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Autore: Esteliel    20/04/2010    0 recensioni
Per chi bazzica in certi posti, è quasi usuale richiedere commissioni che giochino con la vita altrui. Per chi ne ha il potere, è quasi facile decretare a tavolino quando di preciso un altro essere umano finirà di esistere. Forse, però, chi ritiene di avere il potere di decidere non ha fatto i conti con chi ce l'ha davvero.
Genere: Malinconico, Thriller, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattinata così colma di raccapriccianti scoperte si era presto stemperata in un pomeriggio umido e grigio. Nonostante il generale shock e la diffusa mestizia che la morte di Walter Coughly aveva portato con sé, le strade di Londra erano ancora trafficate. Automobili e persone filavano da una parte all’altra della città, ansiose di vedere presto la fine di quel giorno funesto. La vita avrebbe temporaneamente abbandonato le arterie della città solo al momento del funerale solenne a Westminster, fissato per il giorno seguente. Un’insolita quiete, tuttavia, aleggiava nei quartieri e, persino dove sarebbe stato prevedibile registrare una qualche nota di trionfo, si potevano notare visi lunghi e preoccupati. Il quartiere di Soho non faceva differenza. I volti che si incontravano per le strade erano cupi e accigliati, pochi uomini si riunivano in gruppetti per parlottare a bassa voce. Alcuni locali erano spenti, le porte sbarrate in attesa degli orari di apertura serale.
La porta a vetri dell’Alter Ego era chiusa dall’interno, i tavoli deserti sembravano lapidi silenziose nella penombra interna. Le uniche luci erano quella proveniente dal retro, che filtrava attraverso la porta aperta per metà, e il neon dietro il bancone, il cui riflesso si moltiplicava sui corpi delle bottiglie messe in fila alle spalle della postazione del barista. Quelle stesse luci risplendevano opache sui volti dei due uomini seduti agli sgabelli, entrambi con la schiena piegata in avanti e le palme appoggiate sul bancone. Uno di loro stringeva tra le mani un pacchetto di sigarette vuoto e a tratti lo strizzava con gesti nervosi. Kevin, dal lato interno del bancone, sollevò gli occhi su di lui, senza dire nulla. L’altro uomo emise un grugnito di disapprovazione, incassando la testa fra le spalle.
«Jeff, piantala» borbottò, senza voltarsi a guardare il compare.
Jeff quasi si strozzò nel tentativo di reprimere un singhiozzo. Kevin, mosso a compassione dall’aspetto pallido e malaticcio del suo volto, infilò una mano sotto il bancone e ne estrasse un paio di sigarette stropicciate, tendendole verso di lui. Jeff gli scoccò un’occhiata colma di gratitudine e ne prese una, portandosela alla bocca con mani tremanti.
«Steve?» lo chiamò Kevin, tendendogli l’altra sigaretta.
Steve si volse verso di lui, mostrando un paio di profonde occhiaie e un’espressione sconfitta. Scosse la testa in risposta all’offerta di Kevin, e abbassò gli occhi verso un giornale appoggiato sullo sgabello alla sua destra. Esattamente al centro della pagina campeggiava il titolo in nero “Morto il boss Trevor Delgado. Assassinato in un bar su Statelan’s Street”.
«Era un gran bastardo» sentenziò Steve a bassa voce.
Jeff annuì un paio di volte, accendendosi la sigaretta con un fiammifero. Kevin, invece, si strinse nelle spalle.
«Ma la sua morte ci ha lasciato disoccupati» proseguì Steve con profonda amarezza.
Jeff camuffò un altro singhiozzo con un colpo di tosse e Kevin socchiuse la bocca, sorpreso. Appoggiò entrambe le mani sul bancone e si chinò verso i due con fare cospiratorio.
«Quindi era lui che…» iniziò, inclinando la testa verso destra e poi verso sinistra, senza riuscire a trovare le parole per esprimere ciò che aveva intuito. «Insomma, lavoravate per lui.»
Steve annuì, con un profondo sospiro. Jeff allungò una mano per avvicinarsi un posacenere, passandosi l’altra sulla fronte madida di sudore. Kevin li studiò per lunghi istanti e poi aprì lentamente la bocca per dire qualcosa. Ma, intercettata l’occhiata ammonitrice di Steve, la richiuse.
«Capisco» si limitò a dire, con tono di rammarico.
Non era mai entrato troppo nei loro affari, perché ne conosceva bene la natura. Lui non faceva domande e loro non gli fornivano risposte. Era solo un tramite e nient’altro. Perciò, nonostante la curiosità di sapere se i due omicidi di quella mattina fossero collegati, non si arrischiò a formulare la domanda.
«Coughly è morto» risuonò la voce di Steve, quasi avesse compreso i suoi pensieri.
«L’ho sentito» replicò Kevin, cauto.
«I-in casa sua» balbettò Jeff, il capo chino e l’attenzione concentrata sulla sigaretta mezza consumata che stringeva tra le mani malferme.
«Notevole» ammise Steve in un sussurro quasi impercettibile.
«Ma hanno già preso il killer» aggiunse Kevin.
Steve alzò di nuovo lo sguardo, fino ad incrociare quello di Kevin che, al contrario, fece finta di nulla, sollevando la schiena e passandosi sbrigativamente le mani sui jeans grigi e troppo larghi. Le sue dita toccarono una busta che teneva conservata in tasca. La sua mano si fermò su di essa e lui deglutì a vuoto, aggrottando la fronte. Quando riportò lo sguardo su Jeff e Steve, notò che entrambi erano immersi nei propri pensieri e non lo degnavano di attenzione alcuna.
A disagio, il barista passò da un piede all’altro, tentando in quel modo di attirare la loro attenzione. Lo sguardo di Steve era appuntato sul giornale accanto a lui. Jeff si tolse di bocca il mozzicone di sigaretta e tentò di stropicciarlo nel posacenere, per spegnerlo. Le mani gli tremavano tanto che riuscì nell’intento solo al secondo tentativo, dove aver sparso cenere sul bancone. Kevin estrasse meccanicamente uno straccio da sotto il bancone e lavò via la cenere, interpretando il mormorio seccato di Jeff come una richiesta di scuse.
Jeff fissò la sua cenere che veniva spazzata via con un paio di colpi di straccio e piegò ancora di più la schiena in avanti.
«Quell’uomo dell’altra sera» iniziò, rivolgendosi a Kevin con fare incerto. «Quell’uomo che… Hai capito, no? È poi venuto a prendere i soldi?» Si volse verso Steve, come per chiedere il suo consenso.
Steve distolse lo sguardo dal giornale per puntarlo sul soffitto con un sospiro sommesso. La mano di Kevin si serrò con forza sulla tasca che conteneva la busta.
«Il pomeriggio dopo il vostro incontro è venuto a prendere l’anticipo» rispose, tentando di mascherare la fretta con cui aveva pronunciato quella frase. «Credevo di aver chiuso la porta e invece me lo sono ritrovato alle spalle, mentre sistemavo i tavoli.» Il palmo della mano stretta sulla sua tasca stava iniziando a sudare.
«Era un tipo strano» commentò Steve, chinandosi sul bancone fino ad appoggiarvi i gomiti.
«Puoi dirlo forte» concordò Jeff, lanciando un’occhiata di desiderio alle bottiglie alle spalle di Kevin.
«Perciò quel pomeriggio ha preso subito l’anticipo» proseguì Kevin, stavolta più lentamente, come se facesse fatica a scegliere le parole. «E poi…»
E poi un bel niente. Non c’era stato nessun “poi”. Quell’uomo non si era più fatto vivo per reclamare il resto dei soldi. Pur riluttante a tenere per sé soldi di dubbia provenienza, Kevin si era ritrovato in una situazione complicata. Strinse le labbra, studiando con attenzione Jeff e Steve, soffermandosi sui loro abiti eleganti e sulle loro scarpe pulite. Un nuovo balbettio di Jeff lo riportò alla realtà.
«E poi è passato a prendere il resto?» chiese Jeff, una luce avida scintillava nei suoi occhi slavati.
Le labbra di Kevin si serrarono ancora di più, la mano sulla tasca tremava.
«Lui…»
«Che cosa importa?» sbottò Steve. «Delgado è morto, quindi non credo proprio gli importi più dei suoi soldi.»
Jeff parve deluso. Abbassò lo sguardo sul bancone e iniziò a rigirare il mozzicone di sigaretta spento nel posacenere. Kevin socchiuse la bocca, mentre un fiotto di sollievo gli scivolava nel petto. Spostò la mano dalla tasca, lasciandola ricadere lungo il fianco.
«Allora, Kevin» chiamò Steve a gran voce. «Che ne dici di un goccio di whisky?»
Jeff si riscosse e fece scattare in alto la testa, sciogliendosi in un largo sorriso. Kevin si illuminò e si voltò, afferrando una bottiglia tozza e un paio di bicchieri. Mentre versava il liquido ambrato nei due bicchieri, le spalle di Jeff si afflosciarono ancora.
«Però, cinquecento sterline» sospirò, occhieggiando con affetto il suo bicchiere. «Tu cosa faresti con cinquecento sterline, Kev?»
Kevin finì di riempire i bicchieri e sollevò le spalle, appoggiando entrambe le palme delle mani sul bancone.
«Probabilmente le userei per comprare a mio padre un appartamento più decente di quello in cui vive ora» replicò, serio in volto. «O potrei far allargare il mio, quassù. Così non sarebbe più costretto a stare da solo.»
«E dove abita ora?» domandò Steve, iniziando a sorseggiare il suo whisky.
«Al 37 di Armory Street» rispose Kevin con un piccola smorfia. «Quei buchi che chiamano appartamenti, di fronte al White Rose Garden. Avete presente il posto?»
Il sorso di whisky andò di traverso a Jeff, costringendolo a tossire rumorosamente. Steve, al contrario, riuscì a controllarsi. Appoggiò con cautela il bicchiere, continuando a tenerlo fra le mani.
«Ne ho sentito parlare» rispose con un filo di voce, turbato.
I lampioni in strada ammiccarono per qualche secondo, prima di accendersi definitivamente. La luce intermittente proiettò una fugace ombra sulla porta dell’Alter Ego.

FINE







Nota di chiusura: Ringrazio molto Psyker per aver seguito e commentato questa storia. Se avete altri commenti o impressioni, scrivetemi pure!
  
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