II
Gli esseri
umani aveva così tanta fretta. C’era chi portava
al guinzaglio un cane. Chi
parlava nervosamente con un apparecchio elettronico attaccato
all’orecchio. Chi
mangiava in maniera indecente un panino. Chi camminava con lo sguardo
fisso per
terra, chi si teneva per mano.
Tutta
spazzatura, secondo Ulquiorra. Nessuno con una forza spirituale degna
d’attenzione, almeno fino a quel momento. Osservava con
attenzione tutto e
tutti, con uno sguardo vuoto e senza espressione. Si slacciò
di poco la giacca
candida, mettendo in “mostra” un buco appena sotto
il collo. Il minimo di
sensibilità che aveva nel distinguere caldo e freddo si
stava facendo sentire.
Forse era tutto quel via vai di gente a dargli caldo, un senso di
oppressione
che non gli apparteneva, o almeno credeva così. Karakura non
era paragonabile a
quella città, che si chiamava Seattle. La lingua, il cibo,
il modo di fare
delle persone. I giapponesi non erano così rumorosi.
Dopo aver
dato una perlustrazione per le vie principali, decise che era il caso
di
guardare gli interni. Quel posto chiamato bar, ad esempio. Notava molta
gente
che entrava e usciva.
L’arredamento
era quasi interamente di legno, luci soffuse, tavoli eleganti messi
affianco a
grandi finestre linde. C’era tantissima gente, gran parte
appoggiati a un lungo
tavolo che doveva essere il bancone, dove un signore in grembiule stava
servendo dei bicchieri ricolmi di liquido giallognolo e schiuma. Alcuni
tavoli
erano occupati, e delle ragazze vestite in maniera uguale, camicetta a
righe e
grembiule, portavano vassoi ricolmi di schifezze, di spazzatura. Come
tutte
quelle persone.
Lanciò uno
sguardo glaciale verso tutti, Ulquiorra, per poi addentrarsi in quel
mondo
sconosciuto, di cui gli importava poco e niente.
Ed ecco.
Un passo.
Un altro.
Qualcosa
aveva attirato la sua attenzione. Un enorme potere spirituale che
veniva dal
fondo della grande sala.
Fece un
altro passo verso quella direzione. Quella forza restava ferma
lì, non
diminuiva che cresceva. Tutt’altra cosa rispetto a Ichigo
Kurosaki, un dio
della morte, uno shinigami inesperto, ancora insufficiente. Quel tale
aveva un
potere altalenante, prima sembrava sfoderare chissà cosa e
poi si mostrava una
nullità. Quando lo incontrò, con Yami,
pensò che non era il caso ucciderlo,
anche perché la sua missione richiedeva solo di trovarlo e
cercare informazioni
dettagliate su di lui. In futuro, forse, sarebbe stato utile alla causa
di
Aizen, o sarebbe stato degno di essere ucciso. Ad Ulquiorra non
importava
niente se viveva o moriva.
Proseguì
fino ad arrivare all’ultimo tavolo, dove si sedevano due
ragazze. Una girava il
cucchiaio nella tazza da tè con indifferenza, mentre
ascoltava passivamente la
sua compagna tutta presa a raccontare qualcosa e gesticolare.
Ulquiorra
si appartò, nascosto tra la folla. Se quella ragazza aveva
un così grande
potere, era molto probabile che riuscisse a vedere gli spiriti e le
persone
come lui.
La osservò
per tutto il tempo. Era una ragazza dalla corporatura normale, vestita
in abiti
leggeri, i capelli raccolti distrattamente da una coda tenuta ferma con
una
cosa simile a una matita. Chiacchierava con la sua amica, di tante
cose, a cui
l’Arrancar non diede credito. A volte aveva la sensazione che
quella ragazza lo
guardasse. Rivolgeva la testa verso la sua direzione, in certi momenti
sembrava
inquieta. Ulquiorra ne intuì che era una ragazza molto
acuta, per accorgersi
della sua presenza nonostante quella confusione.
La seguì a
distanza quando uscì dal bar, anche quando saluto
l’altra ragazza a metà
strada, anche quando entrava in qualche altro posto. Fino a pochi metri
da
casa.
Aizen
sarebbe stato molto soddisfatto. L’ideale sarebbe stato
avvicinarla, ma era
meglio attendere ordini.
Ora
sentiva una certa fame. non quella comune fame da umani. Voleva qualche
anima.
Abbandonò momentaneamente quella curiosa ragazza per
cercarsi qualcosa con cui
sfamarsi. Qualche pesce piccolo, spiriti qualunque che vagavano senza
ragione.
Cose da niente, che neanche soddisfavano appieno il gusto, ma dovette
accontentarsi.
Passarono
in fretta quindici giorni, passati a pedinare costantemente quella
ragazza, che
la mattina andava in un comune liceo, tornava a casa, pranzava, restava
in
camera sua a studiare, per poi uscire. C’erano altre tre
persone che vivevano
con lei, dovevano essere i genitori e il fratellino, un marmocchio di
circa
cinque o sei anni in cui però Ulquiorra aveva individuato
una certa forza
spirituale. Certo, nulla in confronto a quella ragazza, che aveva un
potere
immutato da quando l’aveva vista la prima volta. Doveva avere
un autocontrollo
eccezionale, o forse non si rendeva pienamente conto di cosa aveva. In
fin dei
conti, aveva mai visto sul serio uno spirito? Credeva a cose come
fantasmi e
shinigami? Se lui si fosse mostrato a lei, così
com’era, si sarebbe messa a
urlare o avrebbe accettato la sua presenza come niente fosse? Queste
furono
alcune delle ragioni per cui Ulquiorra attese di fare rapporto prima di
agire.
Tornò alla
sua base, Nell’Hueco Mundo, creandosi un varco ed entrandoci
dentro, lasciando
che il tutto si richiudesse dietro le sue spalle. Un modo comodo e
veloce per
andare e venire dal mondo degli umani.
« Aizen…
» disse con voce bassa « Sono tornato per fare
rapporto. »
«
Bentornato, Ulquiorra. » Aizen era sempre là,
seduto sul suo trono, con una
mano poggiata sul mento. Sorrideva compiaciuto. « Come ti sei
trovato a
Seattle? »
« C’è
molta confusione, ma riesco a procedere senza intoppi. »
« Allora
fammi vedere, Ulquiorra… Mostrami tutto ciò che
hai visto e saputo. »
« Sì,
signore. » detto ciò Ulquiorra si prese
l’occhio sinistro, cavandoselo senza
alcun lamento o fatica. Ora l’occhio dall’iride di
un verde puro era poggiata
sul palmo della sua mano, che si chiudeva in un pugno sempre
più forte, fino a
schiacciarlo completamente e sgretolandolo in granellini che orbitarono
verso
Aizen, il quale, ad occhi chiusi, era pronto a ricevere informazioni.
Era il
classico metodo che Ulquiorra usava per trasmettere informazioni a
tutti, senza
doversi dilungare in spiegazioni e senza il rischio di tralasciare
nulla. I
suoi occhi potevano vedere tutto, immagazzinare tutto. Anche per questo
Aizen
lo trattava con un po’ di riguardo.
«
Capisco… E’ tutto molto interessante. »
disse Aizen alla fine « Sei riuscito a
sapere altro su questa donna? »
« Il
nome. Il suo nome è Wendy Stephenson. »
« Ottimo
lavoro, Ulquiorra. Non ci resta che avvicinarla ora. »
«
Preferisco andare cauto su questo punto. Non ho ancora avuto occasione
di
confermare se questa donna sia consapevole del suo potenziale o no.
Vorrei
avvicinarmi a lei, ma cautamente. Far capire il meno possibile la mia
natura. »
Aizen
restò un po’ interdetto, ma poi fece una risata
genuina. « Tu e la tua
attenzione maniacale! Ma hai ragione, è meglio andarci coi
piedi di piombo.
Vorrà dire che ti mischierai con la civiltà
umana. Ti daremo un corpo in grado
di essere visto e toccato da tutti, un gigai, proprio come gli
shinigami. Per
fortuna, però, non dovrai ingoiare strane pasticche da un
contenitore a
coniglietto per tornare ad essere un Arrancar. »
sospirò, gongolandosi nei suoi
successi « A quanto pare i nostri studi fanno passi da
gigante… Comunque,
Ulquiorra, questo è quanto. Usa pure il metodo che
preferisci per avvicinarla.
Ora vai pure, Espada numero quattro. »
«
Grazie. »
Aizen
aveva ragione, le ricerche fatte fino ad allora avevano dato frutti
molto
buoni: il gigai in cui si trovava ora il giovane Arrancar era molto
diverso da quello
degli shinigami. Niente pasticche, niente restrizioni, solo un
contenitore
fatto su misura. Era esattamente come prima, salvo la
visibilità e un po’ il
fisico. Non aveva righe nette che segnavano le guance, e nessun teschio
spaccato a metà a coprirgli parte del capo. Aveva ancora con
sé la sua spada,
però, che poteva usare quando preferiva.
Ora era
pronto per svolgere al meglio il suo incarico.
E forse
non sarebbe finita con quella ragazza.
C’era un
altro potere degno di nota, nell’aria, che però
sparì dopo pochi secondi.
Era
stata solo un’impressione di Ulquiorra?