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Autore: la Crapa    23/04/2010    6 recensioni
01. Vespro: Palermo era insorta.
02. Tenebre: Si sarebbe arreso. Sarebbe stato schiacciato.
03. Alba: Sotto di lui, un giardino ormai morto; sopra di lui, un cielo purpureo tinto dei colori del mattino. Rosso come il sangue.
Fanfiction ispirata alla pace di Caltabellotta del 1032.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Caltabellotta

03. Alba

«Non piangere quando tramonta il sole: le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle.»
Rabindranath Tagore

 

 

Non avrebbe saputo dire come, ma, in qualche strano modo, aveva riaperto gli occhi.

Il sangue, la polvere, le grida impastate di lacrime, tutto si era spento. Tutto era stato inghiottito dal buio, e lui era sprofondato in un abisso di quiete.
E poi una luce vermiglia era entrata nel suo campo visivo, e l’aveva destato.
Lovino si era svegliato all’alba del 31 Agosto del 1302.
Ancora intorpidito dal sonno, era sceso carponi dal letto – non il solito giaciglio di paglia, ma un vero letto coperto da morbide lenzuola di lino – ed era uscito dalla stanza.
Nessuno avrebbe potuto pretendere che in quel momento avesse un minimo di senso dell’orientamento, ma, davvero, non aveva idea di dove si trovasse. Sarebbe potuto essere ancora in Italia, o in Francia, o in un palazzo di stile inaspettatamente arabo-normanno su un colle sperduto in Tibet, non ne aveva davvero idea.
Per diversi minuti girò per i lunghi corridoi della villa, senza trovare alcuna traccia di vita. Infine, sentì delle voci provenire da una porta socchiusa. Accostando l’orecchio, poté distinguerne almeno tre –quella di Francia, quella del maledetto austriaco che aveva portato suo fratello via da lui, e quella dell’uomo che (forse) l’aveva salvato dal sopracitato vinofilo. Non gli ci volle molto a capire che stavano animosamente discutendo di lui, e ci volle ancora di meno a supporre che stessero stabilendo in che maniera dividersi le sue terre.
Fantastico. Davvero fantastico.

Senza far notare in alcun modo la sua presenza, si allontanò dalla stanza. Tornò al balcone che aveva visto poco prima, e si sedette con le gambe penzoloni, le manine strette alla ringhiera. Sotto di lui, un giardino ormai morto; sopra di lui, un cielo purpureo tinto dei colori del mattino.
Rosso come il sangue.

Analizzò con distacco il tronco nodoso di un albero di mimosa, nero in più punti.
Aveva paura di pensare cosa gli sarebbe successo, ma non poteva farne a meno.
Mentre le prime lacrime cominciavano a rigare le guance, pallide per la spossatezza, sentì una presenza dietro di sé, e, prima di potersi voltare, qualcosa gli coprì il campo visivo. Ci mise poco a liberarsene, e sollevando lo sguardo vide un ragazzo dalla pelle olivastra e un sorriso incredibilmente largo e stupido che lo guardava contento, poggiando sulla sua testa un cappello di paglia decisamente troppo grande per il bambino.

«Ehi. Ma sei scemo? Che cavolo stai facendo?» sbottò il piccolo.

«Ti metto il mio cappello, non lo vedi?» rise il ragazzo dall’aria poco sveglia.
«Lo vedo, idiota. Perché diavolo lo stai facendo, vorrei sapere!»
Il ragazzo sorrise ancora, ma non rispose. Lovino gonfiò le guance e si rassegnò. I
grandi avevano finito la “riunione”? Era l’ora del verdetto? A chi sarebbe toccato come bottino di guerra? O sarebbe stato fatto in pezzi? Non era sicuro di volerlo sapere.
«Sai,» cominciò la giovane Nazione, dopo essersi seduta al suo fianco «Austria è proprio un caro ragazzo. Mi ha aiutato un sacco a sistemare la faccenda con Francis.» Si voltò e lo guardò, aspettando una qualche risposta, ma Lovino approfittò dell’enorme cappello per nascondere il viso e continuò con ostinazione a fissare la mimosa morente. L’altro se ne accorse, ma cercò comunque di continuare. «Sai, siamo amici di vecchia data, è stata proprio dura mettermi contro di lui. Non sono riuscito a togliergli Napoli.»

«Mi fate a pezzetti, dunque. Bravi. Complimenti
Il ragazzo sembrò interdetto.
«Io lo so. Ti fa molto male, non è vero?»
«Sta’ zitto.»
«Prima ti hanno allontanato da tuo fratello, adesso “dividiamo” persino te stesso senza contare quello che provi.»
«Ti ho detto di stare zitto! »
«Lo so cosa vuol dire. Anche io sto male così.»
«No che non lo sai! Tu non ne sai niente! Nessuno capisce niente!» esplose Lovino. Non ne poteva davvero più di quella gente.
«Sì che lo so,» continuò calmo il ragazzo «Io sono “diviso”, proprio come te.»
Portò una mano al petto, e il bambino ammutolì, voltandosi a guardarlo.

«Navarra, Castiglia, Aragona, Granada - oh, quella si che fa male¹ – e Portogallo. Niente è al suo posto. È tutto tagliato, qui, e le ferite non si cicatrizzano ancora.»
Sorrise ancora, un sorriso stanco. «Lo so, fa molto male. Ti senti debole, sembra che la terra stia per inghiottirti. Lo so. Però ti prometto che farò di tutto per curare le tue ferite. E infine tornerai da tuo fratello. Te lo prometto, Lovino.»
Il bambino lo guardò per un breve istante, poi tornò a fissare la mimosa. Cercando di nascondere le lacrime che ancora una volta non era riuscito a trattenere sotto la falda del cappello, disse: «Quindi ora tu sarai il mio Boss, giusto?»
Il ragazzo fece un cenno col capo, sorridendo.

«Sei uno stupido sognatore, fai promesse che non puoi mantenere. E sei anche maleducato. Mi hai chiamato per nome, ma non ti sei mica presentato.»
«È vero, sono proprio uno scemo. Io sono Spagna, ma puoi chiamarmi Antonio.»
Gli rivolse l’ennesimo sorriso, e Lovino sospettò stizzito che gli sarebbe venuto il diabete.
Tuttavia, non riusciva a distogliere gli occhi dal giardino. Non riusciva a non pensare che quelle belle parole fossero solo un sogno vano, una prospettiva di vita migliore che mai si sarebbe realizzata.

Spagna lo guardò con tenerezza. Gli prese il mento tra le dita ruvide e lo costrinse a guardare verso l’alto.

«Fidati di me. Guarda il cielo, Lovino.»
Lovino obbedì: il cielo non sembrava più macchiato di sangue. Era terso, immenso. Si era tinto di tenui gradazioni d’azzurro. Un raggio di luce rischiarò la mimosa: un ramo di fiori dorati faceva capolino tra quelli ormai secchi.
Un singhiozzo dimesso sfuggì alla piccola Italia, che strinse le manine attorno alla manica di Spagna.
Antonio carezzò il viso del bambino, ripulendolo dalle lacrime.

«Guarda il cielo

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Granada a quei tempi era ancora sotto il dominio arabo, quindi la separazione da essa fa più male.

 

Note dell'autrice: Siamo già arrivati all’ultimo capitolo. Che strano! Sinceramente, pensavo non l’avrei mai finita. Che dire? Questo lunghissimo capitolo è venuto da sé. È la prima volta che sono soddisfatta di una storia romantica, di solito non sono proprio capace di scrivere storie romantiche e a lieto fine. Premesso che tutti sappiamo che questa è grossomodo una storia a lieto fine. Lo considero un piccolo successo, e lo dedico a Toby, che mi ha anche aiutato nella scelta della bellissima citazione all’inizio del capitolo.
Rispondo a KikyoOsama {grazie mille per avermi seguito!} chiarendo che la pace di Caltabbellotta non ha portato il regno di Napoli, ma è la premessa necessaria per la pace di Cateau-Cambrésis, che mette quasi tutti i territori italiani nelle mani della Spagna. Antonio stava per mantenere la promessa di ricongiungere i fratelli! Riguardo lo stupro, date le faccende di quotidianità, è una cosa che proprio non voglio vedere. Lovino è un bambino perché…nella cronologia di Hetalia dovrebbe essere così! Quando Spagna si mette nei guai con Turchia Lovino è ancora un bambino, e anche se la pace di Caltabellotta è successiva, ho visto Lovino più grande solo quando già si parlava di impero prussiano. Non c’era nessun particolare travaglio dietro.
XD
Ancora mille grazie, per avermi sostenuto, e spero che questa storia sia stata di vostro gradimento. ♥

   
 
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