Stinco di Santo
Not
the nicest guy
Sasuke aveva la spiacevole abitudine di reclamare
vendette un po’ a caso, giurando di uccidere chicchessia, attaccandosi a scuse
collegate alla sua sfortunata infanzia. Vendette senza alcun senso, legate a
propositi stupidi che ottenevano solo di far soffrire molti, soprattutto i
pochi che ancora gli volevano bene e, forse, lui stesso più di ogni altro.
Sasuke era masochista, questo era certo. Un pallone
gonfiato pieno di nulla che poteva implodere da un momento all’altro, un
pericolo per gli altri e per se stesso. Si impegnava in monologhi che in teoria
dovevano suonare drammatici ma che in realtà risultavano stupidi e vuoti.
Era come un buco nero che, schiacciato dalla sua
stessa boria, man mano attirava a se sempre più idiozia che confluiva in
quell’apoteosi di demenza che lui era.
Non era un ragazzo, era una piaga. Simpatico come un
pichiarello incazzato nelle mutande e piacevole come un palo della luce nel
sedere.
Sul fatto che fosse completamente tocco erano d’accordo
tutti, l’unico dubbio era su “quando” fosse uscito fuori di balcone. Qualcuno
sosteneva che fosse diventato psicopatico dopo lo sterminio del suo clan, altri
erano convinti che fosse accaduto a causa dei tre anni trascorsi con l’amabile
Orochimaru e il suo simpatico sottoposto Kabuto Yakushi.
Altri ancora erano certi che la sua instabilità
mentale fosse dovuta all’assassinio del suo unico amato fratello. Assassinio
che, tra l’altro, era stato commesso dallo stesso Sasuke, dopo anni e anni
passati ad allenarsi come un dannato solo e nell’unico intento di ucciderlo nel
più brutale e crudele dei modi, per poi scoprire che in realtà il fratello
maggiore era un santo che aveva dovuto massacrare il suo clan e sacrificare la
sua vita da brillante ninja per la salvezza del villaggio.
Che culo! Solo a pensarci viene da toccarsi per fare
gli scongiuri.
Comunque, è più probabile che non fosse normale sin
dalla nascita, e che fosse peggiorato di sventura in sventura, partendo con il
ritrovarsi come fratello maggiore un ninja eccezionale e, apparentemente,
imbattibile in ogni campo e l’avere un padre severo che lo trascurava e che lo
paragonava di continuo al ,già in precedenza citato, fratello Itachi.
Che Sasuke fosse incredibilmente e assurdamente
sfortunato è quanto meno indiscutibile, però, questo è vero, quelle poche volte
che il caso non gli era avverso era lui che rimediava.
In poche parole: se le cercava, si prendeva a
martellate sui piedi da solo. Il motivo? Abbiamo già detto che Sasuke era
masochista?
A soli 16 anni Sasuke, per raggiungere i suoi
intenti, aveva mietuto più vittime di Hannibal Lecter e Jack lo Squartatore
messi assieme. Certo, una buona metà di loro non aveva mai realmente affrontato
il ragazzo, ma si era suicidata quando, ancora prima di ingaggiare battaglia,
Sasuke aveva ripetuto per la cinquantesima volta: “Adesso scoprirai qual è il
vero potere degli Uchiha!” oppure “Ti mostrerò cosa significa mettersi contro
un Uchiha!” o ancora “Purificherò il sacro nome degli Uchiha”.
Uno di questi poveretti si era addirittura fatto
saltare in aria pur di non dover più sentire lui e i suoi assoli drammatici,
cercando inoltre, molto coscentemente, di coinvolgere nell’esposione anche
Sasuke, ma quest’ultimo era sopravvissuto. Che culo! Che Kami abbia in gloria
la misera ed esplosiva anima di Deidara.
Uchiha Uchiha Uchiha. La sua amata stirpe di cui
amava, in modo smisurato, tessere le lodi, ma che egli stesso aveva contribuito
a sterminare, diventandone così l’ultimo esponente insieme ad un tale Madara.
Un simpatico ometto dall’età non ben accertata, comunque over 50, dalla buffa
maschera arancione, con delle leggere manie di grandezza, che nel tempo libero
radeva al suolo villaggi con l’aiuto di qualche animale gigante pluricodato e
poi cercava di conquistare il mondo. Anche lui non era esattamente equilibrato.
Però era un gran stratega. La sua tattica consisteva fondamentalmente nel
sedersi su una roccia guardando gli altri scannarsi di mazzate, fingendosi un
completo e inutile idiota, aspettando che questi si eliminassero a vicenda o
che fossero troppo stanchi per reagire mentre lui li fotteva con allegria
all’ultimo minuto, facendosi una grossa e grassa risata alla faccia loro.
Massimo risultato, minimo sforzo. Oltretutto era parecchio simpatico. Un gran
mattacchione.
Sasuke, contrariamente, aveva quel senso
dell’umorismo che è proprio delle patate. Era sempre molto allegro, un po’ come
un agnello a Pasqua o un tacchino nel giorno del ringraziamento.
Rideva di rado, e lo faceva solo in modo parecchio inquietante
e in momenti poco opportuni. La tipica risata da pazzo maniaco che serviva solo
a sottolineare quanto gli fosse necessaria una camicia di forza.
Qualcuno, probabilmente non trovando suddetta
camicia, aveva provato a chiuderlo in una grossa botte di legno. Per qualche
strano motivo, purtroppo, questo qualcuno aveva anche permesso che da tale
botte Sasuke ci uscisse tranquillamente qualche ora più tardi, e quando questo
era successo, lui, aveva iniziato a sbellicarsi in maniera convulsa e preoccupante.
Più che risata, quella, era una crisi di identità con i controfiocchi.
Alla luce dei fatti Sasuke non era certo uno stinco
di santo. Aveva più difetti che capelli in testa, di pregi ne aveva veramente
pochi e li teneva ben nascosti.
Eppure, strano ma vero, c’era chi ancora gli voleva
bene. Certo, forse non era una smisurata folla acclamante con tanto di
bandierine e striscioni d’incoraggiamento, ma erano già più numerosi di quanto
ci si potesse aspettare per un tipo del genere.
Gli volevano bene, sì, ma uno a uno, con l’avanzare
del tempo, avevano perso la speranza.
La speranza di cosa poi? Che tornasse a Konoha? che
abbandonasse la sua ossessione per la vendetta? Che la smettesse di fare il
paraculo? Ma dai!
Una persona normale guardandolo in faccia non ci
avrebbe creduto nemmeno per un secondo che un individuo tale potesse mettere la
testa a posto. Però, si sa, gli abitanti del villaggio della foglia non erano
quello di più normale ci fosse al mondo.
Tuttavia, alla fine, anche quest’ultimi avevano dovuto
ammettere l’ovvio e deporre questa stupida utopia. Anche perché giunti a quel
punto si trattava di scegliere: o il villaggio o Sasuke. Sasuke lo sbruffone.
Sasuke il traditore. Sasuke l’assassino. Sasuke “Io sono un vendicatore e tutti
gli altri cacca cacca cacca!”. Avevano scelto il villaggio. Nessuno l’avrebbe
mai detto, eh? Che sorpresa! Che decisione imprevista! Chi se lo sarebbe mai
aspettato?!
Si erano resi conto di amare un ricordo. Un
tredicenne imbronciato e scorbutico che, in fondo, aveva sempre la mano tesa
verso chi ne aveva bisogno. Qualcosa che non aveva niente a che fare con
l’attuale Sasuke. Quel Sasuke doveva morire perché minacciava la salvezza di
Konoha, e questo non era accettabile. Perché Konoha era la loro casa, era i
loro compagni, era i loro amici, i loro genitori, i loro fratelli.
Anche Sakura, che si ostinava a chiamare amore ciò
che più probabilmente da cotta infatile si era evoluto in un affetto profondo
più simile all’amicizia. Anche il suo ex-sensei Kakashi, che lo aveva sempre
guardato con un certo sguardo paterno, come uno zio sempre presente,
silenzioso, ma sul quale sepeva di poter contare. Anche loro ormai avevano
dovuto gettare la spungna. Sakura stessa aveva provato a porre fine alla vita
dell’Uchiha, e l’avrebbe fatto se solo non le fosse mancato il coraggio e il
cuore di compiere un gesto del genere.
Ormai nessuno avrebbe mai potuto salvare Sasuke
dall’oscurità della sua anima. Macchè, dall’oscurita della sua zucca vuota. Una
landa desolata dove ogni tanto rotolava una palla di sterpi solitaria. Il suo
cervello era come un computer pieno di virus al quale tutte le volte che
sembrava riuscire a formulare un pensiero sensato, di colpo, appariva la
maledetta schermata blu con la scritta bianca “se questa è la prima volta che
succede riavviare il computer, in caso contrario buttalo via che ormai sarà
intasato di merdate assurde e te ne compri un altro, braccino corto!” e lui, un
po’ come tutti noi, faceva finta di niente e riavviava, nonostante quella fosse
la ventimilionesima volta che gli succedeva. Nell’arco di un giorno.
E a Sasuke andava bene così, un'altra scusa per
divertirsi a fare i vittimismi. Che credete? Che gli dispiacesse? Non aspettava
altro.
E poi c’era lui.
Lui, la spina nel fianco di
Sasuke. Il bastone nelle sue ruote. Il crampo alle dita dei piedi poco prima
che riuscisse ad addormentarsi. Era la sua ulcera. La sua disgrazia personale.
Era quell’unica, piccola, stupida ragione che gli faceva girare la testa indietro per guardarsi alle spalle e ricordare. Era quell’unica , piccola, stupida ragione che lo faceva sorridere mentre guardava il passato. Era quell’odioso peso alla base della gola che gli impediva di respirare liberamente. Era l'unico e ultimo legame con la sua vita precedente.
Ci aveva sperato sul serio che finalmente si fosse
deciso a voltargli le spalle. Che lo avessero convinto. Ci aveva quasi creduto.
Che povero illuso. Sasuke si dava dell’idiota da solo e ne aveva tutte le
ragioni. Possibile che dopo tutti quegli anni non avesse ancora capito con chi
aveva a che fare? Era peggio di un attacco fulminante di diarrea nel bel mezzo
di una corsa campestre. Era un dobe, anzi, era il dobe. L’usuratonkachi
guasta feste. Era come uno schifoso sassolino nella scarpa che col tempo era
diventato più grosso e pesante di un mattone. Era come un bambino fastidioso e
rumoroso dall’espressione imbecille, con indosso un orrenda tuta arancione che
ti punzecchia di continuo e ti sta costantemente tra i piedi. Al quale dolente
o nolente ti affezzioni, che impari ad amare. Che tutte le volte che guardi il
cielo non puoi che pensare ai suoi stupidissimi occhi azzurri e a quanto ti
manchino incredibilmente.
Era Naruto Uzumaki.
Era tutto ciò che ancora gli rimaneva.
Ma questo, forse, Sasuke non l’avrebbe mai ammesso.
Neppure a se stesso.