Nota
Ecco
dunque, salve a tutti XD
Spero vi piaccia questa mia storia. So che è particolarmente
strana, un pò fuori dal normale e certe volte può
sembrare complessa, ma spero che voi mi possiate aiutare con le vostre
recensioni a migliorarla ogni capitolo di più. L'ho scritta
ispirandomi molto allo stile manga e di conseguenza ho immaginato i
personaggi disegnandoli. Magari poi più in là li
posto anche. Ogni capitolo (prologo e primo capitolo con lo stesso)
sono state scritte ascoltando una particolare canzone che mi ha
ispirato, che metterò ogni volta metterò
all'inizio del capitolo così potrete decidere di leggerlo o
meno ascoltando la canzone che ho segnalato oppure una vostra XD
Più che altro è perché molto spesso le
musiche danno riesco a far immaginare meglio le situazioni, e per farle
immaginare a voi come le ho pensate io, vi do questo piccolo input *-*
(L)
Track The Noose - A Perfect Circle
Per
il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia
Yu
Lunae
Prologo
I
miei occhi erano vitrei nel vuoto. Occhi grandi e ricolmi di
tristezza, ma privi di lacrime. Una tristezza senza sofferenza. Una
sofferenza suggerita da quei singhiozzi che si accrescevano alle mie
spalle. Quante contraddizioni distinguevo in ognuno dei loro pianti.
La mia matrigna al mio fianco, abbigliata di lussuosi abiti neri e
sontuosi gioielli, di ogni sorta, fingeva di frignare come una
bambina, tenendo stretto tra le sue dita, ricoperte da soffice
velluto nero, un fazzoletto in bianca seta. Era così
irritante ogni
suo gemito, teatralmente studiato prima di recarsi al capezzale del
mio povero padre. Ma io tacevo, perché di lei non mi
importava. Il
suo falso supplizio era ora, l'ultimo dei miei problemi. Al suo
fianco, la sua stessa figlia la emulava, inscenando una pena
bugiarda, verso quel corpo freddo e pallido, alla quale tenevo ancora
stretta la mano, con la speranza di poter scorgere in essa il solito,
vivido tepore.
Nei
miei occhi, limpidi come l'acqua di un mero ruscello,il disegno di
quella sottile linea senza curva alcuna, era più chiaro, che
sullo
stesso monitor, sulla quale si disegnava monotona. Nessun battito,
nessun respiro. In quel momento mio padre era definitivamente
deceduto.
Encefalogramma piatto.
Al
suono ininterrotto, che confermava la sua morte, quelle due
insopportabili donne, cominciarono ad aumentare il ritmo delle
lacrime, sature di menzogna. Spostai lo sguardo verso il volto
rilassato di lui e questo mi bastò per trattenere il dolore.
Sulla
mascherina dell'ossigeno, ormai limpida e trasparente, cominciavo a
vedere i flash dei fotografi, di chissà quanti quotidiani e
telegiornali.
Strinsi
le lenzuola con rabbia e riposi il capo nell'incavo delle braccia
incrociate. Non piangevo. Volevo solo attutire quel frastuono.
Nonostante amassi mio padre, non nutrivo legami profondi con nessuna
altra mia conoscenza. Non mi ero mai innamorata. Non avevo un'amica o
un amico più importante degli altri. Mi sentivo priva di
emozioni,
perché l'unica persona che avevo amato, mi era stata portata
via,
quando ancora era un candido bocciolo di loto dormiente. E con
sé si
portò via ogni mia emozione, lasciandomi vivere, con il
cuore
stretto in una morsa di eterno sconforto. Mia madre, Venusia.
Un
sospiro mi accarezzò il collo, sottile, delicato. Alle mie
orecchie
giunse scandito, il mio nome. Eveline. Alzai appena il capo e mi
guardai attorno. Tutti erano in silenzio e solo il fischio
persistente e assordante, interrompeva continuo quell'oblio.
Eppure
qualcuno ripeteva il mio nome. Ancora e ancora. Una voce sempre
più
debole. Una voce che sembrava provenire da ogni angolo della stanza.
Mi alzai in piedi, perpetuando la medesima espressione di qualche
attimo prima, lasciando che la sua mano, stanca ed esente di vita,
ricadesse sul morbido lenzuolo, niveo, proprio come la sua pelle.
Avanzai
di alcuni passi, scansando i fotografi e i giornalisti, venuti
apposta per assistere alla morte di un importante archeologo, che
durante la sua breve vita, aveva fatto scoperte colossali. Contenti
ma celati loro, del nuovo scoop che stava per sconvolgere le loro
vite, povere di valori e rispetto. Io invece non ero affatto lieta
della loro presenza.
Cercavo
la fonte di quella voce, osservandomi attorno, ed estraniandomi dai
rumori alternativi. Ma il suono mai interrotto di quel monitor
maledetto, interrompeva le sue parole. Non riuscivo a comprenderle,
non riuscivo a distinguerle.
Quando
non riuscii più ad udire verso alcuno, sentii pervadere il
mio
corpo, da un freddo piacevole. Un brivido sconosciuto che fuggiva
lungo la mia pelle.
Accadde tutto in pochi secondi.
Una
lunga corda di un azzurro macabro e spento mi si parò
davanti. Ma
non era davanti a me. Lei mi stava... attraversando.
Non
capivo come fosse possibile, ma capivo che il freddo proveniva dalla
zona in cui la corda attraversava il mio corpo vivo. Non sentivo
più
il sangue scorrere. Non sentivo il mio cuore battere. Non riuscivo a
ragionare lucidamente. E' per quello che non volevo credere a
ciò
che i miei occhi mi mostrarono quel giorno. L'apice della fredda e
immateriale catena, proveniva dal petto del cadavere di mio padre, e
proseguiva, attraversando il mio corpo, oltre di esso, alle mie
spalle. Riuscivo solo ora a chiarire la direzione di quelle parole e
quei lemmi stessi:
«Infrangi il legame, Eveline. Lascia andare lo spettro.»
Erano così chiare ora le parole, ma meno chiaro era il loro significato. Poi ancora, quella voce familiare ripeteva il mio nome. Eve. Ed ancora una volta, la direzione tornava ambigua.
Man mano che la voce si faceva lontana, i miei occhi si spegnevano e tutto ciò che vidi dopo, non furono altro che profonde tenebre.