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Autore: cartacciabianca    22/04/2010    1 recensioni
[ SOSPESA ]
Giocatori, siete nell'Anno del Signore 1232.
Luigi VIII, appena di ritorno sconfitto dall’Inghilterra, punta le lance in resta contro Tolosa, dimora di Raimondo VII. Impadronitosi di quelle terre ne coglie l’intera giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla Francia. Il Leone di Francia viene meno nell’inverno di quell’anno, e il potere succede così ad un piccolo Re, all’epoca solo dodicenne. Luigi IX, detto il Santo per la sua calorosa religiosità e collezione di reliquie, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui è circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 giunge ad un compromesso con Raimondo VII, e nel 1229 promette al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi. La Crociata Albigese si conclude definitivamente nel 1229.

A Phoenix e Châtel-Argent sono trascorsi 17 anni. Ian e Daniel varcano la soglia della quarantina e conti come Granpré stanno per raggiungerli. Non si sentono vecchi o stanchi, ma solo maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno di più. Mettiamo alla prova il coraggio di una ragazzina e l’ambizione del suo migliore amico. Il risultato è una fan fiction esilarante che ce la metterà tutta pur di mostrarsi degno tributo alla trilogia di Cecilia Randall.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Hellionor sgranò gli occhi continuando a guardare il soffitto.
Fissava un punto preciso nell’oscurità da minuti, ormai, chiedendosi più e più volte cosa fare. La signorina Freeland tremava sotto le coperte come un agnellino al cospetto di un famelico leone del deserto, pronto a papparsi la sua preda da un momento all’altro. Attendeva inerme, spaventata anche dai rumori più insignificanti che le gravitavano attorno: dal vento fuori della finestra al proprio respiro. Il cuore le batteva così forte in petto da farle male e la ragione le veniva meno man a mano che si sforzava di mettere insieme un pensiero sensato.
Non voglio morire qui! Fu la prima cosa che le venne in mente mentre si metteva seduta sul materasso, tentando invano di scrutare oltre l’oscurità che la comprimeva in quella grande stanza, improvvisamente piccola e opprimente come una scatola di cartone.
La giovane Freeland sguisciò via dalle coperte riuscendo a posare i piedi in terra, prima uno poi l’altro tallone. Il freddo legname sotto i plantari le mandò un brivido lungo la spina dorsale, che la fece alzare tutta dal letto. Riuscendo a mala pena a stare in piedi, Hellionor si allungò verso la finestra, portando avanti un braccio e appoggiandosi, in fine, al cornicione che precedeva i vetri colorati. Scansò un lembo di tenda e sbirciò il nero della notte avvolgere tetti, camini e chiese di un paesello costruito dentro le grandi mura di Séour, al centro della quale presiedeva l’alto torrone nel quale Hellionor aveva compreso di trovarsi.
Dove sarà Gabriel? Si chiese terribilmente in ansia, mordendosi un labbro.
Un improvviso scalpiccio familiare attirò la sua attenzione, attratta da un gruppo di cavalieri neri che traversò la piazza e sparì per le buie strade della cittadella, presieduto da un unico cavaliere col mantello blu e bianco. Hellionor riconobbe quella come l’uniforme in borghese del generale Fabien, l’uomo che con la sua ostinazione l’aveva esortata a “tornare” a castello, nel quale, per la cronaca, la ragazza non era mai stata.
Forse lo stanno ancora cercando…pensò subito dopo la giovane Freeland, ricordandosi che il suo carissimo amico e compagno di studi era là fuori al freddo, braccato come un animale dai soldati di Etienne de Sancerre.
Ma io cosa ci faccio qui?! Si chiese ancor più sconsolata e, a furia di mordersi il labbro inferiore coi denti, si ferì quest’ultimo a sangue. Era agitata in una maniera spaventosa. Quello che era successo e che sarebbe ancora dovuto succedere la turbava nel profondo, innervosendo anche la parte di lei sempre stata pacata, tranquilla, rigorosa, sia a scuola che con gli amici.
Sconsolata, la ragazza mosse due passi indietro. Trovando dietro di sé l’ostacolo di una sedia imbottita, vi si accomodò su un bracciolo di questa. Si posò le mani in grembo e si accorse di avere la propria immagine riflessa a meno di un metro alla sua destra. Lo specchio dell’antico “salone di bellezza” sembrava prendersi gioco di lei, deridendola ora che la ragazza, guardandosi, riusciva a scorgere quanto i segni della disperazione fossero ben visibili anche sul suo viso, oltre che nel profondo della propria anima quieta.
Sembro un fantasma… se la mamma mi vedesse ora…sospirò, ah, la mamma… Singhiozzò, costretta ad asciugarsi una lacrima.
Poco dopo già piangeva come una fontana, non riuscendo a trattenersi oltre o modellare il tono del pianto sempre più acuto. Quando qualcuno si accorse in che razza di condizioni era, probabilmente era trascorsa un’oretta buona, durante la quale Hellionor era rimasta seduta sul bracciolo della sedia ad asciugarsi lacrima dopo lacrima con la manica della veste da notte.
Sentì bussare alla porta, ma nonostante nella stanza si fosse presentata una bambina alta poco più di un metro con un volpe di pezza tra le braccia, Hellionor non riuscì a smettere di singhiozzare.
-Eleonore- mormorò la bimba con pesante accento francese e stropicciandosi un occhio. Aveva corti boccoli castani e un faccino tondo punteggiato di lentiggini. La stazza era quella di un piccolo nano dei boschi e indosso aveva un pigiamino rosa ricamato d’azzurro.
La Freeland scattò in piedi e guardò la neonata ferma sull’ingresso, arrossendo, vergognandosi di essere in quello stato di fronte a chi (probabilmente come altri prima di lei) l’aveva scambiata per qualcun altro.
-Eleonore, pourquoi pleures-tu? (1.)- domandò gracilmente.
La ragazza rabbrividì. Sta parlando con me… ma cos’ha detto?!
Sforzandosi di mettere insieme una frase sensata, con quel poco di francese delle lezioni di Daniel che ricordava, Hellionor ingoiò il groppo in gola e si rivolse allo scricciolo con poche e semplici paroline.
-Je vais bien, vous allez coucher-toi (2.)-.
La bimba non rispose, piuttosto le venne incontro zampettando inferma sulle gambine e, una volta che le fu abbastanza vicino, si gettò ad abbracciarla senza preavviso.
Hellionor sgranò gli occhi, non abituata ad una simile manifestazione d’affetto da una così piccola bimba, per di più del tutto estranea. Ma poi, ricordando che là dentro (dovunque si trovasse) qualcuno aveva preso l’antipatica briga di scambiarla per qualcun altro, Hellionor si costrinse a prendere parte a quel gioco di marionette del quale non sapeva esattamente perché facesse parte.
Carezzò i boccoli della bambina che, dopo qualche istante, si staccò da lei e volò all’ingresso della stanza, trascinandosi dietro la volpe di pezza. -Bonne nuit, soeur (3.)- salutò prima di voltarsi e sparire come un fantasma.
Appena ebbe la certezza che si fosse allontana abbastanza, Hellionor andò ad affacciarsi in corridoio attraverso lo spiraglio di porta che la bambina aveva lasciato aperta. Guardò di qua e di là, impaurendosi di fronte allo spettrale silenzio che regnava nel torrione. Le scale per i piani superiori erano a pochi passi da lei, di fronte al suo naso, mentre per scendere avrebbe dovuto percorrere la circonferenza della torre e raggiungere la rampa di scale che andavano nella direzione opposta.
Devo trovare quell’idiota e insieme andarcene da qui!… pensò Hellionor, ma quando mise un piede fuori dalla sua stanza, scorse con la coda dell’occhio un leggero barlume arancio venire dal fondo del corridoio. Comprese al volo che si trattava di una torcia e, come un fulmine, volò di nuovo sotto le coperte, dimenticandosi però di chiudere la porta.
Ben presto due toni differenti di voce maschile che sussurravano fra loro si delinearono nelle sue orecchie, fin quando le due guardie non attraversarono quel tratto del corridoio.
-Attendez- eruppe uno all’improvviso.
Hellionor chiuse gli occhi e serrò la mascella, tesa come un filo di spago tra le lenzuola.
Uno dei due soldati, quello con le mani libere, si avvicinò alla porta aperta della sua stanza e la richiuse poco dopo, proseguendo la pattuglia assieme al compagno.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo e liberazione, avvertendo il sangue ricominciare ad essere pompato dal cuore con ritmo regolare nelle vene. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, attraverso il piccolo spazietto tra le tende formatosi quando ne aveva scostato un lembo. Il cielo stellato che si apriva sopra Séour cominciava a stemperarsi all’orizzonte, segno di un’alba ormai prossima.
L’ultimo ricordo che ebbe di quella notte trascorsa insonne, nel costante terrore di un luogo e un tempo che non le apparteneva, Hellionor vide la chiara immagine di suo padre apparirle davanti alle palpebre abbassate. Il vero ed unico cavaliere che sarebbe accorso a salvarla.

Ian sgranò gli occhi.
-Etienne, FERMO!- strillò prima che questi potesse infierire sul giovane ragazzo inginocchiato di fronte al feudatario.
Sancerre si voltò verso l’amico col palmo della mano ancora alzato, pronto a scoccare un violento schiaffo sulla guancia del ragazzo, che due guardie tenevano imprigionato per i gomiti (come se le catene ai piedi e ai polsi non bastassero). Lui ed Etienne erano all’interno di una cella sorvegliata da tre uomini in divisa. Le grate erano state aperte per permettere al sovrano di far visita al prigioniero, mentre tutt’attorno regnava un silenzio tombale, fatta eccezione per il pianto isterico del fanciullo in veste da soldato di Séour.
Ian precedette il carceriere che l’aveva scortato fin lì e si affiancò al Compagno d’Arme.
-Jean, era ora, per Dio!- esultò Etienne scoccandogli un’occhiata furibonda. –Perché ti ci è voluto tanto, si può sapere?!-.
-Mi ci è voluto il tempo che mi ci è voluto, Etienne- proruppe severo. –Ora dimmi che cosa diavolo sta succedendo!-.
Il francese mosse un passo indietro, lasciando al centro della stanza il ragazzo e le due guardie che lo tenevano per i gomiti. –I miei uomini hanno inseguito e catturato costui che credevano si trattasse di Stephèn, l’uomo che, guarda caso, da quando Eleonore è scomparsa, è scomparso anche lui- spiegò Etienne senza mezzi termini.
Il Falco d’Argento volse un secondo sguardo al ragazzo inginocchiato dinnanzi a lui e rabbrividì. Un altro innocente sulla coscienza non ce lo voglio, grazie! Si disse ricordando prima Ty Hamilton, poi se stesso nelle stesse condizioni.
I luridi capelli sudati gli cadevano davanti al volto; il ragazzo, privato della propria forza di ribellione al cospetto di un così importante Feudatario di Francia che gli aveva aizzato contro tutti i cavalieri della città, cominciò a suscitargli una pena senza precedenti. Se non avesse colto fin da subito tutto quel sudore, Ian avrebbe detto che stesse tremando di freddo. Probabilmente un alto numero di guardie armate lo mettevano parecchio a disagio, soprattutto se si trattava di un ragazzino piombato nel XIII secolo dal giorno alla notte. Singhiozzava, anche, balbettando quando poteva povere parole in un inglese azzardato, data la situazione in cui si trovava.
-Please,- diceva, -I’ve done nothing… nothing… please… God save me (4.)-.
Ian cominciò a temere il peggio. Hellionor non era sola…
-Perché lo volevi schiaffeggiare? Cos’ha detto? Cosa pensi che abbia fatto?!- ruggì ad Etienne, ancor più infastidito dal fatto che il suo amico osasse sfogare su un povero innocente la collera accumulata.
-Guarda che me lo ricordo anch’io!- eruppe questi in risposta. –Sulla strada, ‘sta mattina, era con la ragazza! E come seconda cosa, è inglese!-.
-Non vuol dire che faccia parte della storia, Etienne, lascialo andare!-.
Il dibattito tra i due cadetti stava prendendo una brutta piega.
-Non finché non avrà confessato cosa ha da nascondere e perché un inglese indossa la divisa dei miei uomini!- lo minacciò punzecchiandolo con l’indice.
Ian inizialmente si tirò indietro, troppo sconcertato per quello che stava succedendo. Dovunque si voltasse c’era qualcuno o qualcosa a ricordargli i terribili giorni, ma che, i terribili anni trascorsi nella menzogna. Ed ora quella menzogna tornava a galla, come un pezzo di sterco sulla cresta dell’onda, che puntava dritto verso la sua spiaggia.
Etienne ha ragione se pensa che questo ragazzo, probabilmente un amichetto di Hellionor, sia fuggito per nascondersi alle guardie avendo qualcosa da nascondere. Non posso negargli i diritti che come sovrano esercita sul suo popolo. Ma non posso neanche restare a guardare…
Ian si passò una mano in fronte, sempre più agitato. Ora era lui che cominciava a sudare freddo, sentendosi cuocere tra due fuochi ardenti: da una parte la collera di Etienne, costantemente sulla sua spalla a ricordargli a mo’ di coscienza quanto fosse importante continuare ad imboccare bugie all’uomo che era e che chiedeva la verità; dall’altra il terrore di rovinare l’adolescenza e il resto della vita ad una povera anima bianca.
Improvvisamente, sotto gli occhi carichi di sospetto di Etienne, Ian sembrò giungere ad una conclusione. Si voltò verso l’amico e, senza badare allo sguardo pieno di speranza del ragazzo inginocchiato a terra, strinse la spalla al compagno d’Arme, aggiungendo queste parole:
-Etienne, sei troppo coinvolto per poter prendere delle decisioni politiche, finiresti per tagliare la testa ad un povero innocente. Se si tratta di un traditore o qualche inglese in cerca di guai, lascia che me ne occupi io. Tu va’ a riposare, torna da Donna-.
Etienne sgranò gli occhi, scettico di sentir venire simili sciocchezze da quel becco di falco. –Tu pretendi di poterti sostituire a me?- chiese in un filo di voce, tagliente come un rasoio. –Starai scherzando, spero! Io non mi muovo da qui! C’è la vita di mia figlia, in ballo, e farò tutto il possibile per partecipare attivamente anche al più piccolo gesto affinché Eleonore torni tra le mie braccia!-.
Pronunciato quel nome (Eleonore) il ragazzo inginocchiato ai piedi dei due cadetti tirò su la testa d’un tratto, guardando prima uno poi l’altro. –Hellionor?! Sirs, you know where Hellionor is, don’t you?!- domandò sconcertato.
Ian gli diede un calcetto per farlo azzittire, prima che gli salissero in gola altre frasi poco compromettenti data la sua posizione.
Etienne, fortunatamente, lo ignorò, continuando a rivolgersi ad Ian con tono d’accusa.
-Pensi che non sia in grado di assumermi le mie responsabilità?! Ho cresciuto tre figlie, amministrato terre cinque volte più vaste delle tue, tenuto a bada sovrani egoisti e combattuto più delle guerre che sogni! Vorrei ricordarti che mentre tu eri chiuso in una cella di api con la toga e il rosario al collo, io accanto a mio padre decimavo quei maledetti barbari!- strillò indicando il ragazzo, alludendo alla razza anglosassone.
La lingua tagliente di Etienne fece sbiancare il viso del giovane suddito e dei suoi uomini. Solo Ian riuscì a mantenere una certa dignità, la testa alta e gli occhi dritti in quelli del Compagno d’Arme.
-Non importa quante teste inglesi tu abbia tagliato in battaglia, Etienne, quei tempi sono finiti e dovresti saperlo- sottolineò crudamente il Falco d’Argento. –È vero, non posso negarti anche questo: mentre io imparavo il latino e cantavo a Dio in un convento, tu eri là fuori ad affrontare il mondo sin dalla culla. Non sto mettendo in dubbio le tue capacità di sovrano, ti sto solo chiedendo di comprendere che hai bisogno di metterti un attimo da parte, svuotare la mente, e magari, solo dopo che avrai fatto tutto questo, tornare qui e prendere decisioni in merito- spiegò con fermezza.
Etienne gonfiò il petto e sollevò le spalle, incutendo ancor più terrore nel ragazzo inginocchiato ai suoi piedi. Questi, in attesa d un verdetto ora che attorno a lui si era fatto un improvviso silenzio, fu travolto da una medesima ondata di brividi, mentre gli occhi gli si gonfiavano nuovamente di lacrime.
Etienne, in fine, vinto da un soffuso sentimento di pietà e debolezza, giunse alla ragione con un sospiro liberatorio.
-Le volevo bene…- mormorò Sancerre, -ma non abbastanza per proteggerla da questo-.
Ian tornò a stringergli la spalla con tocco fraterno. –La troveremo,- disse, -ma ora va’ a riposare. Lascia stare il convoglio, posa le armi, non partire; sai che non ce n’è bisogno, e consola tua moglie. È questo che altri non possono fare per te-.
Etienne gli sorrise riconoscente. –Grazie, amico mio-.
Il Falco lo guardò uscire dalla cella e allontanarsi nel corridoio delle prigioni, seguito da due dei tre uomini rimasti a fare la guardia, portando con sé il tenue chiarore di una fiaccola.
Quando fu certo che Sancerre fosse abbastanza lontano, Ian si rivolse ai soldati che inchiodavano il fanciullo a terra e, congedandoli, ordinò loro di lasciare che di quello se ne occupassero solo le catene. Chiese inoltre di restare solo col prigioniero. I due uomini fecero una faccia dubbiosa, ma tennero fede all’ordine e affidarono ad Ian l’ultima fiaccola, quella portata dal carceriere, mente anch’egli abbandonava la cella per tornare alla sua solita e povera mansione.
Finalmente il Falco d’Argento fu faccia a faccia col giovane americano, che in tutti i lunghi minuti seguenti non osò sollevare gli occhi da terra, conferendo a se stesso un’aria ancor più sudicia e malandata.
Chissà dove l’hanno pescato… si chiese Ian che colse alcuni residui di fango e paglia sulla divisa di Séour che indossava. È il minimo che Etienne non fosse arrabbiato anche per questo. Certi tessuti costano una cifra, e pulirli richiede una certa dimestichezza. Non a caso ciascun cavaliere tiene molto al proprio usbergo, lavandolo e lucidandolo di persona, se non si è in possesso di un fedelissimo scudiero, ma la stessa cosa vale per i soldati, gli arcieri, e così via…
Ian avanzò di un passo, e come una molla il ragazzo strisciò indietro sulle ginocchia, accompagnato dal tintinnio delle catene. –Vi prego, signore, lasciatemi andare, non ho fatto nulla, sono innocente- mugolò in un inglese che non poteva dirsi tale, per quanto si sentiva (a chi sapeva riconoscerlo) l’uso dell’accento americano.
Ian si costrinse ad assumere ugualmente un atteggiamento autoritario, o tutta la sua messa in scena sarebbe stata inutile. Andò incontro al ragazzo e lo afferrò prima per i capelli, per fargli sollevare la testa e poi, avendo a portata di sguardo i suoi occhi rigati dal terrore, lo prese per la collottola dei vestiti. Successivamente Ian lo alzò da terra e lo sbatté con le spalle al muro, suscitandogli un’inquietudine fuori da ogni schema e nuovi tremori.
-Ascoltami bene, razza di bastardo!- gli ringhiò contro nella lingua che avrebbe capito, tenendogli imprigionato il mento con una mano. –I casi sono due: o sei una maledettissima spia inglese a discapito di una nuova guerra perché i tuoi signori ubriaconi cercano vendetta, oppure hai rapito e nascosto Eleonore de Sancerre e ti fingi innocente! In entrambi i casi, puoi star certo che torni alla patria senza testa e sgozzato peggio di un maiale!-.
Il ragazzo gemé ricominciando a piangere come un bambino.
-Allora?! Sputa il rospo!- insisté Ian, con più rabbia in faccia di quanta ne aveva Sancerre qualche minuto prima.
Strillando in modo a dir poco agonizzante, il ragazzo insisteva col dire che era innocente. Inoltre, in un attimo di follia, ebbe pure la spigliatezza di chiedere un avvocato.
Ian gli diede un nuovo scossone, sbattendolo un’altra volta al muro. –Mi avete stufato, te e i tuoi amichetti inglesi sempre a predicare stupidaggini! Ringrazia piuttosto il Dio in cui credi, ragazzo, perché ti concederò cinque minuti per decidere cosa farne della tua vita, se dirmi la verità o meno! Dopodiché, sarai ciccia per lupi ed io non avrò più a che fare né con te, né con la tua gente!- lo ammonì.
Il fanciullo tacque.
-Sono stato chiaro?!- strillò Ian.
Quello annuì trenta volte in mezzo secondo.
Lasciandolo scivolare con la schiena lungo la parete, Ian indietreggiò di un passo. –Bene- disse avviandosi fuori dalla cella. Richiuse la grata a chiave e, battendo i piedi sul pavimento di pietra, finse di camminare lungo il corridoio per parecchi metri.
Sarò stato abbastanza convincente? si chiese voltandosi e guardando indietro.
Il piano del Falco d’Argento era molto semplice.
Effettivamente le possibilità erano due: o Hyperversum aveva portato i giocatori nella reale dimensione della storia, oppure Hyperversum aveva intrappolato i giocatori nella reale dimensione della storia.
In entrambi i casi, Hellionor Freeland e un suo anonimo amichetto di scuola avevano deciso di farsi un’innocua partitella al videogame, non immaginando cosa sarebbe potuto succedere loro nel qual caso si fossero imbattuti nel Falco d’Argento. Una cosa era certa: se il gioco era ancora funzionante, le minacce inferte da Ian al ragazzo gli avrebbero dato un ottimo motivo per chiamare l’icona di Hyperversum e darsela a gambe nel giro di pochi secondi, senza pensarci due volte.
Infondo era stata Donna ad ipotizzare che Hyperversum funzionasse ma che Hellionor non avesse ancora avuto occasione di accedere all’icona senza essere vista. Mentre Ian, dal canto suo, sosteneva il contrario, ovvero l’ipotesi più plausibile che meno gli andava a genio.
Se Ian fosse tornato a controllare la cella e non vi avesse trovato nessuno, sarebbe stata la fine della più grande bugia degli ultimi 20 anni, ma anche l’inizio di una piccola svista che avrebbe mandato Etienne su tutte le furie (di nuovo).
Al cadetto Ponthieu non restava che aspettare. Aspettare un intenso bagliore verdastro provenire alle sue spalle che, ahimé, non venne.
-No... ti prego! No!-gemé il prigioniero. –Stupido di gioco! Perché non funzioni!-.
Quanto odio avere ragione… sospirò il Falco d’Argento tornando sui suoi passi, all’insegna di una nuova e rischiosa avventura medievale.





(1. )« Eleonore, pourquoi pleures-tu? » - « Eleonore, perché piangi ? »
(2.) « Je vais bien, vous allez coucher-to » - « Io sto bene, voi andate a dormire. »
(3.) « Bonne nuit, soeur (3.) » - « Buona notte, sorella »
(4.) « Please, I’ve done nothing… nothing… God save me… » - « Per favore, io non ho fatto nulla… nulla… che Dio mi salvi… »
(5.) « Hellionor?! Sirs, you know where Hellionor is, don’t you?!» - « Hellionor ?! Signori, voi sapete dov’è Hellionor, non è così?!. »








Angolo d’Autrice:
Sono tornata! XD
Eh, sì, per chi non ci credeva (me compresa) l’ispirazione mi è tornata e ho finito di scrivere questo capitolo giusto due minuti fa, il tempo di scrivere questo angioletto d’autrice e dei ringraziamenti addizionatelo voi! XD Fatto sta che ci ho impiegato quasi un mese a ritrovare la mia musa per questa storia, e devo dire che mi sento molto soddisfatta di quello che ho scritto, dal primo all’ultimo rigo.
La bambina che entra nella stanza di Eleonore e scambia Hellionor per sua sorella, tengo a precisarlo, è Alix, l'ultima genita di Etienne e Donna ^^
Perdonate eventuali errori di distrazione (come al solito) ma non ho proprio voglia di rileggere una terza volta (eh sì, gli errori mi scappano anche alla quarta lettura! XD).
Grazie a Nymphy Lupin (anche per me è stata una gioia immensa trovare su EPF la sezione Hyperversum a lettura conclusa! ^^ ) e _TattaFede_ (mannaggia alla squola!!!) per le recensioni al capitolo precedente, sperando che anche questo vi sia piaciuto.
Detto ciò, non mi resta altro che darvi appuntamento al prossimo capitolo! ^^
A presto! ^O^
caltaccia :3
   
 
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