che consideri come il fratello che non hai
mai avuto, quello a cui confidi tutto, quello a cui dai tutta te stessa, ogni
minima parte del tuo essere, ti abbandona, così, come se niente fosse, con una
lettera del cavolo scritta di fretta? Lo sai che significa? Lo sai come ci si
sente quando il mondo ti crolla addosso senza una spiegazione? Quando ti
lasciano senza darti la libertà di dire addio?»
Stavo impazzendo, stavo diventato
isterica. E tutto per colpa di uno stupido bambino.
«Dai tranquillizzati ora. Stai
calma. Passerà e io sono con te! Ci sarò sempre!»
Mi abbracciò e mi cullò come una
bambina.
Sapevo che non riuscivo a scordarlo,
a scordare tutto quello che avevamo passato insieme, ma dovevo almeno provarci,
altrimenti non sarei riuscita a vivere.
Mi ricordava una canzone di Ligabue:
Ho messo via. Quelle parole mi rimbalzavano in testa, come se fossero state
scritte apposta per me, ma io sarei riuscita a metterlo via. E sarei rinata
anche senza di lui nel mio mondo. Un mondo senza più prati verdi
«Ho messo via un bel po’ di cose ma non mi spiego mai il
perché io non riesca a metter via te.»
Era lunedì, uno dei tanti lunedì in
cui vorresti buttare dalla finestra quella dannatissima sveglia che suona solo
per annunciarti un’altra nuova giornata buttata al vento. Come al solito la
scaraventai per terra, senza un minimo di cura. Me l’aveva regalata Paolo.
Aprii un solo occhio e notai la mia
bella gattina ai piedi del mio letto, tutta raggomitolata su se stessa. La
adoravo. Era a casa nostra da un mese preciso. Avevo bisogno di affetto e anche
lei. Ci completavamo a vicenda noi due, ci capivamo subito. Adoravo la mia
bellissima Trilly, la mia bellissima gattina nera. A mia madre era quasi preso
un colpo quando le avevo annunciato che avevo trovato una gattina nera e avevo
deciso di tenerla. Non le era preso un colpo per la gattina in sé, ma più che
altro per il colore del suo pelo. Avevo combattuto con tutta me stessa per
averla e alla fine eccola lì, ai miei piedi, pigra come al solito.
Mi alzai un po’ barcollando,
cercando di arrivare al bagno illesa e mi infilai sotto la doccia. Sentire il
getto d’acqua bollente sulla mia pelle mi svegliò e mi sentii subito meglio.
Sotto la doccia riuscivo a chiudere i miei pensieri, a non sentire niente
intorno a me. Ero solo io, il mio spirito che si rilassava.
Ci stetti minuti che mi sembravano
ore, almeno fino a quando la mia gattina non protestò dietro la porta per la
fame e le urla di mia madre mi dicevano che era tardi.
Mi vestii in fretta e corsi verso
casa di Elena, senza sapere che quel giorno mi avrebbe cambiato letteralmente
la vita.
«C’è una novità!» mi disse Elena
appena scesa di casa. La guardai interrogativa, senza sapere cosa volesse dire.
«Ieri è tornato mio cugino
dall’Irlanda e rimane da noi fino a settembre prossimo!».
Si capiva lontano un miglio che era
felicissima, ma sapevo anche che non era solo per questo il motivo per cui era
tanto felice.
«C’è qualcos’altro vero?»
«Si!» le si illuminò il viso «Ho
trovato la soluzione a tutti i tuoi
problemi!»
«Non ti seguo!»
«Vedrai!»
In quel momento un ragazzo varcò la
soglia. Appena lo vidi il mio cuore perse un battito. Rimasi senza fiato. Senza
sapere niente. Sembrava un elfo, aveva la bellezza di un elfo, la grazia di un
elfo. Non avevo mai visto niente di più bello e perfetto in vita mia.
«Cara Aurora, ti presento mio cugino
Aaron!»
Credo di aver biascicato qualche
strana parola di piacere, ma sapevo pure io di avere uno sguardo da ebete
stampato in viso. Era troppo perfetto per
essere vero.
Era altissimo, non troppo magro ma
con due braccia muscolose al punto giusto. I suoi capelli erano tagliati corti
ed aveva intense sfumature marroni, ma di un marrone caldo ed accogliente, come
le castagne. E i suoi occhi. Sarei rimasta ore a guardare i suoi occhi, di un
castano come la corteccia di un albero, con il contorno più scuro e l’interno
chiaro, quasi dorato come il caramello.
Portava dei jeans scuri non scesi
come tutti quei bambini che lasciano vedere tutto, ma messi al punto giusto. Un
paio di Converse blu scure gli coprivano i piedi, mentre la maglietta semplice
bianca a maniche corte era coperta un po’ da un gilet nero.
Era perfetto per me, era perfetto in
ogni suo minimo particolare, come se un mago avesse letto nei miei sogni e lo
avesse creato.
«Rory? Rory?»
Ecco
lo sapevo! Mi sono imbambolata!!!
«Dimmi! Scusa stavo pensando ad una
cosa»
«Stavo dicendo che hanno accettato
Aaron in classe nostra! Quindi passeremo tutto l’anno insieme!»
Sto
sognando! Ok tra un po’ arriverà mia madre a svegliarmi e a dirmi che è troppo
tardi per andare a scuola! È impossibile tanta grazia!
«Si può sapere che hai stamattina?»
mi chiese Elena con uno strano sorrisino in volto.
«Niente… non mi sento tanto bene!»
balbettai, sapendo che le mie guance erano diventate bordeaux.
Arrivammo a scuola chiacchierando
del più e del meno. Anzi. Diciamo che parlarono solo Elena ed Aaron, perché io
non avevo più parole. Notai comunque che nonostante fosse nato e cresciuto in Irlanda,
non aveva accenni del loro strano accento e parlava un italiano impeccabile.
È
perfetto anche in questo!
Arrivati in classe, furono
indescrivibili le facce delle mie compagne di classe, ci mancò poco che
sbavassero!
«Mamma mia! Sembra che non hanno mai
visto un ragazzo!» mi disse Elena poi a ricreazione, scherzando.
«Hai ragione! Anche se tuo cugino
sembra venire da un altro pianeta!»
«Chi viene da un altro pianeta?»
Mannaggia
a me e alla mia lingua lunga! Che figura!!!
«Shakespeare!» dissi io
all’improvviso, mentre lui mi guardò con i suoi occhi color caramello stupito.
«Shakespeare?!» mi chiesero in coro
i due cugini.
«Eh si! Perché? Mai sentito parlare
di Shakespeare?!» feci io, cercando di fare l’indifferente e cambiare discorso,
ma non ci riuscii.
«E perché sarebbe di un altro pianeta?»
«Bhè… credo perché le parole che
usa, il modo in cui le accosta… ehm… i sentimenti che riesce a esprimere con
semplici concetti, non sono doti tipiche degli esseri umani comuni! O almeno io
la penso così… credo!»
Non so nemmeno io quello che dissi, non
so perché tra tante scuse mi era saltato proprio il nome di Shakespeare, fatto
sta che gli occhi caramello brillarono.
«Sono pienamente d’accordo con te!»
mi rispose con un sorriso.
«Davvero???» chiesi io. Non sapevo
nemmeno che avevo detto!
«Si certo! Adoro Shakespeare! E mi
piacciono le parole che hai usato!»
È
pazzo!
Da quel momento in poi cominciammo a
chiacchierare ininterrottamente per tutte le ore di lezione che rimanevano.
Scoprii come tante cose ci accomunavano, come molte cose le vedevamo dal nostro
strano e comune punto di vista.
Non avevo ancora messo via Paolo, ma piano cominciavo a vedere un debole spiraglio di luce all’orizzonte.
Spero che la storia vi piaccia! cercherò , università permettendo, di scrivere spesso!
intanto io già mi sono appassionata ai miei cari personaggi, soprattutto al caro Aaron!:)
intanto continuo a scrivere Destined to be together sperando che continuerete a segurlo.
scusate se non scrivo spesso... spero mi capirete!:)
kisses
Bibi:)