Stasera Bologna riposa.
E’ tranquilla, anche se
l’aria estiva è sempre torrida e strozza ogni briciolo di voglia a giocare.
Non tutti la pensano come me,
una vecchietta ricurva sul proprio bastone e gli occhi scialacquati dagli anni;
i bambini saltano attorno a me, sembrano contare tutte le mie rughe, sembrano
ridere di quanto i miei capelli siano bianchi e fini.
Stringo un attimo la mano sul
ginocchio, esprimendo una nota di disappunto sul tempo che sta cambiando e mi
rammarico per le mie ossa sempre troppo previdenti.
La panchina su cui sono
seduta è la mia preferita: si trova proprio sotto il ponte di San Donato, a
qualche metro da una vecchia fabbrica abbandonata ed è sempre piena di
piccioni.
Non è in una zona tranquilla,
perché passano tante persone strane e piuttosto rumorose. Ma è proprio questa
originalità che mi attira.
Sono avanti con gli anni,
vado per gli ottanta, ma i rumori forti mi sono sempre piaciuti.
Due delle mie più care amiche
si lamentano continuamente: Chiara vorrebbe aver sposato il suo fidanzato
d’adolescenza mentre Laura tornerebbe di corsa a giocare a calcetto e a
strimpellare la sua chitarra elettrica.
Ma non siamo più giovani e
questo purtroppo ci crea milioni di svantaggi.
Raramente penso agli anni di
adolescenza perché non mi ricordo molto. Oppure non voglio ricordare.
Troppe delusioni, troppe
illusioni. E forse troppo amore per essere sopportato da una ragazza in carne e
con tanti sogni pazzi per la testa.
Ho settantanove anni e non mi
sono ancora svegliata e imbarcata per
Non ho fatto davvero tante
cose ma pensandoci bene non mi interessa: ciò che ho vissuto è stato una specie
di preparazione per un qualcosa di più grande.
E se quel qualcosa è la morte
allora non voglio assolutamente abbandonare questo mondo, queste amiche e
questo marito.
I miei figli mi vengono a
trovare di rado ma non serbo rancore verso di loro: Elia ha ormai una famiglia
stabile ed è diventato padre diverse volte; Dimitri gestisce un’importante
azienda e non può di certo scomodarsi per venirmi a trovare; Isotta è la più
fragile ed inesperta ma per questo la amo ancora di più.
Sorrido pigramente ad un
bambino in fasce che allunga una manina grassoccia verso il mio viso,
sfiorandomi le ciglia. I miei occhi non sono cambiati da quando ero ragazza:
sono due fanali neri e a seconda della luce cambiano tonalità.
Non ne sono mai andata fiera
fino a quando mia madre mi disse: “Giulia, gli occhi rispecchiano l’anima e la
tua esiste ed è davvero meravigliosa”.
Gli faccio un rapido
occhiolino e mi giro ad osservare gli ultimi murales splendenti alla luce del
tramonto.