Un bacio a chi legge e due a chi commenta <3
Aveva
trangugiato un altro
bicchiere di vino tutto d’un fiato.
E a quello ne era seguito un
altro, e un altro.
Il pavimento di casa sua era
ormai pieno di solchi, creati dall’andirivieni dei suoi stivali che non
trovavano pace.
Chiunque si sarebbe agitato,
nella sua situazione.
“Francis… aspettami a casa tua. E’ una questione delicata
che serbo
dentro da tanto tempo. Non posso continuare a nascondere i miei
sentimenti per
tutta la vita.”
Che diamine. Quella telefonata,
così, secca. Non aveva neanche avuto il tempo di rispondere che il
telefono
aveva già cominciato a dare il segnale dell’occupato.
Quelle parole… non potevano che
lasciare intendere una sola cosa.
Francis era scattato
sull’attenti, peggio di una teenager alle prese col suo primo
appuntamento. Si
era fiondato a cercare il vestito migliore - migliore può significare
soltanto
elegante, per uno come Francis che snobba le uniformi degli altri
perché outrè –
rimanendo più tempo indeciso sui due capi che preferiva di più,
passandoli
continuamente da una mano all’altra, senza saper scegliere.
Per risparmiare del tempo, aveva
pensato bene di decidere il tutto mentre si sarebbe diretto in bagno
per darsi
un’aggiustata ai capelli, un colpo di phon, una spruzzata di acqua di
colonia
all’essenza concentrata di rosa, una ritoccatina alle sopracciglia -
solo Arthur
può essere così ostinato nel tenerle così folte - ed era pronto.
Ed era questo lo stato in cui si
trovava Francis, mentre macinava metri e metri dentro casa sua:
agitato,
impaurito, esaltato, irrefrenabile, iperattivo, dubbioso, incontenibile.
Fissò attentamente le lancette
dell’orologio da polso, dando peso ad ogni singolo secondo che si
frapponeva
all’incontro con l’inglese.
Quando il campanello suonò, la
porta venne buttata giù da un calcio dall’uomo appena arrivato.
Si trattava proprio di Arthur.
Uno smoking nero ed un vistoso
papillon rosso sono le prime cose su cui Francis posò lo sguardo. Dopo
toccò
alle sopracciglia. Ed infine, al bouquet di fiori che teneva in mano.
Un bouquet di fiori…
Va bene che doveva fare il gentiluomo,
ma stavolta Arthur aveva esagerato.
Cosa doveva rappresentare quel
mazzo di primule che così orgogliosamente stringeva tra le mani?
Ma… c’era qualcos’altro alle
spalle del britannico?
Un pacco. Un pacco gigantesco.
Più grande perfino del bretone. Incartato con carta regalo… rosa.
Perché
proprio rosa? Che l’avesse scelto apposta in onore della rosa, il
simbolo di
Francis?
La testa del franco sembrava
scoppiare. Tutti quegli avvenimenti avevano preso forma così
velocemente:
quell’entrata in scena da vero duro, quei fiori, quel regalo gigante.
Francis
si sentiva simile ad una principessa attanagliata dalla corte spietata
del suo
principe.
Arthur socchiuse appena gli
occhi, sistemandosi il papillon e varcando la soglia della stanza,
trascinandosi dietro il regalo, prendendolo da uno dei lacci del fiocco.
Richiuse la porta dentro di sé, per
riservare quel momento solo a loro due. L’aveva detto che era una
questione
delicata. Non poteva permettere l’ingresso ad altri visitatori.
“Art-Arthur, tu…”
“Shut up, stupid frog. Sono io a
dover parlare adesso.”
Mettendo da parte ogni imbarazzo
– eccezion fatta per il rosso del suo volto – Arthur si avvicinò a
Francis,
facendogli dono del bouquet, scostando allo stesso tempo il volto di
lato.
“Questo è per te.”
“Cosa significa, Arthur? Sta
accadendo tutto così in fretta che…”
“Devi per forza parlare, diamine?
Complichi le cose così…”
L’espressione affranta di Arthur
aveva paralizzato Francis tanto da renderlo temporaneamente muto. Il
britannico, recuperando un po’ della sua spavalderia, cinse le sue
braccia
attorno al collo del francese, appoggiando la propria testa sulla
spalla
dell’altro.
Il bouquet scivolò via dalle mani
sudate del francese, che aveva la testa attraversata da mille pensieri.
“Finalmente…”
Alzò la testa al cielo,
lasciandosi andare ad un sorriso rilassato. Prese a ringraziare Dio più
e più
volte, per la gioia che aveva deciso di regalargli.
Tutte le sue sconfitte, i suoi
fallimenti, divennero minuscole macchie invisibili di fronte a tanta
grazia. Le
sue mani andarono a posarsi sulla schiena rigida del britannico, ma il
sudore
rendeva difficile la presa; l’aveva a pochi centimetri dal proprio
corpo e non
poteva abbracciarlo. Ciò valse sicuramente ad aumentare la sua
frustrazione.
“Francis…?” Sussurrò l’inglese.
“Dimmi… dimmi tutto.”
“I love you so much.” Rispose
masticando quelle parole a stento, come se nello stesso momento in cui
le
dicesse se ne pentisse.
“Angleterre… je t’aime. Je t’aime moi
aussi.”
“I’m so… i’m so happy. Sei riuscito a capirmi nonostante te l’abbia detto
nella mia lingua?”
“Potrai anche aver usato la tua
lingua. Ma la lingua dell’amore è
universale.”
Francis aveva proprio dato il
meglio di sé. Questa frase ad effetto era proprio quella che gli
serviva.
Adesso che aveva stordito l’inglese con questo virtuosismo poetico,
doveva
passare all’attacco facendolo suo per l’eternità.
Poggiò una mano sul volto del
britannico, avvicinando le sue labbra a quelle serrate dell’inglese,
pronto a
farvi breccia; il destino, però, ha strade tortuose, e qualcosa non
andò
secondo i suoi piani: due dita sulle labbra lo frenarono, respingendolo.
“Non preferisci vedere prima cosa
c’è là dentro?” Lo stimolò Arthur indicando il gigantesco regalo rosa
che
ancora sostava nel bel mezzo della stanza.
“Mmmh… l’hai detto in maniera
così sensuale che mi hai quasi convinto.” Con lo sguardo pieno di
malizia,
sicuro di trovar dentro un qualche costume o attrezzo perverso, Francis
si
accinse ad aprire il grosso pacco, iniziando a disfare il fiocco che
stava alla
sommità.
Giusto quando il nodo fu sciolto,
e la carta in superficie strappata, le ali della parte superiore della
scatola
si dispiegarono da sole, rivelando all’interno un oceano infinito di
piccoli
pezzi di polistirolo, all’interno dei quali si trovava, braccia
all’aria,
Alfred.
“Qualcuno aveva richiesto
l’intervento di un eroe?” Urlò l’americano, assumendo la sua solita
posa a
pollice alzato, con l’aria di chi ha sempre tutto sotto controllo.
Francis torse la sua testa di 180
gradi, in un movimento lento e inquietante. I suoi occhi erano gonfi e
pieni di
ira, le labbra rappresentavano bene il suo sgomento e il naso
arricciato
probabilmente stava a mostrare la sua indignazione.
“… Cosa vuol dire tutto questo.”
“E’ un pesce d’aprile, stupid
frog!” Dichiarò l’inglese a denti stretti, mettendosi tre dita di
fronte alla
bocca, come se fossero sufficienti a placare le risate che gli eran
cominciate
ad uscir fuori di bocca.
Francis fissò alternativamente
Alfred e Arthur, ancora stordito dall’insensatezza della scena. “Non ho
mai
sentito di un pesce d’aprile messo in atto il 2 aprile.” Proferì il
francese,
continuando a fissare i due alternativamente.
“2 aprile?”
“Oh, Francis… suppongo che anche
questo faccia parte del suo pessimo umorismo
inglese.” E sotto di nuovo con la sua posa da eroe.
“U-u-umorismo cosa? Sbaglio o sei
stato tu a pianificare il tutto? Io sono
l’eroe! Penso a tutto io! Fuck you, damned shit!” Urlò Arthur di
rimando,
raccogliendo il bouquet che Francis aveva lasciato cadere, per
lanciarlo
addosso all’americano.
Alfred con gesto sicuro lo
afferrò al volo, dimostrando ancora una volta di poter salvare la
situazione. Una
volta salvato il bouquet, lo restituì a Francis, dandogli qualche
leggera pacca
sulla spalla: “Credo che questo sia tuo, caro mio!” Dopo di che, si
gettò dal
pacco, andando a raggiungere Arthur.
Francis fissava la scena
ammutolito, appoggiato ad uno dei lati della grossa scatola, col mazzo
di
bouquet che gli era di nuovo scivolato dalle mani, insieme ai frammenti
del suo
cuore spezzato.
“Allontanati, brutto idiota!”
Sbraitava il britannico, con le guance giusto un po’ arrossate.
“Su, su, ehi! Abbiamo ottenuto lo
stesso l’effetto che volevamo, no?”
“E’ facile parlare per te, quello
che ho dovuto recitare sono stato io!”
Recitare.
Recitare, recitare, recitare,
recitare, recitare, recitare, recitare, recitare.
Che qualcuno mi liberi da questo brutto sogno.
“Arthur, tutto quello che mi hai
detto prima…” Mormorò, tendendo la mano nei confronti dell’inglese.
“Cancella tutto, stupid frog. Era
uno scherzo, l’hai già scordato? Direi che qui abbiamo anche finito.
See you, vinofilo!”
Alfred salutò Francis con un
sorriso innocente e un cenno della mano. Ma Francis sapeva che in quel
sorriso
c’era poco di innocente. Era stato un complice. Si era macchiato anche
lui
della colpa di avergli spezzato il cuore, per poi portarsi via, per
giunta,
l’unico uomo che Francis avesse mai amato.
Li fissò entrambi, di spalle,
mentre varcavano la porta di casa di Francis, per andare a trascorrere
dei
piacevoli momenti insieme. Alfred aveva appoggiato il suo braccio sulle
spalle
di Arthur, avvinghiandolo al collo, per tirare a sé l’inglese e
punzecchiarlo
in fronte con l’altra mano libera, suscitando l’ira dello tsundere.
Erano così dannatamente felici,
nel momento in cui lasciarono quella stanza, lasciandosi dietro un
pacco
scartato, del polistirolo a terra, un bouquet di fiori ormai
spiegazzati e un
uomo dal cuore infranto.
Il francese appoggiò la schiena
ad uno dei lati della scatola, scivolando lentamente verso il
pavimento, fino
ad arrivare col sedere a terra.
Compostamente, senza esprimere
esteriormente alcun segno di debolezza, frugò tra le tasche del suo
vestito in
cerca del fazzoletto. E una volta che lo trovò, se lo infilò in bocca,
stringendolo ferocemente tra i denti.
E allora, solo allora, iniziò a
piangere.
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