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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    11/04/2010    0 recensioni
“TI ODIO!” gridò, esternando tutta la sua più profonda frustrazione, “TI ODIO E TI AMO CON TUTTA ME STESSA! COME FACCIO A DIMOSTRARTELO?” urlò, aggrappandosi al cuscino come a un’ancora, stringendolo a sé con tutto il soffocante affetto che era in grado di dare, come se fosse stato il fratello, “Come faccio a dimostrare una cosa così enorme e senza fine se non me ne dai la possibilità?” singhiozzò, affossando la testa sotto il guanciale come uno struzzo codardo e fifone." Essere gemelli è dura, essere due parti diverse di uno stesso cuore è difficile da capire e accettare, e a soffrire è innegabilmente la parte più debole e sensibile.
Genere: Generale, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Carlo&Matteo, Carlotta&Matteo'
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La porta di casa si chiuse con gran fragore, lasciando solo un silenzio pesante e triste, rotto, di tanto in tanto, da singulti silenziosi.

Una ragazza sedeva al buio della propria stanza , le ginocchia al petto, il viso incassato tra le gambe, sentiva la stoffa dei pantaloni della tuta sfregargli il viso inondato di lacrime.

Cercò a tentoni nel buio il contatto morbido con i peluche che invadevano il suo letto, affondò il viso nel morbido pelo del suo orsacchiotto favorito, il suono dei suoi singhiozzi era attutito dal folto pellicciotto del pupazzo, le sue braccia si strinsero febbrili attorno al finto animale, il corpo scosso da pianti convulsi.

Si lasciò cadere all’indietro, rannicchiandosi sul materasso in posizione fetale, tenendosi la testa per tenere lontano il dolore che le attanagliava la mente, ottenebrandone le percezioni della realtà e rendendola spaventosamente fragile e indifesa; la gola era secca e bloccata da un groppo che non ne voleva sapere di dileguarsi.

Sentì un freddo improvviso, i gomiti lasciarono la presa per un attimo sulla rassicurante e soffice consistenza del tenero orsetto e le mani si mossero per andare a sfregare le braccia, nel vano tentativo di riscaldarle; ma il tremito si fece più intenso, tanto da farle afferrare la coperta, miseramente buttata ai piedi del letto, e mettersela addosso, chiuse gli occhi, riportando le dita a massaggiare le tempie pulsanti di rabbia, dolore e frustrazione.

Era stato uno stupido litigio a ridurla in quello stato, un litigio normale tra due fratelli che avrebbe dovuto risolversi in uno sbuffo di fumo; eppure, quella volta, era stato qualcosa di più, qualcosa che non avrebbe potuto ripararsi e risolversi con un semplice schiocco di dita.

Si, d’accordo, la perfezione non le apparteneva ma aveva tanto da dare al mondo, tanto affetto da condividere, tanti sorrisi da dare, tanti abbracci da ricevere, tante cose in programma da fare, tante storie da cominciare e mai finire, lasciandole proseguire per la propria strada, senza bisogno di un Atreyu volenteroso che le finisse per lei.

Eppure, forse nella sua ingenuità, non capiva il perché di quel muro invisibile, e invalicabile, che si era frapposto tra loro.

Diavolo, erano fratelli, gemelli, due facce della stessa medaglia! Lei era lui, lui era lei, come faceva a non capire quel bisogno continuo di sentirsi sempre uno affianco all’altro, complementari come mai nessun altro poteva essere?

Come poteva non sentire quella sensazione appagante nel loro abbraccio?

Si vede che erano sensazioni a senso unico, l’unica destinata a provarle e a soffrire per loro era lei.

Ma da ciò non traeva conforto e anzi, stava ancora peggio.

“TI ODIO!” gridò, esternando tutta la sua più profonda frustrazione, “TI ODIO E TI AMO CON TUTTA ME STESSA! COME FACCIO A DIMOSTRARTELO?” urlò, aggrappandosi al cuscino come a un’ancora, stringendolo a sé con tutto il soffocante affetto che era in grado di dare, come se fosse stato il fratello, “Come faccio a dimostrare una cosa così enorme e senza fine se non me ne dai la possibilità?” singhiozzò, affossando la testa sotto il guanciale come uno struzzo codardo e fifone.

La ragazza cercò di regolarizzare il proprio respiro, richiamò a sé ogni singola goccia di forza disponibile, i battiti del cuore la assordavano a tal punto che quasi le erano insopportabili; scarmigliata, con gli occhi gonfi e brucianti, si mise seduta, tendendo l’orecchio per percepire un qualunque rumore che le potesse far intuire l’imminente rientro di qualcuno.

Ma la casa restava silenziosa e muta, e lei restava ancora sola.

Nervosamente, si alzò dal letto, dirigendosi a tentoni verso il bagno, odiava la luce in quell’appartamento pieno di specchi, in ogni dove incontrava sempre e unicamente la sua immagine, cupa e malinconica, triste e rabbuiata; i piedi nudi toccarono il morbido tappeto che copriva le mattonelle dei servizi, il getto dell’acqua fu una benedizione sulle sue mani, che si mossero per detergere con il fresco spruzzo liquido la pelle arrossata del volto.

Ella restò qualche minuto così, con le dita intrecciate sugli occhi, a coprirli, sentiva gocce scivolargli lungo gli avambracci e cadere sui suoi piedi; rise amaramente, anche in quel frangente ne sentiva più che mai la mancanza, desiderava essere abbracciata e coccolata, e più lo desiderava, più sentiva prepotentemente la voglia di piangere per la mancanza che provava.

Il suo cuore gridava a gran voce di lasciarlo andare, di tagliare ogni legame, la mente razionale la ammoniva, dicendole che, se l’avesse fatto, se ne sarebbe pentita in eterno; davanti a lei aveva due scelte, egualmente pericolose e sofferte.

No, non avrebbe ascoltato ne l’una né l’altra voce, avrebbe seguito l’istinto.

Lei ritornò sui suoi passi ma, invece di rientrare nella camera, aprì piano un’altra porta, ritrovandosi in salotto. Gattonando sino a una vecchia madia seminascosta dietro il tavolo d’angolo, aprì uno sportello, prendendo tra le braccia un certo numero di cassette, le custodie erano ormai rovinate ma le avrebbe riconosciute lo stesso; armeggiò per un po’ col videoregistratore e la televisione, la stanza venne debolmente illuminata dalla luce tremolante e grigiastra dello schermo. Respirando a fondo, la ragazza inserì una delle videocassette e si andò a sedere tra i morbidi cuscini.

Tutto si oscurò e un ronzio fastidioso riempì l’aria, poi un caleidoscopio di colori prese forma nel video, irradiando tutto di allegre tinte.

Una spiaggia deserta e ventosa sotto il sole di Luglio…

Il mare che spumeggiava e gridava, infrangendosi contro la sabbia.

Un bambino dalla faccia pasciuta e sorridente, che saltellava allegro attorno a un bimbo uguale in tutto e per tutto a lui, tranne che per la maglia rossa, riempì il monitor, il musetto e le guanciotte erano abbronzati, l’immagine era sgranata e in parecchi punti rovinata, doveva essere un nastro molto vecchio: “Ca’otta, gioco?”.

   
 
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