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Autore: Artemis00    17/04/2010    5 recensioni
Francia da anni deve un grande favore a Russia che finalmente si trova nelle condizioni di affidargli un incarico. Riuscirà Francis a portarlo a termine? E come?
Genere: Romantico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Francia/Francis Bonnefoy, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fredda canna del kalashnikov sfiorava la sua fronte, leggera e delicata come le zampe di una gelida falena mortifera. Quasi piacevole, a contatto con la sua fronte lucida di sudore.

Eppure avrebbe mille e mille volte preferito soffocare in balia del caldo. Un caldo che però non esisteva, era tutto nella sua mente. Forse collegato al nervosismo di avere presto una pallottola conficcata nel cervello.

- I-Ivan… ragioniamo…- deglutì e si tirò indietro, strisciando contro la parete di cemento di quel caseggiato fatiscente.

La bocca del fucile si premette con maggior convinzione sulla sua fronte.

- Hai di nuovo invaso il mio territorio, Francia, che altro c’è da dire?- la voce infantile di quel dannato ragazzino lo irritava, perché scorgeva un ché di incredulo e ilare in essa – Allora, con chi sei alleato? Chi ti ha mandato? America, forse? O Inghilterra?

- E chi ti dice che non sia venuto per conto m…- fu interrotto dalla canna del fucile che gli entrava in bocca e gli premeva su una guancia.

- Che motivo avresti di cercare battaglia, Francia? Tu non guadagneresti nulla… In genere non ti imbarchi in guerre senza speranza, sappiamo tutti come andò a finire l’ultima volta…

Estrasse il kalashnikov dalla sua bocca con un movimento fluido.

Francis schioccò le labbra, schifato da quel sapore ferroso che gli ricordava il sangue. Guardò il suo aguzzino: un ragazzino, nient’altro che un efebico ragazzino dal sorriso inquietante, poco cresciuto rispetto a quello che gli aveva inflitto una dura sconfitta solo un secolo addietro.

- Risparmiami la vita, Russia. Ti scongiuro. Farò quello che vorrai.

Il ragazzo parve sorpreso e in qualche modo scontento. Forse avrebbe voluto punire con la morte un eventuale accenno di resistenza da parte sua, ma quell’atteggiamento passivo lo spiazzava e rendeva un’eventuale esecuzione poco divertente.

- Va bene.

L’arma venne del tutto abbassata.

Francis alzò lo sguardo, i riccioli sudati che gli coprivano gli occhi, in attesa di un ordine che non ricevette.

- Quando saprò cosa chiederti, te lo dirò. E tu dovrai farlo.

Non per il momento.

***

- Nii-san… sbarazzati di questa porta che ci separa…

Rumore di unghie sul legno. Ivan stava accovacciato dietro una poltrona, cercando di riordinare i pensieri. Lei era l’unica persona al mondo che lo terrorizzava seriamente, e i suoi sottoposti cominciavano ad accorgersene. Inoltre si faceva sempre più insistente, specie da quando Ucraina aveva preso a ignorarlo voltandogli le tette e il cuore.

- Nii-san… lo sai che siamo destinati a stare insieme…

Gemette e strinse gli occhi. Posò una mano sul pavimento polveroso di quel buio studio in disuso, alla ricerca di qualche bottiglia di vodka. La sua mano si chiuse attorno al suo cellulare.

Lo prese in mano. Era da un po’ che non lo usava, ed era quasi del tutto scarico. Ovviamente nessuno lo aveva cercato.

Chi poteva aiutarlo?

Non aveva amici. Certo non poteva chiedere consiglio a Lituania o Lettonia, avrebbe perso la faccia e poi li avrebbe puniti. E temevano Bielorussia quanto temevano lui e quanto lui temeva lei.

“Ti scongiuro. Farò quello che vorrai”

Alzò un sopracciglio. Ne erano passati, di anni, da quella promessa. Ormai era un uomo, seppur giovane. Eppure, tentare non nuoce.

Compose il numero di Francia.

***

- Catherine, il telefono!

Francis posò sul bordo della vasca il bicchiere di vino che beveva abitualmente durante il suo bagno serale, con petali di rosa nell’acqua e tanta schiuma.

La cameriera comparve, impolverata, e gli porse la cornetta.

- Oui?

- Priviet, Francis.

Oh, dieu. Solo uno lo poteva salutare così.

- I-Ivan! Che posso fare per te, ma cherie?

Silenzio dall’altra parte dell’apparecchio, a parte urla disumane. Stava torturando qualcuno? Rabbrividì. Eppure non erano urla di dolore…

- Esattamente. Cosa puoi fare per me. È ora di onorare il patto.

Le gote del francese s’imporporarono al ricordo di quell’umiliazione.

- Immagino di sì. Ne puoi parlare al telefono?

- No. Ti aspetto qui al più presto.

- Ma, petite, lì fa freddo!

Altro minuto di silenzio. Che idiota. Sapeva benissimo che lì faceva freddo, anche senza che glielo ricordasse.

- Tuttavia immagino che sia sopportabile, dato che è quasi estate… dunque vedrò di farmi vedere nel giro di due giorni.

Finalmente Ivan gli rispose. Faceva così, al telefono, le poche volte in cui ci aveva parlato: non rispondeva finché non gli dicevi quello che voleva sentirsi dire. Un po’ come quando parlavano di persona, solo che lì faceva più impressione perché sorrideva in quel modo spaventoso.

- Va bene. Allora a lunedì.

- Bon. Au revoir.

- Do svidania.

Francis sospirò e posò la cornetta sulla forcella del telefono d’epoca, congedando la cameriera.

Una volta solo, si perse nei suoi pensieri chiudendo gli occhi e sorseggiando Bordeaux.

Ivan Braginski. Se il giorno in cui era stato messo con le spalle al muro non gli era sembrato diverso da quando aveva fallito la spedizione in Russia con Napoleone, adesso poteva dire che era cambiato.

Ma solo fisicamente, forse.

Quel ragazzino si era trasformato in un uomo alto, imponente, dai lineamenti dolci ma indubbiamente maschili. Doveva ammettere che gli aveva spesso provocato più di qualche brivido: era così diverso dagli altri, così grande… aveva immaginato anche lui nudo, quando aveva proposto di rispolverare la tradizione greca delle Olimpiadi (che poi hanno partecipato tutti vestiti, quei bigotti), per quanto fosse complicato indovinarne il fisico, sotto quella serie di indumenti pesanti che indossava.

Tutti provavano generica antipatia verso quel ragazzo dai capelli chiari e sorriso infantile, ma a pochi sfuggiva una sorta di malinconia di fondo, forse dovuta alla mancanza del calore del sole, o proprio di calore umano.

Francia sorrise fra sé e si leccò le labbra.

Avrebbe avuto tutto il calore umano che desiderava…

Ridacchiò e tese una lunga gamba, sollevandola dal pelo dell’acqua per rimirarla.

Magari Russia era vergine.

Rise ancora, civettuolo.

Catherine, fuori dalla porta, scosse la testa. Il padrone aveva trovato una nuova vittima, e pace all’anima sua.

 

Accidenti, era fredda la Russia!

Si strinse i vestiti addosso. Poteva anche essere maggio, ma faceva freddo come a gennaio!

Venne accolto da una figurina intabarrata, che gli prese la valigia senza dire una parola.

“Meglio così,” pensò, affondando fino al naso nei giri della sua sciarpa alla moda “non ho proprio voglia di aprire bocca. Mi si potrebbero congelare le tonsille”

Seguì quello che riconobbe poi come Estonia fino alla reggia di Russia. Francis non fece assolutamente caso a ciò che aveva attorno, finché non gli si fu chiuso alle spalle il pesante portone lucido, che pareva nuovo.

Sospirò di sollievo: adesso sì che stava bene!

Si tolse il cappotto, guardandosi attorno.

La sala d’ingresso era un locale rettangolare, abbastanza spazioso, arredato con un divano e un cassettone (che probabilmente nascondeva bottiglie di vodka), un appendiabiti di quercia e diversi relitti di sedie e porte spaccate, in un angolo.

- Scusa il disordine- disse Estonia, svolgendosi la sciarpa dal collo – comunque questo è nulla rispetto a ciò che troverai oltre quella porta- indicò l’interno della casa – Siamo riusciti a mettere un nuovo portone prima del tuo arrivo, perché quello prima è stato sfasciato.

Francis rabbrividì: una crisi di Russia?

Come a leggergli nel pensiero, Estonia si affrettò a dirgli:

- Purtroppo Bielorussia è venuta a far visita al fratello.

Bielorussia, sì… quella ragazza carina, con l’ossessione per Ivan. Era più spaventosa di lui, ora che ci pensava. Che il suo incarico avesse qualcosa a che fare con lei?

***

Nervosamente Ivan si volse verso la porta, il sudore freddo che gli colava fastidiosamente lungo la schiena, facendogli il solletico.

Quando arrivava quell’effeminato di un francese? Ridusse gli occhi violacei a due fessure, cercando di calmarsi, ma fu vano: un rumore di vetri rotti lo fece sobbalzare e quasi si morse dolorosamente la lingua. Lentamente guardò la finestra. Una mano femminile e insanguinata scivolava sul vetro lasciando ditate rosse, alla cieca ricerca della maniglia della finestra. Con uno scatto questa si aprì. Un essere dalle solo lontane sembianze umane scivolò dentro la stanza, strappandosi brandelli di vestito nell’arrampicata attraverso l’apertura. E poi letteralmente colò a terra con rumore di vestiti bagnati.

Invece di tirarsi su cominciò a incedere lentamente e inesorabilmente verso i suoi piedi, strisciando come una lucertola e lasciandosi dietro una scia di sangue che solo in parte doveva essere suo.

Un sibilo:

- Sposiamoci… sposiamoci… sposiamoci…

Sembrava uno di quei film che Alfred copiava a Giappone. Una volta ne aveva visto uno, parlava di una videocassetta e di un pozzo. Non l’aveva spaventato neanche un po’, ma adesso osservava, bloccato dalla paura, l’orrore fatto persona che compieva lo stesso identico gesto, i capelli sulla faccia.

- Ivan!

Una voce maschile lo colse di sorpresa. Non aveva sentito la porta aprirsi dietro di lui, tanto era concentrato sullo spettacolo macabro che si svolgeva ai suoi piedi.

Francis annusava una delle sue rose, quelle che spuntavano dal nulla, con un sorrisetto malizioso stampato sul faccino delicato che avrebbe tanto voluto prendere a pugni.

- Vedo che c’è la tua graziosa sorella!- disse, scostandosi un ricciolo biondo dal viso. Ivan sospirò di sollievo, anche se il problema era lungi dall’essere risolto. Tra parentesi, anche se qualcun altro si sarebbe irritato vedendo la sorella ricevere complimenti dagli altri uomini, lui al momento voleva solo liberarsene. Del resto lasciava che lei uscisse con Lituania, quando a questi prendeva uno di quei momenti in cui voleva convincersi di essere eterosessuale… esilarante.

- Allora, glielo hai detto?- domandò poi, rivolto a Russia, le mani sui fianchi e un sopracciglio leggermente inarcato.

- C-cosa?- fece stupito Ivan, mentre la “graziosa” sorella biascicava qualcosa di simile, per poi rialzarsi e assumere il suo (truce) aspetto quasi normale.

- Cosa dovrei dirle?- disse ancora, confuso.

- Ma come?- esplose Francis, come se lo avesse offeso mortalmente – Ivan, insomma, quando hai intenzione di parlarle? Mi avevi promesso che l’avresti detto alle tue sorelle almeno una settimana fa!

Il ragazzo si voltò verso la sorella, che lo guardava sospettosa, le braccia conserte.

- Cos’è che mi dovresti dire, fratellone?

E poi sentì Francis cingergli il braccio, tenendoselo premuto contro il petto, le sue mani che gli solleticavano maliziose l’incavo del braccio e vagavano fino al palmo della mano. Un gesto che se fosse stato meno intabarrato nei suoi vestiti, l’avrebbe scosso per tutti i brividi che provocava.

- Bella Natalia, - esordì Francis, con un sorriso che prometteva nulla di buono – Ho il piacere di comunicarti…

Una mano sulla guancia del russo, bruciante, quasi affettuosa.

- … che io e Ivan ci siamo messi assieme!

La bocca del francese si poggiò sulla propria. Una sensazione calda, umida e soffice. Gli occhi viola di Ivan, sgranati, vennero intercettati da quelli blu di Francia, socchiusi e languidi. Le mani del francese scesero lungo i fianchi del russo e afferrarono saldamente le anche, attirando il bacino di lui a sé. Profumava intensamente di rose, respirava sotto il suo naso aria calda, strofinava impercettibilmente il suo inguine contro il proprio, provocandogli alcune reazioni dabbasso.

Di nuovo, rumore di qualcosa che si infrangeva sul pavimento di marmo. Qualcosa di costoso.

- N-no… noooo!

Quando riuscì a staccare le labbra da quelle di Francis (gli ci vollero alcuni secondi, dato che quel dannato effeminato quando voleva possedeva una forza sovrumana) (e non era la forza dell’amore), cercò con lo sguardo la sorella, ma non vide altro che i cocci di un vaso sparsi a terra e una scia di sangue che conduceva oltre la finestra.

Avrebbe dovuto farle pagare il vetro. Magari avrebbe mandato Lituania da lei, perché lui meno la vedeva meglio era. Questo gli passò per la mente a velocità della luce, mentre tentava di non pensare a quello che era successo.

- Visto?- disse Francis ricordandoglielo – se n’è andata!

Fece un sorriso della serie “ma quanto sono bravo?” e Ivan si chiese dove mai avesse messo il kalashnikov, perché ce n’era gran bisogno.

 

  

L'angolo dell'autrice.
Questa storia non finisce qui. Si potrebbe definire questo un capitolo autoconclusivo, così come se ne potrà leggere il seguito come un'altra storia a sé. Appena avrò scritto altre one shot su Ivan e i suoi spasimanti (xD) le raccoglierò sotto forma di serie.
Come sempre, potete leggere qualcosa su di me e sulle storie che scrivo, potete criticare, giurare amore e odio eterno, potete fare richieste e domande sul mio blog: www.langolodiartemis.blogfree.net , dove del resto risponderò alle recensioni.
Alla prossima!
  
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