La
fredda canna del kalashnikov sfiorava la sua fronte, leggera e delicata
come le
zampe di una gelida falena mortifera. Quasi piacevole, a contatto con
la sua
fronte lucida di sudore.
Eppure
avrebbe mille e mille volte preferito soffocare in balia del caldo. Un
caldo
che però non esisteva, era tutto nella sua mente. Forse
collegato al nervosismo
di avere presto una pallottola conficcata nel cervello.
-
I-Ivan… ragioniamo…- deglutì e si
tirò indietro, strisciando contro la parete
di cemento di quel caseggiato fatiscente.
La
bocca del fucile si premette con maggior convinzione sulla sua fronte.
-
Hai di nuovo invaso il mio territorio, Francia, che altro
c’è da dire?- la voce
infantile di quel dannato ragazzino lo irritava, perché
scorgeva un ché di
incredulo e ilare in essa – Allora, con chi sei alleato? Chi
ti ha mandato?
America, forse? O Inghilterra?
-
E chi ti dice che non sia venuto per conto m…- fu interrotto
dalla canna del
fucile che gli entrava in bocca e gli premeva su una guancia.
-
Che motivo avresti di cercare battaglia, Francia? Tu non guadagneresti
nulla…
In genere non ti imbarchi in guerre senza speranza, sappiamo tutti come
andò a
finire l’ultima volta…
Estrasse
il kalashnikov dalla sua bocca con un movimento fluido.
Francis
schioccò le labbra, schifato da quel sapore ferroso che gli
ricordava il
sangue. Guardò il suo aguzzino: un ragazzino,
nient’altro che un efebico
ragazzino dal sorriso inquietante, poco cresciuto rispetto a quello che
gli
aveva inflitto una dura sconfitta solo un secolo addietro.
-
Risparmiami la vita, Russia. Ti scongiuro. Farò quello che
vorrai.
Il
ragazzo parve sorpreso e in qualche modo scontento. Forse avrebbe
voluto punire
con la morte un eventuale accenno di resistenza da parte sua, ma
quell’atteggiamento passivo lo spiazzava e rendeva
un’eventuale esecuzione poco
divertente.
-
Va bene.
L’arma
venne del tutto abbassata.
Francis
alzò lo sguardo, i riccioli sudati che gli coprivano gli
occhi, in attesa di un
ordine che non ricevette.
-
Quando saprò cosa chiederti, te lo dirò. E tu
dovrai farlo.
Non
per il momento.
***
-
Nii-san… sbarazzati di questa porta che ci separa…
Rumore
di unghie sul legno. Ivan stava accovacciato dietro una poltrona,
cercando di
riordinare i pensieri. Lei era l’unica persona al mondo che
lo terrorizzava
seriamente, e i suoi sottoposti cominciavano ad accorgersene. Inoltre
si faceva
sempre più insistente, specie da quando Ucraina aveva preso
a ignorarlo
voltandogli le tette e il cuore.
-
Nii-san… lo sai che siamo destinati a stare
insieme…
Gemette
e strinse gli occhi. Posò una mano sul pavimento polveroso
di quel buio studio
in disuso, alla ricerca di qualche bottiglia di vodka. La sua mano si
chiuse
attorno al suo cellulare.
Lo
prese in mano. Era da un po’ che non lo usava, ed era quasi
del tutto scarico.
Ovviamente nessuno lo aveva cercato.
Chi
poteva aiutarlo?
Non
aveva amici. Certo non poteva chiedere consiglio a Lituania o Lettonia,
avrebbe
perso la faccia e poi li avrebbe puniti. E temevano Bielorussia quanto
temevano
lui e quanto lui temeva lei.
“Ti
scongiuro. Farò quello che vorrai”
Alzò
un sopracciglio. Ne erano passati, di anni, da quella promessa. Ormai
era un
uomo, seppur giovane. Eppure, tentare non nuoce.
Compose
il numero di Francia.
***
-
Catherine, il telefono!
Francis
posò sul bordo della vasca il bicchiere di vino che beveva
abitualmente durante
il suo bagno serale, con petali di rosa nell’acqua e tanta
schiuma.
La
cameriera comparve, impolverata, e gli porse la cornetta.
- Oui?
- Priviet, Francis.
Oh, dieu. Solo
uno lo poteva salutare così.
-
I-Ivan! Che posso fare per te, ma cherie?
Silenzio
dall’altra parte dell’apparecchio, a parte urla
disumane. Stava torturando
qualcuno? Rabbrividì. Eppure non erano urla di
dolore…
-
Esattamente. Cosa puoi fare per me. È ora di onorare il
patto.
Le
gote del francese s’imporporarono al ricordo di
quell’umiliazione.
-
Immagino di sì. Ne puoi parlare al telefono?
-
No. Ti aspetto qui al più presto.
-
Ma, petite, lì fa freddo!
Altro
minuto di silenzio. Che idiota. Sapeva benissimo che lì
faceva freddo, anche
senza che glielo ricordasse.
-
Tuttavia immagino che sia sopportabile, dato che è quasi
estate… dunque vedrò
di farmi vedere nel giro di due giorni.
Finalmente
Ivan gli rispose. Faceva così, al telefono, le poche volte
in cui ci aveva
parlato: non rispondeva finché non gli dicevi quello che
voleva sentirsi dire.
Un po’ come quando parlavano di persona, solo che
lì faceva più impressione
perché sorrideva in quel modo spaventoso.
-
Va bene. Allora a lunedì.
- Bon. Au revoir.
- Do svidania.
Francis
sospirò e posò la cornetta sulla forcella del
telefono d’epoca, congedando la
cameriera.
Una
volta solo, si perse nei suoi pensieri chiudendo gli occhi e
sorseggiando
Bordeaux.
Ivan
Braginski. Se il giorno in cui era stato messo con le spalle al muro
non gli
era sembrato diverso da quando aveva fallito la spedizione in Russia
con
Napoleone, adesso poteva dire che era cambiato.
Ma
solo fisicamente, forse.
Quel
ragazzino si era trasformato in un uomo alto, imponente, dai lineamenti
dolci
ma indubbiamente maschili. Doveva ammettere che gli aveva spesso
provocato più
di qualche brivido: era così diverso dagli altri,
così grande… aveva immaginato
anche lui nudo, quando aveva proposto di rispolverare la tradizione
greca delle
Olimpiadi (che poi hanno partecipato tutti vestiti, quei bigotti), per
quanto
fosse complicato indovinarne il fisico, sotto quella serie di indumenti
pesanti
che indossava.
Tutti
provavano generica antipatia verso quel ragazzo dai capelli chiari e
sorriso
infantile, ma a pochi sfuggiva una sorta di malinconia di fondo, forse
dovuta
alla mancanza del calore del sole, o proprio di calore umano.
Francia
sorrise fra sé e si leccò le labbra.
Avrebbe
avuto tutto il calore umano che desiderava…
Ridacchiò
e tese una lunga gamba, sollevandola dal pelo dell’acqua per
rimirarla.
Magari
Russia era vergine.
Rise
ancora, civettuolo.
Catherine,
fuori dalla porta, scosse la testa. Il padrone aveva trovato una nuova
vittima,
e pace all’anima sua.
Accidenti,
era fredda la Russia!
Si
strinse i vestiti addosso. Poteva anche essere maggio, ma faceva freddo
come a
gennaio!
Venne
accolto da una figurina intabarrata, che gli prese la valigia senza
dire una
parola.
“Meglio
così,” pensò, affondando fino al naso
nei giri della sua sciarpa alla moda “non
ho proprio voglia di aprire bocca. Mi si potrebbero congelare le
tonsille”
Seguì
quello che riconobbe poi come Estonia fino alla reggia di Russia.
Francis non
fece assolutamente caso a ciò che aveva attorno,
finché non gli si fu chiuso
alle spalle il pesante portone lucido, che pareva nuovo.
Sospirò
di sollievo: adesso sì che stava bene!
Si
tolse il cappotto, guardandosi attorno.
La
sala d’ingresso era un locale rettangolare, abbastanza
spazioso, arredato con
un divano e un cassettone (che probabilmente nascondeva bottiglie di
vodka), un
appendiabiti di quercia e diversi relitti di sedie e porte spaccate, in
un
angolo.
-
Scusa il disordine- disse Estonia, svolgendosi la sciarpa dal collo
– comunque
questo è nulla rispetto a ciò che troverai oltre
quella porta- indicò l’interno
della casa – Siamo riusciti a mettere un nuovo portone prima
del tuo arrivo,
perché quello prima è stato sfasciato.
Francis
rabbrividì: una crisi di Russia?
Come
a leggergli nel pensiero, Estonia si affrettò a dirgli:
-
Purtroppo Bielorussia è venuta a far visita al fratello.
Bielorussia,
sì… quella ragazza carina, con
l’ossessione per Ivan. Era più spaventosa di
lui, ora che ci pensava. Che il suo incarico avesse qualcosa a che fare
con
lei?
***
Nervosamente
Ivan si volse verso la porta, il sudore freddo che gli colava
fastidiosamente
lungo la schiena, facendogli il solletico.
Quando
arrivava quell’effeminato di un francese? Ridusse gli occhi
violacei a due
fessure, cercando di calmarsi, ma fu vano: un rumore di vetri rotti lo
fece
sobbalzare e quasi si morse dolorosamente la lingua. Lentamente
guardò la
finestra. Una mano femminile e insanguinata scivolava sul vetro
lasciando
ditate rosse, alla cieca ricerca della maniglia della finestra. Con uno
scatto
questa si aprì. Un essere dalle solo lontane sembianze umane
scivolò dentro la
stanza, strappandosi brandelli di vestito nell’arrampicata
attraverso
l’apertura. E poi letteralmente colò a terra con
rumore di vestiti bagnati.
Invece
di tirarsi su cominciò a incedere lentamente e
inesorabilmente verso i suoi
piedi, strisciando come una lucertola e lasciandosi dietro una scia di
sangue
che solo in parte doveva essere suo.
Un
sibilo:
-
Sposiamoci… sposiamoci… sposiamoci…
Sembrava
uno di quei film che Alfred copiava a Giappone. Una volta ne aveva
visto uno,
parlava di una videocassetta e di un pozzo. Non l’aveva
spaventato neanche un
po’, ma adesso osservava, bloccato dalla paura,
l’orrore fatto persona che
compieva lo stesso identico gesto, i capelli sulla faccia.
-
Ivan!
Una
voce maschile lo colse di sorpresa. Non aveva sentito la porta aprirsi
dietro
di lui, tanto era concentrato sullo spettacolo macabro che si svolgeva
ai suoi
piedi.
Francis
annusava una delle sue rose, quelle che spuntavano dal nulla, con un
sorrisetto
malizioso stampato sul faccino delicato che avrebbe tanto voluto
prendere a
pugni.
-
Vedo che c’è la tua graziosa sorella!- disse,
scostandosi un ricciolo biondo
dal viso. Ivan sospirò di sollievo, anche se il problema era
lungi dall’essere
risolto. Tra parentesi, anche se qualcun altro si sarebbe irritato
vedendo la
sorella ricevere complimenti dagli altri uomini, lui al momento voleva
solo
liberarsene. Del resto lasciava che lei uscisse con Lituania, quando a
questi
prendeva uno di quei momenti in cui voleva convincersi di essere
eterosessuale…
esilarante.
-
Allora, glielo hai detto?- domandò poi, rivolto a Russia, le
mani sui fianchi e
un sopracciglio leggermente inarcato.
-
C-cosa?- fece stupito Ivan, mentre la “graziosa”
sorella biascicava qualcosa di
simile, per poi rialzarsi e assumere il suo (truce) aspetto quasi
normale.
-
Cosa dovrei dirle?- disse ancora, confuso.
-
Ma come?- esplose Francis, come se lo avesse offeso mortalmente
– Ivan,
insomma, quando hai intenzione di parlarle? Mi avevi promesso che
l’avresti
detto alle tue sorelle almeno una settimana fa!
Il
ragazzo si voltò verso la sorella, che lo guardava
sospettosa, le braccia
conserte.
-
Cos’è che mi dovresti dire, fratellone?
E
poi sentì Francis cingergli il braccio, tenendoselo premuto
contro il petto, le
sue mani che gli solleticavano maliziose l’incavo del braccio
e vagavano fino
al palmo della mano. Un gesto che se fosse stato meno intabarrato nei
suoi
vestiti, l’avrebbe scosso per tutti i brividi che provocava.
-
Bella Natalia, - esordì Francis, con un sorriso che
prometteva nulla di buono –
Ho il piacere di comunicarti…
Una
mano sulla guancia del russo, bruciante, quasi affettuosa.
-
… che io e Ivan ci siamo messi assieme!
La
bocca del francese si poggiò sulla propria. Una sensazione
calda, umida e
soffice. Gli occhi viola di Ivan, sgranati, vennero intercettati da
quelli blu
di Francia, socchiusi e languidi. Le mani del francese scesero lungo i
fianchi
del russo e afferrarono saldamente le anche, attirando il bacino di lui
a sé.
Profumava intensamente di rose, respirava sotto il suo naso aria calda,
strofinava impercettibilmente il suo inguine contro il proprio,
provocandogli
alcune reazioni dabbasso.
Di
nuovo, rumore di qualcosa che si infrangeva sul pavimento di marmo.
Qualcosa di
costoso.
-
N-no… noooo!
Quando
riuscì a staccare le labbra da quelle di Francis (gli ci
vollero alcuni
secondi, dato che quel dannato effeminato quando voleva possedeva una
forza
sovrumana) (e non era la forza dell’amore), cercò
con lo sguardo la sorella, ma
non vide altro che i cocci di un vaso sparsi a terra e una scia di
sangue che
conduceva oltre la finestra.
Avrebbe
dovuto farle pagare il vetro. Magari avrebbe mandato Lituania da lei,
perché
lui meno la vedeva meglio era. Questo gli passò per la mente
a velocità della
luce, mentre tentava di non pensare a quello che era successo.
-
Visto?- disse Francis ricordandoglielo – se
n’è andata!
Fece
un sorriso della serie “ma quanto sono bravo?” e
Ivan si chiese dove mai avesse
messo il kalashnikov, perché ce n’era gran
bisogno.
L'angolo dell'autrice.
Questa storia non finisce qui. Si potrebbe definire questo un capitolo autoconclusivo, così come se ne potrà leggere il seguito come un'altra storia a sé. Appena avrò scritto altre one shot su Ivan e i suoi spasimanti (xD) le raccoglierò sotto forma di serie.
Come sempre, potete leggere qualcosa su di me e sulle storie che scrivo, potete criticare, giurare amore e odio eterno, potete fare richieste e domande sul mio blog: www.langolodiartemis.blogfree.net , dove del resto risponderò alle recensioni.
Alla prossima!