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Autore: LApao    28/04/2010    0 recensioni
Un cane dona gioia ai propri padroni, è fedele a loro nella buona e nella cattiva sorte, li accompagna e non li abbandona mai, non si sogna neanche lontanamente di far loro del male. Ma lo stesso vale anche al contrario?
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il baule si apre e il bagagliaio viene inondato dalla luce del sole. Siamo arrivati! Scodinzolando salto giù dalla macchina…ma dov’è il mare? Mi guardo attorno e vedo solo la strada, infinita. Dov’è la spiaggia, il lungomare? Dove sono gli hotel, i bar, le persone in costume? La macchina riparte, con i miei padroni sopra. Che sia un gioco? Per un po’ corro dietro l’auto, le zampe veloci sull’asfalto rovente. Ma la macchina non rallenta e pian piano scompare all’orizzonte, confondendosi tra i raggi del sole. Allora un’improvvisa consapevolezza mi colpisce: mi hanno abbandonato. L’unica cosa che non capisco è il perché. Sono sempre stato un buon cane; è vero, ogni tanto distruggevo un paio di ciabatte, o abbaiavo ai vicini, ma non pensavo fosse così grave, in fondo è la mia natura. Perché mi hanno lasciato? Dopo le passeggiate insieme, i pomeriggi a oziare sul divano, le risate di quando mi rincorrevo la coda, dopo tutto l’amore che ho donato loro, come possono fare questo? Ora sono solo. Continuo a camminare sulla strada, verso dove non lo so. Cammino e cammino, fino a sera. Cammino di notte, cammino mentre sorge il sole. Cammino cercando di non pensare alla sete, alla fame. Cammino e spero che ritornino indietro, che tutto questo sia un incubo, che il mondo non sia davvero così crudele. La sera vedo delle luci in lontananza, forse è una città. Lascio la strada e passo per i campi, diretto verso quei puntini in lontananza. Riesco a raggiungerli nonostante le forze mi stiano abbandonando del tutto. È davvero una città e forse qui troverò qualcosa da mangiare. Vedo una fontana, la mia salvezza: bevo litri d’acqua mentre un po’ di disperazione svanisce. Ma sono troppo debole per cercare cibo: ho camminato per due giorni interi e devo dormire. Mi accuccio sul marciapiede e cado in un sonno profondo, mentre un nuova speranza riempie il mio cuore: in questo posto troverò qualcuno che si prenderà cura di me, qualcuno che mi amerà più dei miei vecchi padroni, che non mi abbandonerà, forse finora sono stato solo sfortunato e non tutti sono cattivi. Dopo poco mi giungono alle orecchie delle voci, mi tiro su di colpo e vado verso un gruppo di persone che si trova all’angolo della strada. Magari i miei nuovi padroni si trovano tra quella gente, magari qualcuno ha un po’ di cibo da offrirmi. Alcuni ragazzi mi vedono, danno delle gomitate ai loro amici e mi indicano, ridendo. Vengono verso di me, io scodinzolo perché sorridono: sicuramente mi daranno qualcosa da mangiare, o anche solo una carezza, basterebbe. Ma improvvisamente capisco che qualcosa non va: un ragazzo mi blocca il muso con le mani, mentre un altro raccoglie un bastone da terra. Non riesco a ribellarmi: sono ancora debole e loro sono troppi. Iniziano a bastonarmi, sempre più forte; io mi arrendo al dolore, non mi divincolo più, chiudo gli occhi e aspetto che questa tortura finisca. Non sento più neanche le botte perché ormai tutto il corpo fa male, ma ad un certo punto un nuovo dolore al petto sembra svegliarmi dal torpore in cui ero caduto. Sento odore di sangue, del mio sangue. Col coltellino continuano ad infierire su di me, mentre il marciapiede si tinge di rosso. Voglio morire, voglio che tutta questa sofferenza finisca; quello che fa più male non sono i colpi di bastone, né i tagli su tutto il corpo, ma le risate dei ragazzi che si incitano l’un l’altro a farmi più male, che si divertono a vedermi soffrire. Ma questo divertimento finisce in fretta: io non guaisco più, sono immobile: non c’è gusto a torturare se la tua vittima sembra non rendersene conto. Così se ne vanno, proprio come sono arrivati, ridendo e schiamazzando, contenti delle belle azioni appena compiute. Io finalmente capisco di essermi illuso: gli uomini sono crudeli, tutti. Non devo aspettarmi amore, affetto e carezze, ma solo botte e cattiveria. La mattina sono ancora nella stessa posizione, steso sul marciapiede, coperto dal mio sangue. I pensieri sono sempre più confusi, solo l’odio verso gli uomini spicca chiaro tra le idee appannate. Attraverso le palpebre socchiuse vedo i piedi dei passanti sfilarmi davanti, indifferenti. Fino a quando qualcosa di caldo mi avvolge e due braccia mi sollevano da terra. Vengo trasportato in una casa, medicato, lavato. Mi viene offerto anche del cibo dalla donna che mi ha raccolto, ma chi mi dice che non sia una trappola? Non mi fido più, non mangio, mi ribello alle carezze, cerco di scappare. E alla prima occasione mordo la mano della donna che mi ha salvato, perché tanto so che prima o poi sarei deluso anche da lei. Mi apre la porta di casa con gli occhi umidi, non so se per il dolore o per la tristezza di non potermi salvare davvero. Io mi trascino fuori, per strada, fino al limitare di un prato. Ormai sono debole, gli occhi mi si chiudono. Avevo tanto amore da offrire, ma gli uomini mi hanno reso diffidente e ostile. Il mio ultimo pensiero va ai vecchi padroni, è tutta colpa loro se sono diventato così, ma in fondo so di amarli ancora.
  
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