Chiedo
scusa.
Sono
in ritardo. Atrocemente, pazzescamente, tremendamente in ritardo, e non
ho scuse.
Spero solo che il capitolo vi piaccia.
Dato
che sono passati mesi e mesi dall’ultima pubblicazione, ecco
qua un breve riassunto
per ricordare come sono andate le cose.
Riassunto:
Quando
Lily arriva al Santuario, è vestita da sposa, e fugge da
tutti i suoi aguzzini.
Per puro caso, va a sbattere proprio contro il Santo di Scorpio, che
decide di
aiutarla. Inizia così la convivenza di Lily von i vari
Saints, che non tardano
a scoprire, dopo il primo, violento incontro con Athena, che la ragazza
ha un piccolissimo
Cosmo di origine divina. Così tra alti e bassi cominciano
gli allenamenti, e,
proprio mentre cercava di evitare uno di questi, Lily ritrova Albert,
suo
fratello maggiore; il ragazzo però è strano,
diverso da come lo ricordava sua
sorella. A sorpresa, infatti, Albert stordisce Milo con una sostanza di
sua
invenzione, scaraventa Lily in macchina e dà inizio ad una
folle fuga sotto la
pioggia.
‡
Beautiful novel ‡
L’evoluzione.
Doveva
essere un lavoro semplice, e guarda questa svampita cosa mi combina.
Qua va a
finire che se non intervengo ci lascia la pelle, e io con lei.
Mentre
sentivo queste parole invadermi la mente, cariche di un disprezzo
puro e disarmante, una fitta coltre di nebbia invase il mio campo
visivo, perciò
non riuscii a vedere la smorfia di terrore di Albert, né il
guardrail che
cedeva sotto la spinta dell’auto e nemmeno il mare scuro che
si faceva sempre
più vicino.
Però
sentii.
Sentii
mio fratello gridare disperato, sentii il balzo anomalo
dell’auto, sentii l’asma insistermi sui polmoni
fino quasi a soffocarmi.
Sentii
la vampata di calore che oggi mi è familiare salire dalla
punta dei piedi e invadermi tutto il corpo.
Non
avevo mai percepito nulla del genere, nemmeno durante gli
allenamenti con Shaka, e questo mi spaventò da morire.
Strinsi la mano di
Albert, pregando per un miracolo nella speranza che il mare non ci
inghiottisse.
Hey
Pecora, svegliati una santa volta! Impegnati, fammi vedere chi sei.
Ardi.
Ancora
la voce di prima, e ancora quel calore. Stavo impazzendo?
La
cosa più incredibile è che tutti quegli eventi si
svolsero
nell’arco di una manciata di secondi, giusto il tempo di
precipitare in una
scarpata, eppure ricordo ancora ogni minimo dettaglio con estrema
chiarezza.
La
mia stretta sulla mano di Albert aumentò, l’avevo
sentito
rilassarsi, forse era svenuto.
All’improvviso
fui abbagliata da un lampo di luce ramata, l’asma
finì e sentii la pioggia lambirmi il viso e scivolarmi
addosso con un tintinnio
metallico che subito non riuscii a spiegarmi.
Trovai
il coraggio di aprire gli occhi, e mi resi conto di non
avere più la vista appannata.
Vidi
l’automobile scomparire inghiottita dai flutti neri, tra
gorghi e bollicine, e solo allora mi resi conto di essere sospesa nel
vuoto,
con mio fratello, incosciente, che ciondolava appeso alla mia mano.
Non
ero aggrappata a niente, nessuno mi reggeva in alcun modo.
E
allora perché restavamo sospesi?
Mi
accorsi che era merito mio solo quando, scuotendo la testa,
notai un cimiero lungo e rosso che mi penzolava sulla spalla.
Dunque,
indossavo un elmo? Pareva di sì, e anche
un’armatura
completa, con tanto di calzari alati, tutta color rame. Era
un’attrezzatura di
prim’ordine, robusta e resistente, che però non
pesava per niente.
Preoccupandomi
di non allentare la presa sul mio inerme fratello
e di non farlo cadere in mare, provai a sgambettare nel vuoto, e,
galleggiando
nell’aria in modo piuttosto ridicolo, riuscii a raggiungere
la banchina.
Adagiai
Albert sull’asfalto, tanto la strada era deserta, mi
sfilai il magnifico elmo che indossavo e appoggiai l’orecchio
sul suo petto
cercando di captarne i battiti.
Erano
debolissimi, perché?
Sentii
nel cuore uno schianto all’idea di poter perdere mio
fratello. L’avevo appena ritrovato.
Questo
pensiero aprì con forza la strada ad altri, che, come un
doloroso rosario, mi sfociarono nell’anima frantumando il mio
autocontrollo.
Scoppiai
a piangere.
Una
lacrima per il pericolo scampato, una per la mia infanzia.
Una lacrima per quell’aguzzino di Brain, una per il terrore
del matrimonio con
lui. Una per Milo, una per il Santuario e i suoi Cavalieri,
un’altra per la
bambina dai capelli viola.
Piansi
per Andrea e Jude, i fratelli di cui avevo perso le
tracce. Piansi per Albert, che avevo appena ritrovato e già
rischiavo di
perdere. Piansi per Mur, perché aveva fatto tanta fatica per
portarmi un’acqua
miracolosa che non sarebbe servita a niente, perché tanto
sarei morta lì, sul
ciglio di quella strada, di dolore, di stanchezza e
d’ignoranza.
Piansi
per Shaka e Dhoko, perché anche loro avevano sprecato
fiato e tempo ad insegnarmi a manipolare quell’ombra strana
che loro chiamavano
Cosmo, e, quando avevo avuto bisogno di un’armatura, quella
si era materializzata
da sola, senza bisogno di tanti sforzi.
Piansi
per Milo, perché mi aveva sempre tenuto compagnia, mi
aveva regalato sorrisi senza risparmiarsi, ed io da quando ero
lì non avevo fatto
altro che frignare, e non gli avevo ancora detto quanto già
gli volevo bene, nonostante
ci conoscessimo da poco.
Piansi
per Camus, Aldebaran, Dite e tutti gli altri, perfino per
DeathMask, perché tanto avevo ancora un sacco di lacrime da
spendere.
E
mentre piangevo, l’armatura che indossavo non faceva altro
che
sfavillare, come se il mio dolore la rinvigorisse.
La
odiai da subito, la odiai talmente tanto che cominciò a
sanguinarmi un orecchio. Non è una stupidaggine, tutto
quell’odio doveva pur
trovare una via di fuga.
E,
tanto per fare capire a quella corazza quanto profondo fosse
il mio odio, piansi anche per lei, su di lei.
E
poi il rame è un colore veramente orribile.
Eppure,
nonostante quella situazione drammatica e
incomprensibile, mi sfiorò un pensiero atroce ed incoerente:
con tutta quella
pioggia, la mia meravigliosa armatura si sarebbe certamente arrugginita.
Ma
quella riflessione non era da me, no davvero. I conti non
tornavano per niente. Il cinismo e la freddezza erano sempre rimasti
estranei
alla mia anima. Fino a quel momento.
Guardai
Albert inerme sotto la pioggia, i capelli bagnati e il
volto teso, e mi sembrò quasi uno sconosciuto, un semplice
campione di umanità
che non mi interessava per nulla.
Ecco,
l’avevo fatto di nuovo. Ma da quando nei miei pensieri
trionfava la crudeltà?
Nonostante
tutto, non ebbi reazioni, nemmeno l’asma, se non
quella di continuare a piangere.
Nel
mio cuore già vorticavano paura, speranza, disperazione,
odio e confusione; qualsiasi altra emozione l’avrebbe fatto
esplodere, ne sono
certa. Già con l’odio avevo avuto degli
inconvenienti non da poco.
Sentivo,
però, qualcosa che cercava di annullare la mia
volontà,
voleva violentarmi dall’interno, e le vampate di calore che
avevo sentito prima
c’entravano certamente qualcosa.
Che
lagna! Stai sempre a piangere, pecora!
Rieccola,
quella voce. Ancora sprezzante, ancora odiosa.
Chi
sei? Domandai, in silenzio.
Chi
vuole saperlo?
Rispose quella, col tono annoiato del sovrano che si rivolge al
servo.
Prima
che potessi replicare, una voce nasale interruppe il
silenzioso dialogo tra me e la creatura che mi abitava.
-
Guarda un po’ chi abbiamo qui.
Bentornata, mia piccola Sponsa.
Sgranai
gli occhi, e un respiro mi rimase tronco.
Non
poteva essere vero.
Mi
girai, lenta e tremante, e incrociai i miei occhi in quelli
porcini di Brain. Mi venne un rigurgito: sempre il solito cranio calvo,
il
solito muso suino, il solito aspetto da larva gigante.
Alzai
un sopracciglio quando vidi i due gorilla alle sue spalle:
mai che si sbrigasse le sue questioni da solo, quell’ uomo.
-
Sempre a circondarti di leccaculo, Brain.- allusi, indicando
gli omoni alle sue spalle – allora è vero che il
marcio attira altro marcio.-
-
Io non farei tanto la spiritosa se fossi in te, Sponsa.
Comunque, vedo che sei finalmente riuscita a tirare fuori la
divinità. Bene,
bene.-
Divinità?
Parlava forse dell’armatura?
Cercai
di dissimulare la sorpresa, solamente per non fargli
piacere.
-
Va bene. Allora, prima di tutto liberiamoci delle zavorre.-
Ad
uno schiocco di dita di quel verme, i bodyguard fecero
qualche lento passo avanti, quel tanto che bastava per mettersi tra me
e il
lurido.
Anche
loro, come me, ostentavano un’armatura. Solo che le loro
erano veramente tremende: erano di un colore insensato, tra il prugna e
il
marrone direi, prive del più banale richiamo al classicismo
o di un
qualsivoglia gusto artistico; inoltre avevano applicata, al centro del
petto,
una sfera trasparente al cui interno comparivano, di tanto in tanto,
dei lampi
bluastri.
Praticamente,
una sfera natalizia con dentro un parafulmini.
E
poi dicono che i cattivi hanno più stile. Mah.
Ero
pronta a deriderli per quelle corazze ridicole, davvero;
d’altronde, ne avevo ben ragione: la mia era bellissima,
anche se la odiavo
dovevo ammetterlo, era riccamente decorata e perfetta in ogni dettaglio.
Purtroppo,
però, non appena quei due ceffi si mossero verso di
me, alla mia perfetta armatura
venne la
grande idea di sparire. Svampò così, in un
attimo, senza avvisi, sublimando in
una nube ramata che mi si infilò negli occhi, nel naso,
nella bocca, ed io la
respirai tutta quanta.
A
quel punto, se non mi avessero fatto fuori Brain e compagnia bella,
sarei comunque morta di avvelenamento per tutto il rame che avevo
inalato.
Non
appena l’armatura scomparve, mi sentii nuda: come ho
già
detto non aveva alcun peso, e la percepivo come una seconda pelle.
Averla
addosso mi era sembrato…naturale. Il problema veniva adesso,
che mi sembrava
una forzatura non averla.
Insieme
a lei svanì ogni cosa: la sensazione di calore, la
sicurezza, l’arroganza, tutto, e rimasi la solita ragazza di
sempre, quel
pallido fantasmino con il cuore di coniglio.
Con
la coda dell’occhio vidi che Albert non si era ancora
ripreso, e mi ritrovai a promettere a me stessa che sarei morta, prima
che
Brain riuscisse a fargli del male.
Intanto
i due gorilla si erano girati verso quella larva umana
con aria interrogativa. Lui, per tutta risposta, aveva cominciato a
sbuffare
come una teiera, mentre il suo volto si tingeva di un colorito purpureo
che non
aveva niente di sano.
-
Minne ! Bupalo! –
A
quel grido, i due ceffi con l’armatura si misero
sull’attenti.
Quindi si chiamavano così. Proprio aggraziati anche nei
nomi, pensai.
-
Non so come sia riuscita a far scomparire
Minne
e Bupalo mi furono addosso ad una velocità di cui credevo
capaci solo i Cavalieri di Athena, e uno di loro mi bloccò i
polsi,
premendomeli contro la schiena.
Ero
nei guai, e soprattutto rischiavo la vita di Albert.
Perché
non si svegliava? Aveva certamente bisogno di cure, il
battito del suo cuore era così debole… Senza
contare che eravamo inzuppati
d’acqua da un bel po’, questo non poteva di certo
fargli bene…
Niente
da fare, questa volta Brain non l’avrebbe avuta vinta.
Mi
misi a scalciare come un cavallo, urlando, mordendo e
graffiando tutto ciò che toccavo, impazzita. Diedi una
capocciata contro
qualcosa di duro, ma non mi fermai neanche quando sentii il sangue
colarmi giù,
dalle tempie fino al collo. Mi ruppi anche diverse unghie, ma in
qualche modo
riuscii ad arrivare a mio fratello e a buttarmici sopra a peso morto,
in un
maldestro tentativo di fargli da scudo.
Udii
Brain ridere.
-
Quindi è il fratellino il problema, Sponsa? -
domandò,
cantilenando.
-
Cane. - sibilai io, furibonda.
-
Non preoccuparti, ce ne liberiamo subito. Ormai non ci serve
più. Bupalo, procedi. –
Uno
dei due ceffi mi scostò con uno strattone violento e mi
tenne ferma per le spalle, mentre io continuavo a ringhiare.
L’altro,
Bupalo presumo, alzò il braccio e lo puntò verso
mio
fratello con il palmo rivolto in avanti. Ci fu un lampo di luce bianca
e
Albert…scomparve.
-
Cos…? –
La
risata sguaiata di Brain mi interruppe, allarmandomi da
morire.
-
Dov’è andato Albert? Cosa gli avete fatto?
Dov’è mio fratello?
–
Lo
scimmione che mi teneva stretta mi lasciò andare, ed io
potei
vedere che gli sanguinava un occhio. Forse ero stata io,
nell’impeto di poco fa.
Amaramente, sorrisi.
-
Posso, signor Brain? –
-
Basta che non la uccidi. –
Pam.
Uno
schiaffo mi colpì in pieno viso.
Caddi
per terra sputando sangue, e sentii il labbro inferiore
gonfiarsi quasi subito. Mentre ero a terra ansimante,
quell’individuo, ben
protetto dall’armatura, continuava a darmi calci e pugni,
senza nemmeno
lasciarmi lo spazio di un respiro. Mi ricordava ciò che era
successo la prima
volta che avevo incontrato Athena.
Minne
continuò a malmenarmi per un po’,
finché un ceffone più
forte degli altri mi fece perdere conoscenza.
Benvenuta
nel limbo dell’incoscienza, Pecora.
Chi
sei?
Ancora
con questa sciocca domanda? Se mi prometti che poi farai quello che ti
dico, te
lo rivelerò. D’accordo?
…
Ebbene?
Sì.
Sono
colui che è rapido e malizioso, protettore dei ladri, guida
dei morti,
apportatore di sogni, creatore di prodigi e di illusioni, eterno
vagabondo tra
cielo, terra ed inferno. La mia intelligenza è lucida, il
mio occhio vede
chiaro, eppure appartengo alla Notte.
…
Sei un dio?
Sì.
Oh.
Già.
E
noi, Pecora, siamo nei guai.
Perché
continui a chiamarmi Pecora?
Come
perché? Perché sei una Pecora.
No,
non lo sono, dammi retta. Io mi chiamo Lily.
Non
mi
importa di come ti chiami, per me sei sempre una Pecora.
…
Allora,
dicevo: siamo nei guai. Quei patetici umani hanno inventato una
diavoleria che
cattura i Cosmi, poco fa ne ho percepito il malefico influsso nella
corazza di
quella feccia. Non posso materializzarmi.
Non
mi sarai d’aiuto?
Fisicamente
no.
Ma
tu sei l’armatura?
Sei
stupida? Ti ho detto che sono un dio!
Ah,
già…
Oh,
Padre Zeus… comunque non devi preoccuparti, io me la cavo
sempre.
Anch’io.
…
Beh?
…S-Sì.
Ad ogni modo, ho mandato una richiesta d’aiuto ad Athena,
tra fratelli ci si intende. Manderà qui alcuni dei suoi
dorati protettori,
anche il tuo amichetto, si è ripreso e sta arrivando.
E
mio fratello?
Dimenticalo,
è per sempre perduto.
Vuoi
dire che è morto?
Sì.
…Non
sento dolore…
È
la mia
anima che allontana il dolore dalla tua.
Oh.
Allora smettila, per piacere.
Non
se
ne parla, non mi piace per niente quando soffri e ti viene
l’asma.
Già,
non piace nemmeno a me.
Congelerò
il dolore per la morte di tuo fratello, e lo libererò solo
quando la tua psiche
sarà abbastanza solida da non rimanerne danneggiata. Ora sei
troppo fragile per
subire altri colpi.
Così
mi condanni ad un futuro di dolore. Lo sai, vero?
Tu
pensa
al presente, godine il fiore. Il frutto del domani, se qualcosa va
storto, non
potrai coglierlo.
Ma
perch…?
Taci,
ti
stai svegliando. Combatti per la dignità, Pecora, resisti
fino all’arrivo di
Athena. E ricorda: non sei sola.
Un
ringraziamento
particolare a ribrib20. Questo capitolo è tutto tuo.
Grazie
anche
a chi non ha smesso di seguirmi.
*Beso*
stan