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Autore: SmartyPants    23/04/2010    1 recensioni
Quando si dice trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Intro: Ho scritto questa fic tanti anni fa e l'avevo pubblicata su un forum dove ero registrata come Addison Montgomery; comunque non penso che l'abbiate già letta XD Essendomi appena registrata qui ho pensato di recuperare questa storia e pubblicarla! Ne ho anche un'altra, se la trovo la pubblico!

 


 

 

Finalmente era arrivato. Il ballo dell’ultimo anno del liceo, quello che tutte le ragazzine americane sognano era arrivato anche per Melody e Kate. Lo avevano aspettato con impazienza fin dalla Middle School, quando le loro sorelle maggiori vi avevano partecipato e avevano raccontato loro così tante cose belle che Melody e Kate non vedevano l’ora di diventare grandi per poterci andare.

 

 Il liceo ormai era quasi finito e il ballo era imminente: tutti i ragazzi e le ragazze del George Washington High School, Manhattan, erano in fermento e i preparativi nella grande palestra del liceo, dove Melody e Kate avevano passato quattro anni a fare il tifo come Cheerleaders per i Trojans (la squadra di basket del liceo), erano già iniziati da settimane.

 

 Melody e Kate passavano i loro pomeriggi al liceo ad aiutare con le decorazioni, a parlare con il servizio catering, a decidere i colori delle tovaglie: come Presidente del Consiglio Studentesco e Vice Presidente del Consiglio Studentesco volevano che fosse tutto perfetto per quel loro ultimo ballo al liceo, quello che sognavano da quando erano poco più che bambine. Il poco tempo libero che restava lo trascorrevano in giro per negozi a scegliere il vestito o sfogliando gli annuari lasciandosi trasportare dai ricordi di quei bellissimi quattro anni.

 

 Le giornate scorrevano veloci e le due ragazze non si resero quasi conto che quello era l’ultimo sabato prima del ballo e loro non avevano ancora acquistato il vestito.

 

 “Kate, oggi pomeriggio dobbiamo assolutamente deciderci a comprare il vestito!” dichiarò Melody alla sua migliore amica.

 

 “ Eh sì, hai ragione! Il ballo è sabato prossimo e noi non abbiamo ancora uno straccio di vestito! Fortuna che almeno i preparativi sono quasi ultimati!”

 

 “ Sì è vero, però se non abbiamo un vestito non ci possiamo andare al ballo, no?”

 

Kate abbracciò Melody: la conosceva bene, erano migliori amiche fin da piccole  e Melody era sempre stata la più drastica delle due, quella che vedeva tutto bianco o nero, quella che non voleva diventare Cheerleader ma che poi ne era diventata il Capitano, la migliore della classe anche se diceva di odiare lo studio, la ragazza del Capitano della squadra di basket nonostante avesse rifiutato ripetutamente il suo corteggiamento prima di ammettere che anche lei provava qualcosa per lui. Kate la adorava per tutte queste cose ed era stata disposta anche a scegliere lo stesso college che aveva scelto Melody per paura di perderla.

 

“Kate?!”

 

Melody distrasse Kate dai suoi pensieri, la quale sussultò.

 

“Ti stavo dicendo… Niente vestito, niente ballo!” disse ironicamente Melody.

 

“Hai ragione! Allora, su, vestiti ed andiamo subito in quella boutique che ci piace tanto!”

 

Avevano dormito da Melody e anche se erano già le undici, la padrona di casa era ancora in pigiama. Dopo essersi preparate le ragazze presero la macchina, accesero l’autoradio e si avviarono in centro, pronte per comprare finalmente l’agognato vestito.

 

Era un sabato soleggiato e faceva piuttosto caldo; Manhattan era piena di gente che, con gran fretta, lasciava l’ufficio per la pausa pranzo. Arrivate alla loro boutique preferita, la Miss Glam Boutique, Kate e Melody si guardarono intorno e si accorsero subito che c’erano stati parecchi nuovi arrivi dall’ultima volta che ci erano state, soltanto due giorni prima. Per loro era una tradizione, ogni anno compravano l’abito nella stessa boutique, anche se passavano pomeriggi interi in giro per la città a guardare le vetrine di tantissimi negozi.

 

Melody si avviò a passo svelto verso il reparto di abiti rosa, il suo colore preferito e Kate la seguì, anche se poi girò verso il reparto di quelli azzurri perché aveva deciso che quell’ anno avrebbe indossato un abito celeste.

 

Kate stava prendendo un grazioso abito di seta e tulle azzurro quando sentì Melody emettere un gridolino di gioia poche corsie più avanti. Lasciò l’abito e corse verso l’amica.

 

“Mel, che c’è? Dove sei?”

 

“Aspetta, ora esco dal camerino! Ho trovato l’abito dei miei sogni!” disse Melody emozionata

 

Kate si sedette sul divanetto di pelle color salmone davanti alla stanza adibita a camerino e attese impaziente l’amica. Dopo quasi cinque minuti di attesa vide la porta aprirsi e rimase incantata dalla bellezza di Melody. Indossava un vestito rosa chiaro, molto tenue; era un abito corto, a spalline, la parte sopra era molto aderente e subito sotto il seno c’era un fiocco rosa di raso impreziosito da centinaia di diamantini , mentre la gonna era abbastanza ampia, di seta delicata. Nel complesso era un abito semplice, ma Melody era sempre stata una ragazza semplice, una di quelle ragazze che non ama troppo i fronzoli.

 

“Allora, com’è?” chiese Melody, cercando l’approvazione di Kate.

 

“Mel sei stupenda. Stai benissimo, dovresti prenderlo!”

 

“Grazie tesoro. Se mi dai la tua approvazione, lo compro!”

 

“Ma certo, hai la mia più piena approvazione!” disse Kate abbracciandola.

 

Improvvisamente le due ragazze sentirono le porte sbattere, urla disperate, gente che correva. C’erano delle voci maschili che urlavano, impartivano degli ordini alle commesse.

 

Kate e Melody erano terrorizzate, in preda al panico si nascosero sotto un stand di abiti, abbracciandosi strette. Melody piangeva silenziosamente mentre Kate le carezzava piano la testa, le lacrime scendevano piano sulle sue guance.

 

“I soldi, dammi tutti i soldi!” gridò uno dei rapinatori.

 

“Per favore, non farmi del male” supplicò una commessa piangendo.

 

Poco dopo sentirono degli spari e Melody lanciò un urlo di terrore e fu scossa da violenti tremiti; Kate la strinse ancora più forte ma in cuor suo aveva tantissima paura però non poteva piangere troppo forte o tremare, perché sapeva che Melody si sarebbe spaventata ancora di più.

 

“Jason, vai a vedere chi c’è di là. Portala subito qui insieme alle altre.” Ruggì una possente voce maschile.

 

“Kate” sussurrò Mel tra le lacrime “Ti prego, andiamocene. Nascondiamoci”

 

Kate annuì, prese per mano l’amica e iniziarono a camminare, chine, lentamente.

 

Passando piano tra i vari stand di vestiti avevano quasi raggiunto una delle uscite laterali quando sentirono una voce dietro di loro:

 

“Ehi, ehi, ehi. Ma chi c’è qui? Forza, venite qui” dichiarò un rapinatore, indossava un passamontagna e in mano reggeva una Calibro 9.

 

Melody si strinse forte a Kate, era pietrificata dalla paura.

 

“Mettila via” supplicò Kate “Veniamo, ma ti prego metti via la pistola”

 

“Non prendo da ordini da una liceale” gridò l’uomo, strappando Kate da Melody.

 

“Seguimi o giuro che l’ammazzo” ordinò a Melody.

 

Melody seguì tra i sussulti Kate e il rapinatore il quale, arrivati dove erano raggruppati tutti i clienti della boutique, le fece inginocchiare insieme agli altri.

 

“Ora noi ce ne andremo, voi non fate sciocchezze e nessuno morirà” dichiarò uno dei rapinatori.

 

Successe tutto in un secondo: un ragazzo si scagliò contro uno dei rapinatori, un altro rapinatore gli puntò contro la pistola, Melody si alzò gridando, corse verso il ragazzo, un colpo di pistola partì e colpì in pieno petto Melody, che facendo da scudo al ragazzo si accasciò a terra. I rapinatori, forse spaventati, scapparono dalla porta sul retro e per pochi secondi, prima che tutti iniziarono a gridare, la grande entrata della Miss Glam Boutique fu avvolta da un silenzio spettrale.

 

Kate aveva assistito inerme alla scena, quasi non si rendeva conto di ciò che era appena accaduto davanti ai suoi occhi e fu solo quando le persone iniziarono a gridare che realizzò l’accaduto: Melody, la sua migliore amica, giaceva immobile a terra, un buco sul vestito inondato di sangue, ma i suoi occhi, i suoi occhi azzurro-mare la stavano guardando e dalle sue labbra rosee uscivano delle flebili parole.

 

Kate si scosse dal torpore che l’aveva avvolta negli ultimi minuti e corse dalla sua migliore amica, scansando le persone che la circondavano, mentre in lontananza sentiva le sirene dell’ambulanza e delle volanti della polizia.

 

“Mel…” gridò, accovacciandosi accanto a lei, scossa da tremiti così violenti da non riuscire quasi a stare ferma.

 

“Kate…” sussurrò Melody così piano che Kate quasi non la sentì.

 

“No, tesoro, non parlare. Ora ti porto via da qui.”

 

Kate si fece forza, prese in braccio l’amica facendole passare un braccio attorno alle spalle e l’altro sotto le ginocchia. Perdeva molto sangue, in pochi secondi il suo top bianco diventò di un rosso quasi innaturale. Guardare l’amica ridotta in quello stato le provocava sensazioni indescrivibili ma la paura di perderla per sempre era la più forte.

 

“Kate… ti voglio bene” disse Mel prima di perdere conoscenza.

 

Kate corse più veloce che poteva, la gente in strada la guardava allibita e per lei fu un sollievo vedere che due paramedici correvano verso di lei con una barella.

 

“Lascia fare a noi” disse uno dei due.

 

Kate non ebbe la forza di replicare e quasi non si accorse che uno dei due paramedici le tolse dolcemente Melody dalle braccia, posandola sulla barella.

 

Arrivò una poliziotta che avvolse Kate con una coperta mentre l’ambulanza sfrecciava via a sirene spiegate. La poliziotta sussurrò qualcosa a Kate, ma lei non la sentì, l’unica cosa che le importava adesso era andare all’ospedale per avere notizie di Melody.

 

Kate fu condotta in una delle volanti e quella stessa poliziotta la portò all’ospedale.

 

La ragazza corse disperata chiedendo a tutti i medici della sua amica e finalmente trovò un chirurgo che le disse che era in sala operatoria. Kate si sedette in sala d’aspetto e le ore passavano interminabili. Improvvisamente la porta si aprì e la raggiunse un chirurgo molto giovane.

 

“Ha superato l’intervento. Ora la portiamo nella sua stanza.”

 

Kate sentì un grande peso caderle di dosso.

 

“Ma le prossime 24 ore sono critiche; se le supererà sarà fuori pericolo.” Continuò il chirurgo, dandole una pacca sulla spalle. “Ah, la sua stanza è la 2351, tra mezz’ora potrà farle visita”.

 

Le strinse la mano e se ne andò.

 

Kate si avviò a passo deciso verso la stanza dell’amica e si accorse che ogni persona che incrociava la guardava in modo strano: solo in quel momento si rese conto che buona parte del top era imbrattato di sangue e una lunga striscia rossa si era estesa fino agli shorts rosa. Avrebbe dovuto tenere la coperta della poliziotta, si disse tra se e se. Cercando la stanza si perse e le ci volle quasi un’ora per trovare la stanza dell’amica. La porta era chiusa e aveva paura di entrare, non sapeva cosa aspettarsi. Socchiuse la porta e piano piano entrò e la vide: Melody era stesa sul letto, coperta fino alla vita, gli occhi chiusi, la flebo nel braccio destro, dei sottili tubicini di plastica nel naso.

 

Non sapeva che danni aveva subito, non aveva avuto coraggio di chiedere al chirurgo quali organi interni erano stati compromessi, né se i danni sarebbero stati permanenti; sperava con tutta se stessa che la pallottola non avesse trapassato gli organi andandosi a conficcare nella colonna vertebrale, perché in quel caso c’era il rischio che Mel non avrebbe mai più potuto camminare.

 

A passo lento, quasi spaventata da cosa avrebbe potuto vedere da vicino, si avvicinò a Mel e si sedette sulla poltrona accanto al letto. Melody sembrava tranquilla, respirava piano, gli occhi chiusi come quando dormiva, solo che era pallidissima. Kate riprese a piangere, le lacrime scorrevano copiosamente sulle sue guance; prese la mano di Mel e la strinse forte, le loro mani creavano un forte contrasto: quella piccola e pallida di Mel e quella poco più grande e imbrattata di sangue, ormai secco, di Kate. La vista di quel sangue, il sangue della sua migliore amica la distrusse; si accasciò sulla poltrona stringendo le braccia attorno alle ginocchia, le era venuto freddo. Si rilassò un po’ sulla poltrona e cadde in uno stato simile al dormiveglia, ma era sveglia e ad un certo punto, non era in grado di dire se fossero passati minuti o ore, sentì l’ECG di Mel suonare furiosamente.

 

Si scosse subito e vide che le curve sull’ECG raggiungevano un livello sempre più basso, la porta si spalancò, entrarono quattro infermiere, una trasportava un carrellino con quello che Kate riconobbe un defibrillatore.

 

Kate fu presa dal panico, iniziò a piangere e a gridare; un’infermiera cercò di allontanarla ma lei rimase vicino alla porta, cadde seduta a terra, le braccia intorno alle ginocchia: “Mel ti prego, non mi lasciare…” sussurrava più a se stessa che all’amica.

 

“La stiamo perdendo” gridò una delle infermiere “Carica a 300”  “Libera!”

 

Kate vide il corpo di Mel sobbalzare sul letto ma l’ECG rimaneva piatto; si avvicinò piano al letto; le forze l’abbandonarono, si lasciò cadere a terra, in ginocchio.

 

Niente da fare; Anita, carica a 500” ripetè l’infermiera.

 

L’infermiera con il defibrillatore caricò e diede la scossa a Mel, una volta, due volte, tre volte.

 

Non successe niente, Mel sobbalzava nel suo letto d’ospedale ma l’ECG si appiattì definitivamente.

 

“L’abbiamo persa. Ora del decesso 4.49 del mattino.”

 

Le infermiere lasciarono la stanza, quella che Kate riconobbe come Anita le sussurrò un sincero “mi dispiace” e lei rimase sola con Melody, la sua migliore amica, quell’amica che aveva perso per sempre in un pomeriggio di sole, un pomeriggio che sarebbe dovuto esser di divertimento, che aspettavano da anni ma che invece si era rivelato essere il pomeriggio più brutto della sua vita.

 

Kate piangeva rumorosamente, si lamentava, gridava il nome dell’amica, era disperata; trovò la forza di rialzarsi, si avvicinò al letto e si stese accanto a Melody, stringendola forte, per quella che sembrò un’eternità.

 

 15 ANNI DOPO

 

Era una giornata di novembre, uggiosa e umida. Kate camminava a passo svelto deciso, un mazzo di fiori in una mano e la mano della bambina nell’altra. Indossavano entrambe un cappotto per proteggersi dal freddo pungente. Varcarono la soglia velocemente, Kate aveva varcato quella soglia una volta alla settimana negli ultimi quindici anni ma era la prima volta che portava la bambina. Si avvicinarono alla grande lapide di marmo e lei si inchinò a lasciare il mazzo di fiori rosa, i fiori preferiti di Melody.

 

“Mamma, perché siamo qui?” domandò la bambina di tre anni.

 

“Tesoro, devo presentarti una persona” rispose Kate stringendo forte la mano di sua figlia. “Questa è Melody Jane Taylor, la migliore amica che io abbia mai avuto. E’ stata la persona più importante della mia vita fino a quando è volata in cielo.” Le raccontò, le lacrime le rigavano il volto.

 

“Mamma… Ma lei… Lei si chiama come me!” esclamò la piccola Melody.

 

“Sì, tesoro” confermò Kate prendendola in braccio “Ti ho dato il suo nome perché voglio che tu diventi una persona bella e forte come lo era lei e tramite te lei non morirà mai. Quando sarai grande so che sarai meravigliosa come lei; porterai onore al suo nome” le disse prendendola in braccio, accarezzandole la testolina bionda.

 

“Che bello, mamma!” disse la bimba emozionata.

 

“Andiamo ora, la mamma deve tornare in ospedale; il lavoro chiama.”

 

“Va bene” decise la piccina, gettando le braccia al collo della madre “Mi prometti che mi porterai di nuovo da Melody?”

 

Quelle parole la colpirono, non pensava che sua figlia avrebbe capito, ma evidentemente era davvero degna del nome che le aveva dato.

 

“Certo amore. Ti porterò con me ogni volta che lo vorrai” le rispose dandole un bacio sulla guanciotta paffuta.

 

niziò a piovere, Kate strinse più forte Melody e corse fuori dal cimitero, diretta alla sua auto, alla sua vita, quella vita che da quindici anni aveva un vuoto incolmabile e che sapeva che niente, né il suo lavoro da chirurgo, né sua figlia, né suo marito avrebbero mai saputo colmare 

 

  
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