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Autore: _matthew_    19/04/2010    4 recensioni
Anthony DiNozzo era il prototipo di un ottimo agente, doveva semplicemente essere addestrato nel modo giusto.
Le sue regole erano ferree, nessuno poteva trasgredirle, nessuna eccezione. Nemmeno il loro creatore, nemmeno se l'eccezione si chiamava Caitlin Todd
Lui era tutto il suo mondo, l'unica ragione per cui valesse la pena sopravvivere. Era tutta la sua famiglia e lei aveva dovuto ucciderlo. Era morta con lui, quel giorno.

Piccola raccolta senza pretese, che si propone di dar voce ai pensieri e ai pensieri dei personaggi in alcuni dei missing moments di tutte le serie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi qui con la seconda shot, ambientata, stavolta, nel periodo di prigionia di Ziva. Buona lettura!






All'inizio, appena catturata, era stata picchiata. Due tizi l'avevano legata ad una sedia, iniziando a colpirla senza neppure fare domande, poi avevano iniziato a chiedere qualcosa. Un colpo, una domanda, e via così, fino allo sfinimento.
Il tipo d'interrogatorio che porta a confessione oppure a morte, il tipo d'interrogatorio che il Mossad l'aveva addestrata a sostenere, il tipo d'interrogatorio in cui aveva sperato.
Aveva rinunciato alla vita tempo prima, quell'interrogatorio era la semplice formalità che le avrebbe permesso di abbandonare definitivamente la sua esistenza, l'opportunità di accomiatarsi dal mondo dei vivi che cercava da un po' di tempo.
Ma non era successo, era arrivato lui, con i suoi sorrisi e i suoi modi quasi gentili; era arrivato lui e le cose erano cambiate. Niente più botte, niente più calci di pistola ad oltraggiarle il volto, niente più sudicie mani a sfiorarla voraci tra un pestaggio e l'altro.
Con lui era arrivato il buio delle ore in cella, abbandonata ai suoi pensieri, lasciata in pasto ai suoi fantasmi; lui aveva introdotto le ore di luce sfocata e troppo sfavillante, provocata da quelle sostanze di cui era così fanatico che le scorrevano nelle vene.
Il Mossad l'aveva addestrata anche a quello, naturalmente.
Era semplicemente un po' più difficile da gestire, ma niente era impossibile da superare. Bastava concentrarsi sul proprio respiro, costringere il cuore a seguire il suo regolare battito, reprimere con un sorriso i fiotti d'adrenalina che minacciavano di riversarsi nel sangue ogni volta che l'ago le attraversava la pelle.
Leggermente più difficile, ma infinitamente più doloroso.
Doloroso, perchè non le impediva di pensare, anzi, la costringeva a farlo.
Pensava, ragionava, riviveva la sua vita, mentre la sua voce lontana cercava una falla nelle sue difese, colpendo alla cieca alla ricerca della parola magica. Frugava con determinata scrupolosità il suo animo intorpidito dalla droga, alla ricerca del suo punto debole, dell'argomento che l'avrebbe fatta crollare, che l'avrebbe mandata in pezzi.
Era quella la vocazione di Salim, il suo vero credo: la tortura psicologica.
Un'arte in cui pochi emergevano e in cui lui eccelleva, ma lei non sarebbe crollata. Lei non avrebbe parlato, non aveva nulla da dire.
La sua famiglia, quella vera, l'aveva abbandonata da tempo; suo padre l'aveva volontariamente e consapevolmente mandata a morire; la sua nuova famiglia, l'Ncis, l'aveva raggirata, tradita, abbandonata. Non aveva nulla da dire perchè qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi suono si fosse lasciata sfuggire, l'avrebbe irrimediabilmente allontanata dal suo scopo, dalla sua meta.
Ogni singola sillaba che le fosse sfuggita dalle labbra avrebbe posticipato di un altro giorno la sua morte.
Erano passati due mesi, e lui non sapeva niente di lei; sapeva solo che si chiamava Ziva David, che lavorava per il Mossad e che faceva parte dell'unità Kidon. Quelle informazioni gliele aveva date subito, non aveva motivo per nascondergliele. Non era nulla che non sapesse già.

Ritornarono per l'ennesima volta sull'argomento famiglia, aveva già scavato in quella direzione, ma sentiva che mancava qualcosa, sentiva che si poteva fare di più.
Fece ancora una volta il giro di tutti i familiari, paziente, metodico, determinato. Non era diversa dagli altri, semplicemente più resistente.
"Tuo padre si starà chiedendo che fine hai fatto, non trovi?" sorriso di scherno, o forse disprezzo. Era difficile capirlo, da quando una guardia troppo zelante le aveva spaccato il labbro dopo essere stato respinta.
Ovviamente l'aveva uccisa, non tollerava che si alzassero le mani sui suoi prigionieri. Era lui l'unico che potesse sindacare sulla loro sorte, e soprattutto disprezzava quei modi rudi e violenti d'interrogare tanto diffusi tra i suoi sottoposti.
Con la violenza non si otteneva nulla, solamente parole vuote e false quando si riusciva a superare la soglia massima del dolore dell'interrogato.
"No? Allora i tuoi fratelli" insistette. Le volte precedenti non aveva risposto, ora invece reagì.
"Mio fratello l'ho ammazzato io" gli sputò in faccia.
Altro tentativo fallito, non c'era traccia di rimorso o pentimento nella sua voce; non era quella la chiave per accedere alla sua anima, per far leva sul suo senso di colpa e quindi costringerla a parlare.
"E mia sorella l'avete ammazzata voi" non c'era rabbia nella sua voce, ne voglia di vendetta nei suoi occhi.
"Quanti hanno pagato per quell'unica morte?" si affrettò a chiedere, trepidante. Bevve una sorsata di caffè, in attesa della risposta che avrebbe potuto rappresentare il premio ai suoi sforzi. Lei rise.
"Troppo pochi" sibilò.
Scattò in piedi, afferrando l'astuccio in cui restava una sola siringa piena, la quarta della giornata.
La estrasse con veemenza, infilandogliela nel braccio con pura e semplice violenza; lei non sobbalzò. Si limitò a fissarlo con quei suoi occhi spenti e vuoti, pozzi scuri in cui era annegata la sua voglia di vivere.
Represse la rabbia, sfilandole la siringa ancora piena di liquido lattiginoso dal braccio: non le avrebbe permesso di vincere.
Tutti erano crollati, tutti crollavano, durante i suoi interrogatori, ma non lei. Lei era diversa, lei resisteva, lei non crollava.
Più la spingeva verso il limite estremo, verso la sottile ed impalpabile linea del non ritorno, più si faceva insolente, taciturna, ostinata; come se l'unico suo desiderio fosse la morte.
Durante tutti quei giorni, quei mesi, gli interrogatori erano andati accorciandosi: lei era sempre più debole, più fragile, era sempre più facile farla arrivare al limite; quel limite che non le avrebbe mai permesso di oltrepassare.
Perchè sebbene lui fosse un terrorista, un fanatico estremista forse, era anche una persona intelligente ed aveva capito due cose fondamentali di quella donna che sedeva molle e spenta davanti a lui: primo, non gli avrebbe mai detto nulla e, secondo, non desiderava altro che auto-distruggersi.
Lei avrebbe continuato ad inseguire l'auto-distruzione fino al giorno della sua morte; lui avrebbe continuato ad impedirglielo finchè fosse rimasto in vita, e non perchè era umano, o perchè si stava affezionando a lei.
No, l'avrebbe tenuta in vita semplicemente perchè era l'unica tortura che funzionasse, era l'unico modo in cui riuscisse ad infliggerle un po' di dolore: soltanto costringendola a vivere, ad esistere, sarebbe riuscito a farla crollare.
Recuperò il cappuccio da terra, glielo infilò e la slegò. La trascinò fino a quella che era diventata la sua cella, gettandocela dentro.
"Salutami i tuoi fantasmi, Ziva David" sussurrò gelido prima di richiudersi la porta alle spalle.
Sarebbe crollata come tutti gli altri, sarebbe bastato aspettare che i fantasmi del suo passato -fantasmi che lui non era riuscito a scovare- facessero il lavoro per lui.
Si sarebbe messo a ridere di gusto se in quel momento qualcuno gli avesse detto che quegli stessi fantasmi lo avrebbero ucciso, per salvarla.






Ringrazio tutti coloro che hanno letto, continueranno a leggere e leggeranno, e ringrazio in anticipo tutti coloro che decideranno di lasciarmi una recensione per farmi sapere cose ne pensano di quanto letto!
@ Lights: dettagli, esattamente: il loro non era un incontro pianificato o voluto, semplicemente un capriccio del destino. In fondo, in che altro modo avrebbe potuto Tony entrare a far parte della squadra, se non per caso? XD
  
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