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Autore: SaraGranger    09/04/2010    1 recensioni
salve cari lettori e lettrici xD...questa è una piccola one-shot senza nessuna pretesa solo il mio sfogo in un momento di sconforto traslato nella dolce Hermione..leggete e ditemi che ne pensate..non c'è nessun lieto fine per ora ma è probabile un continuo in futuro..ditemi se ne vale la pena..un bacio buona lettura Saridda^^
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Herm vuoi qualcosa da mangiare?- scossi il capo spostando gli occhi dallo sguardo preoccupato che mi lanciava Ron. Era ormai un mese che andavo avanti così, non parlavo quasi mai se non era strettamente necessario come alle interrogazioni o a domande alle quali non potevo rispondere semplicemente a gesti. Mangiavo davvero nulla, non ne avevo voglia, la fame era l’ultimo dei miei pensieri. Ogni mattina quando mi guardavo allo specchio vedevo una persona sempre diversa di me. I primi giorni ero sempre io con gli occhi però troppo rossi e gonfi dal gran pianto, poi non mi sono riconosciuta più nella ragazza dalla faccia sempre più magra e scavata con gli zigomi più sporgenti del normale e lo sguardo perso e fuggiasco. Non gironzolo per la scuola se non di mattina per andare a lezione e una volta finite quelle mi rintano in biblioteca o nella mia stanza isolandomi dal mondo restando fino a tarda notte a fissare un pagina persa nei miei pensieri. Non ho la forza di fare nulla e persino i miei incantesimi non sono efficaci come una volta. I professori cercano di passarci sopra capendo la situazione ma so che anche loro si sono accorti del cambiamento. Bè se né accorto pure Ron quindi deve essere più che evidente che mi sento a pezzi, del resto chi non lo sarebbe nelle mie condizioni?

-Miss Granger mi duole avvisarla che c’è stato un attacco a casa e i suoi genitori, non sono riusciti a scamparla- chiara, semplice e lineare era stata questa la frase che mi aveva annunciato la morte dei miei genitori. Un Auror dall’aspetto anonimo era arrivato fino al castello con questa triste notizia trasmettendomela con ben poco tatto. E da quel giorno ho smesso anche io di vivere. So che non dovrei, che i miei non vorrebbero e tutto, ma quando ti trovi davanti ad una situazione del genere dove ad un certo punto ti rendi conto che le persone che ti hanno cresciuta, con le quali hai vissuto tutte le tappe più importanti della tua vita, quelle che hai amato e chiamato mamma e papà non ti vedranno più come tu non vedrai loro mi passa tutta la voglia di vivere. Ho solo un desiderio ora, vorrei poterli riabbracciare un ultima volta e dirgli che gli voglio bene, i soliti desideri di chi perde qualcosa che riteneva ovvio senza preavviso. Sento ancora gli sguardi di tutti su di me mentre cerco di mandare giù qualcosa. Sento gli occhi lucidi e so che presto mi metterò a piangere, mi capita spesso, in questo periodo, di scappare all’improvviso preda dei singhiozzi. Una mano avvolge la mia. Alzo lo sguardo con la vista leggermente appannata dalle lacrime ritrovandomi davanti la faccia rassicuratrice di Ginny. È davvero la mia migliore amica, durante tutto questo periodo non mi ha lasciata un attimo e anche se passiamo i pomeriggi in silenzio totale lei non si allontana quasi mai da me abbracciandomi quando mi vede in difficoltà o cercando di non far vedere che piango agli altri, sa che odio farmi vedere debole. Le sorrido mettendo in quel gesto solo l’ombra dell’allegria che una volta lo colmava e faccio scivolare via la mia mano dalla sua stretta.

-ho dimenticato un libro in camera, torno subito- mi alzo cercando di nascondere il volto con i miei capelli, il piatto è rimasto ancora una volta quasi del tutto intatto dall’inizio del pranzo. Tutti al tavolo di Grifondoro si girano curiosi cercando di spiare le miei emozioni perché si sa alla gente piace poter sapere tutto delle vite altrui per poterne parlare, per poterle giudicare. In un attimo sono fuori dalla Sala e corro con la vista offuscata, la borsa piena di libri mi sbatte contro le gambe facendomi male e la rabbia incomincia a crescere dentro di me. Entro dentro un aula sbattendomi dietro la porta. Butto la borsa a terra con ferocia spargendo tutti i libri a terra come cocci di vetro di un vaso ormai distrutto. Ne prendo uno tra le mani, Aritmazia, lo scaglio contro il muro con quanta forza ho in corpo. A cosa mi serve conosce tutte le nozioni del mondo, sapere tutta la scienza dell’universo, conoscere tutto cioè che è scindibile all’uomo se poi non sono riuscita a salvare le persone più importanti nella mia vita? Inizio a urlare stringendomi le mani alla tempia e girando per l’aula come un animale in gabbia. Urlo, urlo, urlo finché la voce me lo permette, finché la gola, troppo arrossata, non impedisce alle corde vocali di andare oltre riuscendo finalmente a sfogare la rabbia repressa e quell’immensa tristezza che fino ad ora erano state manifestate solo attraverso le lacrime. Tiro un pugno contro il muro riuscendo solo a farmi più male, ma il dolore fisico che sento alla mano, alla gola, agli occhi tutti gonfi non è lontanamente paragonabile a quello che sento dentro nel petto, nel cuore. Quell’immenso macigno cavo che nessuno potrà più colmare come coloro che l’hanno lasciato. Alla fine mi accascio a terra distrutta non riuscendo più a controllare il mio corpo scosso da singhiozzi e brividi.

-perché?- urlo alle antiche pareti di pietra che indifferenti mi fissando immobili dall’alto delle loro immensità, non mi aspetto certo una risposta ma nonostante tutto continuo a urlare tirandomi su a fatica di nuovo come un anima in pena e girando in tondo, le braccia sollevate in alto come ad implorare una risposta- perché proprio loro? Cosa avevano fatto? Io cosa ho fatto? Dovevano morire loro, LORO, quei luridi Mangiamorte!- la voce mi si spezza ormai arrivata al limite, il silenzio mi continua a premere attorno subdolo e distruttivo. Mi inginocchio a terra di nuovo poggiando il peso del mio, ormai gracile e smussato, corpo sulle braccia magre e dalle ossa visibile attraverso la pelle tirata. Smetto di piangere e gridare, smetto per un attimo pure di respirare restando immobile, in silenzio riuscendo a tenere il contatto con la realtà solo grazie al freddo del pavimento che mi preme contro i palmi e le gambe. E così sono arrivata a questo punto, disperazione, buio, solitudine, senso di impotenza sono i sentimenti che confusi e intrecciati mi sconvolgono dentro e una domanda mi si pone in mente, l’ennesima e quella che più mi spaventa: come e quando riuscirò ad andare avanti?

La porta si apre piano girando lentamente sui vecchi cardini arrugginiti e producendo un rumore stridulo e sgradevole. Non mi muovo forse perché non ne ho la forza, forse perché non ne ho la volontà, forse perché non ne ho la voglia.

-Hermione..-una voce spaventata mi chiama chiedendomi inconsciamente di voltarmi ma non lo faccio, perché dovrei? Le persone che ora vorrei vedere voltandomi non varcheranno mai quella soglia, ne oggi ne i giorni a venire. Incontrollabile e folle insieme a questa consapevolezza mi arriva addosso una nuova ondata di disperata impotenza.

-Mione ehi..- Ron mi si avvicina piano sempre lentamente, chissà perché nei momenti di dolore e sconforto tutti i movimenti e le parole rallentano inesorabilmente. Piano si inginocchia accanto a me passandomi un braccio attorno alle spalle con sicurezza, è strano come nei momenti dove c’è più bisogno di sicurezza le incertezze e la timidezza vengano spazzate via dalla più forte e a volte inspiegabile voglia di fare del bene. Mi volto e lo osservo con sguardo vacuo, ha un espressione seria che rispecchia a pieno l’uomo che contro voglia è diventato e che si ostina a mascherare dietro la facciata di bambino troppo cresciuto.

-Ron, aiutami- mi accorgo di aver trattenuto il fiato solo quando torno a respirare aprendo la bocca. La mia voce è ancora più bassa del normale a causa delle urla di prima, una supplica disperata, una richiesta angosciata, un aiuto impossibile da soddisfare in pieno.

Ron mi abbraccia stringendomi forte mentre io schiaccio il mio viso contro il suo petto ricominciando a piangere lacrime che ho scoperto essere infinite e scuotendo il mio corpo da irregolari singhiozzi che inducono il mio migliore amico a stringermi più forte e a sussurrare parole del tutto vuote e prive di significato.

-shh, Hermione, shh, va tutto bene, passerà te lo giuro, te lo giuro. Io sono qua non ti lascio, starò sempre con te, shh tranquilla. So come ti senti ma ti prometto che passerà, shh- mi culla come una bimba spaventata dai fulmini accarezzandomi i capelli e io chissà per quale motivo riesco a pensare che continuando così mi si gonfieranno tutti diventando orribili. Strani i pensieri che elabora la mente nei momenti dove le forti emozioni prendono il sopravvento. Mi viene anche in mente che lui ha ragione, che sa quello che sto provando perché anche lui ha perso una persona cara, per un momento riesco ancora a sentire la risata malandrina di Fred dentro la mia testa. E allora mi aggrappo più forte a lui cercando di trovare un po’ di pace che mi sembra così lontana e provando a mettere serenità dentro di me credendo cecamente alla promessa che tutto passerà e che lui ci sarà sempre per me.

  
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