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Autore: Elyador    14/04/2010    1 recensioni
« L’Irlanda era lei, erano loro, era una creatura a cui doveva nome e spirito. »
Un ricordo, una promessa. La scoperta del fascino insito a una terra meravigliosa.
Un racconto scritto dopo aver letto un tema interessante per un Concorso. Anche se non saprei cosa consigliare per la sua lettura.. Just, Enjoy it.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Around the World - Maybe'
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Riveduta, corretta, sistemata. Ecco la nuova versione di questo racconto. Enjoy :D [N.d.Elyador - 30.04.'12]

 

 

The Promise


Totalmente fradicia, chiuse gli occhi all’ennesima sferzata di pioggia e vento che l’andava a colpire. Si obbligò in piedi sullo scoglio, in equilibrio, spalancando le braccia.
La sola forza dell’aria le dava la stabilità che le serviva, sospesa sopra l’oceano.

 

Erinn non aveva compiuto i 21 anni prima che il padre la lasciasse. L’unica sua famiglia era rappresentata da quello scrittore, che fatalmente aveva deciso di scivolare nell’altro mondo lo stesso giorno scelto dalla consorte 20 anni prima. Era adulta e vaccinata, ma colpi simili son duri. Ciononostante, finì l’università a pieni voti, lavorando part-time (pur con l’eredità). Tutto in attesa del momento in cui avrebbe lasciato il borgo natio. Quel posto aveva ricordi importanti, ma la necessità del viaggio urgeva da quando il letto di morte del padre si era raffreddato, facendo emergere una vecchia promessa.

-    Papà..Perché Erinn?
-    Il tuo nome? Un riadattamento di Eirinn, presumo. L’ha scelto mamma.
-    E che vuol dire? Non è italiano.
-    No, tesoro. È l’antico nome dell’Irlanda, la terra da cui vengono i miei racconti. Io e tua madre l’amavamo tanto...
-    Ah. E perché non ci siamo mai andati, io e te?
Lui osservò i ritratti sul comò, ricordi ingialliti dal tempo. Un’immagine femminile troneggiava.
-    Perché ho promesso a tua madre, da giovane, che l’avrei esplorata solo con lei. Vecchie storie, amore.
-    Ma perché non ci torni lo stesso?? Io fingo di essere la mamma!
-    Magari, tesoro.. Ma tranquilla, quando la rivedremo, ti prometto che ci andremo, tutti e tre.
Si alzò dal lettino della bimba, il cui viso si rilassò, paffuto di ingenuità e tenerezza.
-    Sì, ci andremo. Tanto, voliamo tutti dov’è andata mamma, no?
-    In qualche modo. ‘Notte, e sogni d’oro.


Aspettare di andare all’altro mondo per una promessa non era nei suoi piani, col senno di poi. Ma siccome credeva che le anime dei suoi fossero ricongiunte, e potessero toccare, sentire la sua, volle partire da sola.
La paura folle del volo, però, la costrinse a scegliere un itinerario alternativo.
Si portò dietro lo stretto necessario, una consistente risorsa economica e un oggetto caro a ciascun genitore: una spilla, un trifoglio smeraldo, presa da sua madre nel viaggio di nozze irlandese; l’album di suo padre, una sorta di diario di Viaggio colmo di foto e annotazioni sulle visite della coppia sull’Isola Verde.

Raggiungere il confine per la Francia non fu difficile. Il treno non si sarebbe dovuto fermare prima di Nizza, da cui lei sarebbe proseguita per Parigi via Treno-notte. In teoria. In pratica, il servizio trasporti in Francia era stato soppresso da uno sciopero generale di due giorni.
- Quando mai m’è venuta la fobia dell’aereo.. – sospirò Erinn, scendendo a Nizza dopo due cambi. Niente autobus, niente taxi. Tutti beatamente in protesta.
Solo bar e trattorie dai profumi invitanti e terribilmente francesi. Si fermò ad uno.
- Garçon!– fece segno a un cameriere, accomodandosi. Ringraziando Dio, masticava bene le lingue, oltre che il buon cibo. Avrebbe dovuto trovare una soluzione per la notte.  Aveva scelto di improvvisare i pernottamenti, almeno dopo i primi due giorni, in cui avrebbe potuto dormire sui mezzi. Sospirò tra sé, pasticciando l’avanzo del dolce che le avevano portato. Abbondante, ma delizioso.
– Per un piccolo bar, non è affatto male. – commentò.
- Mercì, Mademoiselle. Troppo gentile. – fece eco il cameriere.
- Ah, parli italiano?
- Me la cavo. Siamo di confine, meglio star pronti! – il giovane sorrise.
- E te la cavi bene. Il tuo nome? – domandò, porgendogli le stoviglie.
- Pierre. – Più stereotipato di così non si può.. Pensò lei – Di passaggio o in soggiorno, signorina..?
- Erinn. Di passaggio, spero. A quest’ora dovevo già esser verso Parigi.
- Nome strano. Viaggio verso la capitale?
- No, per l’Irlanda.
- Un po’ fuori percorso. – sembrò accigliarsi.
- Neanche tanto. Dell’aereo non mi fido, ma da ora diffiderò pure dei treni francesi.
- Colpa dello sciopero. Se serve un posto notte, Pierre è qui. – le fece l’occhiolino.
- Se Pierre ha da propormi una camera assolutamente singola, ben venga. – affermò lei; il ragazzo rise, portando al banco il piatto.
- C’è una pensione, in fondo alla via. Ha una bella vista e camere comode.
- Ti ringrazio.- sorrise, porgendogli prezzo e mancia prima di andare.
Riguardo alla pensione, dovette dar ragione al ragazzo. Riposò divinamente. E per fortuna, i sindacati francesi avevano trovato un compromesso col governo tanto da ristabilire i trasporti a lunga tratta il giorno dopo.

Mezza giornata, altri volti, altri ricordi, per raggiungere la stazione di Parigi. Un altro cambio, e sarebbe ripartita per il porto di Cherbourg, da cui sarebbe salpato qualche traghetto per Rosslare, vicino a Wexford. Incontrò parecchia gente con la sua stessa meta. Tra tutti, c’era una vecchia coppia spagnola che voleva viaggiare alla “vecchia maniera”.
- Cosa visiterai in Irlanda, cara? – domandò la signora, dal profumo acre d’incenso.
Una questione critica. Non aveva ancora deciso nulla. Certo, aveva preso in maggior considerazione la capitale, Dublino, come la west coast. Ma dove si sarebbe diretta, una volta sbarcata?
- Ecco.. Sto ancora definendo tutto, non.. non saprei.
- Un viaggio allo sbaraglio! – la canzonò il vecchio, scuotendo la testa.
- Non lo badare, è fissato con l’organizzazione. Un ex ingegnere e un uomo pignolo, brutta accoppiata in una persona. – ridacchiò, iniziando a prodigarsi in consigli per il tragitto. Erinn le diede corda, ma doveva far mente locale da sé per capire che fare.
I minuti di traghetto, pochi rispetto a quel che si aspettava, non la aiutarono a chiarire. Rilesse gli appunti di suo padre nell’album; una parte era dedicata a Dublino, mentre poco più avanti c’erano le contee dell’ovest, descritte come “qualcosa di profondamente intenso e significativo” (testuali parole).
- Eh? – le sfuggì ad alta voce, attirando delle occhiate. Che razza di appunto era??
- Scrittori.. – brontolò, riponendo il libretto.
Che le avessero affibbiato l’antico nome di un’isola, pur variato, poteva starci. Che le fosse stata decantata per una vita l’Irlanda, pure. Ma leggere una roba simile e pretendere di cavarci qualcosa.. Erano impressioni? Autosuggestioni? Vere sensazioni non descrivibili?
Improvvisamente, tutto quel percorso, ebbene sì, le parve “allo sbaraglio”; forse aveva ragione il vecchio. Era stata così imprudente e impulsiva? Eppure, da due anni non aspettava altro.

La nave attraccò a Rosslare prima che si potesse dare una risposta. Erinn inspirò profondamente l’aria salmastra del mare. Una zaffata di aria pungente le colpì il viso, unica parte scoperta oltre alle mani. Freddo. E stava iniziando a piovere. Bell’inizio. Ma il clima irlandese era particolarmente capriccioso, non c’era da stupirsi granché.
Prese un bus per Wexford, dove trovò alloggio in un ostello comodo. Ma non chiuse occhio, non riuscendo a soffocare quei dubbi. Verso le tre, riprese in mano il diario di bordo, sgattaiolando in corridoio per leggere senza disturbare l’intero dormitorio. Doveva trovare qualche altra dritta, almeno per capire dove dirigersi. Notò che più volte veniva proposta Galway, più dintorni. Dopo aver rimuginato un pezzo, fissò come primo obiettivo raggiungere il faro dell’Ovest. A Dublino ci avrebbe pensato più avanti. Prima di tutto, doveva capire. Doveva riuscire a cogliere quello che c’era di tanto amabile in quel posto. Certo, il calore della gente compensava la freddezza dell’impatto, ma non poteva esser solo quello.
Non poteva essere solo per l’importanza che aveva avuto nella loro relazione che i suoi genitori vi fossero così legati. Suo padre l’avrebbe portata là per commemorare la madre, in tal caso. Ma quel viaggio a lui così caro non l’avevano percorso assieme. Poteva davvero convincersi del fatto di portare con sé il ricordo, lo spirito del padre e della madre?

Dormì molto poco, ma ripartì instancabile alla mattina. Prese un bus a lunga tratta, che attraversò le contee di Wexford, Kilkenny, Waterford e Cork nel sud dell’Isola, prima di risalire l’Ovest, tra Limerick, il Clare e, finalmente, la zona di Galway. Ebbe modo di rilassarsi, grazie al paesaggio, anche se in certi momenti ebbe l’impressione di essere nel bel mezzo del nulla; colline verdi, illuminate dal sole poco prima di una shower, con pecore e bestiame vario dall’aria indifferente. Non un’anima, al di fuori delle cittadine. Non era abituata a una tale dispersione di popolazione.
Avvicinandosi a Galway il panorama mutava in marittimo, nel senso nordico del termine: spiagge rocciose, mare profondo, scogliere – modeste attorno alla città.
Vi arrivò nel primo pomeriggio, con un appetito che le fece scoprire, imbucato, un buon locale tipico, noto solo agli abitanti. Zuppa e stufato deliziosi, come la musica e la gente. Per la prima volta da mesi, viveva di una serenità quasi dimenticata. Si lasciò andare tra i gomitoli di strade, osservando costruzioni, mercatini e artisti di strada: incrociò un prestigiatore, un gruppetto d’archi e chitarre a fianco delle statue di Oscar Wilde e Eduard Vilde. Parlò piacevolmente con la proprietaria di un banco di articoli mistici, che le accennò a come Galway fosse ritenuta la culla della tradizione culturale gaelico-irlandese, musica innanzitutto. Non un artista di strada era trascurato, se aveva talento.
Quella città non dava aria di essere la più importante e frequentata città della West Side, con i suoi colori pastello, le case a misura d’uomo, la grande tradizione e i costumi vivi e reali. E una miriade di chiesette, notò.
Si accasò in un Bed & Breakfast non lontano dalla cattedrale, risalendo il fiume, che andava poi a gettarsi nell’Oceano.
Le passò per la testa quella parola: Oceano. Non aveva mai avuto modo di vederlo. Anni prima aveva passato mezza Europa, ma senza mai spingersi troppo oltre, vuoi anche per la paura dell’aereo. Tra l’altro, non si era più mossa dalla morte del padre, se non per lavorare o studiare.
In ogni caso, vedere l’Oceano aperto poteva essere buona cosa, come anche visitare le isole Aran, di fronte alla costa. Si sarebbe fermata a Galway per un po’, spostandosi nella Contea via bus e, perché no, a piedi. Prese le vettovaglie in un market, preparando una buona porzione di pasta. Nell’album c’era segnato Inverin come luogo dove “far esperienza della solitudine”. Altra favolosa nota. Tanto valeva..

Prese il primo autobus per Inverin, scendendo in un minuscolo centro abitato. Camminò, quanto non lo seppe dire, ma ci volle un pezzo perché ammettesse che oltre alle casette non c’era altro di particolare. L’“Esperienza della solitudine” evidentemente constava nel trovarsi in una zona desertica sassosa, giust’appena con qualche bestia, in una giornata uggiosa, a 100 metri dal mare.
No. Dall’Oceano. Si fermò su una stradina che tagliava i campi, appena il pensiero la fulminò. Alcune gocce iniziarono a scendere. Si limitò a tirar su il cappuccio.
Andò a fronteggiare l’oceano. In balia di vento e pioggia, scalò i bassi scogli, visibili nella bassa marea, per provare l’ebbrezza di aria ed acqua. Spalancò le braccia, assaporando ogni schiaffo d’aria sulla faccia e sul corpo. Fin da quando era sbarcata, ogni cosa pareva essere svanita nel confronto con l’Isola del Vento, che prepotentemente si era fatta largo fra i suoi dubbi, contraddittoria, magia irrequieta che si insinuava con dolcezza e forza tra le viscere. “Intenso e Significativo”. Parole anomale. Ma come descrivere l’esperienza dei sensi che la coinvolgeva? Era il segreto di quella terra, che prende e porta via, che si prende i propri amanti come il vento della pioggia, ancora viva di druidi e folletti, in un’eterna sinfonia di musica agli angoli delle strade. Autosuggestione o meno, sentì intrise nell’aria due presenze che sapevano di antico e vicino, come se mai l’avessero lasciata.
L’Irlanda era lei, erano loro, era una creatura a cui doveva nome e spirito.
Non doveva aspettare di andarsene a sua volta per quella promessa. Quel viaggio l’avevano già compiuto, tre anime in un'unica entità.

  
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