Venerdì 7 Novembre
Ero furiosa.
Lo aspettavo già da dieci minuti e in
quell'arco di tempo avevo già divorato due brioche e ingurgitato tre caffè
bollenti, e lui ancora non si decideva ad arrivare. Normalmente quei pochi
minuti di ritardo non mi avrebbero turbata più di tanto, dato che anch'io
arrivavo sempre tardi, ma quel giorno ero talmente nervosa che ero certa che
l'avrei aggredito anche se solo mi avesse salutata con un tono di voce diverso
da quello che usava di solito.
Alla fine comparve sulla porta del bar, con il
volto arrossato e il fiato corto, mi cercò brevemente con gli occhi e appena mi
vide mi sorrise. Ma io non ricambiai. Quando si sedette davanti a me, con
un'espressione più che mai preoccupata sul volto, dovetti trattenermi dal
fortissimo impulso di sputargli in un occhio.
«Che faccia!» esclamò dopo un
po' per rompere il silenzio. «Mi hai chiamato qui per lasciarmi?» scherzò
sorridendo.
«Può essere.» replicai, serissima. E non potevo negare di non
averci pensato seriamente. Ma poi, nonostante tutto, sapevo che non ci sarei
riuscita. Eppure, la tentazione era stata così forte...
L'espressione che
assunse lui era quella di chi ha appena ricevuto uno schiaffo in piena faccia.
Uno schiaffo che non si aspettava.
«Non capisco.» mormorò con gli occhi
sgranati.
«Che hai fatto ieri pomeriggio?» gli domandai con tono più neutro
possibile, curiosa di sapere che cosa si sarebbe inventato. Se mi avesse detto
la verità forse mi sarei addolcita e avrei potuto provare a parlare con lui in
modo civile. Ma se mi avesse mentito?
«Mi sono visto con una persona.»
rispose lui con circospezione.
«Posso sapere chi?» lo incalzai. Non lo
guardavo nemmeno negli occhi. Non lo volevo vedere. Non volevo incrociare i suoi
occhi neri – belli, stupendi – e ripensare a ciò che avevo visto il giorno
precedente. Mi riusciva più facile infuriarmi continuando a fissare la
superficie liscia del tavolino.
«Perché ti interessa?» fece Gabriele,
seccato.
«Perché il figlio di puttana che guardava dall'angolo vicino al
bar, ieri, ero io.» Le parole mi erano uscite di bocca senza che me ne
accorgessi e non me ne pentii. Era giusto che lo sapesse. Alzai lo sguardo su di
lui e vidi l'effetto che gli avevano fatto le mie parole.
Aveva la bocca
semiaperta e gli occhi sgranati in un'espressione di stupore spaventosa. Aveva
allontanato la sedia dal tavolino, con il busto stava lontano da me. E quella
sua postura, l'assurdità della situazione, la consapevolezza che avrei dovuto
essere a scuola e che invece ero in un bar a prendermela con il mio ragazzo per
affari che non mi riguardavano, la rabbia per non essermi accorta di quel lato
del suo carattere mi fecero salire le lacrime agli occhi. Sentivo che stavo per
vomitare.
«Non sono uscita di casa con l'intenzione di seguirti.» gli dissi a
voce bassa, senza guardarlo. Lui era silenzioso, ma sapevo che mi stava
ascoltando. Aveva riavvicinato la sedia al tavolino, vi aveva incrociato sopra
le braccia e mi fissava. Sentivo il suo sguardo su di me.
«Stavo camminando
sovrappensiero e mi sono ritrovata vicina alla scuola. E ho sentito la tua
voce.»
Allora, Principessa, si può sapere a che gioco stai
giocando?
«Mi hai visto litigare con Gioele.» proseguì lui, serio. «Hai
visto che l'ho picchiato.»
«Sì.» confermai. Tornai a guardarlo. «Perché,
Gabriele? Perché hai sentito il bisogno di assalirlo in quel modo assurdo? E'
questo il modo di risolvere i problemi?»
Non disse nulla.
Sto
aspettando, Principessa.
«Rispondimi.» lo implorai allora congiungendo
le mani davanti alla bocca. Piangevo ed ero furiosa perché non riuscivo a
trattenermi.
«Non puoi capire.»
«Spiegamelo.»
Sospirò. Allungò la mano
sopra al tavolino e strinse la mia.
«Ti ho già detto quello che è successo
con Gioele. Quello che lui ha detto ieri... Non è la verità.»
Ammetti di
essere un vigliacco, per cominciare.
«Non gli ho mai mentito e non sto
mentendo a nessuno. Non so perché si sia convinto che non sono onesto ma,
credimi, quelle che dice sono tutte bugie! Ed è bravo a raccontarle, perché tu
gli hai creduto.» aggiunse indignato.
Scossi la testa.
«Non ho
creduto a quello che ha detto.» replicai. «Non conosco tutta la storia e perciò
è impossibile giudicare. Quello a cui credo è che tu l'hai aggredito senza un
motivo e che hai dato ordine ai tuoi amici di fare altrettanto.»
«Se non
l'avessimo colpito noi per primi, l'avrebbe fatto lui.»
«Da solo contro tre
persone con il fisico che si ritrova?» sbottai, sarcastica. «Dev'essere davvero
un idiota, allora.»
«Lo è.»
Ero stanca di sentirmelo ripetere.
«Non
prendermi per il culo.» ribattei. «Voglio una spiegazione.»
Ritirai la mano
in modo che non potesse toccarmi.
«E' una storia lunga.»
«Ho tutto il
tempo che vuoi.»
Sospirò. Mi guardava con tristezza.
«Va bene.»
acconsentì. «Allora ascolta. Ci siamo conosciuti a un saggio di ginnastica
artistica. Lui era lì per Nguyet, io per Alberto, mio fratello. Eravamo seduti
vicini e in un modo o nell'altro abbiamo iniziato a parlare. Lui non ne sembrava
particolarmente felice, ma io mi annoiavo e mi andava bene anche uno come lui. E
mi sono accorto che quello che aveva da dire era interessante e che era davvero
un tipo particolare. Dopo ci siamo incontrati ancora. Abita vicino a un mio
amico, lo vedevo in autobus e siamo diventati amici. Non usciva mai con me né
con gli altri della compagnia e di solito se ci sentivamo era per telefono, ma
andava bene. Se avevo bisogno di un consiglio andavo da lui perché è
intelligente e perché è sempre molto obbiettivo, nonostante tutto. E lui mi
ascoltava sempre. E poi, come ti ho già detto, ha smesso di parlarmi e ha preso
a trattarmi come se fossi un criminale.
«Non ci siamo sentiti per diverso
tempo, poi, all'improvviso, due giorni fa mi ha telefonato e mi ha detto che mi
deve parlare, che è importante. Ho capito subito che c'era qualcosa che non
andava. Era furioso. Ci siamo dati appuntamento e abbiamo litigato. Aveva
davvero intenzione di colpirci, Totta. Non gli avrei fatto del male se non ne
fossi stato certo.»
«Non ti credo.» gli comunicai. Prima che potesse parlare
aggiunsi: «Credo a tutta la storia che mi hai raccontato e anche al fatto che
forse ti avrebbe colpito, anche se ho dubbi a riguardo. Ma non credo che non
l'avresti colpito se non fossi stato certo che l'avrebbe fatto lui.»
Mi
guardò, offeso.
«Cosa te lo fa pensare?» chiese, sospettoso.
«Ho visto
come vi siete guardati, quando sei venuto a prendermi a scuola. Vi odiate. Non
può esserci solo quello che mi hai raccontato.»
Altrimenti non si sarebbe
spiegato tutto quel comportamento assurdo. Se anche avevano, per così dire,
litigato, anche se Gioele aveva deciso di troncare tutti i rapporti con lui...
Non si capiva come si potesse giustificare tanta violenza. E non riuscivo a
togliermi dalla testa lo sguardo schifato di Gioele.
«Senti...» iniziò, poi
s'interruppe. «Abbiamo fatto delle cazzate, tutti e due. Dopo che ha smesso di
parlarmi l'ho tormentato per un po' e lui me l'ha fatta pagare. Avevamo un conto
in sospeso e tutto quello che è successo ieri era più che altro dovuto a quello
piuttosto che alla discussione che abbiamo avuto.»
«Che riguardava cosa,
esattamente?» indagai. Dovevo saperlo e non m'interessava se non erano affari
miei. Gabriele era il mio fidanzato e Gioele era un mio amico, volevo sapere per
quale motivo si odiassero e perché avevano ritenuto opportuno affrontarsi con
tanta violenza e con tanta cattiveria. Come potevo conciliare il bene che volevo
a entrambi se non sapevo perché si odiavano? Avrei soltanto rischiato di
perderli entrambi. E non volevo. Non potevo pensare di stare senza Gabriele,
l'idea mi faceva impazzire e non volevo nemmeno prenderla in considerazione. Ma,
allo stesso modo, non volevo rinunciare a Gioele. Stavo bene con lui e non sarei
stata in grado di tornare a ignorarlo come prima dell'incidente.
Gabriele si
morse un labbro.
«Gioele...» iniziò lentamente, scegliendo con cura le
parole. «Abbiamo un amico in comune. Anzi, per lui non è esattamente un amico, è
più... be', non saprei come dirtelo. Comunque sia conosciamo entrambi questa
persona ed entrambi ci siamo affezionati, anche se in modi diversi. Lui si è
messo in testa che io gli stia mentendo come sostiene che ho fatto con lui, cosa
che non è vera, ma non importa. Ha scoperto... insomma, una volta ho parlato
male di questo amico alle spalle, ma non lo facciamo tutti? Non lo dicevo con
cattiveria, era un'osservazione che gli facevo... Ma Gioele, non so come, l'ha
scoperto e minaccia di andargli a dire tutto. Questo qui è un tipo permaloso e
io non voglio che sappia quello che ho detto, non è bello. So di aver sbagliato,
ma mi sono infuriato quando Gioele si è messo in mezzo. Non sono affari che lo
riguardano, tanto più che il suo intervento potrebbe rovinare tutto.»
Tacqui.
Non sapevo se facevo bene a credergli e comunque il motivo della lite non mi
sembrava abbastanza valido per gli avvenimenti di cui mi parlava Gabriele.
Comunque, non era quello il mio problema.
«Non avresti potuto risolvere la
situazione a parole?» sbottai guardandolo male. «C'era davvero bisogno di
massacrarlo in quel modo?»
«Massacrarlo...» ripeté a bassa voce, come se le
mie parole fossero un'esagerazione.
«Massacrarlo, sì.» confermai. «Perché
eravate tre contro uno e quando me ne sono andata lui non riusciva nemmeno a
reggersi in piedi. Era necessario?»
«Perché lo difendi?» esclamò allora lui,
contrariato. «Ti interessa di più di lui che di me? E' questo che stai cercando
di dirmi? Perché ti interessi tanto a quello lì?»
«No!» urlai in risposta. Ma
non aggiunsi altro. Mi morsi il labbro inferiore e rimasi in silenzio. Non
m'importava di più di Gioele che di Gabriele, no, però mi veniva più facile
trovare una giustificazione al suo comportamento piuttosto che a quello del mio
fidanzato. Era più comprensibile, più innocente.
«Vedi?» m'aggredì allora
Gabriele con voce dura. «Vedi? Perché non vai da lui, invece che stare qui a
parlare con me? E' quello che vuoi, no? Vai, vai da lui! Corri dalla
Principessa!»
Principessa. Ancora. Perché lo chiamava così? Ma non glielo
chiesi. Le sue parole, in fin dei conti, avevano un che di vero. Da quando ero
entrata nel bar, non avevo fatto altro che pensare a Gioele, alla sua figura
mingherlina che si accasciava a terra... E a Gabriele che lo guardava. Non
riuscivo a capire quale fosse, delle due cose, a turbarmi.
Sicuramente
l'espressione di Gabriele, la sua crudeltà gratuita... Avevo difeso Gioele nello
stesso modo in cui avrei difeso qualcun altro, se si fosse trovato nella stessa
situazione.
«Non è perché si tratta di lui.» sospirai cercando di
tranquillizzare il tono della voce. «Quello che mi dà fastidio è il modo in cui
ti sei comportato tu.» Allungai le mani sul tavolino e afferrai le sue. Non le
ritrasse, ma mi guardò male.
«Senti, non pensarci.» suggerì, addolcendo lo
sguardo. «Non sono così! Quella che hai visto è stata una cosa eccezionale, di
solito è diverso.»
Non risposi. Non sapevo cosa dire. Anche se era stato un
evento straordinario, comunque non mi sembrava il caso di dimenticare tutto come
se nulla fosse successo.
«Non succederà mai più.» mi assicurò. «Non ho
intenzione di vedere di nuovo Gioele, anzi, sai che ti dico? Non voglio nemmeno
sentirne parlare. D'accordo? Quindi, una volta concluso l'argomento oggi, non
nominarmelo più.»
Era troppo semplice concludere così, ma preferivo quella
soluzione a una dichiarazione di guerra.
«Va bene.» acconsentii. Non potevo
credere, dopotutto, che Gabriele fosse in grado di fare del male a un altro in
quella maniera selvaggia. Doveva essere come diceva lui, una cosa che non era
mai accaduta, un evento unico...
«So di aver sbagliato.» proseguì Gabriele
con tono dolce. «Sul serio. Ma ormai è impossibile tornare indietro. Non posso
chiedergli scusa, perché non lo sopporto ed è stata tutta colpa sua, ma ti posso
promettere che non farò mai più una cosa del genere. Te lo giuro, Totta.»
«Ti
credo.» mormorai sporgendomi verso di lui e baciandogli le labbra. «Ma non
voglio che pensi che tengo di più a lui che a te, perché non è così. E' solo
che...»
«E' solo che lui sembra proprio indifeso.» concluse lui, crucciato.
«Lo so. Ma è tutta apparenza e te l'ho detto un milione di volte. Quando ci si
mette è capace di essere davvero crudele. Se poi non lo fa alzando le mani,
questo è un altro discorso. Ma adesso sono stanco di parlare di lui. Se vuoi
chiarire ancora, vai a casa sua e chiedigli cosa ne pensa. Abita fuori di città,
e devi prendere il treno per arrivarci, però se vuoi posso spiegarti dove
andare.»
Me lo feci spiegare. Non avevo davvero intenzione di andarci, ma
comunque volevo sapere dove avrei potuto trovarlo, se avessi cambiato
idea.
Mi spiegò che dovevo prendere l'autobus, arrivare in stazione, e lì
prendere il treno regionale che da Venezia portava a Verona. Avrei dovuto
scendere in una stazione immersa nel nulla, percorrere una lunga strada sterrata
e poi un'altra asfaltata, arrivare in uno sperduto paesello di campagna e da lì
cercare di non perdermi tra piccole stradine un po' tutte uguali.
«Tutto
qui.» terminò con aria soddisfatta.
«Perché mi dici questo?» domandai alla
fine, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare. «Pensavo che non
volessi che io abbia a che fare con lui...»
«E' così.» replicò. «Ma ho anche
pensato che alla fine non è giusto che te lo impedisca. Se vuoi parlargli, e
incontrarlo, sei libera di farlo. Ma io ti ho avvertita. Quello che vedi è tutta
una menzogna. Non fidarti di uno così.»
«Stai cercando di darmi una lezione?»
lo aggredii. Il suo tono mi irritava. Sembrava davvero che lo facesse per farmi
un dispetto! Cosa gli costava ammettere di non volere che parlassi con Gioele?
Perché non mi diceva che era geloso, che anche lui, come tutti i ragazzi del
mondo, voleva che la sua fidanzata fosse soltanto sua e di nessun altro?
Perché?
«No.» rispose lui. Sembrava stanco. «Davvero, Totta, non potrei mai
farlo. Soffriresti, ed è l'ultima cosa che voglio. Tesoro,» aggiunse lanciando
una banconota sul bancone del bar e seguendomi di corsa fuori dal locale «credo
che sbaglierei se ti impedissi di essere amica» sottolineò
accuratamente l'ultima parola «di Gioele. Io lo odio, lui mi odia, tu sbagli: ma
se è quello che vuoi allora mi sta bene.»
«Lo dici come se questa cosa ti
offendesse a morte.»
Scosse la testa, mi prese il volto tra le mani e mi
baciò la fronte. Le sue labbra erano caldissime.
«Non è così.» mi disse con
voce dolce. «Ma ho paura che tu possa star male. Non voglio che Gioele ti faccia
del male. Se si comportasse male con te, se tu soffristi per colpa sua... Non
potrei perdonarmelo, sapendo che avrei potuto impedirlo. Non m'interessa con chi
parli, basta che tu sia felice. Ed essere amica di uno come lui... E' il modo
migliore per starci male, credimi.»
Non risposi. Sentivo la rabbia che
lentamente sbolliva, il bisogno di chiarimenti che mi abbandonava. Ero stanca,
non volevo più litigare con lui, volevo starci insieme e stare bene, come prima
del suo litigio con Gioele.
«Non voglio vederti soffrire, Totta.» sussurrò
quando lo guardai nuovamente.
Gli credetti.
Oh! Capitolo 10! *me si emoziona*. Sì, non
fateci caso. Il fatto è che a me piace il numero 10, così mi sento molto felice
d'aver postato ben dieci capitoli.
Detto questo... Bè, spero che il capitolo
vi sia piaciuto. Nel frattempo, ci tengo a rigraziare tantissimo Eva92 e
totta91, che hanno commentato, e altrettanto di cuore anche tutte le persone che
hanno letto/inserito la storia tra le seguite/inserito la storia tra le
preferite/inserito la storia tra quelle da ricordare. Grazie di
cuore!
Commenti e opinioni sono sempre graditissimi.
Baci,
rolly too