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Autore: Strega_Mogana    29/04/2010    4 recensioni
Che cosa fa l’uomo?
Qual’è la principale cosa che fa?
Desidera.
Come cominciamo a desiderare?
Incominciamo desiderando ciò che vediamo ogni giorno.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia é stata scritta per la seconda sadi sfida "Anima rilfessa" indetta dal Forum Libertà di sognare

Ombre sbiadite di un desiderio perduto




Che cosa fa l’uomo?
Qual’è la principale cosa che fa?
Desidera.
Come cominciamo a desiderare?
Incominciamo desiderando ciò che vediamo ogni giorno.
(Hannibal Lecter – Il silenzio degli innocenti)



L’immagine era sfuocata.
Era come vedere un’ombra attraverso il vetro appannato di una finestra.
La prima cosa che gli venne in mente fu il pensatoio di Silente. Era come osservare dei ricordi indistinti, ombre sbiadite di un passato quasi del tutto dimenticato.
Ma quello non era il pensatoio di Silente.
Severus non ricordava come si era imbattuto in quella stanza, soprattutto in quell’oggetto particolare. Non ricordava quando, di preciso, vi aveva posato lo sguardo la prima volta.
Tutto quello era stato dimenticato; erano ricordi smarriti dietro le ombre che vorticavano nella superficie fredda dello specchio. O di quello che si pensava fosse uno specchio.
Ricordava però il loro magnetismo fin dalla prima volta che le vide; quelle immagini fugaci che lo attiravano nello stesso modo in cui una falena viene attirata dalla calda, letale fiamma della candela.
Le odiava, ma non poteva fare a meno di guardarle, di sprecare tempo prezioso in quella stanza.
Vi aveva passato lunghe ore ad ammirare affascinato quelle forme indistinte, ammaliato dalle ombre vorticanti in continuo movimento che alla fine, aveva compreso, avevano formato quello che si poteva definire un desiderio. Un folle desiderio insediato nel suo cuore corrotto dall’odio e dal dolore.
Ne aveva avuto paura.
Non lo avrebbe ammesso neppure all’Oscuro in persona ma quello specchio e le sue crudeli immagini, evocate da quelle nubi tormentate come il suo animo, lo terrorizzavano.
E lo attiravano senza possibilità di sfuggire.
Gli mostravano qualcosa che lui bramava e temeva nello stesso momento.
Qualcosa che riusciva a scuoterlo nel profondo; qualcosa che riusciva a sgretolare la spessa corazza che si era imposto di indossare nel corso degli anni. In quei lunghi anni passati ad annullare se stesso, a dimenticare come fosse la vita reale.
Ed ora, davanti a quello specchio, poteva vedere fin dentro il profondo di stesso, in quel luogo oscuro del suo cuore dove gli altri, come lui, avevano smesso di cercare un barlume di amore. E aveva avuto paura di ciò che aveva intravisto.
Di fronte alla purezza nascosta nel suo animo si era sentito un debole.
Voleva distruggere anche quella debolezza. Era qualcosa che lo rendeva ancora un uomo.
Si ostinava a fissare quello specchio per ore. Cercando di affrontare il suo desiderio, provando a debellare anche quell’ennesimo dolore; quell’ennesima inutile, immotivata, debolezza.
Ma non ci riusciva. Le immagini che lo specchio gli mostrava erano vaghe, a tratti indistinte, si mescolavano tra di loro impedendogli di capire, di sconfiggere ciò che era dentro di lui. Non poteva combattere ciò che non conosceva. O forse non voleva conoscere.
Quel desiderio inespresso chiuso nell’angolo più profondo di se stesso.
A volte quello che vedeva non aveva assolutamente senso. Altre volte le immagini erano troppo confuse per essere chiare, ma cercava comunque di coglierne il significato, sebbene l’unica cosa certa era l’emicrania che ne risultava.
Forse non era pronto. E quando era certo di aver colto il senso, quando era convinto di essere veramente pronto ad affrontare le sue paure, l’immagine sfuggiva via come acqua tra le dita lasciandolo solo con l’ombra di quello che era un sogno doloroso e con la frustrazione e la rabbia di non aver saputo sconfiggere la sua debolezza.
Perché quelle forme, quelle vaghe, indistinte forme di fumo, mutavano, come mutava il suo cuore davanti a loro.
Una volta aveva colpito lo specchio con un pugno. Con la forza del colpo il vetro si era scheggiato; la pelle si era tagliata e una goccia di sangue era scivolata sulla superficie lasciando una scia scarlatta sul volto di quello che, alla fine, aveva concluso fosse Silente.
Il volto sorridente di un amico che, in quello specchio, non aveva ancora ucciso.
La magia aveva riparato il vetro, il sangue era scomparso e il volto di Silente era mutato di nuovo in altro.
Si era recato in quella stanza per giorni, restando davanti a quell’oggetto fino a quando il dolore era stato troppo forte, fino a quando il suo cuore e la sua anima lacerata non avevano implorato pietà.
Aveva pianto, chiedendo una soluzione alle sue visioni, aveva chiesto ciò che più desiderava, ma per quanto fosse semplice il desiderio, il suo cuore rimaneva a colpirlo sempre più a fondo, sempre più dolorosamente, all’unisono con le visioni dello specchio.
Eppure anche in quel momento era lì. Ancora una volta pronto ad affrontare le sue paure, i suoi desideri più reconditi.
La notte era stata calma, silenziosa. Si avvicinava l’estate e con lei anche la fine della guerra.
Era rimasto immobile nell’angolo di quella vecchia stanza. Aveva fissato il profilo della cornice elaborata dello specchio e una delle zampe leonine. Il lume di una candela illuminava solo una parte dell’aula. Attorno a lui l’oscurità sembrava inghiottirlo, avvolgerlo nelle fredde spirali della notte.
Un’ombra tra le ombre.
Aveva fatto un passo in avanti verso l’oggetto del suo interesse.
Il rumore dei passi aveva rotto il silenzio quasi religioso, echeggiando tra le mura di pietra.
La fiamma della candela aveva tremato al suo passaggio, le ombre si erano allungate su di lui, rendendo più profonde le rughe e più marcate le occhiaie, trasformando il volto in una maschera di dolore.
Si era fermato a pochi passi, prima di poter vedere la propria immagine nello specchio.
Il cuore aveva a preso a battere più veloce del normale.
Succedeva spesso nell’ultimo periodo.
- Forse è quello che si prova quando sai che sta arrivando la morte. – si era detto in un pomeriggio nuvoloso di Gennaio quando gli studenti erano ancora a casa per le vacanze natalizie.
Lo sguardo aveva indugiato sulla superficie dello specchio. Sembrava innocuo, un vecchio oggetto ormai troppo grande per essere appeso da qualche parte nel castello.
- Le apparenze spesso ingannano vecchio mio. – si disse avanzando ancora di un passo.
Vide se stesso, un mago vestito di nero, che dimostrava più anni di quelli che in realtà aveva. Un mago dal volto scolpito nel granito grazie ad anni di dolore, senza espressione se non quella di disgusto, con gli occhi spenti, neri come l’oblio. Un oblio creato dalla morte di troppe persone che non era riuscito a salvare.
L’espressione di disgusto era per la sua vita o per sé stesso?
Le braccia conserte, le mani pallide, dalle lunghe dita che somigliavano ad artigli che spuntavano dalle maniche.
Ma la sua immagine era destinata a durare poco, questo lui lo sapeva. Vide il suo corpo sparire lentamente, dissolversi in fumo nero.
Della sua immagine non restava altro che una densa nube scura.
Il fumo mutò velocemente forma. Vorticò mischiandosi ad altre nubi nere, dividendosi ed espandendosi fino a quando non si fermarono creando un nebuloso vortice scuro.
Severus allungò una mano e toccò la liscia, fredda superficie.
Il fumo sembrò addensarsi. Divenne più scuro, più cupo, come se contenesse tutti mali del mondo o forse solo quelli che c’erano in lui.
Non che secondo lui ci fosse molta differenza.
Il fumo si allungò, si allargò e lentamente, come in un sogno, prese forma.
La sagoma era indistinta, quasi impossibile da vedere ma lui sapeva che c’era. Sapeva che era una donna dai lunghi capelli, sapeva che quella donna era seduta su una sedia a dondolo. Sapeva che quella donna stringeva tra le braccia un neonato.
L’angolo destro delle labbra si sollevò in un sorriso malinconico o forse in un ghigno.
- Sciocco sentimentalista. – si disse mentre osservava la donna, o quella che lui riteneva tale, mentre stringeva il figlio - Mille desideri potevi avere in quel tuo cuore avvizzito. Ma questo è troppo anche per uno come Albus.
Mentire anche a se stessi era la soluzione migliore per lenire quello che il suo cuore diceva in quel momento.
Una donna. Una madre.
Simbolo di un’infanzia felice, un’infanzia serena.
Dietro le due figure, una terza nube prese forma. Una più grande, leggermente più scura delle altre.
Un uomo. Un padre.
Istintivamente fece un passo indietro.
Troppo dolore portava con se quell’ombra. Troppe sofferenze che non era riuscito ad evitare.
Sperava di farlo almeno nel suo desiderio. Ma il destino per lui aveva in serbo altro, a quello che sembrava.
Le masse scure nello specchio si erano fermate qualche istante come se stessero aspettando la sua prossima mossa.
Il fumo sembrò per un attimo svanire, diventando più chiaro.
Severus si strinse un labbro tra i denti. La tentazione di voltarsi e tornare alle sue stanze era quasi impossibile da ignorare.
Quello non poteva essere il suo desiderio. Non quello. Non quell’uomo.
Strinse con più forza i denti e restò immobile.
L’uomo si avvicinò alla donna con il bambino tra le braccia. Per un istante le labbra del mago si mossero come se volessero avvertire la strega ma, contrariamente a quanto si immaginava, l’uomo si chinò sulla donna per baciarla mentre una mano accarezzava la nuca del figlio.
- Patetico. – pensò stringendo appena gli occhi – Semplicemente patetico, Severus.
Il vapore nero riprese consistenza, tornò a muoversi rapidamente. Le tre figure si mischiarono tra di loro.
Rapidamente tutto mutò, e il piccolo mago tra le braccia della madre si era trasformato un in bambino di pochi anni. Un bambino che camminava in un parco con il padre.
Severus artigliò le braccia con le dita.
Quello che stava vedendo era tutto quello che non aveva avuto da piccolo.
Un mondo felice dove crescere; un padre da ammirare, da considerare il migliore del mondo.
Digrignò i denti.
La nebbia si dissolse, il padre con il figlio svanirono, lasciando in lui un senso di vuoto che sapeva nulla avrebbe mai potuto colmare. Si odiava per ciò che stava desiderando.
Stava quasi per chiudere gli occhi quando il desiderio tornò a prendere forma nello specchio.
- Basta…- pensò mentre le dita stringevano ancora di più le braccia, quasi volessero penetrare nella carne – basta…
Il bambino era cresciuto. Era un adolescente. Un giovane mago assetato di conoscenze, pieno di speranze a lui negate in anni di violenze.
Un adolescente nebuloso. Felice, un ragazzo che amava la sua vita, che amava i suoi genitori.
- Basta… - pensò nuovamente restando immobile a fissare un giovane se stesso mentre percorreva il binario nove e tre quarti accanto ai genitori orgogliosi.
Questo era quello che il suo cuore desiderava? Un passato felice? Una famiglia come tante? Un padre che lo amava per quello che era?
- Impossibile…- mormorò allentando la presa sulle braccia, ben sapendo che avrebbe trovato dei lividi il mattino seguente – impossibile…
Improvvisamente la nebbia si dissolse del tutto mostrando la stazione di King’s Cross. La locomotiva per Hogwarts fumava quasi pronta a partire.
Un ragazzo di undici anni stava camminando a testa alta tra la folla di ragazzini e genitori. Gli vedeva solo le spalle, era vestito di nero, i capelli scuri gli sfioravano appena le spalle. Troppo lunghi secondo i suoi giusti.
Severus si avvicinò ad un passo, voleva capire, voleva vedere meglio.
Il ragazzo continuava a marciare per la sua strada, stava osservando i finestrini e, dal profilo, il professore riconobbe lo stesso naso aquilino che spesso era stato il centro delle battute di Potter e Black.
Riconobbe lo stesso mento aguzzo della madre morta, gli zigomi del padre.
Finalmente il giovane mago arrivò al vagone desiderato, salì gli scalini e lì indugiò qualche istante.
Severus, il mago adulto, quello ormai disilluso e pronto alla morte, si avvicinò ancora di un passo. L’alito caldo si condensava sul vetro.
Il ragazzo si voltò di scatto come se si sentisse osservato.
I loro occhi si incontrarono.
Faccia a faccia con il suo desiderio.
Severus gemette forte.
- No…- disse con voce strozzata – no… non questo… non questo…
Appoggiò la mano sul vetro come se volesse accarezzare il volto del giovane che continuava a guardarlo come se effettivamente riuscisse a vederlo.
I tratti erano gli stessi. Lo stesso naso. Gli stessi capelli. La stessa fronte alta. Lo stesso taglio degli occhi.
Ma il loro colore… il loro colore era differente…
Il mago chiuse gli occhi per non guardare mentre la mano si chiudeva a pugno sul vetro e il cuore gridava urla strazianti di fronte a quella semplice immagine di un ragazzo che prendeva il treno che l’avrebbe portato in un nuovo mondo.
Di fronte ad un ragazzo così simile a lui ma con gli occhi verdi.

Brace d’inverno,
I capelli tuoi,
Dove il mio cuore brucia.
(It – Stephen King)



FINE


   
 
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