-Herm
vuoi qualcosa da mangiare?- scossi il capo spostando gli
occhi dallo sguardo preoccupato che mi lanciava Ron. Era ormai un mese
che
andavo avanti così, non parlavo quasi mai se non era
strettamente necessario
come alle interrogazioni o a domande alle quali non potevo rispondere
semplicemente a gesti. Mangiavo davvero nulla, non ne avevo voglia, la
fame era
l’ultimo dei miei pensieri. Ogni mattina quando mi guardavo
allo specchio
vedevo una persona sempre diversa di me. I primi giorni ero sempre io
con gli
occhi però troppo rossi e gonfi dal gran pianto, poi non mi
sono riconosciuta
più nella ragazza dalla faccia sempre più magra e
scavata con gli zigomi più
sporgenti del normale e lo sguardo perso e fuggiasco. Non gironzolo per
la
scuola se non di mattina per andare a lezione e una volta finite quelle
mi
rintano in biblioteca o nella mia stanza isolandomi dal mondo restando
fino a
tarda notte a fissare un pagina persa nei miei pensieri. Non ho la
forza di
fare nulla e persino i miei incantesimi non sono efficaci come una
volta. I
professori cercano di passarci sopra capendo la situazione ma so che
anche loro
si sono accorti del cambiamento. Bè se né accorto
pure Ron quindi deve essere
più che evidente che mi sento a pezzi, del resto chi non lo
sarebbe nelle mie
condizioni?
-Miss
Granger mi duole avvisarla che c’è stato un
attacco a
casa e i suoi genitori, non sono riusciti a scamparla- chiara, semplice
e
lineare era stata questa la frase che mi aveva annunciato la morte dei
miei
genitori. Un Auror dall’aspetto anonimo era arrivato fino al
castello con
questa triste notizia trasmettendomela con ben poco tatto. E da quel
giorno ho
smesso anche io di vivere. So che non dovrei, che i miei non vorrebbero
e tutto,
ma quando ti trovi davanti ad una situazione del genere dove ad un
certo punto
ti rendi conto che le persone che ti hanno cresciuta, con le quali hai
vissuto
tutte le tappe più importanti della tua vita, quelle che hai
amato e chiamato
mamma e papà non ti vedranno più come tu non
vedrai loro mi passa tutta la
voglia di vivere. Ho solo un desiderio ora, vorrei poterli
riabbracciare un
ultima volta e dirgli che gli voglio bene, i soliti desideri di chi
perde
qualcosa che riteneva ovvio senza preavviso. Sento ancora gli sguardi
di tutti
su di me mentre cerco di mandare giù qualcosa. Sento gli
occhi lucidi e so che
presto mi metterò a piangere, mi capita spesso, in questo
periodo, di scappare
all’improvviso preda dei singhiozzi. Una mano avvolge la mia.
Alzo lo sguardo
con la vista leggermente appannata dalle lacrime ritrovandomi davanti
la faccia
rassicuratrice di Ginny. È davvero la mia migliore amica,
durante tutto questo
periodo non mi ha lasciata un attimo e anche se passiamo i pomeriggi in
silenzio totale lei non si allontana quasi mai da me abbracciandomi
quando mi
vede in difficoltà o cercando di non far vedere che piango
agli altri, sa che
odio farmi vedere debole. Le sorrido mettendo in quel gesto solo
l’ombra
dell’allegria che una volta lo colmava e faccio scivolare via
la mia mano dalla
sua stretta.
-ho
dimenticato un libro in camera, torno subito- mi alzo
cercando di nascondere il volto con i miei capelli, il piatto
è rimasto ancora
una volta quasi del tutto intatto dall’inizio del pranzo.
Tutti al tavolo di
Grifondoro si girano curiosi cercando di spiare le miei emozioni
perché si sa
alla gente piace poter sapere tutto delle vite altrui per poterne
parlare, per
poterle giudicare. In un attimo sono fuori dalla Sala e corro con la
vista
offuscata, la borsa piena di libri mi sbatte contro le gambe facendomi
male e
la rabbia incomincia a crescere dentro di me. Entro dentro un aula
sbattendomi
dietro la porta. Butto la borsa a terra con ferocia spargendo tutti i
libri a
terra come cocci di vetro di un vaso ormai distrutto. Ne prendo uno tra
le
mani, Aritmazia, lo scaglio contro il muro con quanta forza ho in
corpo. A cosa
mi serve conosce tutte le nozioni del mondo, sapere tutta la scienza
dell’universo, conoscere tutto cioè che
è scindibile all’uomo se poi non sono
riuscita a salvare le persone più importanti nella mia vita?
Inizio a urlare
stringendomi le mani alla tempia e girando per l’aula come un
animale in
gabbia. Urlo, urlo, urlo finché la voce me lo permette,
finché la gola, troppo
arrossata, non impedisce alle corde vocali di andare oltre riuscendo
finalmente
a sfogare la rabbia repressa e quell’immensa tristezza che
fino ad ora erano
state manifestate solo attraverso le lacrime. Tiro un pugno contro il
muro
riuscendo solo a
farmi più male, ma il
dolore fisico che sento alla mano, alla gola, agli occhi tutti gonfi
non è
lontanamente paragonabile a quello che sento dentro nel petto, nel
cuore.
Quell’immenso macigno cavo che nessuno potrà
più colmare come coloro che
l’hanno lasciato. Alla fine mi accascio a terra distrutta non
riuscendo più a
controllare il mio corpo scosso da singhiozzi e brividi.
-perché?-
urlo alle antiche pareti di pietra che indifferenti
mi fissando immobili dall’alto delle loro
immensità, non mi aspetto certo una
risposta ma nonostante tutto continuo a urlare tirandomi su a fatica di
nuovo
come un anima in pena e girando in tondo, le braccia sollevate in alto
come ad
implorare una risposta- perché proprio loro? Cosa avevano
fatto? Io cosa ho
fatto? Dovevano morire loro, LORO, quei luridi Mangiamorte!- la voce mi
si
spezza ormai arrivata al limite, il silenzio mi continua a premere
attorno
subdolo e distruttivo. Mi inginocchio a terra di nuovo poggiando il
peso del
mio, ormai gracile e smussato, corpo sulle braccia magre e dalle ossa
visibile
attraverso la pelle tirata. Smetto di piangere e gridare, smetto per un
attimo
pure di respirare restando immobile, in silenzio riuscendo a tenere il
contatto
con la realtà solo grazie al freddo del pavimento che mi
preme contro i palmi e
le gambe. E così sono arrivata a questo punto, disperazione,
buio, solitudine,
senso di impotenza sono i sentimenti che confusi e intrecciati mi
sconvolgono
dentro e una domanda mi si pone in mente, l’ennesima e quella
che più mi
spaventa: come e quando riuscirò ad andare avanti?
La
porta si apre piano girando lentamente sui vecchi cardini
arrugginiti e producendo un rumore stridulo e sgradevole. Non mi muovo
forse
perché non ne ho la forza, forse perché non ne ho
la volontà, forse perché non
ne ho la voglia.
-Hermione..-una
voce spaventata mi chiama chiedendomi
inconsciamente di voltarmi ma non lo faccio, perché dovrei?
Le persone che ora
vorrei vedere voltandomi non varcheranno mai quella soglia, ne oggi ne
i giorni
a venire. Incontrollabile e folle insieme a questa consapevolezza mi
arriva
addosso una nuova ondata di disperata impotenza.
-Mione
ehi..- Ron mi si avvicina piano sempre lentamente,
chissà perché nei momenti di dolore e sconforto
tutti i movimenti e le parole
rallentano inesorabilmente. Piano si inginocchia accanto a me
passandomi un
braccio attorno alle spalle con sicurezza, è strano come nei
momenti dove c’è
più bisogno di sicurezza le incertezze e la timidezza
vengano spazzate via
dalla più forte e a volte inspiegabile voglia di fare del
bene. Mi volto e lo
osservo con sguardo vacuo, ha un espressione seria che rispecchia a
pieno
l’uomo che contro voglia è diventato e che si
ostina a mascherare dietro la facciata
di bambino troppo cresciuto.
-Ron,
aiutami- mi accorgo di aver trattenuto il fiato solo
quando torno a respirare aprendo la bocca. La mia voce è
ancora più bassa del
normale a causa delle urla di prima, una supplica disperata, una
richiesta
angosciata, un aiuto impossibile da soddisfare in pieno.
Ron
mi abbraccia stringendomi forte mentre io schiaccio il mio
viso contro il suo petto ricominciando a piangere lacrime che ho
scoperto
essere infinite e scuotendo il mio corpo da irregolari singhiozzi che
inducono
il mio migliore amico a stringermi più forte e a sussurrare
parole del tutto
vuote e prive di significato.
-shh,
Hermione, shh, va tutto bene, passerà te lo giuro, te lo
giuro. Io sono qua non ti lascio, starò sempre con te, shh
tranquilla. So come
ti senti ma ti prometto che passerà, shh- mi culla come una
bimba spaventata
dai fulmini accarezzandomi i capelli e io chissà per quale
motivo riesco a
pensare che continuando così mi si gonfieranno tutti
diventando orribili.
Strani i pensieri che elabora la mente nei momenti dove le forti
emozioni
prendono il sopravvento. Mi viene anche in mente che lui ha ragione,
che sa
quello che sto provando perché anche lui ha perso una
persona cara, per un momento
riesco ancora a sentire la risata malandrina di Fred dentro la mia
testa. E
allora mi aggrappo più forte a lui cercando di trovare un
po’ di pace che mi
sembra così lontana e provando a mettere serenità
dentro di me credendo
cecamente alla promessa che tutto passerà e che lui ci
sarà sempre per me.