Aggiornamento parziale :D
Visto che questo si prospetta essere il capitolo più lungo della storia ho deciso di dividerlo per evitare sia di postare un macigno e sia di rischiare di lasciarvi per settimane con nulla da leggere :p
Bourbon
era stato davvero convincente.
Non c'erano dubbi che quei documenti fossero veri, Scotch ne era
sicuro. Ancora non poteva crederci, la notizia appena ricevuta aveva
distrutto molte delle sue certezze, rimpiazzandole con un pensiero
fisso che non riusciva – e non voleva – togliersi
dalla mente: la
vendetta verso l'Organizzazione per cui tanto aveva fatto, di cui le
due ferite da arma da fuoco erano prova recente. Era meravigliato che
Kudo e Okiya fossero riusciti ad abbindolarlo così
facilmente,
effettivamente la fortuna aveva giocato un ruolo fondamentale, ma non
aveva alcuna importanza ormai. La sua mente era completamente
focalizzata sulla rabbia e sull'odio. Avrebbe voluto distruggere tutto,
avrebbe voluto avere tra le mani il collo di qualunque uomo in nero,
ma dovette controllarsi e comportarsi normalmente. Doveva rimanere il
più distaccato possibile mentre incrociava quei bastardi nei
corridoi della base, benchè ogni volta gli venisse l'impulso
di
tirare fuori un'arma e crivellarli di colpi sul posto. Si
sentì fortunato a
non vedere nessuno dei membri importanti, nel qual caso avrebbe potuto
veramente perdere la testa. Il database “fisico” di
cui parlava
Bourbon era un terminale con accesso completo all'archivio, a cose
che nemmeno lui con le sue capacità di hacker avrebbe avuto
la
possibilità di consultare, situato in una stanza con
serratura a
impronte digitali e scan della retina. Pochissime persone potevano
entrare e Scotch era uno di quelle in qualità di
programmatore quasi
“di punta” dell'Organizzazione. La stanza era
completamente
spoglia tranne per il terminal su un lato ed era illuminata da vari
neon, che si accesero appena mise piede all'interno, installati sulle
scure pareti metalliche. Si mise subito al lavoro: voleva passare
meno tempo possibile lì dentro, sia perchè non
sopportava più
l'idea di essere fisicamente lì, sia perchè
voleva evitare che
qualcuno lo vedesse. Benchè avesse l'autorizzazione, qualche
domanda gli sarebbe stata fatta e temeva di tradirsi in qualche modo
essendo ancora turbato da quanto avvenuto prima in casa di Kudo. In
dieci minuti scarsi aveva raccolto tutti i file richiestigli da
Scotch; li scaricò su un disco che si mise in tasca, si
voltò e
uscì. Il suo battito cardiaco accelerò, sperava
che niente andasse
storto. A separarlo dalla libertà era solo l'intricato
sistema di
corridoi sotterranei che costituiva l'unica base fissa degli uomini
in nero. Cercò di svuotare la mente, ma il pensiero di sua
sorella
tornò a tormentarlo. Tentò di non farci caso
mentre imbucava un corridoio, e un altro ancora.
«Scotch.» disse una voce femminile.
L'uomo si girò, trovandosi di fronte
Vermouth. Non l'aveva notata, era appoggiata alla parete di un
corridoio laterale. Fece di tutto per apparire il più
normale
possibile.
«Vermouth, che fai?»
La donna indossava un vestito nero
lungo fino alla caviglia, con un ampio spacco laterale. Indossava
delle scarpe con tacco abbastanza alto, anch'esse nere, e aveva un
qualche strano aggeggio elettronico a coprirle quasi completamente
l'orecchio sinistro.
«Oh, niente di particolare. Devo
infiltrarmi a una festa e sto aspettando dell'equipaggiamento dal
laboratorio. Ah, Gin ti vuole parlare.»
“Gin? Beh, non ha molta
importanza. Avrà cercato di chiamarmi, ma ho il telefono
spento da
tre ore ormai...”
«Ho capito, grazie
di avermelo detto.»
Girò i tacchi e
cominciò ad allontanarsi. Solo allora, come un flash,
capì: Mind
Waves Interpreter. MWI. C'era anche lui quando lo rubarono. Non
l'aveva mai visto ma il suo intuito gli disse che non stava
sbagliando. Troppo tardi. Un suono che conosceva fin troppo bene. Una
fitta di dolore. Ancora quel suono. Si portò una mano al
petto:
sangue, tanto sangue.