Con gli occhi di Bailey
Capitolo 4
Bailey era affascinata da ciò che Tibby
le stava raccontando davanti a un gelato al cioccolato
con biscotti. A quanto pare, aveva intenzione di
girare un piccolo documentario sulle persone che la colpivano o divertivano di
più. Anche Bailey avrebbe
voluto farlo, ma non aveva nemmeno una videocamera!
Considerando
il modo in cui l’altra le parlava, Bailey
si chiese se Tibby non avesse altri amici con cui
passare il tempo.
“Ma
hai degli amici?” chiese a un certo punto.
“Sì”
rispose Tibby sulla difensiva, e cominciò a
raccontare delle sue fantastiche, meravigliose amiche. C’era Lena, bellissima e
molto timida, che stava passando le vacanze a Oia, sull’isola di Santorini dove
erano nati i suoi genitori, poi c’era Carmen, per metà portoricana, che aveva
raggiunto suo padre in South Carolina per passare con
lui le vacanze, e infine Bridget, la biondissima
atleta che era ad un campo di calcio in Messico, a Baja
California.
Bailey ascoltò affascinata, fino a quando non fu il suo momento di
descrivere Maddie. Tralasciò il particolare che non
la vedeva da sei mesi e non la sentiva da due.
A un certo punto, Tibby guardò oltre
le spalle di Bailey e fece una faccia strana.
“Perché fai quella faccia?”
Tibby le lanciò un occhiata incandescente.
“Cosa intendi?”
“Così,
con tutte le guance risucchiate in dentro” rispose Bailey
esibendosi in un’imitazione esagerata.
La
ragazza avvampò violentemente. “Ti sbagli, non stavo facendo nulla”
Bailey seguì il suo sguardo, a capì cosa
aveva attirato l’attenzione dell’amica.
Accanto al balcone, c’era un ragazzo di circa sedici anni.
“Ti
piace?”
Tibby esitò. “è okay” disse infine.
Bailey non era molto convinta. “Credi? Che cosa
ti piace di lui?”
“Che cosa mi piace di lui?”
Tibby era un po’ irritata. “Guardalo”
Bailey lo fissò apertamente, sapendo di mettere Tibby
in imbarazzo. Il ragazzo non era granché, agli occhi di Bailey.
Aveva i capelli lucidi tenuti su con una quantità industriale di gel, e degli
orecchini luccicanti al lobo destro.
“Secondo
me ha l’aria stupida” sentenziò.
“Davvero?”
domandò Tibby, pur non essendo particolarmente
interessata al suo giudizio.
“Ma crede sul serio che quegli orecchini siano carini? E poi, insomma, guardagli i capelli. Quanti chili di gel ci ha messo?”
Tibby la guardò seccata. “Bè, non
offenderti Bailey, ma tu hai dodici anni. Non sei
nemmeno entrata nella pubertà. Perdonami dunque se non accetto il tuo esperto
parere sui ragazzi”
Bailey non era affatto offesa, anzi, si stava
divertendo. “Non mi offendo per nulla” assicurò. “Ti dirò una cosa. Prima o poi troverò un ragazzo che ne vale la pena, e tu mi
dirai se non sei d’accordo.”
“Bene”
concordò Tibby, anche se non particolarmente
entusiasta.
***
Quella
sera, Bailey prese una decisione. Le sarebbe piaciuto
molto girare un filmino come Tibby, ma visto che non aveva l’attrezzatura adatta, avrebbe aiutato
l’amica come assistente.
Che lei l’avesse voluta o no.
***
Il
mattino dopo, Bailey arrivò davanti a casa Rollins (aveva letto il cognome sul cartellino di Wallman’s di Tibby e aveva
cercato l‘indirizzo sull’elenco) e suonò il campanello.
Venne
ad aprire una donna di chiare origini latino-americane. Bailey
si presentò come un’amica di Tibby e chiese se poteva
salire. Mentre attraversava il corridoio, notò che una
bambina di circa un anno stava giocando sul divano con degli animali colorati
di plastica.
Pochi
secondi dopo era già nella camera della ragazza. “Ciao”
Tibby la guardò sorpresa. Non era entusiasta di vederla. “Bailey, ma cosa ci fai qui?”
Bailey si sedette sul letto disfatto. “Non riesco a non pensare al
tuo film. È un’idea fantastica. Voglio aiutarti.”
“Non
puoi. Non ho nemmeno cominciato” protestò l’altra.
“Quindi hai assolutamente bisogno d’aiuto” dedusse. “Sarò il
tuo cameraman, il tuo tecnico del suono, il tuo capo-elettricista… Il tuo uomo
tuttofare” concluse.
“Non
sembri esattamente un uomo” puntualizzò Tibby.
“Potrei
essere la tua assistente. Il tuo ufficio stampa. O una
portaborse”
“Grazie,
ma davvero non ho bisogno d’aiuto” ripeté Tibby.
Bailey si era rialzata e si era avvicinata a
una gabbietta di plastica contente un piccolo e cicciotto porcellino d’India.
“Chi è questo qui?” chiese.
“è
Mimì. Ce l’ho da quando
avevo sette anni” spiegò l’altra.
“è
tenera. Posso prenderla?”
Tibby la guardò, un po’ stupita. “Certo.”
Con
cautela, Bailey estrasse Mimì
dalla gabbietta, tenendola in una mano a cucchiaio. “Oh, com’è calda. Io non ho
nemmeno un animale.”
“Mimì non fa molto. È abbastanza vecchia e dorme un
mucchio.”
“Si
annoia lì dentro, secondo te?” chiese Bailey.
Tibby scrollò le spalle. “Non lo so. Credo che sia abbastanza
felice. Non credo che senta nostalgia della vita selvaggia.”
Bailey si sistemò su una sedia, sempre tenendo in mano Mimì. “Hai già deciso chi sarà il tuo prossimo
intervistato?” chiese.
“Probabilmente
Duncan, lo svitato di Wallman’s”
rispose vaga l’amica.
“In
che senso, svitato?”
“Mio
Dio, è che… è che parla un’altra lingua: “dirigentese”.
Si sente così importante… ed è ridicolo.”
“Ah”
commentò Bailey, grattando la pancia di Mimì.
“Poi
c’è una con delle unghie incredibili” continuò Tibby.
“E credo che anche Brianna
meriti qualche attimo di gloria per la sua pettinatura che sfida la forza
gravitazionale! Poi mi piacerebbe intervistare la donna che lavora al multisala Pavillion: sa recitare
intere scene di film, ma solo quelli idioti.”
Bailey era sempre più entusiasta. “Io ho sempre voluto fare un
documentario.”
“Perché non ne fai uno?” chiese Tibby.
“Non
ho la videocamera. Non so come fare. Mi piacerebbe davvero che tu mi
permettessi di aiutarti” disse Bailey
con un sorriso angelico.
Tibby sospirò. “Stai cercando di farmi sentire in colpa perché hai
la leucemia, vero?”
“Sì.
Abbastanza.” Strinse a sé Mimì. “Senti, quella al piano di sotto era la tua
sorellina?”
Tibby annuì.
“Bella
differenza di età, eh?”
“Quattordici
anni. Ho anche un fratellino di due. Sta dormendo.”
“Uno
dei tuoi genitori si è risposato?”
“No.
I genitori sono gli stessi. Hanno sposato un nuovo stile di vita.”
Bailey era interessata. “Cosa intendi?”
“Bè, non saprei.” Tibby si lasciò
cadere sul letto. “Quando i miei genitori hanno avuto me, abitavamo in un
appartamento minuscolo sopra un ristorante della Wisconsin
Avenue e mio padre scriveva per un quotidiano
socialista mentre studiava legge. Poi, quando non ne ha potuto più di lavorare
come un pazzo come pubblico difensore, siamo andati a vivere in una roulotte su
due acri di terreno oltre Rockville, e mio padre ha
imparato le regole dell’agricoltura biologica, mentre mia madre scolpiva piedi.
Un’intera primavera l’abbiamo passata in tenda in Portogallo.”
Tibby si guardò in giro. “Ora lo vedi, come viviamo.”
Bailey si incuriosì ancora. “Erano
giovani, quando hanno avuto te?”
“Diciannove
anni.”
“Una
specie di esperimento” commentò Bailey
cullando Mimì addormentata.
Tibby si girò a guardarla. “Credo di sì”
Bailey rifletté. “Poi sono diventati adulti e hanno voluto avere
figli sul serio.”
Tibby distolse lo sguardo da lei e Mimì.
Si era rattristata, forse. “Bè, devo uscire, tra
poco. È meglio che tu vada” disse.
Bailey decise di non insistere. Si alzò per rimettere Mimì nella gabbia e uscì.
***