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Autore: Bellis    09/04/2010    3 recensioni
Il mondo cambia, e nell'affrontare questo mutamento v'è chi si lascia andare alla disperazione, chi dimostra il proprio coraggio e chi agisce col beneficio di una saggia esperienza.
(Attenzione: character death, angst.)
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa oneshot è particolare. Innanzitutto, ha un rating Arancione. Il che implica tematiche non molto tranquille e piuttosto nebulose. E' una deathfic (ovvero, una fanfiction la cui tematica principale converge nella morte di un personaggio), il che presuppone una buona quantità di angst. Ripeto, On-Screen Main Character Death (morte di personaggio principale narrata direttamente). Lettore avvisato...
L'avvertimento AU è inserito per sicurezza. E' di certo un AU rispetto alla mia personale concezione del Canone. Non so se effettivamente entri in contrasto con fatti riportati nelle opere di Sir Doyle.
Superfluo dire che non serberò alcun rancore a chi non proseguirà oltre questo segno. Promesso.
Bellis



(Per la mia cara amica Zora, le cui parole mi hanno spinta a riflettere)

Enough

"I'm disappointed that my career is over. The people who admire me as an actor, my close friends - oh, how I would love to give them one more performance to thank them for their support. At the moment, I don't feel I have given them enough."
-- Jeremy Brett


Negli ultimi resoconti da me pubblicati delle indagini del signor Sherlock Holmes ho accennato al fatto che egli non ha trascorso tutta la sua vita nella costante pratica del mestiere del detective; anzi, ha speso un lungo periodo tra le dolci colline del Sussex, nella campagna dove egli ha potuto finalmente rivedere gli scenari lontani della sua fanciullezza. Io stesso conservo cari ricordi della mia permanenza lì, giacchè nulla al mondo sarebbe mai riuscito ad impedirmi di recarmi nei Downs per fargli visita, avendo cura di evitare il retro del suo pulito cottage, dove egli teneva i possenti alveari delle sue dilette api.

Ben presto mi accorsi, tuttavia, che la sua mente, profondamente immersa nel baratro senza fondo dell'inattività, non era affatto serena quanto i paesaggi tutti curve che si vedevano attraverso le nitide vetrate del suo salotto.

"Sento di poter dare ancora molto, Watson." mi confidò un giorno, con le dita affilate che si appoggiavano al parapetto della veranda e gli occhi ingrigiti dalle nebbie di cupe riflessioni, "Sento di dover dare ancora molto alla nostra società. Non posso esistere senza che il mio pensiero si rispecchi nel frutto delle mie azioni. Mi sento come uno di quei compositori che, giunti al termine dello spartito, tracciato l'ultimo accento sull'ultima nota, si rendano conto che la melodia è rimasta rinchiusa nel limitato recinto del loro immaginario, e freme per liberarsi dai legami che la avvincono impietosamente al suo creatore."

Mi scrutò a lungo col suo sguardo acuto e indagatore.

"Voi mi capite, Watson. Vedo che comprendete il problema." accennò un sorriso, "Come mi consigliate di procedere?"

Ahimè, non seppi rispondere; e con intima amarezza rimasi ad ascoltarlo, conscio che non avrei potuto fare di più di questo.

Fu la guerra a richiamarlo all'azione. Non gli mancarono incarichi importanti, che misero a dura prova il suo ingegno, stimolarono la sua mente e diedero nuova vita al suo animo avvilito dal forzato riposo. Temetti per la sua salute, giacchè sapevo come ciascun balzo di fervida attività inevitabilmente dovesse essere seguito da una reazione di crollo nervoso.

Il mio amico rimase tuttavia occupato nella sua attività di investigatore per molto tempo, ed io accettai volentieri di rimanere al suo fianco, per quanto fosse possibile. Sembrava che l'avventura non dovesse mai finire: aveva un metallico sapore di surrealtà, trovarsi in una calma stanza a ragionare di fini sottigliezze logiche mentre la tragedia dei truci combattimenti infuriava, all'esterno, a pochi chilometri di distanza, o nella stessa Londra... e la interminabile strada della vita si macchiava del fosco rosso della disperazione.

Fra i tanti casi di rilevanza internazionale sottoposti all'attenzione di Holmes, quello che più egli prese a cuore riguardava una giovane donna scomparsa durante un bombardamento aereo, proprio nella City - e fu l'ultimo della sua carriera. Il mio camerata viaggiò sino alla Capitale per compiere le adeguate indagini. Alloggiò lì per parecchie settimane, senza perdersi d'animo ed applicando i suoi infallibili metodi con scrupolo ed accuratezza.

Tutto fu inutile.
Quando incontrai il mio amico, ed egli mi parlò nel buio di un rifugio sotterraneo, il panico afferrò il mio stesso animo, serrandomi il cuore in una morsa di gelo. "Nessuna speranza, per ora. Ma non ho ancora fallito. Le mie risorse non sono ancora terminate, e - Dio mi è testimone - impiegherò ogni mia energia per raggiungere il mio scopo."

Passarono molti, troppi giorni, durante i quali, sebbene io mi fossi trasferito a Londra, non vidi Holmes che per poche ore, ogni tanto. In queste rare occasioni, notavo come il suo passo stesse diventando progressivamente affannato, come la lucidità in lui fosse accentuata dalla rosea tinta della febbre, come nei suoi occhi si stesse affermando quella sopìta scintilla di follia che aveva sempre costituito parte fondamentale della sua indole lunatica di artista.

"Holmes," lo apostrofai severamente, "A mio avviso, state esagerando."

"Non ora, Watson." ribattè, con impazienza.

"Vi state ammalando," insistei, spronato dalla triste consapevolezza che ciò che stavo dicendo era la pura verità, "Non potete continuare così. Dovete fermarvi ed accettare..."

Il suo freddo contegno di grigio acciaio mi intimò il silenzio.

"Mai." mormorò, con incrollabile decisione, "E' mia intenzione proseguire. Non posso fermarmi."

Compresi più di quanto le sue parole non avessero espresso, e rimasi in silenzio.

La settimana seguente mi vide seduto sul divano di un piccolo appartamento preso in affitto alla periferia della nostra Città. Holmes passeggiava avanti e indietro, frustrato, col respiro rapido ed irregolare, le dita strette a pugno.

"Ho frugato in ogni recesso di queste vie." sussurrò, con voce tremante, "Ho percorso ogni stradicciola, rivoltato ogni angolo buio, aperto ogni porta! Non riesco a trovarla! Per quanto io tenda la mano verso il battente giusto, non riesco ad afferrarlo!"

La sua voce era acuta e stridente, e mi spaventò.

"Dovete lasciar perdere, Holmes. Colei che state cercando ormai è perduta, e nessun altro - "

"La troverò, Watson! La troverò, dovessi metterci tutta la vita."

Altri dieci giorni lentamente si srotolarono come un pesante tappeto che rivesta di un manto falsamente morbido una faticosa strada in ripida e tormentata ascesa. La figura del mio amico, appoggiata alla mensola del caminetto acceso dalle fiamme scoppiettanti, era vibrante di sconforto. Non lo avevo mai veduto così magro e pallido, consumato dal fuoco che ardeva dentro di lui e superava in splendore qualsiasi altro sole.

"Nessuno... nessuno ne sa nulla."

Mi avvicinai, osservandolo e cercando di mascherare il mio terrore.

"E' una persona! E'... una donna, una madre. Nessuno ne sa nulla. E' la condizione umana, vecchio mio. Siamo gocce in un immenso mare, indistinguibili agli occhi di uno sconosciuto."

Cercai di abbozzare un sorriso al suo tentativo del consueto cinismo da scienziato; non riuscii. Appoggiai una mano sulla sua spalla. Egli la respinse bruscamente.

"Per l'amor del Cielo, Watson! Quale pregio può avere una mente tanto formidabile quanto la mia, se essa non riesce a risolvere il più banale problema... ad identificare il più comune malanno della cultura civilizzata..."

Lo guidai sino ad una sedia, ed egli si lasciò cadere su di essa senza protestare, cosa che mise subito in chiaro alla mia analisi di medico quanto egli fosse esausto. Rimase a fissare le volute di fumo grigiastro che si innalzavano dalle frasche di legno fresco... cadde in un sonno letargico, inquieto, travagliato.

Destatosi per qualche momento, mi confidò di aver risolto il suo mistero, e mi comunicò il nome di una via, il numero di una porta, alla quale prontamente condussi un drappello di Yarders che ancora ricordavano il nome dell'ispettore Lestrade.

La trovammo, ma era morta.
Holmes, quando ritornai al suo capezzale, me lo lesse in volto, e reclinò il capo sul guanciale.

"Temo di aver ancora bisogno di voi, dottore." mi chiamò, la notte successiva.

Gli sorrisi stancamente, sedendo accanto a lui, "Un incarico? Sapete quanto poco io sia portato per la deduzione, ma se volete io mi limiterò ad annotare tutto nel mio taccuino. Sarete voi ad analizzare i fatti."

"No, no." mi tranquillizzò, "Non un incarico. Una richiesta."

"Dovete solo nominare ciò di cui avete necessità."

L'ombra di un debole sorriso affiorò ai suoi lineamenti aquilini, "Ah, vecchio Watson. Mai promettere prima di udire i termini del giuramento."

"Dite, dunque. Non fatemi restare sulle spine." lo invitai, accomodante.

"Vi chiedo, mio buon amico, di non seguirmi troppo presto."

Deglutii, tentando di arginare la piena del tumulto che si era sprigionato nel mio petto.
"Ebbene, non dipende da me, questo." puntualizzai, ma era inutile.

Sapeva che i miei acciacchi erano aumentati, con gli anni, che la mia zoppìa si era fatta molto vistosa, che il mio cuore non aveva più la solidità che così spesso gli aveva impedito di fremere sotto il peso delle nostre movimentate vicende.
Oh, aveva sempre saputo: quando mio fratello era morto, quando il mio grazioso e leggiadro angelo mi aveva lasciato contro la sua volontà... egli aveva sempre saputo. La sua attenzione non si era mai discostata veramente da me, per quanto fosse assorbita dalla pressante urgenza di un caso.

Ed il saggio scintillìo di quelle iridi chiare mi confermò che, anche in quel momento, capiva ogni sottinteso della mia ermetica ed insufficiente frase.
"Ma farete del vostro meglio per adempiere alla mia richiesta."

Non potei dir nulla. Holmes sostenne il mio sguardo con serietà ed una punta di accoramento che non aveva a che vedere con quella stanzetta o con i suoi due occupanti.

"Il Ventesimo Secolo ha ormai quasi raggiunto la metà della sua vita, ma questa nuova era - perchè a un siffatto sconvolgimento l'umanità va incontro - è appena iniziata, tra il fragore delle esplosioni ed il sibilo incostante della tecnologia. E' giovane, inesperta, traballa sulle sue gambe, malferma come un bambino che stia dolorosamente apprendendo a camminare. E' come un piccolo vascello avviluppato dalle acque di un mare in tempesta, minacciato da alte onde di burrasca... ci vuole un faro, Watson... la luce dell'esperienza, lo splendore del passato, che guidi il nostro nuovo mondo verso lidi sicuri, verso un porto dove possa ricostruire le sue case e riprendere qualche vestigia della passata dignità."

Serrò la sua mano intorno al mio avambraccio.

"Voi siete una delle poche, ardenti fiammelle che illuminano questo faro, amico mio - un punto fisso, un baluardo di onestà ed onore nell'immensità del tempo."

"Ed anche voi." mi sforzai di mantener salda la mia voce, senza molto successo. "Ho sempre e solo brillato di luce riflessa; siete voi la fonte di luce."

Una bassa risata colmò l'aria di melanconia, "Mi avete insegnato qualcosa di astronomia, se non erro. Per quanto le stelle siano incandescenti, durante la notte, nell'oscurità più profonda, non vediamo che la rocciosa Luna. Può nascondersi dietro una nube, essere inghiottita lentamente dal manto nero del cielo... ma ritornerà a mostrarsi ai trepidanti che ne cerchino la forma arrotondata."

Non seppi cosa replicare, e mi passai una mano sugli occhi prima che essi tradissero la mia commozione, fugacemente, con una discrezione inutile di fronte all'uomo che sapeva leggere il mio viso come un libro aperto.

"Coraggio, Watson!" esclamò, in tono flebile, "Coraggio, vecchio mio. Ho fiducia in voi."

Le palpebre calarono sui suoi occhi ed egli non disse più nulla. Presi la sua mano inerte nella mia e tentai diverse volte di riportarlo alla veglia: ma i miei sforzi non riuscirono a fargli riprendere conoscenza.
Il suo assopimento non era una dolìa passeggera.
Il mio amico non si trovava più veramente lì.

Ho superato la dura notte che aveva ottenebrato l'Europa; ho visto poco dell'alba, ma ciò che mi è stato concesso di scorgere basterà ad acquietare i miei incubi e ad accompagnarmi nel medesimo sereno sonno che ha accolto nelle sue braccia il mio più caro amico.


**************************************

Di certo non potremmo mai pretendere di identificarci nel Sole. Molti di noi non osano immaginarsi neppure come una stella. Ma chiunque può definirsi simile alla capricciosa, mutevole Luna. Essa va e viene, nascondendosi e mostrando il suo viso rotondo solo quando la sua vanità prende il sopravvento sulla timidezza: ma quando c'è, rischiara un cielo altrimenti incolore e privo di ogni speranza.


   
 
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