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Autore: fri rapace    19/04/2010    6 recensioni
Era vero. Ted era sempre riuscito a evitare di chiamare il genero per nome, fino ad allora. (…) E Remus… Remus sorrideva, anche in quel momento, tradendo un lieve tremito nelle mani.
“Tu non ricordi il mio nome”, sembrò accusarlo con il suo tremore.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Ted Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tu non ricordi il mio nome Seduto su una sedia in un angolo del suo giardino, Remus non mostrò alcun segno di averlo notato mentre si avvicinava alla casa, scostava il cancelletto socchiuso della modesta abitazione e si fermava rigido come un palo davanti a lui.
“Come stai?” gli chiese Ted per attirare la sua attenzione.
Remus non sembrò sorpreso nello scoprire che era lì accanto. “Sono qui”, rispose semplicemente, come se non fosse una cosa ovvia.
“L’avevo sentito dire.”
Ted ripensò ai primi tempi in cui la sua bambina aveva preso a frequentarlo, al modo in cui parlava in continuazione di lui, il suo nome ripetuto come intercalare e la risposta che lei gli aveva dato quando glielo aveva fatto notare un po’ seccato: “Tu non dici mai il suo nome, papà, manca poco che lo chiami direttamente Tu-Sai-Chi. Capisci che mi tocca compensare.”
Era vero. Era sempre riuscito a evitare di chiamarlo per nome fino ad allora, all’inizio come sfogo a una sciocca e infantile gelosia paterna - una specie di broncio sillabico - mutato in una flebile rappresaglia dopo aver scoperto la sua natura di licantropo.
Ma non era mai stato scortese con lui, perché Ted era un bravo ragazzo, un uomo gentile che non era capace di ferire il suo prossimo, neanche quando se lo meritava, e Remus… Remus sorrideva, anche in quel momento, tradendo un lieve tremito nelle mani.
“Tu non ricordi il mio nome”, sembrò accusarlo con il suo tremore.
“Quando torna Ninfadora?” gli chiese, con quell’aria distaccata che assumeva quando era nervoso.
Ted avvertì una fitta tra le costole. “Non ti preoccupare, c’è troppa confusione, nessuno si metterà a indagare su… beh… su di te. Andrà tutto bene”, concluse velocemente, con l’impressione di avergli appena mentito.
Lui si aggrappò al manico del badile che aveva tra le gambe e si tirò in piedi in qualche maniera, sostenendosi con esso. “Ninfadora non è l’unica signora che sto aspettando”, scherzò, alludendo alla luna piena.
I pleniluni erano ormai un affare di famiglia, e Ted era stupito da quanto affollassero il loro tempo, avrebbe giurato che prima di conoscere Remus fossero meno frequenti.
“Ti ci abituerai, papà,” lo aveva consolato Dora comprensiva, solo qualche giorno prima. “Succede anche con le mestruazioni, ma poi te ne fai una ragione.”
Ted spinse Remus di nuovo a sedere, sottraendogli l’attrezzo.
“Perché non lo stai facendo con la bacchetta?” gli chiese, toccando con un piede l’alberello sdraiato al suolo che aspettava di essere piantato nel terreno.
Lui indicò con un gesto vago le facciate delle casette attorno a loro. “Perché i Babbani ci spiano,” gli confidò. “Sostano abitualmente delle micidiali pettegole dietro a quelle tende lì, lì e…” spostò l’indice in direzione di una villetta bianca, aprendo il palmo della mano al movimento repentino dietro a una delle finestre, e sventolandola con gentilezza genuina. “E quella che sto salutando tiene il conto su un taccuino del colore che assumono i capelli di Dora ora per ora. Una cronologia cromatica che ormai avrà raggiunto il volume di un’enciclopedia,” calcolò.
Ted nascose meglio la bacchetta nella tasca della giacca, sentendosi all’improvviso parecchie paia di occhi addosso. “Non ti da fastidio essere così al centro dell’attenzione?”
Lui alzò le spalle. “Ci sono abituato. E poi… loro osservano la mia famiglia, ed è bello.”
“Bello?” ripeté, perplesso.
“Spero che non debba mai succedere che le nostre curiose vicine scostino le tende e guardino verso casa mia, chiedendosi dove è finita la bizzarra famiglia che l’abitava …” si strinse la mani in grembo, il senso di colpa che lo faceva contrarre, stretto nelle spalle.
Ted deglutì, era riuscito a trasmettergli il bisogno di sostenersi al badile. “Se i Mangiamorte vi vogliono morti, è anche a causa mia”, osservò lealmente. “E questa non è la prima guerra che combatti, dall’altra ne sei uscito tutto intero, no?”
“Saprai proteggere la mia bambina, no?” La supplica che sottintendeva la sua domanda.
Non attese la sua replica, la temeva tanto da spingerlo a fuggire: gli girò la schiena, ispezionando il piccolo pezzo di terreno, e indicando infine una specie di sparuto orticello. “Dove vuoi mettere l’albero? Accanto alle rape va bene?”
Remus trattenne un sorriso. “Quali rape?”
Lui ne toccò una con il badile, e quella tirò fuori una radice dal terreno, facendogli quello che sembrava un gestaccio. “Ma che cosa…”
“Sono Mandragole.”
“Oh, fa lo stesso…” minimizzò Ted. “Ma… Mandragole hai detto? Per Tutte le Serre di Erbologia! Non ne vedevo dai tempi di Hogwarts. Che ve ne fate?”
“Le ha volute Ninfadora,” gli spiegò Remus. “Dice che le servono per abituarsi all’idea di avere a che fare con qualcosa che strilla in maniera letale. Le ha chiamate Bellatrix. Tutte e tre.”
Ted ridacchiò, la sua bambina non si smentiva mai. “I metodi di addestramento degli Auror sono sempre all’avanguardia, vedo.”
Impugnò bene il badile, mettendo a tacere le proteste di Remus che sosteneva che doveva essere lui a fare tutto il lavoro pur reggendosi a fatica in piedi, con la promessa che gli avrebbe permesso di piantare l’albero una volta ultimato lo scavo. “E poi io sono un Nato Babbano, anche se mi rifiuto di andare al Ministero a farmi registrare come tale per principio, e non ho dimenticato come si fa”, si vantò, mostrandogli la sua destrezza con l’attrezzo Babbano che si tirò quasi sui denti in seguito al primo affondo.
“Io sono nato umano,” mormorò Remus dopo una lunga pausa, soprappensiero.
“E tu non ricordi il mio nome”, Ted si immaginò che aggiungesse, mentre gli rispondeva: “Sì, io… non te l’ho mai chiesto, ma ne ero abbastanza certo.”
In realtà era una cosa su cui non aveva mai riflettuto, ma non c’era motivo di confessargli il suo disinteresse.
“Mi faceva piacere che tu lo sapessi. Io prego… imploro, per… sai… il nascere umano.”
Ted, preoccupato dal tono della sua voce, sollevò il capo dallo scavo, ma lui eluse il suo sguardo voltandosi verso la strada dove stava accostando un taxi.
Dora non fece in tempo a mettere piede giù dall’auto che volò tra le braccia del marito, gettandolo quasi a terra malgrado fosse seduto, mentre dal pacchetto che teneva in mano volavano fuori patatine fritte che si posavano placidamente sul prato come unte farfalle.
“Allora?” chiese Ted ad Andromeda, che li raggiunse mantenendo un certo contegno, il volto leggermente arrossato e un’espressione indefinita. “Va tutto bene, Ted” gli sussurrò, stringendogli un braccio.
“Sì?”
“Per quanto possa andar bene quando ci si ritrova con un lupo mannaro per genero”, precisò, provocando le risate complici di Remus e Dora.
“Beh, che avete da ridere voi due?” li bacchettò lei irrigidendosi, lasciandosi però subito dopo andare a un sobrio sorriso.
Dora, seduta in braccio al marito, fece scivolare una mano nella sua.
Remus, assorto, l'accolse mentre controllava che la moglie fosse seduta bene, al sicuro da una caduta, sempre possibile quando si trattava di lei. E mentre lui cercava di proteggerla, nascondendo pudicamente nelle pieghe del suo vestito le braccia appena trattenute attorno al suo corpo, lei rideva, parlava e si ingozzava di patatine contemporaneamente, con occhi solo per Remus.
Ted fece un passetto indietro, sentendosi di troppo e imbarazzato per la sua stupida gelosia.
Cercò una qualsiasi cosa da dire al genero, da iniziare obbligatoriamente pronunciando chiaro il suo nome.
“Tu non ricordi il mio nome”, si immaginò nuovamente accusato.
Perso nelle proprie considerazioni, pensò di esserselo immaginato, il gesto con cui venne indicato a Dora da Remus, ma il pizzicotto al braccio di lei lo vide bene.
“Oh… Ah!” esclamò la ragazza, sbriciolandosi una patatina sulla fronte contro cui si era battuta la mano in cui la teneva. “Sai, papà, Remus ha avuto un’idea.”
“Lo so. Non molto originale, ma carina.”
“Già. Quindi, tutto è partito dalle rape maleducate...”
“Sono Mandragole!” la corresse Remus, con l’aria di averglielo già ripetuto diverse volte.
“Uff, fa lo stesso. Dicevo… noi pensavamo a Ted, come nome”, annunciò solennemente, indicando la piantina con ancora le radici al vento.
Ted cercò di mostrarsi entusiasta, anche se non trovava il suo nome particolarmente appropriato per un arbusto, condannato tra l’altro a dividere poche spanne di giardino con ben tre Bellatrix!
Remus prese la parola con un certo sforzo, e capì che stava per dire qualcosa di se stesso. Normalmente non lo avrebbe definito una persona timida, anzi, sapeva essere un gran chiacchierone se stimolato, ma se la discussione si spostava sulla sua persona d’improvviso le parole gli uscivano troppo velocemente, come convinto che l’argomento non fosse di alcun interesse per nessuno e si affrettasse nel liquidarlo.
“Silente ha piantato un albero per me, a Hogwarts. Mi faceva sentire al sicuro. Anche mio padre ne aveva messo uno nel nostro giardino quando sono nato…” esitò, turbato, per poi confessare colpevole. “ … fare la stessa cosa mi fa sentire un padre.”
Ted parlò al genero francamente, ma con estrema dolcezza. “Non hai idea di cosa significa essere padre… ecco…”
“Remus?” gli venne in soccorso lui con disinvoltura, come se ritenesse normale dovergli ricordare il proprio nome.
“Remus. Sì. Remus,” riformulò, trionfante per essere riuscito a sbloccarsi. “Non hai idea di cosa significa essere padre, Remus.”
Remus annuì adagio. “Pensavamo a Ted come nome… non per l’alberello, però, ma per il bambino che mi farà scoprire presto cosa significa esserlo,” distolse discretamente lo sguardo dagli occhi di Ted, riempitesi all’istante di lacrime, le carezze affettuose con cui coccolava il ventre prominente della moglie non erano un’accusa, ma una promessa:
“Tu non ricordi il mio nome. Ma per me il tuo sarà speciale.”










Salve a tutti ^^
Prima di tutto ringrazio chi ha letto, commentato, aggiunto ai preferiti/da ricordare: "Quando il lupo si lascia trascinare", e poi, ecco un'altra shottina, spero non troppo banale.
Immagino che la scelta del nome per il piccolo Teddy sia avvenuta dopo la morte del povero Ted Tonks, ma... perché non prima? Un modo per unire le due famiglie, una mano tesa ai coniugi Tonks da parte di Remus e Dora ^^
E poi mi piace pensare che lui lo sapesse.
Ho scritto che Ted non è mai stato scortese con Remus, pur non approvando la sua unione con la figlia, e credo sia stato davvero così. Perché Dora da qualcuno dovrà pur aver preso la sua bontà e Andromeda ce la vedo molto di più a dire chiaro e tondo a Remus quanto trovasse disgustoso il suo matrimonio con la figlia ^^
Alla prossima ff (se vi va ;-)
ciao
Fri



   
 
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