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Autore: FLPP    11/04/2010    1 recensioni
Citando il buon vecchio Guccini, ma che piccola storia ignobile, mi tocca a raccontare, così solita e banale come tante... che non merita nemmeno, l'attenzione della gente, quante cose più importanti hanno da fare. Ecco, questa è una piccola storia ignobile triste, scritta in un momento di ispirazione e di "volontà" di scrivere qualcosa di diverso rispetto alle altre 2 storie, più il finale alternativo di twicoso. Spero vi piaccia
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il diario di Amélie.

 

Non dimenticherò mai quella bambina, sarà sempre impossibile. La trovai durante la guerra, a Parigi pochi giorni dopo la liberazione. Amélie era il suo nome, ricordo che indossava sempre un cappottino viola scucito in vari punti che mostrava le piccole gambe e braccia, di una bambina che non mangiava regolarmente da troppi mesi ormai. Era in un ospedale gestito interamente dalle truppe dislocate là dai Tedeschi, abbandonato in fretta e furia quando eravamo a pochi chilometri dalla periferia della città e loro erano in ritirata quanto più rapidamente fosse possibile. Ricorderò sempre lo sguardo terrorizzato, eppure adulto, che vidi passare nei suoi occhi in quei pochi istanti in cui entrai, impugnando il mitra ed osservandomi attorno sperando di non doverlo usare. Nelle sue mani, non era come avrei immaginato da una bambina del genere, un peluche o altro giocattolo, ma un diario dalle pagine sgualcite ed ingiallite, probabilmente da troppo tempo letto, letto e riletto. “Come ti chiami?” le chiesi nel mio stentato francese, ottenendo per tutta risposta un’altra occhiata che mi fece gelare il sangue nelle vene e fermare il cuore, lasciandomi incapace di parlare oltre. Lentamente, la mia mano sinistra andò a prendere dalla tasca una barretta di cioccolato che ci era data nel kit di sopravvivenza, mentre cercavo finalmente di sorridere verso quelli occhi che continuavamo a farmi avvertire una sensazione di disagio che non riuscivo a pieno a comprendere.

“Io sono Michael… questa è per te, tieni…” provavo a dirle, passandole la barretta sempre sorridendo, ottenendo finalmente qualcosa che mi facesse capire che non era un sogno, era tutto vero. La bambina, sorrise infatti improvvisamente e mi osservò ancora alcuni istanti, prima di parlare finalmente verso di me “Sei buffo!” mi disse semplicemente, prima di afferrare la cioccolata ed osservarla attentamente per alcuni istanti. Lasciandomi sorpreso, la posò sul comodino andando invece ad aprire il diario proprio alla prima pagina, tornando poi ad osservarmi silenziosamente ed un po’ guardinga, decidendosi di nuovo a parlare “Sono Amélie… vuoi leggere con me la mia favola?” e senza nemmeno attendere la mia risposta, iniziò proprio dall’inizio. Allungando un po’ il collo, osservai incuriosito quelle pagine, notando come all’inizio la scrittura fosse molto elegante e raffinata, probabilmente di una donna.

-          Oggi Francois è partito con l’armata per andare al confine con quei dannati tedeschi che ci hanno attaccati. Mi ha lasciata in campagna con mia madre, ma probabilmente dovremo andare a Parigi quanto prima così da essere al sicuro. La mia piccola Amélie, chissà quando rivedrà la sua bella Lille e quando potrà tornare nella nostra regione? Mi consola il sapere che in lei, vivrà per sempre qualcosa della nostra terra.

“E’ molto bello questo scritto Amélie… di chi è?” mi limitavo a chiederle, quando lei finalmente smise di leggere per osservarmi alcuni istanti in volto interrogativa… non tutte le parole che vi erano scritte o che lei mi aveva detto, erano per me chiare, ma grosso modo avevo compreso tutto di quello scritto. “Lo ha scritto la mia mamma. La mia mamma è morta il giorno di natale, un cattivo è arrivato, ha fatto bum bum e l’ha uccisa mentre mi nascondeva dopo avermi dato un biscotto al cioccolato” fu la risposta che ottenni improvvisamente e nonostante le parole, era difficile credere che fosse stata detta da una bambina di 4 o 5 anni massimo. A quelle parole, non riuscì a trovare nessuna risposta, ad immaginare qualcosa da dire a questa bambina dai grandi occhi verdi che mi osservavano continuamente. Fu lei, a rompere nuovamente il silenzio improvvisamente, osservando la finestra vicino al suo letto e ad indicarla con un dito sorprendentemente magro e pallido. “Mi porti fuori a vedere i passerotti nel parco? Non ci sono mai andata, anche se la mamma avrebbe sempre voluto portar mici” e tese verso di me le braccia ossute, a volersi far prendere in braccio. Io lentamente, mi alzai in piedi e mi avvicinai a lei, prendendola con dolcezza avendo anche paura di fare del male a quel piccolo mucchietto di ossa dall’apparenza gracile e debole, andandola a sistemare poi sulle mie spalle, prendendo poi di nuovo la tavoletta di cioccolato ed aprendola prima di passarla ad Amélie.

Non presi invece il diario, ma lo sistemati come lei mi diceva sotto al cuscino, prima di mettermi in cammino facendo attenzione a non farle prendere dei colpi o altro. Ricordo che quando uscimmo al sole, la bambina corse a coprirsi gli occhi con le manine, prima di iniziare improvvisamente a ridere felice ed iniziare a mangiare la cioccolata, facendomi sorridere sollevato e permettendomi di capire a cosa fosse servita quella guerra combattuta in una terra per me troppo lontana e difficile da capire. Arrivammo molto presto nel parco, sentendo cinguettare i passerotti e sentendo finalmente la quiete di quel posto. Nessun francese, disse nulla osservando una bambina sulle spalle di un soldato americano, nessuno ebbe il coraggio di chiedermi nulla e nessuno volle dirle nulla. Tutti passavano e si nascondevano velocemente, prima di tornare alle loro occupazioni quotidiane. La sentivo ancora mangiare la cioccolata, la sentivo ridacchiare e la sentivo vivere, per quanto possa sembrare impossibile e per quanto possa essere difficile da capire per tutti. Eppure… ricordo che arrivati sotto un albero improvvisamente qualcosa sembrò fermarsi in lei e iniziò un silenzio duraturo. Fu strano, avvertire un colpo secco sull’elmetto e non sentire più i suoi piedini muoversi, fu strano non sentirla ridere e fu ancora più strano il fatto che le ultime parole che sentì sussurrate nel mio orecchio furono proprio della bambina… “Grazie… vado dalla mamma e dalla nonna adesso”. Ma più strana ancora, fu la sensazione che ebbi di sentirla sorridere felice improvvisamente, come se fosse contenta di quello che stava succedendo in quel momento. “Và da loro Amélie… va da piccola” furono le sole parole che mi uscirono dal profondo del cuore improvvisamente, mentre negli occhi avvertivo delle lacrime condensarsi lentamente e rendermi sempre più triste e nervoso nello stesso tempo. Passeggiai ancora nel parco, ma non so dire se furono minuti o ore. So solo, che quando lentamente tornai verso l’ospedale, non riuscivo a credere a quello che era successo in quella giornata. Arrivato davanti al letto della piccola Amélie, lentamente la posai sul materasso e le rimboccai le coperte, prima di darle un bacio sulla fronte e dirigermi lentamente verso l’uscita della corsia. Ma, fatti pochi passi mi girai nuovamente ad osservare il letto e tornai a prendere il diario sotto al cuscino, sfogliandolo alcuni attimi silenziosamente…

-          Oggi mia madre è morta, sono sola con la piccola Amélie. Mentre tornava dalla spesa, un soldato dell’esercito d’occupazione ha aperto il fuoco mirando nel vuoto e l’ha colpita al torace in pieno, facendola così morire sul posto. Mio marito è disperso dall’evacuazione di Dunkerque, mia madre è morta e non ho nessun’altro qua a parte questa piccola bambina che ancora non sa le difficoltà che la vita le sta riservando.

Ed un’altra pagina scorreva, un’altra ancora… infine, arrivavo all’ultima pagina scritta.

-          25 dicembre. Oggi è natale, ma la mamma non lo festeggerà con me come aveva promesso. Avevo scartato il regalo, quando i cattivi che hanno ucciso il babbo e la nonna sono entrati in casa e hanno strillato quelle parole strane che dicono sempre quando sono arrabbiati. La mamma ha detto qualcosa, ma loro hanno fatto bum bum e la mamma è caduta perdendo del sangue. Loro hanno portato via la mamma ridendo e io sono rimasta là con il regalo. È rimasta solo Amélie adesso, sono tutti via

Dopo aver letto queste poche parole, chiusi il diario e tornai ad osservare quella bambina che per un lasso di tempo che non ho compreso, era stata parte della mia vita e le sorrisi dolcemente, prima di metterle il diario sulle mani… “Posso tenerlo? Grazie” le dissi dopo alcuni secondi di silenzio, prima di alzarmi ed andarmene, osservandola per quanto mi fosse possibile. La guerra, lascia sul campo più vittime di quante se ne possano contare ufficialmente. Amélie, era una di esse sicuramente, ma nessuno l’ha mai contata e solo io ne conosco la storia. La struttura in cui dormiva, era un ospedale militare abbandonato dai tedeschi, in cui lei si era rifugiata per dormire al caldo qualche giorno. Nessuno ne sapeva il cognome, nessuno ne sapeva l’indirizzo e quando la mia compagna partì per continuare a combattere, soltanto io sapevo della sua storia. Quando anni dopo, nacque la mia prima figlia, non ebbi esitazione a dire a mia moglie, che l’avremmo chiamata Amélie. Ma, alla sua richiesta di spiegazione, non ebbi il coraggio di dirle la verità, mi limitai a risponderle con poche parole. “Durante la guerra, ho visto cose che non posso scordare, ma che non voglio condividere. Sono il mio peso ed il mio macigno, per non essere riuscito ad arrivare prima e ad impedirlo. Ma, solo io devo portare questo peso dentro di me.”

  
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