- Il Ritorno della Sfera degli Shikon -
Prologo
La Sfera dei
Quattro Spiriti è tornata.
Sono trascorsi solo
tre anni da quando tutto è finito, tre anni lungo i quali
sono accaduti
avvenimenti che hanno per lo più riempito di gioia il mio
povero cuore, ma
sembra che questa volta la Sfera non abbia avuto la pazienza di
attendere altri
secoli prima di recuperare il suo potere e riprendere a tormentarci.
Se solo tu, mia
povera sorella, fossi ancora in vita, sapresti certamente come
comportarti… Ma
ora l’unica ad avere ereditato il tuo potere è la
divina Kagome, che ha deciso
di vivere stabilmente nel nostro mondo: non ha più
attraversato il pozzo
Mangiaossa, da quando è tornata indietro per stare con
Inuyasha.
Ma se non fossimo
stati in pericolo, non ti avrei mai incontrato in sogno; mi hai
raccomandato
solo di fare attenzione, perché la maledizione della Sfera
non è stata estinta
del tutto. Hai mormorato con tristezza che il potere di questa
è aumentato
negli ultimi tre anni… Come può essere possibile?
Ne dovrò parlare con la
divina Kagome, prima di agire di conseguenza. Ma cosa faremo se la
forza e il
potere spirituale della compagnia che ha distrutto Naraku tre anni fa
non
dovesse più bastare?
Basta, sorella. Non
turberò più il tuo sonno con le mie preghiere.
Riposa in pace per
sempre, Kykio.
***
Giappone,
XXI secolo.
«Ehi,
Nicole-chan! Cosa fai dopo la scuola?»
Mi
voltai incuriosita verso Akane, una mia compagna di classe, che mi
faceva cenno
di raggiungerla al suo banco, dov’era circondata dalle altre
ragazze. Mi ero
trasferita da poco da Parigi a causa del lavoro di mio padre, e dato
che in
Francia non avevo nessun altro parente rimasto in vita, ero stata
costretta a
seguirlo abbandonando la mia scuola e tutti i miei amici. Senza contare
che
avevo dovuto seguire un corso accelerato di giapponese – dato
che non ne avevo
mai sentito neppure una parola – per poi iscrivermi ad una
classe inferiore
rispetto ai miei studi, in modo da potermi mettere presto al pari con i
miei
nuovi compagni. Per fortuna questo non era stato un grosso problema: in
Giappone le classi erano strutturate diversamente rispetto alla
Francia, così
mi ritrovai a non essere la più vecchia della classe, dato
che avevamo tutti la
stessa età.
Magra
consolazione, comunque.
Abbandonai
il mio posto preferito accanto alla finestra e raggiunsi le ragazze,
cercando
di ostentare una disinvoltura che non avevo; quella divisa mi metteva
incredibilmente a disagio, era incredibile che in delle scuole
così severe
permettessero delle gonne così corte. Una volta accanto a
loro, notai ancora il
forte contrasto che facevano i miei lunghi capelli biondi vicino alle
teste
corvine delle mie compagne, ma al contrario delle mie aspettative la
mia
diversità non aveva generato né commenti
offensivi e né invidie di nessun
genere. Si, ero stata fortunata.
Ma
dopo due mesi di scuola non potevo dire di non essere riuscita ad
ambientarmi
almeno un pochino: il merito era tutto di Akane, che mi aveva fatto
entrare nel
suo gruppo.
«Non
lo so,» dissi sinceramente, pensando a quanto dovesse sembrar
loro ridicolo il
mio accento francese. «Penso che ritornerò a
casa… Voi avevate qualche idea?»
«Chitose-chan
ha proposto di andare al karaoke! Cosa ne pensi?» Sorrise,
attendendo una mia
risposta.
Non
dovetti rifletterci molto: non avevo idea di quando mio padre sarebbe
tornato a
casa, e rimanere sola in quella tetra e vecchia abitazione non era per
niente
una bella prospettiva. Perciò sorrisi di rimando e annuii,
allegra. «Si, mi
piace! Ma vi avverto che non so cantare.»
«Oh
dai, non dire sciocchezze! Tutte le ragazze sanno cantare.»
Replicò Akane, con
un sorriso smagliante.
A
volte mi domandavo ancora come facevo a comprendere quel linguaggio, e
soprattutto come facevo a scriverlo con una relativa
facilità… Tutto grazie ai
facoltosi professori privati di mio padre, penso.
Appena
arrivata nella nuova scuola, avevo notato che tutti gli occhi degli
studenti di
qualsiasi età si erano puntati su di me, studiando ed
osservando incuriositi la
nuova arrivata straniera. Come avrei dovuto immaginare, conoscevano
già tutto
il mio curriculum, e i presidenti dei club più influenti
della scuola vennero
da me per chiedermi di iscrivermi al loro gruppo di studio: a quanto
pare era
obbligatorio per ogni studente fare parte di un club, e fosse stato per
loro mi
avrebbero voluta in tutti quanti, ma alla fine optai per iscrivermi
solo al
club di musica. Suonare il pianoforte era sempre stata la mia passione,
e non
l’avrei abbandonata solo a causa di un cambiamento di scuola.
Poi
c’erano stati i ragazzi – o pretendenti, come mi
aveva suggerito Akane, da
subito l’unica che mi aveva accolto come una persona normale,
senza trattarmi
né come regina né come aliena. Arrivavano da
tutti i corsi, anche quelli più
piccoli, cosa che io trovavo inconcepibile: non riuscivo a credere che
persino
le matricole puntassero alle studentesse più grandi!
Finchè era il contrario
okay, ma… Possibile che non mi considerassero troppo vecchia
per loro? Ad ogni
modo, per me erano troppo piccoli. Così, presi
l’abitudine di parlare fitto in
francese quando uno di loro mi voleva avvicinare, e dato che con
qualcuno non
funzionava ero costretta a parlare il tedesco. La maggior parte di loro
si era
rassegnata e mi aveva lasciato perdere, ma rimanevano i
“sempai”, ossia gli
studenti del mio stesso anno, che ancora non demordevano.
Beh,
peggio per loro; se c’era qualcosa che volevo evitare al
momento era proprio di
venire coinvolta in qualche rete amorosa. Ero lì solo per
studiare, e quando
mio padre fosse dovuto tornare in Francia, volevo farlo senza avere la
sofferenza di abbandonare il mio fidanzato.
Così,
presi ad uscire e frequentare solo Akane e il suo gruppo di amiche, che
era
anche lo stesso che faceva parte del mio club di musica; avevamo molte
cose in
comune, così non mi dispiaceva stare con loro.
Quando
tornai a casa, quel giorno, era quasi ora di cena; contrariamente alle
mie
aspettative, la macchina di papà era già
parcheggiata nel vialetto, e le luci
dentro erano già state accese. Mi dispiacque di non essere
stata in casa quando
era tornato da lavoro, ma ormai capitava così raramente che
ci vedessimo…
Con
un sospiro aprii la porta di casa ed entrai, lasciandomi alle spalle il
vento
fresco di ottobre. Come una brava giapponese, mi sfilai le scarpe,
lasciandole
nel mobiletto del pianerottolo in pietra dell’ingresso, e
presi le pantofole
per poter girare liberamente sul prezioso parquet di casa. Andai in
cucina a
salutare Hiromi-san, la governante giapponese assunta da mio padre,
dopodichè
lo raggiunsi nel suo studio.
«Bonsoir, papa.» Lo salutai in
francese.
«Com’è andata al lavoro?»
Lui
sollevò lo sguardo da dei documenti che stava leggendo,
piegando leggermente le
labbra in un sorriso mentre mi faceva cenno di avvicinarmi.
«Tutto bene, chèrie,
grazie. E a scuola?»
Scrollai
le spalle, chinandomi a posargli un bacio sulla guancia.
«Come sempre.» Poi mi
sentii in dovere di giustificarmi per il mio ritardo. «Scusa
se sono rientrata
tardi, ma le mie compagne mi hanno invitata ad uscire con loro e mi
sembrava
scortese rifiutare…»
Papà
sollevò una mano per far cessare le mie scuse.
«Non preoccuparti, chèrie,
è tutto a posto. Ti ho aspettato
per cenare, o forse hai già mangiato?»
«No
no, volevo cenare con te.» Dissi, con un mezzo sorriso.
Lui
annuì, compiaciuto. «Bene, allora andiamo. Non
facciamo aspettare oltre madame
Hiromi.»
«Si
dice Hiromi-san,
papà.»
«Ah,
non mi ci abituerò mai.»
Dopo
cena, ci spostammo in salotto per permettere a Hiromi-san di rimettere
a posto
la cucina senza che ci fossimo noi a disturbarla. Papà volle
un resoconto
completo della mia giornata scolastica, come faceva ogni volta che
avevamo
l’occasione di parlare a lungo, e mi fece piacere che mi
ascoltò così
attentamente. Ad un certo punto, però, si scusò e
alzò per andare un momento
nel suo studio, e mi raccomandò di aspettarlo lì,
senza muovermi. Ovviamente,
obbedii.
Quando
tornò, aveva in mano una piccola scatoletta vellutata.
Si
sedette accanto a me e, accarezzando l’oggetto tra le dita,
iniziò a parlare. «Tra
poco sarà il tuo compleanno, chèrie.»
Esordì, dolcemente. «Sono trascorsi dieci anni,
ormai, da quando tua madre ci
ha lasciati, e io ho avuto il coraggio di darti questo oggetto solo
adesso che
sei una donna adulta… Sai che tua madre aveva la tua
età, quando la incontrai
per la prima volta?»
Vidi
un mesto sorriso apparire sulle sue labbra, prima che continuasse.
«Era così
bella… Ricordo che non si era mai separata da
questo» indicò la scatolina, «e
uno dei suoi ultimi giorni mi raccomandò di darlo a
te… Chissà, forse sentiva
che non sarebbe sopravvissuta abbastanza a lungo per potertelo
consegnare di
persona.»
Quando
si voltò a guardarmi fui certa di avere gli occhi umidi di
lacrime represse.
«Tieni,
chèrie. Aprilo e non
separartene
mai.» Mi porse quella piccola scatola ed io la presi tra le
mani, accorgendomi
di tremare lievemente mentre facevo scattare la molla che ne apriva il
coperchio. Poi, quando ne vidi il contenuto, trattenni il fiato dallo
stupore.
Adagiato
sul velluto color porpora c’era un grosso cristallo, grande
quanto una noce e forse
anche di più, che aveva la forma di una sfera perfettamente
levigata. Non avevo
mai visto prima un gioiello simile, e ad esssere sincera non avevo
neanche il
ricordo di mia madre che lo portava; forse era troppo prezioso per
poterlo
esibire come un comune gioiello. Poi sentii nuovamente la voce di mio
padre che
mi parlava.
«Tua
madre la chiamava la Sfera dei Quattro
Spiriti, anche se non ho nessuna idea del perché.
Mi disse solo che era una
sorta di amuleto che proteggeva e apparteneva alla sua famiglia da
generazioni,
ed era per questo che non se ne seaparava mai. Sembra un diamante, non
è così?»
Annuii
lentamente, totalmente rapita dalla bellezza di quel monile.
Non
me ne separai nemmeno quando andai a dormire; lasciai la scatolina
aperta sopra
la scrivania, in modo da avere quella sfera davanti ai miei occhi
mentre mi
spogliavo e indossavo il pigiama, e la ripresi poi prima di infilarmi
sotto le
coperte. Stranamente, non l’avevo ancora sfiorata, come se
avessi paura di
toccarla. Se si fosse frantumata sotto il mio tocco, non me lo sarei
mai
perdonato, dato che era ormai l’unico ricordo che avevo di
mia madre…
Però,
non potevo resistere oltre. Con molta cautela allungai la mano sopra la
sfera,
avvicinandola piano all’altezza del mio viso… E a
quel punto udii come un cuore che batteva
al suo interno, proprio
dentro la Sfera. Allontanai subito il volto da essa, spaventata,
osservandola
come se mi aspettassi che esplodesse da un momento all’altro.
Ma
grazie al Cielo non accadde nulla di tutto questo. «Che
stupida…» Sospirai,
prima di prendere la sfera in mano e rigirarla lentamente tra le dita,
sollevandola in modo che assorbisse i riflessi della luce della
lampada,
proprio come un vero cristallo. Eppure potevo ancora sentire quel lieve
battito, e avrei potuto mettere la mano sul fuoco sul fatto di aver
sentito la
superfice gelida della sfera diventare tiepida man mano che la toccavo,
come se
stesse prendendo vita sotto il mio tocco…
Oh,
ero davvero una sciocca! Riposi nuovamente il prezioso monile
all’interno della
sua custodia, che misi poi sotto il mio cuscino. Dopo aver spento la
luce, il
sonno calò su di me facendomi dimenticare ogni cosa a
proposito della Sfera dei
Quattro Spiriti e di ciò che essa poteva celare.
«Nicole-chan,
per cortesia, potresti scendere in cantina per prendere
un’altra bottiglia di
questo vino?»
La
mattina successiva non dovevo andare a scuola, dato che era
già sabato. Sollevai
lo sguardo dal libro – francese, naturalmente – che
stavo leggendo e mi rivolsi
alla governante, che era davvero troppo anziana per poter scendere
giù in
cantina. Annuii, alzandomi, e presi la bottiglia vuota che mi stava
porgendo in
modo da non sbagliarmi e prenderne un’altra,
dopodichè aprii la porta della
cantina – che si trovava nella stessa cucina – e
scesi le ripide scale di legno
immerse nel buio, dato che la struttura della casa nella quale
abitavamo era
troppo antica per permettere di installare la corrente elettrica anche
là
sotto.
Io
avevo la mia torcia, ad ogni modo.
Appena
giunsi alla fine delle scale, sentii uno strano calore
all’altezza del petto, e
incuriosita tirai fuori dal colletto del pullover che indossavo la mia
Sfera,
che avevo agganciato ad una catenina in modo da portarla sempre con me.
Non
appena la sfiorai con le mani essa divenne ancora più calda,
oserei dire quasi
bollente, e fui costretta a mollare la presa per non bruciarmi. E poi,
sentii
di nuovo quel suono, come il ritmo dei battiti di un cuore.
«Ma
cosa accidenti sta succedendo?» Borbottai, puntando la torcia
in direzione del
rumore.
Mi
ritrovai ad illuminare una specie di vecchio pozzo, posto quasi al
centro della
cantina, dalla quale ero quasi certa che provenisse quel suono: Forse si tratta di una qualche falda
acquifera sotterranea, pensai, sforzandomi di non tornare
urlando su in
cucina.
Incuriosita,
mi avvicinai al pozzo, del quale notai la struttura in pietra: inoltre
era
scoperchiato, come se effettivamente fosse ancora utilizzabile. Mi
sporsi,
puntando la torcia ad illuminarne il fondo, ma non vidi che muschio e
pietre:
era chiaro che ormai si era asciugato, e non poteva servire
più a niente. Tirai
un sospiro di sollievo e indietreggiai, voltandomi verso gli scaffali
nei quali
riposavano le bottiglie di vino che mio padre aveva fatto arrivare
dalla
Francia. Era ovvio che non ci fosse nulla nel pozzo, ero stata una
sciocca a
farmi spaventare da una cosa così; e allora
perché continuavo ad avere quella
strana sensazione, come di una presenza alle mie spalle che non mi
toglieva gli
occhi di dosso?
Stavo
per risalire le scale ed andarmene quando, all’improvviso,
accadde. Non ebbi il
tempo di reagire, né di urlare: potei solo rendermi
vagamente conto di qualcosa
– un paio di braccia, forse – che mi
afferrò in vita, sollevandomi di peso e
trascinandomi all’interno del pozzo, dove precipitai senza
mai raggiungere il
fondo. La sfera nel frattempo aveva iniziato ad ardere, come se fosse
stata nel
fuoco, e allora gridai sia dalla paura che dal dolore.
«Urla
pure quanto vuoi, umana…» Un sibilo, seguito da
una breve e secca risata,
giunse alle mie orecchie, facendomi rabbrividire. «Non ti
sentirà nessuno, e
dopo che avrò preso la Sfera, ti
mangerò…»
«Cosa
diavolo sei?!» Gridai, presa dal panico, mentre cercavo di
dibattermi dalla sua
presa.
La
creatura rise di nuovo, accentuando la stretta ed avvicinando il viso
al mio. «Sono
un demone, sciocca… E tu hai qualcosa che voglio!»
Le
sue braccia strapparono il mio pullover, denudandomi e scoprendo la
catenina
con appesa la sfera di mia madre che avevo tenuto gelosamente nascosta.
Quando
le mani del demone si avvicinarono ad essa, la Sfera irradiò
una luce che mi
accecò, facendo probabilmente lo stesso anche con il mostro
che mi voleva
uccidere. Approfittando del fatto che quest’ultimo aveva
allentato la stretta,
mi liberai con un violento strattone, riuscendo ad allontanarlo da me
semplicemente toccandogli le braccia. Al mio tocco emise un grido
spaventoso,
precipitando nel buio del pozzo.
«Maledetta
sacerdotessa! Mi vendicherò!»
Dopodichè
venne inghiottito dall’oscurità, nel momento
esatto in cui io atterrai sul
fondo del pozzo, reso morbido dall’erbetta e dal muschio che
vi era cresciuto.
Ero sconvolta.
«Ma…
È stato solo un sogno?» Mormorai, guardandomi
intorno. Tuttavia, il fatto di
indossare solo il reggiseno e di avere il pullover completamente
distrutto mi
fece ricredere sul fatto di avere immaginato tutto. Quel mostro quindi
voleva
la mia Sfera? Perché? E per quale motivo mi aveva chiamata sacerdotessa? Io, che ero in Giappone da
poco più di due mesi!
Con
un sospiro mi alzai, spazzolandomi via la polvere dalla gonna; come
glielo
avrei spiegato il mio aspetto ad Hiromi-san? Dubito che avrebbe creduto
a
quella storia, se gliel’avessi raccontata…
Mi
rimboccai le maniche – metaforicamente parlando, dato che
indossavo solo il
reggiseno – e provai ad arrampicarmi sulle pareti del pozzo
per tornare in superficie,
visto che se avessi chiamato aiuto non mi avrebbe sentito nessuno.
Fortunatamente il pozzo era asciutto da abbastanza tempo,
così le pietre delle
pareti non erano scivolose e non fu difficile risalire. Una volta
arrivata in
cima, però, mi accorsi che c’era qualcosa che non
andava. Quella non poteva
essere la mia cantina.
Perché
il pozzo spuntava in mezzo ad un bosco?
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Questo è un piccolo esperimento ^^
E' la prima volta che scrivo una fan fiction su Inuyasha, ma adoro troppo la storia - e in particolare Sesshomaru - per non cimentarmi nell'impresa!
Ad ogni modo, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, soprattutto per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, l'ambientazione eccetera... So che è un pò prematuro avendo solo il prologo, ma almeno provate xD Il titolo in kanji l'ho preso da google translate perchè purtroppo non ho mai studiato il giapponese, ma mi auguro che sia giusto... -.-
Un grazie in anticipo a tutti quelli che avranno il cuore di leggere e recensire! Grazie =*
Ah, un avviso: causa studio e altre storie in corso, non riuscirò a postarla in modo molto puntuale, ma cercherò di fare di tutto perchè non resti incompleta.
Alla prossima!
Le mie storie:
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Buona lettura ^^