Era calata la notte sulle Lande Desolate di Sottomondo. Io e la lince non
potevamo proseguire col buio, così ci eravamo fermati in una specie di grotta
aspettando il giorno.
Attorno a noi regnava il silenzio più assoluto; nel cielo buio non brillava
neppure una stella. Sedevo con la schiena appoggiata alla parete di roccia,
abbracciata alle mie gambe, col mento poggiato sulle ginocchia e con lo sguardo
perso nel vuoto. Nonostante mi fossi calmata, ancora mi sentivo leggermente
stordita dagli ultimi avvenimenti.
"Dovresti dormire un poco." la voce della lince mi riscosse dai miei torbidi
pensieri.
"Non ne ho voglia." risposi stancamente.
"Gli incubi non possono ferirti come la realtà."
Lo guardai stupita; aveva centrato in pieno le mie paure. Se chiudevo gli occhi
rivedevo ancora l'immagine del fante e il corpo di mio padre, l'ultima cosa che
volevo era avere degli incubi; eppure il peso della stanchezza cominciava a
farsi sentire.
"Dormi un po', tranquilla, resto io di guardia. Noi felini siamo famosi per la
vista ottima anche al buio." si alzò e si incamminò verso l'esterno della
grotta.
"Lince." lo chiamai. "Perché sei stato bandito?" chiesi.
Egli si fermò al margine dell'apertura, potevo vedere la sua schiena
scheletrica, ma coi muscoli scattanti ancora tesi al di sotto del pelo
malandato. Non si voltò, ma alzò lo sguardo verso il cielo. "Un tempo ero il
comandante di punta dell'esercito di sua Maestà, la Regina Bianca. Durante la
guerra che seguì il colpo di stato da parte di sua sorella, per il possesso
della corona, abbandonai il campo di battaglia per mettermi in salvo, lasciando
indietro il primo ufficiale, a combattere da solo. Capii troppo tardi che quello
che avevo fatto era stato un errore imperdonabile; e non perché da quel momento
fui bandito per alto tradimento, no. Ma perché quando tornai indietro tutti i
miei soldati erano morti, o stati fatti prigionieri; inoltre venni a conoscenza
che il primo ufficiale aveva combattuto fino alla morte, pur di difendere il suo
regno. Era il mio migliore amico, come un fratello per me. Eravamo cresciuti
insieme e io l'avevo lasciato morire per salvarmi la pelliccia. Da quel momento,
ogni singolo giorno ho maledetto la mia codardia; finché non sei arrivata tu.
Puoi cambiare davvero le cose, ragazza mia. E io non starò a guardare, non ti
lascerò indietro, non permetterò alla mia paura di farmi fuggire ancora una
volta di fronte alla giustizia. Voglio aiutarti per riscattare la morte del mio
migliore amico. Spero che ora tu comprenda le mie ragioni." detto questo sparì
nel buio della notte, lasciandomi sola.
Mi rannicchiai per terra e riflettei a lungo sulle sue parole: tutti hanno un
momento di debolezza, in cui mostrano la loro fragilità umana. Per un singolo
errore a volte si arriva a pagare tutta una vita. Non volevo fare la sua fine, e
vivere col rimorso. Se potevo cambiare le cose lo avrei fatto, ad ogni costo.
Chiusi gli occhi e pregai di non avere incubi quella notte.
Fui svegliata all'alba dalla Lince. "Non manca molto al covo dei Giganti."
disse.
Difatti in poche ore giungemmo dinnanzi ad una stretta gola: le altissime pareti
di roccia scura sembravano quasi toccarsi in cima, dandogli l'aspetto di una
porta infernale.
"Secondo te siamo arrivati tardi?" chiesi.
"Non ne ho idea. Ci resta solo entrare per scoprirlo." disse.
Strinsi la spada in pugno e feci un respiro profondo, poi mi incamminai nella
stretta gola. Se allargavo le braccia, potevo toccare entrambe le pareti di
roccia: cominciavo ad avvertire un leggero senso di claustrofobia. Sentivo i
passi della lince dietro di me, e questo in qualche modo mi rassicurava. Alzai
lo sguardo verso il cielo plumbeo "Che cosa sono quelli?" chiesi sorpresa
fermandomi.
Difatti nelle insenature delle pareti c'erano tanti piccoli occhi che mi
guardavano curiosi. Più che occhi, ad osservarli bene, erano occhiali, montati
su nasi e stranissime braccia.
"Tranquilla, sono animali piuttosto innocui." 'Cercare di ignorare centinaia
di occhiali che ti seguono non è facile' pensai.
Un piccolo sasso mi cadde sulla testa, pochi metri più avanti "Hai! non sono
poi così innocui." dissi alla Lince.
"Ferma!" mi intimò lui.
Tanti piccoli sassolini iniziarono a rotolare giù dalle pareti di roccia, e
la terra iniziò a tremare sotto i miei piedi. Alzai la testa: tutte le centinaia
di occhi erano spariti.
"Che cosa sta succedendo?" urlai in preda al panico.
"Corriiiiii!" la Lince mi superò con un balzo e iniziò a correre davanti a
me."I Giganti si stanno muovendo. Sono loro che creano questo terremoto: se non
ci sbrighiamo, rischiamo di rimanere sepolti nella gola." mi urlò.
Non me lo feci ripetere due volte, con tutto il fiato che avevo in corpo iniziai
a seguirlo, schivando alla bell'e meglio i sassi che cadevano giù dal cielo.
'Avanti, avanti, più forte!' mi ripetevo; ero arrivata quasi al
traguardo: non potevo cadere adesso.
Con un balzò finale, io e la Lince fummo finalmente fuori dalla gola, che si
crollò con un tonfo sordo alle nostre spalle.
Eravamo entrambi ansimanti "E adesso? Come faremo a tornare indietro?" chiesi
col fiato corto.
"Esiste un'altra via, ma è più pericolosa." rispose la Lince.
"Perfetto." il crollo aveva alzato un enorme nuvola di polvere; quando questa si
diradò, rimasi completamente senza fiato.
Sotto di noi c'era un immenso anfiteatro, pieno di creature enormi, alte
almeno cinque metri; e al centro, intenta ad urlare, lei.
Finalmente potevo vederla: aveva ancora la catena spezzata attaccata al
polso, vestita con un macabro costume da carcerata a strisce bianche e nere. La
sua leggendaria testona si agitava sul collo esile, mentre urlava agitando le
manine, con gli occhi lucidi e le guancie rosse per lo sforzo.
Se l'avessi vista in un'altra occasione, probabilmente mi avrebbe
suscitato ilarità, non paura. Eppure era lì, così piccola, al centro di decine
di Giganti, senza un briciolo di timore in corpo; ma solo tanta, tanta rabbia.
Ne ero quasi affascinata. Ascoltavo le sue parole infervorate, in cui spingeva i
banditi a riprendersi quello che era loro per diritto, e gli era stato tolto da
quella stupida oca bianca di sua sorella. La ascoltavo mentre prometteva loro
una nuova vita, fatta di agi e libertà, lontano da quelle terre maledette. E
loro urlavo gioiosi e pronti alla battaglia, saldando sul posto e agitando le
braccia, come delle grottesche scimmie, facendo tremare la terra. Era per questo
che non ci avevano sentiti e non si erano accorti di noi, che intanto eravamo
nascosti dietro un'enorme masso.
"Di certo sa come convincere la gente." disse la lince alle mie spalle.
"Dunque è lei la donna che devo uccidere." feci atona.
"Non farti ingannare dalla sua statura. E' una nemica molto più temibile di
quanto immagini."
"Comanda la gente con la paura; ma io non ho paura di lei." risposi.
"Non devi sottovalutare i tuoi avversari, ma trarre dalle tue paure i tuoi punti
di forza." disse saggiamente.
'Tipico dei militari.' pensai. "Come farò a raggiungerla senza farmi
vedere dai Giganti?" chiesi, voltandomi.
"Di certo non puoi ucciderla ora. Devi aspettare il momento opportuno; magari
stanotte." disse accovacciandosi.
"E noi che facciamo fino a stanotte?" chiesi incredula.
"Aspettiamo."
Avevo dimenticato che cosa fossero la fame e la sete; o dormire in un letto
comodo o il sollievo di un bagno caldo. Londra mi sembrava un'altra vita ormai;
solo un ricordo sbiadito.
Mentre ero accovacciata dietro quel masso, ripensavo alla ragazza frivola che
ero prima, e a quella stavo diventando adesso. Chissà mia madre che cosa avrebbe
pensato; forse sarebbe stata fiera di vedere la sua bambina impugnare la Spada
Bigralace per uccidere la Regina Rossa. Mi mancava tantissimo: avevo bisogno di
uno dei suoi pazzi consigli in questo momento.
Un rumore improvviso mi riscosse: la lince era tornata dalla sua caccia.
"Scusami, è il massimo che sono riuscito a trovare." disse porgendomi delle
bacche rosse. "Non preoccuparti, non poi tanta fame." gli sorrisi. Chissà che
cosa avrei fatto senza di lui. "Era una lince anche lui? " chiesi, assaggiando
una bacca zuccherosa. "Il tuo migliore amico. " Scosse la testa "Era una volpe."
"Mi dispiace." dopo un po' ripresi "Come ti sei procurato quella cicatrice?"
Egli mi fece uno sguardo fiero "E' stato durante una spedizione di ricognizione
del territorio. Abbiamo avuto un'imboscata da parte dei soldati della Regina
Rossa. Questo me lo fece il Grafobrancio! Ma io non solo lo sconfissi con un
occhio solo, riuscii anche a portare in salvo i miei soldati." rispose
orgoglioso.
"Allora non sei un codardo." dissi sorridendo.
Improvvisamente si rabbuiò "Erano solo venti quella volta. Quando vedi la fine
ad un passo, ti dimentichi chi sei."
Calò di nuovo il silenzio tra noi. Stava scendendo la notte, e la calma era
tornata nell'anfiteatro.
Mi alzai "Sarà meglio iniziare a muoverci." dissi.
Cominciai a scendere quegli immensi scalini di pietra, saltellando.
"Secondo te dove possono essere andati tutti quanti?" Intorno a me c'era un
silenzio irreale.
“Probabilmente si sono rifugiati nelle cavità delle montagne, ma al buio non si
vedono bene.” Sussurrò la Lince.
“Bhè non dovrebbe essere difficile scorgere dei Giganti!” dissi scettica.
In quel momento le nubi si spostarono e la luce della luna ci investì in pieno,
rischiarando l’ambiente circostante; ci trovavamo al centro dell’anfiteatro di
pietra dove si erano radunati prima i Giganti. Era deserto e non potei fare a
meno di sentirmi vulnerabile ed esposta.
“Sanno che siamo qui.” Disse la Lince annusando l’aria.
Mi voltai di scatto “Come fai a saperlo?”
“Percepisco la tensione nell’aria…è come se fossimo sotto osservazione.”
Sussurrò.
“Se sanno che siamo qui perché non escono allo scoperto?”
“Vogliono studiare le nostre mosse.”
“Ma è ridicolo! Loro sono più numerosi e grossi di noi.” Esclamai.
“Non ho detto che hanno paura.” Non avevo idea di come facesse a rimanere così
tranquillo.
Non so cosa mi spinse a fare quello che feci: forse la paura, forse la
stanchezza, forse solo l’adrenalina nel sangue ma sguainai la spada e iniziai a
urlare “Irachbeth!” sempre più forte, finché un non sentii dei passi dietro di
me.
Mi voltai e me la trovai di fronte a pochi metri….a portata di spada; ancora più
piccola di quanto mi era sembrata dall’alto.
“Dunque sei tu la famosa paladina che deve uccidermi.” disse con disprezzo.
La luce della luna faceva sembrare la sua pelle ancora più pallida e i capelli
rossi quasi neri. La sua ombra era sproporzionatamente lunga sul terreno di
pietra polverosa.
Intorno a noi si levarono grottesche risate: i Giganti ci osservavano dal buio,
senza farsi vedere.
“A quanto pare è toccato a me questo pesante fardello.” Dissi.
“Sembri coraggiosa, ragazzina. Magari potresti unirti a noi.”
Feci finta di pensarci un po’ su “Magari…no. Vedi, nonostante io non abbia
particolari aspirazioni omicide, l’unico modo per tornare a casa è sconfiggerti
una volta per tutte. E credimi, non c’è niente che io desideri di più che
mettere fine a quest’incubo.” Dissi stringendo la spada.
“Sembri molto diversa da tua madre.” Fece la Regina Rossa.
“Non ne hai idea.” Assottigliai lo sguardo, e lei scoppiò a ridere.
“Non sono famosa per essere una persona paziente o misericordiosa: hai sprecato
la tua unica possibilità di essere risparmiata.”
“Allora perché non dici ai tuoi amichetti di uscire ad uccidermi?”
“E’ molto semplice: tua madre e mia sorella devono pagare per quello che mi
hanno fatto.”
Un sorriso diabolico si dipinse sul suo viso “Mi hanno tolto tutto. Per anni
sono rimasta in questa terra ad elaborare la mia vendetta; ora sono cono così
vicino….sarà dolcissima. Non è ancora arrivato il tuo momento mia cara: io ti
ucciderò, certo, ma lo farò davanti a tua madre così pagherà per essersi messa
contro di me. E quell’oca di mia sorella, capirà l’errore enorme che ha commesso
a non uccidermi quando ne aveva l’opportunità. Distruggerò il suo sciocco Paese
delle Meraviglie, ma da brava sorella la lascerò viva a guardare: così per tutta
la vita avrà il rimorso di salvato la sua amata terra.”
Ero agghiacciata dalle sue parole, ma non potevo farmi vedere titubante “ Fossi
in te non canterei vittoria troppo presto, in fondo sei già stata battuta una
volta.”
“Certamente! Ma non commetto mai gli stessi errori due volte di seguito. Prima
giocavo con delle carte, ora combatterò con dei veri Giganti. Sei davvero una
stupida se pensi che un Cappellaio Matto, un Coniglio svitato e la loro
combriccola di pazzi riusciranno a sopravvivere!” scoppiò a ridere istericamente
“Non si vince con le buoni intenzioni: oramai avrai capito che non siamo in una
favola.”
Si avvicinò a me ulteriormente e mi sfiorò il vestito con le sue dita sottili:
sentii la catena al suo polso tintinnare.
“Sai perché non l’ho tolta del tutto?” chiese ingenuamente, con una vocetta
triste, seguendo il mio sguardo “Perché questa mi ricorda che è meglio essere
temuti che amati.” Riferendosi evidentemente al suo amato Fante.
Si riscosse “Ti sta bene il mio vestito!” lo afferrò e di colpo mi tirò verso di
sé, facendomi piegare la schiena verso il basso. Ero a due centimetri dalle sue
labbra e dai suoi occhi fiammeggianti; la sua presa sul mio colletto era salda
“Uccidimi adesso paladina” sussurrò “Hai una spada o sbaglio?”
L’alzai e poggiai la lama sul suo fianco, ma non riuscii a spingerla dentro.
“Non hai la stoffa…proprio come tua madre.”
Quello mi bruciò più di tutto, con uno scatto di rabbia urlai e mi scaraventai
su di lei: entrambe rotolammo a terra.
Io urlavo, la graffiavo e colpivo la sua enorme testona rossa; lei invece rideva
come una pazza, facendomi arrabbiare ancora di più.
“Ti rimane poco tempo paladina, il mio esercito è già radunato e in marcia verso
il muro!”
Mi fermai di colpo “Uccidermi non ti servirebbe a nulla: sono una strega prima
ancora di essere una regina, ricordi? E io ho ben istruito i miei soldati.
Quelli che hai visto oggi sono una piccola parte, rimasti qui con me a fare da
esca per accoglierti degnamente.”
Sentii il mondo crollarmi addosso: ero stata ingannata!
Vedendo la mia espressione sconvolta rise ancora più forte, sbattendo le gambe e
le braccia al terreno. “Ho i miei informatori…” di scatto mi voltai verso la
Lince, che scosse subito la testa sdegnato. “No, non è quell’inutile animale
traditore.” Disse la Regina Rossa. “Io punto più in alto.”
Un grido acuto perforò le nubi, risuonando nella notte: il Grifone scese in
picchiata su di noi a tutta velocità. Per schivarlo mi allontanai dalla Regina,
rotolando via.
Quando rialzai la testa lei era in sella, pronta a volare via “48 ore paladina!
Corri ad avvertire Sottomondo del tuo fallimento. A presto, e sappi che sul
campo di battaglia non avrò pietà.”
Volò via nella notte, sparendo tra le nubi che ricoprirono la luna, facendomi
ripiombare nel buio.
Avevo fallito…ero stata così vicino a lei, eppure non l’avevo uccisa.
Questo dimostrava che non ero ancora pronta a combattere.
Sentii la lince avvicinarsi “Alzati Elise, abbiamo poco tempo. Possiamo
precedere di poco i Giganti, che sono lenti a muoversi; ma gli altri devono
prepararsi per la battaglia.”
Annuii e salii in groppa. La mia testa era vuota e le mie mani stringevano
ancora la spada. Non era questo il momento per compiangersi.
Partimmo a tutta velocità, e prima dell’alba giungemmo di nuovo al muro di rovi,
dal quale ero entrata.
"Vieni con me." dissi alla lince di slancio, pregandola.
"Lo sai che non posso. Il pezzo di fungo che hai è sufficiente per una sola
persona, e sai quanto me che è fondamentale che tu riesca ad arrivare in tempo;
poi il mio posto è qui ormai." indietreggiò di un passo. Aveva ragione, anche se
mi faceva male ammetterlo.
"Tornerò a prenderti. Dirò a tutti che cosa hai fatto per me e sarai riammesso a
Sottomondo come un eroe. Te lo prometto." dissi con un nodo alla gola. Non
volevo separarmi da lui, sentivo di averne ancora bisogno.
"Certo ragazzina. Ora va, e non voltarti indietro." disse burbero, quasi
incredulo.
Senza ulteriori indugi inghiottii il pezzo di fungo, sentendo la sensazione
ormai familiare di strappo allo stomaco, e senza guardarlo inizia a correre tra
la foresta di rovi. Ogni minuto in ritardo, era un minuto a favore della Regina
Rossa; ma con un po' di fortuna sarei riuscita ad anticiparla.
Il ritorno mi sembrò molto più breve; a forza di correre tra le spine i tagli mi
si erano riaperti. Quando riemersi dalla barriera mi ritrovai nel bosco fiorito.
Il cielo notturno, ricoperto di stelle era calmo sulla mia testa, e un lieve
cinguettio aleggiava nell'aria. Niente dava a intendere che lì presto sarebbe
scoppiata una guerra.
'La quiete prima della tempesta.' pensai. Tornata finalmente della mia
statura, iniziai a correre nel bosco: non incontrai nessuno sul mio cammino;
evidentemente erano tutti al castello della Regina Bianca, intenti a prepararsi
per la battaglia.
Finalmente scorsi un cervo fra le fronde, intento a brucare dell'erba
tranquillamente.
"Tu!" dissi riprendendo fiato "Puoi indicarmi la via per il castello di
Marmorea?" chiesi, piegata in due per lo sforzo.
Egli alzò la testa dal prato e mi guardò con i suoi immensi occhi dolci "Chi sei
tu, che non conosci la strada per il castello della Regina?" disse quieto.
"Ascoltami bene, non ho tempo per rispondere alle tue domande. Devo vedere la
Regina, e devo farlo subito; o sarà troppo tardi per tutti noi!" gridai.
Il cervo mi guardò attentamente e sgranò gli occhi, quando vide che portavo la
Spada Bigralace.
"Seguimi." disse, e iniziò a saltellare nel bosco.
Non persi un attimo, ma con le ultime forze che avevo in corpo inizia a correre
dietro di lui. L'idea di non avere tempo a sufficienza scatenava l’adrenalina
che mi metteva energia nelle gambe, spingendomi a correre più veloce. Dipendeva
tutto da me.
Avrei rivisto presto il Cappellaio, mia madre e la Regina Bianca. Il pensiero
che il mio aspetto malandato, i miei graffi e le vesti strappate li avrebbero
spaventati, non mi sfiorò minimamente. Avevo fallito la prima parte della mia
missione, ma non li avrei delusi ancora una volta.
Se tutto Sottomondo pensava che non mi importava di loro, bhè...gli avrei
dimostrato quanto si sbagliava.
Finalmente uscii dalla foresta e scorsi il meraviglioso castello della Regina
Bianca. Aveva un aspetto fiabesco, proprio come me l'ero sempre immaginato da
bambina; eppure non lo degnai più che di un veloce sguardo.
Seguii il cervo lungo il viale di ciliegi fioriti che portavano all'ingresso
principale; deserto a quell'ora di notte.
Improvvisamente il portone si aprì, creando un fascio di luce nell’ ombra del
sentiero, e mia madre uscì fuori, venendomi incontro correndo; seguita dal
Cappellaio Matto, dallo Stregatto e dalla Regina Bianca in persona.
Vederla mi scatenò un moto di gioia improvvisa; solo ora mi rendevo conto di non
averla persa davvero.
Inciampai stremata, ma lei mi prese al volo, scrutandomi con sguardo
preoccupato. Non avevo mai visto il suo viso così serio.
"Mi dispiace...perdonami!" sussurrai, affondando il viso nel suo petto, e
respirando il suo familiare profumo.
La sentii stringermi e accarezzarmi la testa "Non preoccuparti tesoro mio." La
strinsi a mia volta "Ho fallito."alzai il viso e la guardai dritta negli occhi
"Stanno arrivando."
Poi tutto si fece nero.
A/N: pensavate che avevo rinunciato alla storia abbandonandovi eh? Ebbene
sappiate che mi scuso enormemente per il ritardo con cui ho postato questo
capitolo, davvero. Non ho giustificazioni, ma per farmi perdonare vi assicuro
che il capitolo seguente è già scritto quindi dovrei pubblicarlo entro un paio
di giorni. Ero entrata in crisi sul fatto dei Giganti, ma era ovvio che saremmo
giunti ad una battaglia ai fini della storia, quindi dovevo inventarmi una cosa
che reggesse. Spero di esserci riuscita, e spero che se c’è rimasto qualcuno che
mi segue me lo faccia sapere^^ La cosa delle fan-art è ancora valida…quindi non
fate i timidi e fatemi sapere cosa vi piace!!!! Non lascerò a metà questa
storia, tranquilli. Al prossimo capitolo!