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Autore: A_Dark_Fenner    22/04/2010    1 recensioni
Quattro luglio 2009. Oggi è il compleanno di America, come tutti sanno. E lui adora il suo compleanno. Ma è davvero soddisfatto delle cose così come stanno? Forse non sarà il SOLITO compleanno.[terza classificata al contest "Multifandom:Birthday contest" indetto da Himechan84 sul forum di EFP]
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II: “ Necklace and new beginning”

Estrasse il cellulare dalla tasca sinistra dei jeans.
Era ancora spento: misura di sicurezza adottata da quando la sua suoneria, ad un volume assurdo, aveva interrotto un discorso del suo boss.
In mondovisione.
Ed Inghilterra lo aveva rimproverato fino a limite del sopportabile.
Lo riaccese, dicevamo, e nel momento stesso in cui lo fece, ricevette una miriade di notifiche di nuovi messaggi vocali.
Sospirando, digitò il numero della segreteria e si mise in ascolto, mentre continuava a camminare attraverso il parco presidenziale.
Premette un tasto che gli avrebbe fatto ascoltare tutti i messaggi in successione continua.

Bonjour, mon cher Amerique ! Joyeux anniversaire! Anche se quest’anno non hai voluto dare una festa ti ho preso comunque un regalo. Pare pero’ che sia illegale nella maggior parte dei tuoi Stati. Quindi sarebbe meglio che lo venissi a ritirare di persona. Ti aspetto.~”
“F-Francis!! Non usare q-quel tono con mio fratello, lo spaventerai! Ah, H-happy Birthday, brother!
Mais oui, mon cher Mathieu! Farò come dici. Ma non devi essere geloso~”
“F-Francis, cosa fai?! Mettimi giù!”


Ohayo, America-kun! O-tanjō bi omedetō! E’ un giorno importante per te e spero lo passerai in modo adeguato. Al prossimo meeting mondiale, ti porterò un piccolo pensiero che ti ho comprato: è un videogioco a sfondo horror ancora non in commercio. Spero gradirai il mio regalo.”
Ve~, Giappone, dammi il telefono un attimo! Auguri America! Io e il mio fratellone ti abbiamo preparato una scultura di pasta! Germania dice che non è un’idea molto intelligente, ma sono sicuro che a te piacerà, vero? Poi la puoi anche mangiare. E la pasta è la cosa più buona del mondo, quindi… “
“Feliciano, chiudi la dannata chiamata, la bolletta costa!”
“Lovino, calmarse! Lascia che tuo fratello faccia gli auguri ad America..”
“Tu sta zitto, Antonio!”
“Sì, sì, fratellone, ora spengo! Ciao America, buon compleanno!”



Ayah! Ciao America, Shēngrì kuàilè, aru! I fuochi d’artificio che ti ho spedito sono arrivati? Sono fantastici, te lo assicuro, aru…”
“Certo, perché si sono originati da me!”
“Corea, ridammi i telefono, COREA!”


“Mister America, su gimtadieniu! Spero passerà una bella giornata!”
“Sì, tipo, Urodzinowe Życzenia! Anche da parte del mio pony.”
“Liet~ Cosa stai facendo?”
“Uh-uh, salve signor Russia… Fa-facevo gli auguri ad America con Polonia…”
“Ah! Дорогой America oggi compie gli anni, hai ragione! Lascia che gli faccia gli auguri anche io!”
“Tipo, Russia, fai in fretta e ridai il telefono a Toris!”
“Da, da…America, С Днем Рождения! Ho una proposta per te, sai, come regalo di compleanno… Diventa uno con Russia!”


America rise nell’ascoltare i messaggi.
Nonostante tutto quello che aveva combinato negli ultimi anni, i suoi “colleghi” non avevano ignorato il suo compleanno.
Certo, Russia faceva paura, e Francia stava molestando il suo gemello (come si chiamava? Ah, sì, Canada!) al telefono, ma erano comunque auguri.
E non si aspettava dei regali, non quell’anno almeno. Dopotutto, la sua crisi economica aveva influenzato anche gli altri stati, e non pensava fossero così inclini a regalargli qualcosa.
A quanto pare, avrebbe dovuto ricredersi.
Continuò ad ascoltare i messaggi. Uno da parte dei Nordici, degli insulti da parte di Cuba, un invito a bere fuori da Prussia…
Non esattamente quello che voleva sentire.
Perché era quasi sicuro di quello che voleva sentire.
D’altra parte, non poteva aspettarsi davvero niente, e lo sapeva bene. Avrebbe dovuto fare lui la prima mossa.
Stava per comporre il numero di Inghilterra sul suo cellulare, quando quest’ultimo lo avvisò con un sonoro “bip” che la batteria era completamente scarica.
“Shit!” imprecò tra sé.
Doveva andare a casa, ed usare il telefono fisso.
Allora, si mise a correre, ed uscì velocemente dalla tenuta. Attraversò il più velocemente possibile le strade ormai gremite di gente venuta ad assistere alla parata che sarebbe iniziata di lì a poco.
Normalmente si sarebbe unito alla folla, avrebbe gridato “God bless America” insieme agli altri, avrebbe chiacchierato con qualcuno dei suoi cittadini usando il suo nome umano; ma non quel giorno.
In effetti, quello che stava vivendo non era di sicuro un compleanno comune.
Corse ancora a perdifiato finché non si trovò di fronte all’entrata della sua villa.
Fece per estrarre le chiavi, ma notò che la porta era semi-aperta.
Si accigliò. Chi poteva essere entrato in casa sua? Un ladro?
Preventivamente, afferrò la mazza da baseball che teneva appoggiata accanto al capanno degli attrezzi ed entrò silenziosamente in casa.
Appena fu entrato, tese le orecchie per captare qualche suono inusuale.
Sentì un ovattato rumore di passi provenire dal piano superiore, ed allora salì furtivamente le scale, volendo mantenere nascosta la sua presenza.
In quel momento, si sentiva Indiana Jones, pronto a bloccare qualche maledetto ladro di tombe.
Più si avvicinava alla sua camera, più il rumore aumentava.
Un ladro di tombe pervertito.
Probabilmente Francia.
Lentamente, molto lentamente, iniziò ad aprire la porta.
E, davanti a lui, trovò qualcosa che davvero non si aspettava.
Non c’era Francia, a rovistare nel suo cassetto della biancheria o a nascondere giornaletti erotici sotto il suo letto come aveva immaginato.
No, c’era Inghilterra.
…Che piegava e riponeva sotto il cuscino il suo pigiama, quello che aveva lanciato sul suo letto quella mattina.
Beh, non che si aspettasse che lui rovistasse nel suo cassetto della biancheria.
Lo stupore lasciò spazio alla curiosità, ed allora aprì completamente la porta, e fece qualche passo all’interno della stanza, proprio mentre Inghilterra aveva iniziato a rifare il letto.
“Non ti disturbare, Inghilterra. Rifare il letto quando sta sera ci dovrò ritornare è abbastanza inutile, non pensi?” chiese quando fu abbastanza vicino.
Inghilterra sobbalzò per la paura, e si voltò lentamente verso la fonte della voce, sperando non fosse chi pensava che fosse.
Le sue paure si materializzarono in due grandi occhi azzurri che lo fissavano curiosi di fronte a sé.
“Bl-Bloody hell, America! Mi hai terrorizzato, maledetto idiota! Co-cosa ci fai qui?”
“Beh, sai…Questa è casa mia. Ci abito.” Rispose America grattandosi la nuca.
“Oh sì, beh…Non dovresti essere a festeggiare?” Cambiò argomento l’altro.
“Beh, ecco io…” Stavo tornando a casa per chiamare te. “Mi ero dimenticato…una cosa a casa e sono tornato a prenderla!” rispose nervosamente America.
“Oh.”
Uno scomodo silenzio cadde tra i due.
America avrebbe voluto chiedergli un milione di cose: cosa faceva in casa sua, in camera sua, quello specifico giorno dell’anno.
In quel momento, notò un piccolo pacchetto appoggiato sopra il cuscino. Era una scatolina avvolta in carta da regalo rossa, bianca e blu, ed un cartellino pendeva dal lato del pacchetto.
“Iggy…Cos’è quello?” chiese alzando gli occhi sulla Nazione di fronte a sé.
“Qu-Quello cosa?” rispose Inghilterra spostandosi di lato, così da coprire con il suo corpo la visuale dell’oggetto ad America.
“E’ un regalo, Iggy? Un regalo per me?” domandò ancora America, la speranza che trapelava dalla sua voce, come quella di un bambino davanti ai regali di Natale.
Not at all! Perché avrei dovuto portarti un regalo oggi?”
America iniziava a pensare che Inghilterra avesse perso la capacità di formulare un’espressione che non fosse una domanda.
Poi, registrato il significato dell’ultima frase pronunciata dall’altro, assunse un’aria interrogativa.
“Perché…E’ il mio compleanno…?”
Inghilterra boccheggiò un momento, per poi chiudere la bocca ed abbassare lo sguardo.
“Beh, tecnicamente oggi non è il tuo compleanno…” borbottò la Nazione.
“Ah no?” rispose l’altro, alzando un sopracciglio.
“Jamestown, ti dice niente?” rispose l’altro, irritato. “E Roanoke Island? Pensavo conoscessi la tua stessa storia…Abbiamo anche festeggiato, un po’ di anni fa.”
America sbuffò.
“Ero solo Alfred, allora. Non ero ancora gli United States of Awesome.” Sorrise “E si, mi ricordo quando abbiamo festeggiato. Per diciotto mesi eri ubriaco una sera sì e l’altra anche. Non molto diverso dal solito, ora che ci penso…”
Awesome non è una parola, you git. Smettila di uccidere la mia bellissima lingua solo per ingigantire il tuo già bloody huge ego.” Ribatté l’altro “E non darmi dell’alcolizzato, maledetto idiota!”
“La nostra lingua, Iggy. Ho il diritto di migliorarla.” Commentò America divertito. Sperava che Inghilterra cogliesse l’ironia e non la prendesse come un’ offesa.
“Solo perché sono stato così gentile da permetterti di usarla, non significa che non me la possa riprendere.” Esclamò Inghilterra, con un piccolo sorriso sottile, stando al gioco.
“Mh, non penso tu possa farlo. Sai, non sono più la tua piccola colonia.” Replicò l’altro senza pensare.
Si pentì subito di ciò che aveva appena detto.
Il sorriso leggero sparì dalle labbra dell’altra Nazione, che spostò lo sguardo verso un punto del muro che in quel momento riteneva particolarmente interessante.
“Sì. Sì, lo so.” Sussurrò.
“I-Iggy, aspetta. Non volevo, io…” iniziò America, titubante.
America, non dire stronzate. Tu volevi eccome.” Lo interruppe l’altro con voce calma.
“Oh no.” pensò America. Avere a che fare con un Inghilterra arrabbiato non era facile, ma lui era preparato. Ma un Inghilterra così silenzioso era molto, molto peggio.
“Inghilterra, Arthur…”
“Non mi chiamare così!” esplose l’altro. “Non mi chiamare con il mio nome. Quello stupidissimo soprannome, “Iggy”, lo posso sopportare, ma quello no!”
America rimase a bocca aperta, non riuscendo a cogliere il senso del discorso dell’altro.
“Cosa?”
Inghilterra lo guardò ostile.
“Non capisci vero? No, ovviamente no… Non puoi capire.”
America iniziava ad irritarsi.
Perché lo trattava come un bambino? Non era più un bambino, non lo voleva essere. A maggior ragione agli occhi dell’altro.
“Se non mi spieghi, come diavolo posso capire?” ribatté America.
Inghilterra ribolliva di rabbia.
“Se sei così bloody oblivious da non capire da solo, non vale la pena discuterne!”
America grugnì frustrato.
“Io non ti capisco! Prima ti trovo in camera mia, nella mia villa… Come diavolo sei entrato, a proposito?” chiese all’improvviso, ma non gli lasciò il tempo di rispondere. “Nevermind, poi stiamo parlando normalmente, io dico una cosa stupida e ti chiedo scusa…Poi tu mi urli addosso che sono un idiota senza nemmeno dirmi il perché!”
“Perché sei un idiota” rispose all’improvviso la Iggyscienza.
“E LA VUOI SMETTERE DI PARLARE NELLA MIA TESTA?” urlò poi ad alta voce.
Inghilterra lo guardò confuso.
“Nella tua testa…?” domandò sorpreso.
“Uhm, sì beh, ecco… Tu, io…” borbottò America, arrossendo e dandosi dell’idiota.
Lo sguardo di Inghilterra si addolcì un po’.
Aveva ragione lui, America era davvero ancora una piccola colonia. Almeno a volte.
Di nuovo, il silenzio cadde tra i due.
Inghilterra chiuse gli occhi un secondo.
Sospirò, poi fece qualcosa che non avrebbe assolutamente voluto fare.
Si voltò verso il letto di America e prese tra le mani il pacchetto che America aveva visto.
“Questo… Questo è per te.” Disse, e mise senza troppo cerimonie il pacchetto tra le mani dell’altro, che lo guardava con gli occhi spalancati.
“America, ti prego, sbatti le sopracciglia. Sembri un maledetto pesce palla così.” commentò Inghilterra imbronciato.
L’altra nazione allora fu trasportata di nuovo nella realtà.
Certo che i loro litigi erano davvero unici nel loro genere, considerò tra sé.
Soppesò il pacchetto tra le mani, accarezzandone la carta ed il fiocco elegante. Prese l’etichetta tra le mani, dove Inghilterra aveva scritto “to America” con la sua inconfondibile grafia. Lo scosse, per tentare di capire cosa ci fosse all’interno, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’altro.
“Aprilo e basta!” ordinò irritato Inghilterra.
“Lasciami divertire, old man. E’ il mio compleanno, un po’ me lo merito.”
Inghilterra roteò gli occhi e gli fece cenno di muoversi.
America sorrise tra sé: adorava stuzzicare Inghilterra in quel modo, anche se probabilmente non l’avrebbe mai ammesso.
Con i movimenti più dolorosamente lenti (per Inghilterra almeno) dei quali poteva fare uso, scartò il pacchetto, trovandosi tra le mani una piccola scatola di legno, intagliata con una grande aquila reale. La riconobbe immediatamente. L’aveva fatta lui, quando aveva solo cinquant’anni o giù di lì.
Aveva voluto imitare Inghilterra e provare anche lui ad intagliare qualcosa. Si ricordava di essersi tagliato, quel giorno, e di come il suo “fratellone” lo avesse consolato mentre piangeva, di come lo avesse coccolato per tutta la giornata come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
Non pensava davvero che Inghilterra l’avesse tenuto.
“Sai, la puoi aprire…” commentò sarcastico Inghilterra, anche se la sua voce era inquinata da una gentilezza inconsueta, come se anche lui fosse tornato indietro nel tempo con la memoria.
America, per una volta, obbedì.
Quando aprì la scatola, ne trasse fuori una collana d’argento, alla quale era agganciato un pendente d’oro. Quel pendente consisteva in un drago rampante, che sapeva essere il simbolo della città di Londra, i cui occhi erano due corniole, le pietre del coraggio e della forza d’animo. Riconobbe subito anche quell’oggetto, e fu colpito da un ricordo ancora incredibilmente vivido.

“Fratellone! Che bella collana hai!”
“Ah, questa? E’ un regalo della regina…”
Gli occhi di America si spalancarono.
“Davvero?”
“Davvero.”
Ad America brillavano gli occhi.
“Wow! E perché te l’ha regalata?”
“Perché è un modo per dirmi che è orgogliosa di me…E’ orgogliosa della sua Nazione.”
America sembrò pensieroso un momento.
“Arthur?”
“Sì?”
“Tu sei orgoglioso di me?”
Inghilterra fu sorpreso dalla domanda, ma sorrise comunque.
“Certo che lo sono! Sei una brava colonia, Alfred.”
America scosse la testa.
“No, no! Volevo dire…Sei orgoglioso di me?”
Inghilterra rimase senza parole per un po’, senza rispondere.
Poi colse il significato dietro le parole del più piccolo.
Sorrise, e scompigliò i capelli della sua colonia preferita.
“Ti risponderò quando sarai più grande. Quando sarò orgoglioso di te, avrai questa collana.”
Ad Alfred si illuminarono gli occhi, ed abbracciò forte il suo fratellone.
“Allora avrò quella collana, così sarai orgoglioso di me, Arthur.”
Inghilterra sorrise, e strinse più forte la sua piccola colonia al petto.

America alzò gli occhi verso Inghilterra.
“Arthur, tu…”
“Te l’ho già detto, non mi chiamare così.” sbottò Inghilterra, interrompendolo.
Arthur.” Continuò America, ignorandolo. “Tu sei…Orgoglioso di me?”
Inghilterra arrossì.
“Non pensavo te ne ricordassi.” Commentò a mezza voce.
L’espressione di America era ancora incerta, ma un sorriso si stava facendo spazio sul suo viso.
“E’ per questo che sei venuto a casa mia, sperando fossi ancora fuori a festeggiare? Per lasciarmi questo regalo?”
Inghilterra annuì, lo sguardo ancora lontano dagli occhi dell’altro.
“E perché non mi hai semplicemente detto che saresti passato, invece di fare tutto di nascosto?” domandò ancora America.
Inghilterra borbottò qualcosa che somigliava ad un “per evitare questo.” Senza guardarlo in viso.
America prese un respiro profondo, e chiuse gli occhi.
Era il momento per dire quello che rimuginava da tutta la mattina.
“Arthur, vorrei che tu mi ascoltassi, ora.” Iniziò America, guardando l’altro.
Inghilterra alzò lo sguardo su di lui, ed annuì, sorpreso dall’improvvisa quanto inusuale serietà nel tono di America.
“Sai perché sono tornato prima a casa oggi?”
L’altro scosse la testa in segno di diniego.
“Beh, perché volevo chiamarti…”
“Chiamarmi?”
“Sì.”
Dopo un attimo di silenzio America prese un grande respiro e continuò.
Era un eroe, ce la poteva fare.
Anche se in quel momento si sentiva tutto tranne che un eroe.
“Volevo dirti che nonostante tu sia vecchio, brontolone, pignolo, vecchio stile, noioso…”
Inghilterra sbuffò.
“America, non farmi pentire di averti lasciato parlare…”
“…Mi manchi.”
Ad Inghilterra si mozzò il respiro.
“What?”
“Mi manchi. I miss you.
“Questo l’avevo capito ma… Ti manco? Non mi sembra che non ci vediamo proprio mai…Ci sono i meeting, le riunioni…”
America scosse la testa.
“Ma oggi, il quattro di luglio, tu non ci sei mai. Il giorno del mio compleanno, Arthur.”
Inghilterra prese un grande respiro.
“America, tu sai cos’è per me oggi…” disse piano.
“Sì, Inghilterra! I know damn well! E tu, tu sai cos’è oggi per me?” replicò America, lasciando l’altro a bocca spalancata, incapace di rispondere.             
“Duecento trentatré anni! Così tanto tempo ed ancora tu non hai capito che per me oggi non è solo il giorno in cui me ne sono andato da te, è il giorno in cui sono nato! Il giorno in cui io pensavo mi avresti dato questa dannata collana! Invece sei sparito per anni, fino a quando i nostri boss non hanno deciso che era ora di fare qualcosa e hanno iniziato a riavvicinarsi. Ma durante le riunioni eri sempre così dannatamente distante. E sparivi di nuovo ogni quattro di luglio.”

Allora Inghilterra recuperò la sua capacità di parola, che pensava di aver perso completamente.
“Cosa volevi che facessi? Che fingessi che non fosse cambiato niente? Avevo perso una colonia, avevo perso il mio onore!” fece una pausa. “ Avevo perso te. Hai idea di quanto mi facesse male? Di quanto mi fa male?”
America si fece sfuggire un risolino.
“Che c’è di così divertente?”
“Nulla, pensavo al mio compleanno dell’anno scorso, quando sei scappato via…”
“Quando ho lasciato velocemente il luogo.” Lo corresse Inghilterra.
America rise in risposta.
“Siamo davvero patetici…” commentò Inghilterra.
“Già…” rispose America ridacchiando ancora.
Di nuovo, il silenzio cadde tra loro, ma non durò a lungo.
“Come here.” Soffiò Inghilterra.
“Eh?” rispose pateticamente America arrossendo.
Perché quel tono, all’improvviso?
“Vieni qui, idiota… Ti metto la collana…” borbottò Inghilterra.
America allora si avvicinò, ed allungò il gioiello ad Inghilterra.
Si guardarono un momento, poi Inghilterra sbuffò.
“Siediti.” Ordinò.
“Perché?” America lo fissò confuso.
Inghilterra borbottò qualcosa troppo silenziosamente perché America lo sentisse.
“Scusa?” chiese America.
“Seitroppoalto.” Confessò Inghilterra tutto d’un fiato.
America sorrise, orgoglioso di sé stesso, e si sedette sul letto, sprizzando fierezza da tutti i pori.
“Questo momento è appena andato a finire dritto nel tuo ego, vero?” sospirò Inghilterra.
“Yep.”
Inghilterra roteò gli occhi, e si era già posizionato dietro America per chiudergli la collana attorno al collo, quando lui lo fermò.
“Ehy, aspetta, non è che l’hai maledetta o qualcosa di simile, vero?” chiese America preoccupato.
“No, ma sto iniziando a pensarci. Ed ora stay still!” sbottò Inghilterra.
America rise, ma obbedì.
Inghilterra, allora, fece passare le braccia attorno al collo di America, facendo cadere la collana sopra il suo petto.
America trattenne il respiro inconsciamente, e si lasciò andare alla meravigliosa sensazione  delle braccia del suo ex-tutore attorno alle sue spalle. Inghilterra, da parte sua, indugiò un secondo in quella posizione.
“Ha sempre avuto le spalle così larghe?” si chiese, prima di stringere leggermente la collana attorno al suo collo, e di chiuderla.
America allora prese tra le dita il pendente, e ne saggiò la superficie con la punta dell’indice.
“Ti piace?” chiese Inghilterra, notando il movimento di America.
“Beh, sai, Francia mi ha regalato una statua un po’ di tempo fa…” rispose con un sorrisetto malizioso.
Inghilterra sbuffò.
“Oh, quindi stai paragonando il mio regalo a quello di quel blasted frog?” chiese Inghilterra fingendo offesa.
America rise. Poi un’idea si fece largo nella sua mente.
“Forse. Ma, se vuoi, c’è un modo per dimostrare che il tuo regalo è il migliore.”
“Cioè?”
America, allora, si girò lentamente verso l’altro.
“Potresti aiutarmi a scrivere un nuovo capitolo della storia Americana. Anzi, della storia di Alfred F. Jones.” Disse piano, avvicinandosi.
“Un eroe che mi chiede aiuto? Sono lusingato da tale proposta.” Commentò sarcastico l’altro.
“Arthur, così rovini l’atmosfera…” replicò America, ormai a pochi centimetri dal suo viso.
In quel momento, il pirata che c’era in Inghilterra decise di uscire, e di dire la sua.
“Non me ne frega un cazzo della stupida atmosfera. Just kiss me already, you wanker!
E chiuse la distanza tra loro.
Certo, non era esattamente come America l’aveva immaginato, ma non se la sentiva di lamentarsi.
Si lasciò trascinare da quelle labbra con secoli in più di esperienza, facendosi stendere sul suo letto ancora sfatto, e rispondendo al bacio con tutta la forza che aveva.
Non che aspettasse questo momento da secoli, naturalmente.
Si era solo lasciato trasportare dal momento, ecco tutto.
“Avanti, ammettilo, che ti costa?” commentò la Iggyscienza.
Ma America era troppo occupato ad essere incredibilmente felice per rispondere alla stupida vocina.
Perché avrebbe dovuto, quando l’originale era molto, molto meglio?
America aveva portato le braccia attorno al collo dell’altro, ancora schiacciato contro le coperte. E lo stringeva come se ne andasse della sua stessa vita.
Ad un tratto, senza preavviso, Inghilterra si staccò dalle sue labbra, le guance deliziosamente arrossate e l’espressione da pirata che ancora aleggiava sui suoi tratti.
“Alfred…”
America sentì un brivido corrergli giù per la spina dorsale nel sentire il suo nome pronunciato dopo tutti quegli anni.
Ed in quel modo dannatamente sexy.
“Mh?”
“Happy Birthday, you git…” sussurrò Inghilterra, ripiombando sulle sue labbra.
America sorrise nel bacio.
Era il quattro luglio, il giorno del suo compleanno, il giorno in cui era nato come Nazione.
Era il giorno nel quale aveva abbandonato la protezione (o tirannia?) dell’Impero Britannico, per camminare da solo e per rivolgersi verso un futuro incerto, ma pur sempre un futuro.
Ancora oggi non era certo di come quel futuro avrebbe deciso di manifestarsi, aveva ancora tante, troppe, faccende in sospeso.
Eppure, in quel momento, stretto ad Inghilterra e con il suo orgoglio appeso al collo, si sentiva pronto ad affrontare qualunque cosa.
Anche la perversione di Francia e il rubinetto di Russia, se necessario.
Era un eroe, e non si sarebbe tirato indietro.
Quello, ne era certo, sarebbe stato un nuovo inizio.



Fine secondo capitolo




NOTE DELL’AUTRICE:
Ebbene sì, ho postato anche il secondo capitolo! Ma non è finita, state pronti per l'epilogo/omake che ho in sebro per voi!^^ Grazie alla giudicia che ha postato il giudizio tra le recensioni, chi ha messo la fic tra i preferiti, chi tra le seguite e chi tra le ricordate (ma questo sistema confonde solo me? @_@)
Allora, tanto per mettere in chiaro una cosa, nella mia testa Inghilterra non è un povero uke indifeso (non ce lo vedo proprio) ed America non è sempre un seme (secondo me è anche molto insicuro) come spesso vengono dipinti del fandom. Secondo me, i loro caratteri sono troppo sfaccettati per avere una definizione ed un “ruolo” precisi nella loro relazione, infatti mi piacciono proprio per questo.
Così come America non è sempre un idiota ed Inghilterra non è sempre imbronciato. Lo sono solo per la maggior parte del tempo.
E poi ho davvero una fissa per Pirate!England, quindi…
Detto ciò, ecco le referenze storiche/culturali/varie ed eventuali di questo capitolo:
·    Tutte le parole straniere che vengono usate nei messaggi telefonici degli altri stati significano “buon compleanno” o “auguri”, tranne la prima parola di Russia, che significa “caro”.
·    Tutte le traduzioni in questa storia, ad eccezione dell’ inglese, francese e giapponese, sono state prese da google translator, quindi sentievi liberi di correggermi.
·    Quando America si riferisce a Francia come “ladro di tombe”, lo fa riferendosi alla campagna archeologica francese in Egitto del periodo napoleonico.
·    Quando Inghilterra parla del fatto che tecnicamente la nascita di America non sia il quattro luglio, si riferisce alla prima colonia inglese (Jamestown) e alla “colonia perduta” (Roanoke Island), fondate nel 1607 la prima e qualche anno prima la seconda.
·    Quando America parla del riavvicinamento dei loro boss, si riferisce alle due decadi precedenti la WW1, durante i quali si attuò il cosiddetto “Great Rapprochement”, cioè il grande riavvicinamento di obbiettivi politici, sociali e culturali tra Regno Unito e America.
·    Quando America parla del regalo di Francia, intende naturalmente la statua della Libertà.
Bene, mi sembra ci sia tutto!
Per favore, fatemi sapere cosa pensate della mia fic!
Kissu,

A_DaRk_FeNnEr
   
 
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