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Autore: Melitot Proud Eye    15/08/2005    7 recensioni
Parigi. Una tranquilla festicciola a Palazzo Boringer. E poi? Le gabbie aperte! Seguite Andrew, Gianni, Olivier e Ralph nella vertiginosa fuga dai Tre Mostri! "E' brutto avere dei managers annoiati in famiglia..."
Genere: Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andrew McGregor, Gianni, Oliver, Ralph Jurges
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’autrice: salve a tutti ^^ sono veramente contenta di aver ricevuto dei commenti. Sono solo cinque, ma è un inizio, è un inizio! Scusate per la piccola scenata dell’altra volta ^^; me ne vergogno un po’, ma si vedono in giro talmente tante storie senza recensioni, mentre altre ne han centinaia… in questo senso mi sto impegnando anch’io: cerco di recensire il più possibile e il più obiettivamente possibile. Sto anche pensando di mettermi nel Gruppo Recensori, sapete?

Comunque, ecco qui le risposte ai miei commentatori:

Mazer – sì, mi ricordavo di te! Sei stata una delle mie preferite ;-) in ogni caso grazie per esserti fatta sentire, è sempre un piacere. Le tue parole son davvero lusinghiere – attenta, potrei contrarre dipendenza XD Tra l’altro ho fatto un salto alla tua EFP page; scrivi molto bene, ma ahimè, lo yaoi proprio non è il mio genere --_o quindi non mi sono addentrata oltre. Sorry!

Spero di sentirti presto. Ps: a proposito, grazie anche per la recensione su “Quel mondo là fuori”! Presto posterò un altro capitolo *hint hint*

Driger – sono contenta che il mio stile ti piaccia. A dire il vero, quello di “Chi ha detto che mi voglio sposare?!” è il più brioso che mi sia mai uscito dalla penna… forse dovrei scrivere solo fic comiche, perché mi vengon fuori battute su battute (almeno, a me sembra così ^^;), ma mi piacciono troppo le atmosfere drammatiche! Con “Quel mondo là fuori” ne avete già avuto un piccolo assaggio. *hint hint*

^^; Grazie ancora!

Nicla – anch’io penso che non ce ne siano abbastanza sugli European Dream! In inglese, su Fanfiction.net, ce ne sono un po’, ma vanno molto spesso sullo yaoi e, come dicevo a Mazer, quello non è proprio il mio genere… Grazie mille anche a te ^^

Mewsana davvero pensi che il mio umorismo sia sofisticato? °_° Wow, grazie ^^ a me sembra di sparare delle gran stupidaggini XD Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento!

Meereky02 – grazie anche a te per i complimenti ^//^ mi han fatto un sacco piacere.

Mazer, Driger, Nicla, Mewsana e Meereky02 , questo capitolo è dedicato a voi!

…e anche a tutti coloro che hanno letto ma non hanno voluto/potuto lasciare due righe. Avanti, mes amours! Vi sto aspettando, commentate! =3

Buona lettura

 

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_______Chi ha detto che mi voglio sposare?!

 

by Melitot Proud Eye

 

 

 

 

 

 

II

“Fuga dal dirigibile”

 

 

 

Andrew crollò contro i sedili del dirigibile, drenato d’ogni energia. Non poteva credere alle sue orecchie.

‹‹Non posso credere di aver perso.››

Gianni sedeva immobile, con spalle curve, braccia conserte e gli occhi coperti dai ciuffi biondi. L’altro guardò bene.

Per scoprire che stava sogghignando.

‹‹Non abbiamo perso.››

Andrew inarcò le sopracciglia e vide nei suoi occhi uno strano scintillio, lo stesso che una volta aveva visto in una volpe.

‹‹Cosa penseresti di fare?›› brontolò, ‹‹Siamo controllati a vista. Quel maledetto maggiordomo è passato dalla parte del diavolo.››

‹‹Non lo si può corrompere?››

‹‹Dubito.››

‹‹No, infatti. Attirerebbe soltanto l’attenzione sulle nostre intenzioni.››

‹‹E quali sarebbero le nostre intenzioni?››

Gianni si piegò in avanti, con fare aggressivo e cospiratore.

‹‹Scappare.››

Di punto in bianco, Andrew si sentì sveglio. Specchiò la sua mossa e abbassò la voce.

‹‹Hai un piano? Uno vero?››

‹‹Mi è venuto in mente quando il cameriere ha riposto il telefono a video. Hai notato vicino a cosa è passato?››

L’inglese scrutò il soffitto, facendo mente locale.

‹‹L’uscita di emergenza.››

‹‹Già. E cosa c’è dopo quella porta?››

Un’altra pausa. ‹‹Beh, c’è una scaletta. Una scaletta che porta a…›› fissò l’amico, senza nascondere un sorriso. ‹‹Ma certo! All’aeroplano!››

Una scarica di eccitazione li attraversò da parte a parte. Poi però, esaurita l’euforia della scoperta, venne a galla un problema. Tipico.

‹‹Sì, ma come ci arriviamo? Non possiamo mica aprire la porta, scendere e partire. Finiremo legati.››

‹‹Senti, Drew. Ordini o no, c’è un posto dove i maggiordomi non ci seguiranno mai›› l’altro corrugò la fronte. ‹‹Il bagno. Conoscono i limiti, e anche che, se torneremo nelle grazie dei nostri genitori, gliela faremo pagare cara già per il resto. E poi, di solito i bagni sono innocui.››

‹‹Perché, questo non lo è?››

L’italiano scosse la testa, mentre i suoi occhi bruciavano come quelli di Amphisphena.

‹‹Olivier mi ha detto in gran segreto che, il mese scorso, ha fatto qualche piccola interessante modifica. Credo che sentisse inconsciamente puzza di rogne. Diavolo, coi genitori che si ritrova! Ora c’è una botola segreta, sul dirigibile. Una botola che ci condurrà direttamente all’esterno, vicino alla scaletta di emergenza. E di lì…››

‹‹All’aeroplano.››

‹‹Esatto.››

‹‹Com’è che non l’ha detto anche a me?››

‹‹Ah… avrei dovuto farlo io›› sorrise Gianni, grattandosi la nuca.

‹‹…adesso è chiaro.››

Sorseggiarono il caffè, ultimo atto di una colazione che non avrebbero dimenticato facilmente. Andrew parve trovare un ultimo intoppo.

‹‹Toglimi una curiosità. Hai pensato a come entrare entrambi in bagno senza destare sospetti? Anche se ci andiamo in tempi diversi, noteranno.››

Gianni cadde dalle nuvole.

‹‹E’ vero.››

‹‹Io dico di fingere un malore.››

‹‹Che tipo di malore?››

‹‹Ricordi i croissant che ci hanno propinato stamattina?››

‹‹Come dimenticarli. Dirò due paroline ad Olivier, appena lo rivediamo.››

‹‹Non lo farai, invece, perché ci ha dato la scusa perfetta per star male e correre in bagno a vomitare.››

‹‹Wow. Certo che ci fa dei favori inimitabili.››

‹‹Piantala. Il sarcasmo lascialo a me.››

‹‹Permaloso›› rimbeccò l’altro, sottovoce.

Fissarono l’orologio di bordo, che segnava le undici e un minuto. Erano in viaggio da quasi sei ore. Ormai la Manica non doveva essere lontana. Certezza di questo arrivò col continuo chiacchiericcio del secondo pilota, che indicava animatamente le Fiandre.

‹‹Bene›› mormorò Andrew, incrociando lo sguardo di Gianni. ‹‹Da qui, con l’aereo ci metteremo molto meno di quanto abbiamo fatto col dirigibile. Arriveremo comodamente prima del tramonto.››

‹‹Andiamo.››

E, trattenendo il fiato per sbiancare, caracollarono verso la toilette, le mani premute sulla bocca.

‹‹Che succede, signorini?!›› esclamò il maggiordomo. Gli sbatterono la porta in faccia. ‹‹Signorini! Signorini!››

Andrew chiuse la porta a chiave, mentre Gianni dava prova di grande talento imitando alla perfezione il rumore di uno che rivede la propria colazione.

‹‹Quelle brioches!›› gemette, sperando di non scoppiare a ridere. ‹‹Ah, lo sapevo che erano andate a male! Aah!››

‹‹Mio Dio›› boccheggiò il maggiordomo, ‹‹mio Dio! Tenete duro, corro a prendere le aspirine!››

‹‹O magari un digestivo?›› commentò Gianni, rialzandosi, quando lo sentirono allontanarsi. ‹‹Un giorno o l’altro quell’uomo sarà la nostra morte, giuro.››

Andrew, che aveva cercato dappertutto, gli rivolse un’occhiata severa. Si stava piuttosto stretti lì dentro, perché il cubicolo era stato progettato – a ragione, direi – per ospitare una persona alla volta.

‹‹Allora? Dov’è quella maledetta botola?››

‹‹Solo un momento.››

L’italiano si accucciò e prese a tastare il pavimento, disegnando i più strani percorsi con le dita. Andrew pestò il piede.

‹‹Possibilmente prima che soffochiamo in questo buco!››

‹‹Hey, calmati›› rispose Gianni, guardando su. ‹‹Nemmeno io mi sto divertendo. Ah, eccola!››

Sollevarono un pannello, scoprendo un quadrato di cielo.

Gianni deglutì.

‹‹Non mi aveva detto che era così.››

‹‹Come pensavi che fosse? Guardiamo se ci sono delle funi di sicurezza›› suggerì Andrew, piegandosi e sbirciando di sotto. L’amico rifiutò di guardare. ‹‹Accidenti, non ce ne sono.››

‹‹Quello svampito di Vier avrà dimenticato di finire il lavoro.››

‹‹Aspetta. Ho visto… sì, scanalature!››

‹‹Oh, beh, è fantastico›› rispose l’italiano, sedendosi in un angolo. ‹‹Sì, vai giù senza guanti e funi di sicurezza. Io aspetterò qui, per dare l’allarme e riferire ai tuoi genitori come sfortunatamente sei precipitato sul tuo piatto sedere nella terra delle Fiandre.››

Era sul punto di aggiungere “Proprio la terra che ha prodotto e produce i tuoi pannolini”, quando l’altro lo tirò verso l’apertura, facendogli emettere un grido.

‹‹Ascolta, playboy. Se ci tieni ad una futura, lunga, libera vita sentimentale, ebbene, allora dovrai seguirmi. O forse hai scordato chi aspetta in Inghilterra il mio perfetto fondoschiena, e il tuo?››

Gianni parve in preda ad una crisi profonda. A cosa teneva di più? Alla vita, o alla libertà? Era un quesito filosofico. Provate voi a risolverlo in trenta secondi!

‹‹Non abbiamo le funi›› proseguì Andrew. ‹‹Ma possiamo aiutarci a vicenda

‹‹Ok. E’ la prova: sei fuori di testa.››

‹‹Non riesco a vedere il problema.››

L’italiano sputò una risata nervosa, non del tutto sicuro se si parlava seriamente.

‹‹Non riesci? Non riesci a vedere il problema? Cavoli, Andrew! Da quando siamo campioni di freeclimbing?!››

‹‹A dire la verità, l’anno scorso ho conseguito il secondo posto nazionale. Avanti. Abbi un minimo di fiducia. Con l’aiuto delle scanalature arriveremo alla scaletta dell’aereo, che è più sicura. Basterà che tu…››

‹‹Signorini! Signorini, come state? Per l’amor del cielo›› gridò la voce del maggiordomo.

Entrambi sobbalzarono. Accidenti, si erano dimenticati di quello scocciatore. Gianni tornò ai suoi gemiti, cosa che, visto e considerato l’immediato futuro, non gli riuscì troppo difficile.

‹‹Non ti preoccupare›› rispose Andrew, con voce soffocata. Era sul ciglio della botola e più che cercare di guadagnar tempo, cercava di guadagnar coraggio. Inspira. Espira. ‹‹Ora non possiamo uscire… c’è… c’è sporco dappertutto e…›› ed era la prima volta che gli mancava il fiato.

‹‹Siamo ancora nel pieno della battaglia‹‹ finì Gianni per lui, strozzato. Aveva capito cosa intendeva fare.

E’ una pazzia! Pensò, abbrancando il braccio dell’amico. ‹‹Vuoi davvero ammazzarti?!››

Fuori, il maggiordomo supplicava ancora. Andrew non rispose. Guardò la botola, poi Gianni.

Sotto c’era l’uniforme, azzurra distesa della Manica.

‹‹Io non perdo. Mai.››

Quindi prese l’altro braccio di Gianni e saltò.

Raccontandolo anni dopo, l’italiano avrebbe affermato d’esser sopravvissuto a quattro infarti simultanei. Il peso dell’amico lo tirò giù di colpo e, allo shock di vederlo penzolare nel vuoto, si aggiunse il terrore di non poter trattenere entrambi.

Fortunatamente, grazie ai riflessi in cui Andrew aveva riposto la propria fiducia, riuscì ad incastrarsi fra la porta e la tazza del gabinetto, senza perdere le braccia nel processo.

Lo strattone gli strappò comunque un grido di dolore.

‹‹Che succede?!›› esclamò il maggiordomo, cominciando a picchiare contro la porta. ‹‹Signorini, venite a stendervi! Non fa bene alla vostra salute…›› Gianni gridò ancora. ‹‹Signorino!››

‹‹Ignoralo›› ordinò Andrew, mentre la sua fronte scintillava di sudore. Gianni strinse i denti. ‹‹Ora… calami giù.››

Così, pian piano, cominciò a scendere. Un vento gelido lo colpì in piena faccia, togliendogli il fiato. Ma, presto, vedeva la scaletta di metallo e l’aeroplano di Olivier. Era magnifico; un gioiellino a due posti, con ali rosso amaranto. Un gioiello molto vicino. Trovò una delle scanalature, e un’altra ancora. Ognuna conteneva una piccola ma forte maniglia, ancorata saldamente al dirigibile. Cercò di sollevare il piede fino ad una di esse. Fallì.

E prese ad oscillare.

‹‹Andrew›› soffiò Gianni. ‹‹Credo di avere una spalla lussata!››

‹‹Ce l’ho fatta!››

I piedi dell’inglese s’infilarono nelle maniglie, offrendo un valido punto di appiglio. Egli guardò in su e vide il dolore dipinto sui lineamenti dell’amico.

‹‹Qual è la spalla?››

‹‹La sinistra.››

‹‹Bene›› e lasciò la sua mano sinistra.

‹‹Andrew!››

‹‹Stai tranquillo, sono aggrappato.››

‹‹Andrew, stanno per sfondare la porta!››

Infatti si udivano colpi molto insistenti, accompagnati da grida e imprecazioni.

‹‹Mi sento un fuggiasco›› commentò Gianni, cercando di sdrammatizzare.

‹‹Siamo fuggiaschi›› esclamò l’altro. ‹‹Ci sono!››

Aveva guadagnato la scaletta, una robusta appendice d’acciaio, inscindibile dal mezzo. Intrecciò le gambe ai pioli e vi salì del tutto, tirandosi dietro l’amico.

Quando si sentì scivolare oltre la botola, Gianni lanciò un grido che avrebbe potuto risvegliare i morti. Davvero utile, visto che sarebbe morto. Sarebbe morto odiando Olivier, però, che in un giorno lo aveva intenzionalmente costretto ad affrontare due volte la sua peggiore paura: le vertigini.

Ma la presa di Andrew era salda e lo sbatté contro la scala.

‹‹Aggrappati!››

Non c’era bisogno di ripeterlo. Il ragazzo s’incollò al metallo con la forza di un koala.

Raggiungere l’aeroplano da quel punto fu facile. Gianni affrontò l’operazione ad occhi chiusi – uno sguardo di sotto, e sarebbe caduto di sotto davvero. Solo quando fu in salvo nel vano del secondo pilota si concesse un respiro di sollievo.

In quel momento di pace un ruggito li fece sobbalzare.

‹‹Signorini! Tornate subito indietro!›› intimò il famigerato maggiordomo, ficcando il pugno fuori da una finestrella.

‹‹Ci ha scoperti.››

‹‹Che importa? Ormai ce l’abbiamo fatta›› affermò Andrew.

Con fare esperto alzò una leva, pigiò un bottone, controllò quota e carburante, premette l’interruttore principale.

Le eliche presero vita, accelerando in rotazione mentre il motore rombava.

‹‹Niente male›› commentò Gianni, redivivo.

‹‹Già. Un altro motivo per ringraziare Olivier.››

‹‹Uh oh, stanno aprendo l’uscita che dà sulla scala!››

‹‹Troppo tardi!›› esclamò l’amico, pigiando una tavoletta di colori lampeggianti.

Il contatto elettrico aprì i ganci che trattenevano l’aereo. E precipitarono vertiginosamente, tra le urla euforiche di Andrew.

Fu un salto mozzafiato nel vuoto, una montagna russa a briglia sciolta. Il vento entrò loro nei capelli, nei vestiti, gelandoli ma galvanizzandoli fino alle ossa. Quella era la vera sensazione di volare.

Poi Andrew tirò vigorosamente il volante verso di sé e l’aereo prese quota, rombando di piacere. Trattenendo la fascia in fronte si voltò a guardare il dirigibile, ancora sulla rotta di Londra. Virò di centottanta gradi.

La loro meta era Parigi.

‹‹Quelli sono delle lumache›› sghignazzò, godendosi la vista. ‹‹Non ci riprenderanno mai. Vorrei proprio vedere le facce dei nostri genitori quando lo sapranno.››

Non ottenne risposta. Sbirciò dietro.

Gianni era nientemeno che svenuto.

‹‹E poi si fa chiamare il Gladiatore›› brontolò. ‹‹Fortuna che so pilotare senza aiuto.››

Quella mattina un aeroplano rosso tagliò il cielo di Francia, facendo levare le teste dei contadini.

 

Più o meno a quell’ora, in Germania aveva luogo una discussione che non ci suona del tutto nuova.

‹‹Devo sposarmi?››

‹‹Si, figlio mio.››

‹‹Credevo avessimo deciso di affrontare questo discorso al mio ventunesimo compleanno.››

‹‹I tempi sono maturi, e l’ora propizia è arrivata›› rispose il signor Iurgens, un distinto uomo di mezz’età, alto, ancora snello e con capelli e baffetti grigi. ‹‹Fallo per noi, Ralf. Vogliamo soltanto il tuo bene.››

‹‹Desideriamo soltanto vedere il nostro unico figlio sistemato›› soggiunse la donna che gli sedeva accanto. ‹‹Prima di morire.››

Il figlio posò su di lei uno sguardo di profondo affetto. Era minuta, consumata dalla malattia e dalle numerose gravidanze che avevano dato, come unico frutto, lui. Per lei avrebbe fatto qualunque cosa - sarebbe andato incontro alla morte senza paura. Un matrimonio, quindi, se glielo chiedeva sua madre, diventava la cosa più semplice del mondo.

Ralf non era un sentimentale. Aveva sentito parlare dell’amore, ma credeva nel matrimonio d’interesse. E poi, che gliene importava della passione? Una cosa del genere toglieva stabilità ad una relazione, invece di donargliene.

Guardò i suoi genitori ed annuì.

‹‹Lo farò. Tuttavia, non saprei proprio chi sposare.››

‹‹Per questo ci siamo presi la libertà di scegliere per te›› rispose suo padre. ‹‹Tenendo scrupolosamente conto dei tuoi gusti. Una signorina di ottima famiglia, bella, ricca e dotata di tutte quelle qualità che fanno di una donna la moglie perfetta. Speravamo che tu la conoscessi ieri sera alla festa dell’erede Boringer, ma siamo stati informati che non ha potuto partecipare a causa di un malessere.››

Ralf annuì ancora.

‹‹Dunque sei d’accordo?›› chiese sua madre, ansiosa. ‹‹Non sei arrabbiato con noi?››

‹‹Affatto›› rispose lui, sorridendo. ‹‹Sono anzi impaziente di conoscere questa signorina, che, conoscendo il vostro gusto, madre, sarà incantevole.››

La donna lo abbracciò debolmente, piangendo. Il signor Iurgens invece non pronunciò parola, ma gonfiò il petto e Ralf si sentì lusingato dall’orgoglio paterno che trapelava dalla sua postura.

L’annuncio venne dunque preso in Germania con la massima calma.

Mentre entrava nelle sue stanze per riposare, il ragazzo si sfilò la giacca, preparandosi ad un lungo sonno.

Dunque era questo il motivo del richiamo in patria.

Era sereno. Per lui non era un affronto, una limitazione della libertà – come invece sapeva che l’avrebbero presa Gianni, Andrew ed Olivier. La sua educazione e il suo carattere erano molto differenti. Anche se poteva sembrare aggressivo quando giocava a beyblade, un buon osservatore avrebbe potuto notare che sotto l’apparenza giaceva sempre un fondo di calma tranquillità. Era nato riflessivo, composto - non acido come Andrew né esuberante come Gianni.

Inoltre, anni di vita in famiglia gli avevano fatto sviluppare un profondo rispetto per i suoi genitori. Pochissime cose avrebbero potuto spingerlo ad andare contro il loro parere.

Il matrimonio non rientrava nella categoria.

Posò le scarpe nel salottino ed entrò in camera, deciso a riprendersi dalla strana festa di Olivier. Poi gli venne in mente una cosa e rifece i propri passi, pigiando un bottone dell’interfono.

‹‹Desidera, signorino?››

‹‹Quando arriveranno i signori Boringer, Tornatore e McGregor, portateli subito di sopra.››

Era certo che presto o tardi avrebbe ricevuto la loro visita.

 

‹‹Non abbiamo abbastanza carburante da arrivare a Parigi›› annunciò Andrew, picchettando col dito sul cruscotto. ‹‹Un paio di chilometri e dovremo atterrare.››

Gianni implorò il cielo con gli occhi.

‹‹Tu sai atterrare, non è vero?››

‹‹Su una pista, sì›› pausa. ‹‹Vedi una pista?››

‹‹No›› gemette l’altro.

‹‹Allora dovremo arrangiarci.››

‹‹Odio sentir dire così.››

Mentre Andrew consultava una cartina e cercava di riconoscere qualche rilievo fra quelli che sorvolavano, l’italiano ciondolò, curiosando intorno. Solo allora notò una maniglia sul dorso dell’aeroplano. Dietro di lui c’era uno scomparto viveri.

Fantastico, pensò. Moriva giusto dalla voglia di fare uno spuntino.

Ma lo scomparto non conteneva cibarie. Conteneva benzina.

‹‹Hey›› esclamò, sollevando la tanica. ‹‹Guarda un po’ qui!››

Andrew alzò appena gli occhi dalla cartina, per poi abbassarli e rialzarli dilatati.

‹‹Dove l’hai trovata?!››

‹‹Qua dietro›› rispose l’altro, dando una pacca al velivolo. ‹‹Ora potremo arrivare fino a Parigi senza problemi!››

L’inglese gli prese di mano il contenitore, soppesandone il contenuto. Lo annusò, rigirò e controllò tre volte.

‹‹E’ proprio benzina›› disse, frase per cui ottenne da Gianni un’occhiata risentita. ‹‹Ma anche aggiungendola nel serbatoio, non so se ci farà arrivare fino a Parigi. Saranno giusto quattro o cinque litri, una pillola per i casi estremi.››

L’amico tornò a ciondolare contro lo schienale.

‹‹Andiamo bene.››

‹‹Ciononostante, è davvero una buona cosa. Con un pizzico di fortuna raggiungeremo le piste amatoriali disseminate intorno alla capitale. E questo è qualcosa.››

‹‹Oh, beh›› rispose Gianni, sentendosi un po’ meglio. ‹‹Hey, vedi di guidare quest’affare! Se moriamo, giuro che ti faccio causa!››

‹‹Sì, sì, certo.››

Ed eseguirono un’altra virata, poiché Andrew aveva riconosciuto una città e corretto il tiro. Il motore ruggì, potente. Il pilota invece rabbrividì, sentendo la mancanza dell’estate a livello terra; e poi c’era qualcosa che continuava a pungolarlo.

‹‹Tu guarda che avventura›› brontolò Gianni, dietro. ‹‹Chi l’avrebbe mai detto che, credendo di andare a una festa, sarei finito in giro per il mondo, fuggitivo, a calarmi giù dai dirigibili come un ragno e a parlare con te di carburanti, bloccato su un aeroplano?››

‹‹Gianni, rispondi a una domanda.››

‹‹Mh?››

‹‹Vedi l’apertura per il serbatoio?››

Il ragazzo si raddrizzò e guardò dappertutto, tastando i lati del velivolo. Normalmente il serbatoio era dalle parti del vano passeggero. Solo che lì non c’era.

La bocca del suo stomaco si chiuse.

Fissò davanti ad Andrew. Fissò davanti a sé. Poi invocò tutti i santi e aprì il vano viveri, speranzoso, anche se in un’altra situazione si sarebbe riso in faccia da solo.

‹‹No›› pigolò.

‹‹Guarda alla fine della coda.››

Il presentimento acuì. Si sporse con cautela, seguì le linee aerodinamiche e lo vide. Eccolo lì. Piccolo e insignificante, eppure nel punto più lontano.

‹‹Il bastardo›› imprecò, battendo un pugno sul corpo metallico dell’aereo. ‹‹Impossibile da raggiungere.››

Andrew si voltò, un po’ pallido.

‹‹Abbiamo bisogno di aggiungere quella benzina›› disse. ‹‹Guarda.››

Indicò la terra sotto di loro, piccola e fumosa. Stavano sorvolando una zona di campagna, che da quella distanza sembrava una coperta patchwork intervallata di ciminiere.

‹‹Nessuno di quei campi è abbastanza lungo. Andremmo a schiantarci contro una cascina o una fabbrica, e il nostro atterraggio finirebbe ancor prima di cominciare. L’unica soluzione è proseguire e cercare un luogo adatto.››

‹‹Abbassati.››

‹‹Cosa?! Sei impazzito, non è perm…››

‹‹Abbassati un poco!›› insistette Gianni.

L’amico eseguì a malincuore. I campi ingrandirono e gli alberi presero forma.

‹‹Vedi quella strada? Quella lunga e sottile, bloccata agli estremi per lavori?››

‹‹Sì›› fece Andrew, spazientito.

‹‹Potremmo usarla come pista. E’ anche troppo lunga.››

Andrew ponderò la questione.

‹‹Non è una cattiva idea, ma come la mettiamo coi lavori? Dove sono?››

‹‹Non li vedo›› ammise Gianni.

‹‹Potrebbero essere una spiacevole sorpresa quando fosse troppo tardi. E non dimentichiamo le conseguenze di un atterraggio non autorizzato; saremmo nelle grane se avvenisse in un aeroporto, figuriamoci in una strada provinciale!››

‹‹E allora, cosa facciamo?›› concluse l’altro, depresso.

La campagna rimpicciolì una seconda volta, mentre l’aereo riguadagnava quota.

‹‹C’è poco da inventare. Dobbiamo aggiungere quella benzina.››

Il sole batteva con insistenza, scaldando un poco l’aria. Gianni si passò una mano sulla faccia, ma a dispetto di quel calore era livido.

‹‹Dovrò farlo io.››

‹‹Non ho detto questo›› disse subito l’inglese, allarmato dal suo colore. ‹‹Andrò io. Il vano pilota è più largo. Potrai scivolare accanto a me, e io verrò al tuo posto, proseguendo per la coda. Non soffro di vertigini: per me sarà più facile.››

Gianni scosse perentoriamente la testa.

‹‹No. No, è troppo rischioso. Io non so guidare un aereo, Andrew. Guarda, ho trovato questa fune nello scomparto; me la legherò saldamente in vita, legando l’altro capo qui, a questo gancio di sicurezza. Così se scivolerò potrai tirarmi su.››

‹‹Ma…››

‹‹Avanti! Dopotutto sono o no il Gladiatore?›› rise, passandosi la corda intorno.

Il suo sorriso scomparve non appena gli diede le spalle. Davanti a lui, lucido, si stendeva il dorso del velivolo.

Non era un aereo smisuratamente lungo, anzi, era piuttosto piccolo, ma lui avrebbe dovuto procedere con una mano occupata dalla tanica.

‹‹Mio Dio, questo devo raccontarlo ai miei nipotini, quando ne avrò.››

‹‹A chi lo dici.››

Deglutì, strinse l’ultimo nodo e partì in missione.

Probabilmente non era lui a fare tutto quello. Più probabilmente era invasato dal demonio e credeva di agire secondo la propria volontà, quando invece non era così.

Oh beh. In ogni caso doveva farlo.

Andrew seguì tutte le sue mosse, spaventato almeno quanto lui.

Gianni procedette con estrema cautela. Evitò di guardare giù finché non arrivò all’apertura del serbatoio. Era un rettangolino largo un palmo, e sadicamente posto nella parte ventrale dell’aeroplano. Si consumava così il momento più delicato.

Svitò il tappo della tanica, ancorato all’aereo con le gambe.

Andrew volò con la massima attenzione, cercando di contenere gli sballottamenti.

‹‹Gianni… Gianni, sbrigati›› avvertì, alzando la voce. ‹‹Sta salendo vento.››

E vento infatti saliva, ma era molto più somigliante ad una burrasca che ad una semplice corrente ascensionale. Il serbatoio aveva ingollato solo due terzi del carburante della tanica quando il velivolo diede la prima, vera sgroppata. Gianni sentì le proprie viscere fare una capriola.

Non emise suono. Il movimento era stato troppo fulmineo.

‹‹Sbrigati!›› insistette Andrew, adocchiando una zona scura all’orizzonte.

E così, Parigi era sotto i ferri del maltempo. Brutta, bruttissima cosa.

Abbassò l’aereo, sperando di evitare ulteriori sbandate. Ormai, però, la tromba d’aria era vicina.

‹‹Sto cercando di sbrigarmi! Se inclino troppo la tanica, va tutto di fuori!››

L’aereo sgroppò ancora.

Stavolta Gianni si sentì scivolare e gridò.

‹‹Santo Dio, tieniti!››

‹‹Ci sto provando!›› rispose, strozzato. Che non venissero mai più a vantarsi con lui di prodezze sui videogiochi. Li avrebbe presi a pugni!

Finalmente la tanica fu vuota. La lasciò cadere, lavandosene le mani, che usò prontamente per assicurarsi un appiglio. Chiuse l’apertura e si ritrasse. Aveva appena riguadagnato la sella che il vento divenne intensissimo.

Ci furono due forti scrolloni, poi un altro, in cui qualcosa lo colpì alla tempia. Se la tromba d’aria era tanto grande da sollevare pietre, allora erano nei guai. Per un attimo infinito Andrew credette d’aver perso il controllo sul velivolo.

‹‹Gianni! Ci sei?››

‹‹Sì! Aah!›› il ragazzo gridò a pieni polmoni, poiché una lama di vento aveva sollevato il muso dell’aeroplano, facendolo scivolare fino agli alettoni. Andrew vide e imprecò.

‹‹Tieniti!››

Un nuovo sgroppo fece alzare Gianni dal dorso di almeno venti centimetri.

‹‹Noo!››

Per fortuna, le sue mani non cedettero e abbracciò con tutte le forze la coda del velivolo.

‹‹Adesso vengo a prenderti!››

‹‹Cosa?!››

‹‹Non ti muovere, vengo a…››

‹‹Resta dove sei, disgraziato! Devi pilotare questo maledetto catorcio, o ci schianteremo tutti e due!››

‹‹Ma…››

‹‹So badare a me stesso, per la miseria! Ora abbassa più che puoi quest’affare e vediamo se riusciamo ad evitare un po’ di questo vento!››

Andrew annuì, piegando il volante. Il motore perse giri e rallentò.

Come avevano sperato, sotto il vento era minore; ma ormai volavano radenti agli alberi. Era rischioso almeno tanto quanto prima. Gianni si fece forza, implorò le sue dita intirizzite di non tradirlo e, poi, fu nel vano passeggero. Sedette lì, in uno stupore inspiegabile.

Lui ed Andrew si fissarono. Quindi sorrisero, batterono cinque e lanciarono un ululato.

‹‹Wohoo!››

Sotto la pressione del pilota, l’aeroplano virò e cambiò rotta, allontanandosi dal maltempo.

‹‹Non possiamo proseguire per Parigi›› spiegò Andrew, porgendo una coperta al compagno intirizzito. ‹‹Anche se ora non sei più, là sopra, il vento potrebbe diventare tanto forte da farci sbandare e precipitare. Dobbiamo cercare più a sud. Tieni. Se hai ancora freddo, sotto il sedile ce n’è un’altra.››

E volarono via, esausti ma ottimisti, poiché già due volte la fortuna si era mostrata loro propizia.

 

Nel magnifico parco di Villa Boringer, quel pomeriggio di giugno, un occhio attento avrebbe potuto scorgere una figura vagare fra i pergolati. Il suo incedere non possedeva nulla di triste o depresso: ricordava una marcia militare.

Era il padroncino di casa, naturalmente.

Rivestito a forza di bianco, angariato da una toeletta forzata, Olivier era riuscito a sgusciar via dalle mani dei suoi carcerieri (mettendone KO qualcuno con l’aiuto di Unicol) dopo molti tentativi. Ora perlustrava il perimetro del parco, soffocando nel dolcevita – che pure era smanicato.

Si sentiva una tigre in gabbia.

‹‹Vogliono che la incontri›› disse, pronunciando ogni parola con uno scatto. ‹‹Vogliono che la conosca. Ma soprattutto, vogliono che mi fidanzi con lei e la sposi! Devono essere matti!››

Sì, in effetti c’erano buone possibilità.

Unicol gli danzò ai piedi, cercando di distrarlo. Olivier lo scavalcò.

‹‹E non è tutto. No, no. Non potranno mai scegliere una ragazza normale! Hanno detto che era alla festa›› un brivido lo scosse. ‹‹Non voglio neanche pensarci!››

Unicol continuò a girargli intorno, disperato. Il ragazzino era grato per il supporto, ma lo sarebbe stato anche di più se il suo beyblade avesse smesso di ronzare come un moscone.

Guardò il cielo, ancora plumbeo. Tutt’intorno i fiori brillavano di pioggia, mentre gli alberi si scrollavano di dosso l’acqua.

‹‹Almeno Sabine ha avuto Max. Mia sorella è sempre stata più sfortunata di me, ma non in questo caso.››

Continuò sul ciottolato, finché non raggiunse un bivio. Visivamente non si notava nulla, perché il bivio era segreto. Difficilmente si sarebbe potuto affermare che, lì, un sentiero secondario si staccava dal principale. Olivier però conosceva i suoi boschetti, così come avrebbe riconosciuto quel mandorlo fra mille. Controllò che Unicol fosse ancora con lui e si addentrò nella boscaglia.

Là dentro, gli animali e le altissime querce custodivano il suo rifugio segreto, un luogo che nessuna telecamera di sicurezza era mai arrivata a riprendere. I suoi genitori ne ignoravano la esistenza – almeno sperava, poiché certezza era una parola molto relativa con quei due in casa. Se, come davano a vedere, non sapevano, allora solo il vecchio architetto di famiglia condivideva con lui il segreto.

Risalì la collina e, finalmente, lo vide.

Il suo padiglione greco.

Olivier era orgogliosissimo della propria creazione. Ai suoi occhi nessun edificio, dopo il complesso dell’Acropoli, poteva eguagliarla. I marmi scintillavano di candore e festoni di fiori delicati cingevano le sue colonne. Il luogo, poi, era una piccola radura, ombrosa e soleggiata al tempo stesso.

Sedette sui gradini, pensieroso.

Unicol nitrì ed uscì dal beyblade, dandogli dei colpetti col muso. Il padroncino lo accarezzò.

‹‹Che cosa devo fare, Unicol?›› brontolò. ‹‹Sono in trappola. Mamma e papà ricordano fin troppo bene come siamo scappati quando si trattava di fidanzare Sabine. Non mi lasceranno mai uscire.››

Gli occhi dell’unicorno scintillarono di malizia. Olivier inarcò le sopracciglia.

‹‹Cosa intendi dire con “non è necessario che lo sappiano”? Lo so che non devono saperlo, grazie, ma tutta la proprietà è tappezzata di telecamere. Un passo falso e mi chiuderanno a chiave in camera.››

Gli occhi del bit beast scintillarono ancora.

Il ragazzino incrociò le braccia. La sua stanza. Cosa c’era nella sua stanza?

‹‹Ma certo! La Ragnatela.›› L’esaltazione fu di breve durata. ‹‹Però i passaggi ruotano tutti intorno alla villa. Non ce n’è uno che esc…››

Ce n’è uno.

‹‹E’ troppo vecchio. Non l’ho più usato da…››

La scelta spetta soltanto a te, padroncino.

Avvertì una scarica d’eccitazione.

Era rischioso, ma si poteva fare. Sapeva come arrivare a quel passaggio. Sbucava in una fontana e perciò ci sarebbero state delle infiltrazioni d’acqua, senza contare la doccia finale, però valeva la pena provare. La fontana era a qualche isolato da casa sua. Scattò in piedi, determinato.

I suoi avi avevano voluto la Rivoluzione Francese. Doveva mantenere la tradizione, in qualche modo.

‹‹Non aspetterò il mio destino con le mani in mano!›› esclamò. ‹‹Tutto, per la libertà!››

Unicol gli saltò in tasca e scesero la collina.

 

Molto lontano da lì, in un campo lasciato a riposo, le eliche di un aeroplano giravano ancora, languide. Gianni scese e baciò terra, molto più devotamente di quanto fece Cristoforo Colombo quando sbarcò in America. Andrew saltò giù dal posto pilota, limitandosi a un profondo sospiro di sollievo.

Il velivolo aveva frenato appena in tempo. La ruota anteriore destra giaceva sospesa su una roggia, larga e profonda. Erano stati fortunati.

Si stesero sull’erba. Lentamente, i loro corpi riacquistarono sensibilità.

‹‹Non eravamo equipaggiati per volare su un aeroplano scoperto›› disse l’italiano, massaggiandosi le tempie. ‹‹Ho preso tanto freddo alla testa che è un miracolo se ho solo l’emicrania. Potevamo restarci.››

Vide che l’amico si sfregava insistentemente le mani.

‹‹Cristo, hai le dita blu!››

‹‹No, stanno tornando normali. Era inevitabile, dovendo tenere il volante. E ringrazio il cielo d’aver avuto indosso i guanti.››

Gianni sbuffò. Lanciò ancora un’occhiata preoccupata alle sue mani e, poi, lasciò perdere. Andrew era capace di badare a se stesso. Sopra di loro, qualche nuvoletta splendente macchiava l’azzurro liquido del cielo.

Era bello stare lì al sole, tranquilli, rilassati, indisturbati.

‹‹Dove saremo?››

‹‹La cartina è volata via durante l’atterraggio. Mi spiace.››

‹‹Chi se ne frega della cartina, l’importante è che siamo ancora vivi per chiedercelo.››

Andrew sorrise.

‹‹Giusto.››

Poi si guardarono bene. I loro occhi divennero grandi come palle da biliardo - scoppiarono a ridere, additandosi a vicenda.

‹‹Hey, che hai da ridere?!›› esclamò Gianni.

L’altro mostrò i denti.

‹‹Che hai da ridere tu?! Sembri una salamandra appena cotta!››

‹‹Cosa?! Io, una salamandra? Hai già dimenticato chi ha una lucertola per bit-beast? E se io sembro una salamandra, allora tu sei Amphisphena! Ecco, siete propri dello stesso colore.››

Si guardarono in cagnesco, pronti alla battaglia, poi le parole acquistarono significato. Gianni spulciò nelle tasche ed estrasse l’infallibile Specchio delle Brame.

‹‹No!›› gemette. ‹‹No! Sono scottato! Bruciato!››

Andrew glielo strappò di mano. Sarebbe impallidito… se solo fosse stato possibile.

‹‹Tu almeno vivi sul Mediterraneo, hai la pelle abituata›› mise insieme.

‹‹Sì, ma sono biondo. Biondo. Così sembrerò un emigrato tinto di platino!››

E a quella frase, l’inglese non poté non scoppiare a ridere.

‹‹Non ce niente di divertente›› rimbeccò l’amico. Incrociò le braccia, depresso, e stava per ributtarsi sulla schiena quando scorse qualcosa in fondo al campo. Era una persona.

Che si sbracciava nella loro direzione.

‹‹Guarda.››

‹‹Uh?››

Un uomo li raggiunse al trotto. Indossava una salopette tutta unta e, dalla chiave inglese che impugnava, si sarebbe detto un meccanico. Li squadrò ben bene, senza animosità, e si grattò la folta barba brizzolata.

‹‹Ragazzi, va tutto bene?››

Aveva un forte accento bretone.

‹‹Sì.››

‹‹Sapete di chi è questo aeroplano?››

‹‹Ma certo: è nostro.››

Il tipo parve colto alla sprovvista, ma annuì senza obiettare. Poi guardò il velivolo.

‹‹E’ un po’ ammaccato. Non potete ripartire.››

‹‹E chi ha intenzione di ripartire?›› commentò Gianni, strappandogli un sorriso.

‹‹Volo amatoriale?››

‹‹Diciamo obbligato›› rispose Andrew, raccattando le loro cose. ‹‹Scusi se le abbiamo rovinato il campo. Non potevamo più proseguire.››

‹‹Oh, il campo non è mio. Io ho soltanto l’officina del paese. Ecco, vedete quel capannone laggiù?›› Con la mano pelosa indicò un caseggiato grigio, piuttosto lontano. ‹‹Stavo lavorando quando un rombo ha scosso tutte le pareti, e mia nipote ha gridato che un aereo stava precipitando sul campo del vecchio Joachim.››

‹‹Può dirci dove siamo?››

‹‹A Les Pêcheurs sur l’Eure. Un paesino a sessanta chilometri dalla banlieue parigina.››

I due si scambiarono un’occhiata.

‹‹E potrebbe consigliarci un modo per arrivarci?››

‹‹Certamente!›› rise il meccanico. ‹‹Ci sono gli autobus di linea e il treno. Ma ora venite, sarete affamati. Potete riposarvi un po’ nel mio capannone; mia nipote vi saprà dire di più.››

Lo seguirono di buon grado.

‹‹E l’aereo?›› chiese Gianni, sottovoce.

‹‹Che te ne vuoi fare?››

‹‹…già. E’ che mi spiace. Dopotutto è un gran bell’aeroplano.››

Andrew sospirò, ma non si volse indietro. Non era così sentimentale.

Il capannone sorgeva al limitare di uno spiazzo assolato, racchiuso da fienili e vecchie rimesse. Il chiasso delle cicale copriva ogni altro rumore. Notarono un mucchio di rottami e, accanto all’entrata dello stabile, tre cucce. Il meccanico fischiò.

Un concitato abbaiare precedette tre cani grandi come orsi, che voltarono l’angolo, inseguiti da una ragazzina.

‹‹Aspettatemi, birbanti!›› ansimò la nuova arrivata, cadendo in ginocchio. I cani invece puntarono al padrone, un’espressione ilare sul muso.

‹‹Sono Terranova!›› esclamò Gianni, accarezzandone uno. ‹‹Dei bellissimi Terranova.››

Andrew adocchiò la bava che colava dalla bocca delle bestie.

‹‹Sì, davvero stupendi.››

Poi vide che l’amico s’irrigidiva. Non fu difficile leggere sul suo volto le avvisaglie del Grande Latin Lover.

‹‹E quello è uno stupendo esemplare di razza umana.››

‹‹Charlotte›› diceva il meccanico, ‹‹non ci crederai, ma quell’aeroplano era pilotato da questi due ragazzi. Niente male, eh? Dovresti farti dare qualche lezione da loro.››

La creatura si rialzò, scrollò via un po’ di terriccio dai jeans logori e venne verso di loro, sorridente. I suoi capelli erano una massa cespugliosa, tenuta indietro da due piccole trecce.

‹‹Davvero volavate da soli?!›› esclamò, facendo per afferrare le loro mani.

Gianni però raccolse le sue con una mossa fulminea.

‹‹Certamente!›› cinguettò, dilatando gli occhioni azzurri. ‹‹Mademoiselle, abbiamo vissuto mille avventure su quel meraviglioso aeroplano! Tempeste, gelo, fughe precipitose…››

‹‹Vertigini›› aggiunse Andrew.

‹‹Eh eh, ehm… anche…››

‹‹E’ meraviglioso›› disse la ragazza. Strinse gentilmente le sue mani, e lui la lasciò andare a malincuore. ‹‹Come avrete capito, io sono Charlotte. E questo è il mio zione, Albert. Voi, invece? Quali sono i vostri nomi? E cosa vi porta in questo paese sperduto?››

‹‹Abbiamo dovuto effettuare un atterraggio di fortuna. In ogni caso, il mio nome è Andrew. E lui è…››

‹‹Gianni, per servirvi, mmmademoiselle!›› esclamò l’amico, baciandole la mano. Le guance della ragazza si tinsero di rosa.

Ok, era ufficiale: questo lato di Gianni proprio non poteva imparare a sopportarlo. Perché doveva fare il cascamorto con qualsiasi cosa respirasse? Andrew sentiva improvvisamente il bisogno di vomitare. Si mise una mano davanti alla bocca, fingendosi assorto.

‹‹Volevano arrivare a Parigi, Charlotte›› disse lo Zio. ‹‹Puoi aiutarli?››

‹‹Volentieri.››

‹‹Allora io torno al lavoro.››

E scomparve nel capannone, da dove proveniva un forte odore di lubrificanti. Charlotte li condusse in paese, dove, inaspettatamente, entrarono in un bel ristorante. Fecero per sedersi, ma lei rise.

‹‹Venite, non qui›› e li introdusse nelle cucine. Lì una porticina dava su un bel giardino, con un tavolo coperto da un ombrellone giallo.

Diede loro una limonata e si scusò.

Dieci minuti dopo tornava con una pila di orari. C’era l’orario dei treni, degli autobus, un vecchissimo orario del tram che nemmeno più attraversava il paese e vari depliant di taxi. Scaricò tutto sul tavolo, sbuffando.

‹‹Accipicchia, questo pomeriggio fa un caldo.››

‹‹Hai ragione›› concordò Gianni.

La ragazza, più giovane di loro sì e no di due anni, s’asciugò i palmi delle mani sulla maglietta e prese a sfogliare febbrilmente il primo libretto che capitò a tiro.

Andrew sorbì tranquillamente la sua limonata. Pur vedendolo tanto calmo, Gianni sapeva che la sua mente lavorava senza sosta.

‹‹Ecco›› esclamò Charlotte, puntando il dito su un mucchio di lettere illeggibili. ‹‹Qui dice che alle cinque e tre quarti c’è un treno per Parigi. Binario 1, l’unico esistente. Mi spiace, il treno non è un diretto… purtroppo nei paesi piccoli è così.››

‹‹Non importa.››

‹‹Non volete che guardi gli autobus? O i taxi, magari. Arrivereste molto più rapidamente.››

Gianni scosse la testa.

‹‹Preferiamo il treno. I taxi son troppo cari e, al momento, siamo carenti di moneta liquida.››

Dio, non credeva che un giorno avrebbe dovuto dire così. L’unica carta di credito che possedevano era volata via chissà quando e, ora che ci pensava, doveva andare a bloccarla.

Andrew annuì.

‹‹Capisco›› fu la risposta imbarazzata di Charlotte. ‹‹Allora vada per questo treno. Aspettate, corro a prendere carta e penna; vi segnerò le stazioni dove dovrete cambiare.››

‹‹Sei molto gentile›› sorrise Gianni, e lei arrossì.

L’inglese gettò la testa all’indietro, dondolando sulla seggiola. Un trillo di uccelli riempiva l’appartato giardino.

‹‹Un posticino davvero tranquillo.››

‹‹Vero.››

 

Passò mezz’ora. Charlotte non tornava.

Andrew, diffidente di natura, dovette sforzarsi per tener sotto controllo i sospetti. Dopotutto le braccia dei loro genitori erano lunghe. E chissà quali e quanti modi avrebbero potuto escogitare per incastrarli. Di una cosa era certo: non era mai stato tanto arrabbiato con loro.

Charlotte invece tornò, fresca, rosea e inguainata in un vestito giallo tarassaco. Uh oh. Seduzione in atto.

Porse loro un biglietto con scritte tutte le indicazioni, ma tu guarda la sua manina virò verso Gianni. Poi sorrise ad Andrew e fece loro cenno di seguirla.

‹‹Ho una sorpresa per voi.››

Li condusse a ritroso del percorso d’andata, fermandosi nella grande sala da pranzo. Era deserta. Il paesino faceva la siesta, cullato dal rumore delle cicale. Notarono una tavola apparecchiata.

‹‹Wow›› esclamò Gianni, fregandosi le mani.

Charlotte non poté che sorridere.

‹‹Vi ho preparato uno spuntino.››

Effettivamente, non mangiavano da quella mattina.

‹‹Ma non possiamo accettare›› disse Andrew, ‹‹Abbiamo giusto qualche spicciolo e non voglio contrarre debiti.››

La frase poteva suonare scortese, ma la ragazza capì.

‹‹Non dovete preoccuparvi. In fondo, anch’io ci guadagno qualcosa. Avete animato la mia giornata e potrò, se vorrete, ascoltare le vostre peripezie. Questo è per me molto prezioso! Qui non succede mai niente.››

Sorrise, solare.

‹‹Certamente›› rispose Gianni, fulminando l’amico con un’occhiata. ‹‹E saremo più che felici di accettare.››

‹‹Evviva!››

Da quel momento sulla tavola si avvicendarono olive, tramezzini, paté di foie-gras e un enorme cesto di frutta che non riuscirono neanche a dimezzare. Charlotte stessa dimostrò un appetito da falegname. Era, del resto, una campagnola.

Le riassunsero gli eventi degli ultimi due giorni; evitarono nomi e particolari, ma lei parve ugualmente impressionata. Credette loro senza batter ciglio. Li aveva visti atterrare con l’aereo, perché non avrebbe dovuto?

Finito di mangiare spiluzzicarono davanti alle ampie finestre aperte, in attesa dell’ora di partire. Il ristorante dava sulla via principale, una stradina a corsia unica dove transitava una macchina l’ora. Il frinire degli insetti sovrastava ogni cosa, ipnotico.

Charlotte accese il televisore, appeso al muro, mentre Gianni riposava posandole la testa in grembo. Ad un certo punto sentì la ragazza trasalire.

‹‹Guardate!››

I due lo fecero… e sbiancarono. Era il telegiornale.

E il telegiornale trasmetteva un inconfondibile primo piano della faccia di Olivier.

‹‹…il famoso beyblader e cuoco Olivier Boringer è scomparso stamattina dopo una festa di gala tenuta nell’illustre casa paterna. I genitori e il personale si sono accorti della sua scomparsa alle undici e trentacinque. E’ questione della massima importanza ritrovarlo, dal momento che, come asseriscono i dottori, il ragazzo stava rapidamente perdendo la facoltà di intendere e di volere. Si vocifera di tentato avvelenamento, fatto che avrebbe causato in lui lo shock e l’avrebbe indotto alla fuga.›› Gianni ed Andrew inarcarono le sopracciglia. ‹‹E’ possibile che si accompagni a questi tre ragazzi.››

Lo schermo mandò i loro volti, più quello di Ralf.

Andrew deglutì.

‹‹Gianni Tornatore›› la foto cambiò, ‹‹Andrew McGregor›› la foto cambiò ancora, ‹‹e Ralf Iurgens. Questi tre ragazzi sono molto famosi per aver conseguito, insieme al signorino Olivier, i primi quattro posti al campionato europeo di beyblade, dove poi rifiutarono di formare una squadra. Gianni Tornatore, in particolare, è amico d’infanzia del signorino Olivier…››

Seguirono altre inutili informazioni e una lacrimosa intervista, in cui i genitori di Olivier lo supplicavano di tornare a casa.

Poi il servizio terminò.

‹‹Non hanno perso tempo›› fu l’unico commento di Andrew.

‹‹Dunque hanno fatto di Vier un pazzo con manie di persecuzione in fuga, e noi suoi complici? Devi ammetter che è ingegnoso. Così avremo alle calcagna non soltanto i cacciatori di ricompense, ma anche la polizia!››

Charlotte spense meccanicamente il televisore. Di colpo si rammentarono della sua esistenza.

‹‹…Ci tradirai?››

La ragazza li fissò, un po’ scossa.

‹‹No.››

‹‹Davvero?››

‹‹Non ne ho la minima intenzione. Mi avete raccontato le vostre ragioni. Io le trovo giuste! Perciò non solo vi coprirò, ma vi darò anche il denaro per raggiungere un luogo sicuro.››

Respirarono di sollievo.

‹‹La Germania›› esclamò improvvisamente Andrew. ‹‹Ralf è l’unico che può salvarci. Il suo maniero è inespugnabile!››

Gianni annuì.

‹‹Non c’è un minuto da perdere. Non siamo poi tanto lontani da Parigi.››

 

La mattina dopo, anche se un po’ in ritardo, Ralf si ritrovò gli European Dream in salotto. E questo per ribadire che aveva sempre ragione.

 

 

 

ab

 

 

Continua!

 

 

   
 
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