You could be my
unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.
Capitolo otto
Facile
come respirare
«Buon
giorno!» esclamai avvicinandomi a Rachel, da dietro.
Il mio viso vicinissimo ai suoi capelli color della pece.
Lei
sobbalzò e si voltò di scatto, allontanandosi di
un paio di passi.
Soddisfatto sorrisi.
«Ops, ti ho spaventata?» chiesi fingendomi
preoccupato.
Rachel, con le mani
poggiate sul petto, all’altezza del cuore, mi guardava con
occhi sgranati a bocca spalancata. «No, certo che no. Ho solo
finto.» ansimò.
Sorrisi.
«Attrice magnifica.»
Deglutì
lisciandosi la maglia nera sul
ventre piatto. Si riavviò i capelli ribelli e poi, chiudendo
gli occhi per un
attimo ed ispirando profondamente, tornò a guardarmi in
volto. «Ma sei
impazzito?» sbottò portandosi le mani sui fianchi.
Risi di gusto.
«Ho detto che sarebbe accaduto.»
Rachel
corrugò la fronte e aprii la bocca per replicare, alzando
l’indice, ma
la richiuse. La riaprì ancora e dopo qualche secondo, in cui
trattenne il
respiro e tenne la bocca spalancata, disse: «Credevo
sarebbero dovute passare
almeno un paio di settimane.»
Incrociai le braccia
al petto. «E invece no. Cosa vuol dire?»
Lei
arricciò le labbra prima di fissarmi confusa. «Che
hai visto una gallina
volare?»
«Sbagliato.»
«Era una
mucca?»
«A far
cosa?»
«A volare,
genio.»
«Oh. No, no.
Sbagliato. Che avevo ragione io.»
«Oh.»
sussurrò annuendo piano con la
testa e carezzandosi il mento. «No, non ho capito.»
Sbuffai ed iniziai a
camminare dirigendomi verso la grande stanza per le prove.
«Che sei stata tu a farmi impazzire per prima.»
Rachel sorrise e
scosse lentamente il capo. «E’ ciò che
tu credi.» disse e la
sua voce parve celare concetti sconosciuti.
«Che
intendi?» chiesi corrugando la fronte, d’un tratto
serio.
Per alcuni secondi
Rachel si fissò la punta delle scarpe da tennis logore, poi
alzò lo sguardo mostrandomi un allegro e dolce sorriso.
«Quanti caffè hai
bevuto, Bob, oggi?»
Corrugai la fronte,
confuso. «Questo non è lecito saperlo.»
«Dai, spara.
A me puoi dirlo.» ridacchiò sbattendo le palpebre
con fare
civettuolo.
«Un…
paio, credo.»
«Solo?»
«Okay,
tre.»
«Ora spiega
tutto». Rise.
Agitai le mani in
aria. «C’è una giusta
spiegazione.» annuii alle mie stesse
parole.
«Cioè?»
chiese portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e
salendo la
grande scalinata.
«Beh, sono
in piedi dalle quattro e il caffè era l’unico
amico capace di
tenermi compagnia.»
«E ti sei
alzato così presto per scorgere delle galline volere nel
cielo
mattutino?» ridacchiò.
«No, certo
che no.»
«Giusto…
erano mucche.»
«Ma come
siamo simpatiche oggi.» ironizzai.
«Ma come
siamo esaltati oggi.»
«Colpa del
caffè, delle poche ore di sonno e di un amico in piena
crisi.»
«Esistenziale?»
chiese con tono preoccupato.
Feci un risolino,
passandomi una mano fra i capelli e scuotendo il capo.
«Sarebbe stata una buona ragione per svegliarmi alla
quattro.»
Di scatto apro gli occhi.
Il cellulare sul
comodino non fa che vibrare ed il suo rumore è terribile ed
assordante. Mi perfora i timpani.
Impreco con voce
impastata e allungo una mano. Non guardo nemmeno chi osa
disturbare il mio sonno. Mi porto il cellulare all’orecchio,
mentre affondo
parte del mio viso nel cuscino.
«Pronto?»
mugugno chiudendo gli occhi.
«Mi
tradisce.»
«Non ti
tradisce.» sbiascico le parole, corrugando la fronte.
«Sì,
invece. Rob, me lo sento!»
Sospiro e mi metto a
sedere, accendendo la lampada sul comodino.
La radiosveglia segna
le quattro del mattino.
Spalanco gli occhi.
«Che tu sia dannato, Kellan! Hai idea di che ora
sia?»
esclamo.
«Certo.»
fa una breve pausa. «Le sette del mattino.»
Taccio. Non
è possibile.
«Okay…
le quattro. Ma sono in piena crisi ed ho bisogno di parlare con
qualcuno.»
«E devi
chiamare per forza me?»
«Certo. Chi
altri sennò?»
Sbuffo e scoprendomi,
gettando il lenzuolo di lato, esco dalla mia camera
dirigendomi verso la cucina.
«Dovresti
comprarti un cane, amico. Magari puoi raccontare a lui dei tuoi
squilibri mentali.» ironizzo prima di sbadigliare ed andare a
sbattere contro
lo stipite della porta della cucina. Mi massaggio il braccio con una
smorfia,
prima di accendere la luce in cucina.
«Ehi, tutto
okay?» chiede.
Sbuffo. «No.
Ti pare che possa andare bene svegliato alle quattro del mattino
da un pazzo psicotico in preda ad una, Dio solo sa, idiota ed
inesistente crisi
esistenziale?»
«Parli di
me?»
Scuoto il capo,
passandomi una mano sul viso. «No, del tuo cane.»
«Ma non ho un
cane, Robert.» risponde innocentemente.
Mi fermo ponderando
sulle sue parole, prima si scuotere il capo ed aprire il
frigo in cerca di un vasetto di yoghurt.
«Allora, da cosa nasce questa tua
“crisi”?» domando afferrando un
cucchiaino dal cassetto della cucina e sedendomi sul tavolo.
«Non mi ama
più.»
Sgrano gli occhi e mi
blocco, il braccio e mezz’aria mentre mi porto il
cucchiaino alla bocca. «Cosa?» chiedo con voce
strozzata.
«Sì,
non mi ama più.» mugugna, quasi fosse un bambino
ed è questo tono a
mettermi in allarme. Poggio il barattolo sul tavolo e premendo la
cornetta,
stretta tra spalla e orecchio, in mano, mettendomi dritto. Chiudo gli
occhi per
poi riaprirli. «Perché non parti dal
principio?»
«Oggi non mi
ha chiamato! Ha un altro, lo so!» urla con isteria nella
voce.
Scioccato guardo un
punto indefinito della cucina, spalancando la bocca. «Non
ti ha chiamato. Mi hai svegliato per questo?» chiedo con voce
estremamente
tranquilla.
«E ti sembra
poco?»
«Kellan?»
ringhio.
«Dimmi.»
mugola.
«Va al dia
volo, amico!»
«Oh,
ma è terribile!» esclamò portandosi una
mano
sulle labbra.
«Lo so!» sospirai alzando le braccia al cielo per
poi farle ricadere.
«Non so come tu abbia fatto. Devi una grande forza
interiore.» disse
poggiandomi una mano sul un braccio e sorridendomi con dolcezza e
comprensività. Si avvicinò alzandosi in punta di
piedi e mi baciò una guancia.
Il suo profumo di fragola m’inondo straordinariamente i
polmoni e per pochi
istanti fu come essere a casa.
«Mi dispiace.» sorrise poi battendomi piano la mano
sul capo, poi si voltò ed
entrò nella grande sala.
Rimasi per alcuni istanti, immobile, ripensando alle sue labbra morbide
sulla
mia guancia e… al suo sguardo. E poi capii.
«Mi ha preso in giro.» mormorai scioccato. Di
scatto mi voltai, accigliato.
«Rachel!»
Era ora di pranzo e morivo di fame. Il mio stomaco non faceva che
brontolare,
mentre, diligentemente, cercavo di fare il mio lavoro.
Quando finalmente arrivò l’ora di pranzo tirai un
sospiro di sollievo. Quel
giorno nel menù offertoci c’era pasta e
polpettone. Davvero molto leggero. Ad
ogni modo, non avevo alternative.
Mi diressi all’uscita della grande stanza diretto alla
toilette per lavarmi le
mani, ma, quando uscii dal bagno diretto al lavandino, sobbalzai, colto
di
sorpresa dalla singolare figura poggiata al muro di mattonelle bianche
ed
azzurre.
«Mi hai fatto prendere un colpo.» disse con tono
grave avvicinandomi al
lavandino.
«Femminuccia». Fece spallucce per poi sorridere.
«Che ci fai qui, Rachel?» chiesi corrugando la
fronte ed insaponandomi le mani.
«Dovevo andare in bagno.» disse rimanendo a
fissarmi.
«Ora è libero.» dissi voltandomi a
guardarla. Alla luce del neon i suoi occhi
erano turchese vivo.
«Lo so.» annuì. Aprii l’acqua
e mi lavai le mani.
«E perché rimani a fissarmi?» ridacchiai.
«Perché sei strano.»
«Io? Oh, se ne sei convinta.»
«Certo, chi altrimenti? Qui ci siamo solo io e te, e sai bene
che io sono
assolutamente normale.», sorrise. «E poi ho una
cosa per te.»
Mi voltai a guardarla, dapprima corrugando la fronte, poi sorridendo.
«Cosa?»
«Mi permetti di andare in bagno prima?» chiese
staccandosi dal muro e
mettendosi dritta.
«Okay, te lo permetto.» dissi afferrando un pezzo
di carta.
«La ringrazio, Bobby. Sa, lei è davvero una
persona di buon cuore.» disse
fingendosi commossa e portandosi le mani al petto.
Feci spallucce e le indicai il bagno con un cenno del capo. Lei sorrise
e si
avvicinò a me, usando la mia spalla come appendiabiti per
sua borsa di stoffa
rossa. Con movimenti sinuosi entrò in bagno, chiudendosi la
porta alla spalle.
Osservai il riflesso del legno chiaro nello specchio. Come faceva? Non
ne avevo
la più pallida idea. Riusciva a farmi sorridere con una tale
naturalezza da
lasciarmi quasi sconvolto. Riusciva a farmi sentire… a casa
come pochi,
nell’ultimo periodo, erano riusciti a farmi sentire, ma, cosa
più sorprendente,
con lei riuscivo a non pensare. Riuscivo ad estraniarmi dalle
preoccupazioni
giornaliere vertenti sul lavoro o su… Kristen. Ed era
strano… maledettamente
strano. Forse cercava di dirmi qualcosa, qualcosa che ingenuamente non
riuscivo
a cogliere, o forse ero io stesso che cercavo di dirmi qualcosa, di
giungere ad
una conclusione ben chiara al mio cuore, o al mio animo, ma ancora
troppo cieco
per vedere. Magari mi sbagliavo su tutto, per via delle infinte
congetture
nella quale mi perdevo. Riaffiorai dall’immenso oceano di
pensieri quando la
serratura scatto e Rachel uscì dal bagno, rivelandomi il suo
viso.
Non so cosa mi successe, non ho idea di cosa fosse scattato in quel
momento, ma
ai miei giovani occhi apparve la ragazza più bella e dolce
mai conosciuta.
Osservai il suo viso di bambina, armonioso e solare, quel viso di cui
non puoi
non fidarti, quel viso che guarderesti sorridere, o ridere, per ore
senza mai
distogliere lo sguardo né da esso né dai suoi
occhii limpidi e cristallini.
«Ehi, sta bene?» sussurrò d’un
tratto poggiandomi una mano su un braccio. Solo
allora mi accorsi che si era avvicinata.
Deglutii riaffiorando da quel mondo fatto di sole sensazioni, scostando
quel
velo che mi copriva il viso e mi offuscava la vista.
«Sì.» soffiai guardandola negli occhi,
dallo specchio.
Lei inclinò il capo ed i capelli le finirono oltre la
spalla. «Sicuro?»
«Sì.» mormorai abbozzando un sorriso.
«Okay.» disse mentre un sorriso sghembo le colorava
il viso sottile. Poi si
avvicinò al lavandino per lavarsi le mani.
«Comunque… cos’hai per me?»
chiesi votandomi a guardarla e affondando le mani
nelle tasche dei jeans.
«Se mi lascia lavare ed asciugare le mani, te la recupero
dalla borsa, genio.»
disse indicando la borsa di stoffa poggiata alla mia spalla.
Feci un risolino. «Perdòn.»
«No importa.»
«Qualcosa mi dice che al liceo non sono stato
l’unico a seguire un corso di spagnolo.»
«Arguto il ragazzo.» annuì fissandomi
negli occhi ed incrociando le braccia al
petto.
Quasi impacciato rimasi, lì, immobile, fissando il turchese
dei suoi occhi.
«Hai intenzione di uscire di qui?» chiese alzando
un sopracciglio.
Risi e mi grattai la nuca prima di voltarmi ed uscire dal bagno.
«Allora, Bob…»
«Rachy…»
Si voltò e mi fulmino con lo sguardo, prima di tornare a
guardare davanti a sé.
«Allora, Robert… vieni con me. E non
fiatare.» disse e, d’un tratto la sua mano
strinse la mia, in un gesto del tutto casuale. Per un attimo la guardai
sorpreso, ma sembrò non accorgersene mentre mi trascinava
lungo il corridoio e
poi in ascensore. Quando fummo dentro non lasciò la mia
mano. La sua stretta
era delicata ma allo stesso tempo salda. La tipica stretta di chi sa
ciò che
vuole, di chi non ha paura di rapportarsi agli altri e non potei fare a
meno di
chiedermi cosa ella pensasse in quel momento.
Quando arrivammo all’ultimo piano, Rachel mi
trascinò fuori.
«Il tetto?» chiesi accigliandomi.
«Sta zitto.» sbuffo aprendo la grande porta di
metallo.
«E’ aperta?» chiesi sorpreso.
«Sì, ho chiesto all’addetto alla pulizie
di lasciarla aperta. Certo che tu ed
il silenzio non andate d’accordo, eh?»
roteò gli occhi mentre avanzava sul
grande terrazzo. Il vento le sfiorava i capelli che si muovevano come
onde del
mare. Il campanello legato alla borsa tintinnava e sorrisi, scuotendo
appena il
capo.
Ad un tratto, Rachel si fermò nel punto in cui il cornicione
incontrava il
muro. «Direi che qui va benissimo.» disse saltando
sul cornicione e sedendosi
appoggiandosi al muro. Per un attimo lo stomaco mi si strinse in una
morsa.
«Ma non sarà pericoloso?»
«Non sono una bambina, Bob. Non cado.»
sbottò afferrando la borsa.
Sospirai. «Okay, se lo dici tu.» dissi sedendomi a
gambe incrociate sul
pavimento.
«Ecco a te.» disse porgendomi una busta di carta.
«Cos’è?» chiesi corrugando la
fronte ed afferrando il sacchetto.
«Un… assaggio.» disse scrollando le
spalle e facendo oscillare i piedi.
«Ehi, da questa angolazioni sembri più
alta.» ridacchiai.
«Ah-ah, divertente.»
Aprii il sacchetto e spalancai gli occhi, prima di afferrare il panino.
«E’ un hamburger vegetariano!»
esclamò sorridente.
Spalancai la bocca e repressi una risata. «Oh, ma
è… è fantastico, Rachel.»
«Non fare così, scemo. Magari ti
piacerà.» disse facendo spallucce e tirando
fuori dalla borsa un altro sacchetto di carta. «Ho bisogno di
nutrirmi anche
io.» aggiunse quando si accorse che la guardavo.
«Okay, proviamo.» disse addentando il pane.
Masticai molto lentamente cercando
di assaporare al meglio il panino.
«Allora?» chiese saltando già dal
muretto e sedendosi accanto a me, a gambe
incrociate.
Mi grattai la nuca e feci una smorfia. «Perdonami,
Rachel… ma la carne è al
carne.»
«Uhm… ciò vuol dire che non ti
piace?» sbuffò inarcando la schiena.
Mi voltai e le sorrisi. «Ciò vuol dire che
preferisco la carne, non che non mi
piaccia.»
«Giusto.», e gli angoli della bocca si sollevano
piano verso gli occhi mentre
chinava il capo, giocando con un filo del taglio dei jeans.
«Questa sera vedremo se ti piacerà la mia
cucina.» disse tirandomi un leggero
spintone con la spalla.
«Spero solo di arrivare al dolce.»
«Come fai ad essere così sicuro che ci sia il
dolce?» chiese corrugando la
fronte.
La guardai alzando un sopracciglio. Lei rise. «Sì,
scusa.» aggiunse portandomi
una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«E sono io quello strano.» osservai tirando un
altro morso al panino.
«Certo!» esclamò lei seria, annuendo col
capo.
«Qual è stata la cosa più…
cattiva che hai fatto, Robert?» chiese lei dopo un
minuto di silenzio.
«Uhm… non saprei.» mormorai rovistando
nel cassetto dei ricordi.
«Dai… da bambino non hai mai fatto nulla di
perfido?» chiese spostandosi e
posizionandosi davanti a me, senza mai alzarsi e rimanendo con le gambe
incrociate.
«Okay. Ho… ho consumato un pranzo e sono scappato
senza pagare.» dissi annuendo
alle mie stesse parole.
Rachel schioccò la lingua e fece una smorfia.
«Questo l’ho fatto anch’io… e
non
una volta. Dai, scommetto che hai fatto di peggio.» disse
mordendosi il labbro
inferiore.
Feci spallucce. «Ho introdotto alcolici nella scuola. Avevo
sedici anni quando
in bagno bevvi della vodka. E’ una cosa che non sa
nessuno.» dissi più a
me stesso che a lei.
«Perché me lo dici?» chiese con
espressione imperscrutabile.
«Non lo so.» ammisi.
«Interessante.» annuì accarezzandosi il
mento.
«E tu, Rachel?» chiesi mangiando altro panino.
«Azionato l’allarme antincendio.»
«Scommetto che non bruciava nulla.» osservai mentre
prendeva una bottiglietta
d’acqua dalla borsa.
Rise. «Perspicace.»
«Grazie.»
Lei si avvicinò la bottiglia alle labbra e, per qualche
strano motivo, dovetti
faticare per non osservarle a lungo.
«Ne vuoi un po’?» chiese porgendomi la
bottiglia. Annuii e l’afferrai. Dopo
essermi dissetato le restituii la bottiglia.
«Credo sia ora di andare, Bob, altrimenti Sam non
può chiudere.», sorrise,
alzandosi.
«D’accordo, ragazzina.»
ghignai
alzandomi. Rachel scosse il capo e cominciò a camminare.
Sì, stare con Rachel era facile come respirare.
*
Ed
eccomi qui… ancora.
Mi scuso per il ritardo, ma purtroppo non posso aggiornare tanto in
fretta.
Colgo l’occasione per dirvi che gli aggiornamenti saranno
rallentati perché,
con la scuola che volge al termine e gli esami che si avvicinano, il
tempo è
davvero poco… senza contare che la testa è
altrove.
Chiedo davvero scusa.
Ora, via le ciarle e passiamo a
ringraziare gli angeli che hanno recensito lo scorso
capitolo. Ma prima…
un meraviglioso ed enorme grazie ad
Ire… e
lei sa benissimo perché.
Ryry_ :
ciao, So! Beh, sì… chi non ha paura delle
mucche assassine! E Robert piano capisce tante cose… grazie
mille per la
recensione, cara, davvero, mi ha fatto un immenso piacere. Spero che
questo
capitolo sia stato di tuo gradimento.
KeLsey: ciao, Eri! *-* sono felice di sapere che
Rachel ti piaccia
come personaggio, davvero! Il tuo parere conta molto, e lo sai
mostriciattolo!
Spero di non averti annoiata con questo. Grazie, Eri, davvero. Ti
voglio bene.
(L)
Piccola Ketty: ciao, Kè!
*-* oh, non
sai che piacere ricevere le tue recensioni! (nah, non è
vero, lo sai!) Guarda
quel pezzo ha un fondo di verità… ma non
diciamolo a nessuno XD Sono contenta
ti sia piaciuto… avevo il timore di essere ridicola e
noiosa. Spero ti sia
piaciuto il capitolo, davvero. Oramai il tuo parere…
è il tuo parere. Grazie di
tutto, tesoro, davvero. <3 ti voglio bene.
Nessie93: ciao, Chià!
Alla fine ce
l’ho fatta. Stupida scuola. Sono contenta ti sia piaciuta la
scena al bar, mi
sono divertita un sacco a scriverla XD il calcio sotto il tavolo
è quasi un
classico… che in realtà non funziona
mai… te lo dico per esperienza personale.
Beh, qui l’allarme anti-incendio c’è, ma
in un altro contesto. Grazie, tesoro,
davvero. Grazie di tutto. Ti voglio bene.
Railen: ciao, Ire! *-* ti devo
ringraziare di cuore, e lo sai! Grazie, grazie, grazie! Sono contenta
ti
piaccia la mia fiction, ci tengo molto al tuo parere, bello o brutto
che sia.
Ebbene sì, Rachel è una parte positiva e questo
capitolo sta un po’ a
dimostrarlo. Eh eh, qualcosa di hot… mmmh, si
vedrà. Grazie, tesoro, davvero.
Grazie di cuore (scusa le ripetizioni XD).
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Sono
contenta il capitolo ti sia piaciuto, e spero ti sia piaciuto anche
questo. Il
tuo sclero è stato fenomenale, davvero, mi ha fatto morire
dalle risate XD Spero
che questo capitolo ti abbia fatto
comunque ridere. Grazie per la recensione, davvero. Grazie.
Lucy_Scamorosina: ciao! *-* oh, che
piacere ricevere la tua recensione, davvero! *-* Sono contenta ti sia
piaciuto
il capitolo, davvero! Mi spiace solo aver postato così in
ritardo, ma la scuola
ha effetto risucchio e purtroppo non ho più molto tempo
disponibile. Dopo le
ore di studio non connetto più e ho difficoltà a
scrivere. Spero ti sia
piaciuto questo capitolo. Grazie, sul serio.
ginevrapotter: ciao! *-* sul serio
ti è piaciuta? Okay, ora comincio a gonogolare come una
scema. Chiedo scusa per
il ritardo, ma come ho detto per Lycy, la scuola ha effetto risucchio. Grazie.
A
voi, un bacio,
Panda.