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Vogliano
i signori lettori avere la compiacenza di portare la loro cortese attenzione su
di un argomento di grande attualità, che non manca di fare scalpore
ogniqualvolta venga – per caso o volontariamente – tirato in ballo e che
suscita fra le folle commenti di qualsivoglia genere, accende gli animi e tiene
in sospeso milioni di individui evidentemente nullafacenti perché se avesse di
meglio da fare non se ne curerebbero affatto: l’ignoto sembiante facciale del
valente jonin di Konoha Kakashi Hatake.
De incognitis signis notisque corporis – Tra
amici Gai e cani diarroici, la risoluzione del dilemma
Ebbene,
vossignoria avrà senz’altro notato quale retto e savio comportamento ha sempre,
invariabilmente tenuto questo fulgido personaggio nel corso della sua brillante
carriera ancora all’acme della magnificenza. Si può tuttavia osservare che
cotesto integerrimo modo di porsi è disgraziatamente contrastato da un
deplorevole modo di abbigliarsi.
Volendo
tralasciare la contestabilissima dolcevita smanicata
in microfibra nera aderente con scollo all’americana che talvolta il
summentovato fulgido personaggio usa esibire nei momenti di riposo, fra le
pareti della sua propria residenza, è impossibile sorvolare sullo strambo
nonché a dir poco inusuale capo di vestiario, volgarmente denominato maschera, che il nostro uomo suole
portare a celare l’area inferiore del viso, combinato con un’insolita
inclinazione del coprifronte recante il simbolo della
sua nazione di provenienza, la quale inclinazione pare volontariamente
finalizzata alla copertura dell’organo visivo sinistro, sicché ne risulta che
l’unica parte visibile del volto dello stimabilissimo individuo in questione
sia un miserrimo spicchio di pelle circostante l’occhio destro. Un occhio
destro comunissimo, per giunta, quindi c’è da domandarsi quale recondita
ragione lo spinga a nascondere così subdolamente il resto del viso.
Ma,
cari signori, se tali interrogativi tormentavano la mente di noi poveri
telespettatori o compratori di manga od attanagliavano senza sosta le nostre affaticate
meningi sin dalle primissime puntate, poco dopo, almeno parte di queste
profonde domande ha ben presto ottenuto un soddisfacente responso. Quel
grandissimo stronzo di Zabuza si reca all’attacco,
tre fanciullini incapaci a noi tristemente noti tentano una dura lotta per la
sopravvivenza, il rispettabile uomo sul quale ora stiamo disquisendo benché
dovrei studiare greco si trova in difficoltà e scopre l’asso nella manica.
L’arcano è svelato, il mistero disciolto, e la gioia si sostituisce al sospetto
nella lieta scoperta che il nostro amico possiede un’iride di una squisita
tonalità di scarlatto, e non perché porti le lenti a contatto, ma perché costui
possiede lo sharingan.
Ebbene
sì.
In
quel lontano momento una sola domanda sorge spontanea: e che minchia è uno sharingan? Presto detto: trattasi di potente jutsu oculare sul quale non mi soffermerò dal momento che
ultimamente non se ne può più di sentirne parlare, andrà di moda, non so, sta
di fatto che nell’ultimo periodo una sfilza di personaggi che non c’entrano
un’acca con gli Uchiha ogni tanto se ne saltano fuori
con l’annuncio che anche loro ne posseggono uno. C’è chi se li fa impiantare,
chi se li cuce sulle braccia, chi se li gioca a poker. Che dire? Diffidate
delle imitazioni, cortesi lettori.
Ordunque dicevamo, signori
miei, che uno dei nostri quesiti ha ormai da lungo tempo ottenuto risposta, ed
è stato quindi relegato nei meandri delle nostre menti ove risiedono le
riflessioni inutili. Ma, ahimè, resta da risolvere il secondo e più importante
dei nostri dilemmi: cosa cela il summenzionato strambo e a dir poco inusuale
capo di vestiario volgarmente detto maschera?
Quali
sono gli sconosciuti motivi che fan sì che un valoroso ed eroico figuro
nasconda il proprio nobile naso e la propria senza dubbio mirabile bocca al
resto del mondo?
Quali
oscure ragioni dietro questo inaccessibile riserbo?
Proviamo
ad affrontare il problema in modo analitico.
I
dati in nostro possesso sono i seguenti:
- Hatake Kakashi
porta un’orrenda bandana nera la quale gli copre naso e bocca;
- Hatake Kakashi
deve avere una straordinaria capacità di rapida ingestione di alimenti se
nessuno ha mai avuto l’onore di vederlo privo di strambi capi di vestiario sul
volto mentre mangiava;
- Nel caso in cui la
precedente sia errata, Hatake Kakashi
si nutre per endovena tramite l’utilizzo di flebo;
- Il migliore amico di
Hatake Kakashi è Gai Maito, probabilmente Gai di nome e di fatto.
Vedete
bene che il dato che ci torna più utile è senza ombra di dubbio l’ultimo dei
quattro.
Or
ora, esimi lettori, ciò che indubbiamente risulta d’uopo è la formulazione di
un’ipotesi plausibili in merito a sì spinosa questione, atta a spiegare in modo
logico e inopinabile tale esecrabile atteggiamento.
Ebbene,
certamente la possibilità maggiormente accostabile all’ignota ma lontanamente
intuibile realtà dei fatti – prego, prestare la massima attenzione – è la
seguente.
Fallito intervento
di chirurgia plastica.
Ebbene
sì.
Tra
i miliardi di biasimevoli omuncoli dall’utilità pressoché nulla ma dalla
dannosità in media elevatissima che popolano indegnamente questo sputo di magma
parzialmente indurito e acqua salata e non con pastasciutta e non che taluni
sogliono per praticità definire Terra,
esiste chi ha da celare i propri scheletri nell’armadio. E c’è invece chi
nell’armadio nasconde protesi in silicone. È questo il caso.
Proviamo,
signori, ad immaginare una situazione del genere.
Kakashi è un fulgido
fanciullo dalle celestiali fattezze, dai lineamenti deliziosamente armoniosi e
l’ossatura impareggiabilmente cesellata, sotto una folta chioma fluente di
colore grigio fin dai due anni d’età, quando l’austero padre del personaggio in
questione regalò al figlio quella graziosa bestiola a noi nota con
l’appellativo di dubbio gusto Pakkun, e l’ignaro fanciullino, sensibile esteta, la prima
volta che si ritrovò dinanzi il grinzoso muso del canide si spaventò tanto che
i suoi capelli persero la pigmentazione (non divennero tuttavia bianchi per
ragioni oscure su cui per il momento non indugerò).
Ma
ora, gentili lettori, tentiamo per un istante di ipotizzare la ragione che
portò il misterioso individuo alla sua triste condizione che tuttora ci si
presenta alla vista. Il giovane Kakashi, ambizioso e
perfezionista, un dì si ritrovò a conversare col suo amico Gai (proprio quel
gaio amico di cui sopra), il quale lo scrutò con fervida attenzione e quindi,
assai scandalizzato, declamò:
“Buon
amico, la vecchiezza è palese nei tuoi tratti quasi quanto quella cagata di
piccione sulla tua divisa! Ove la tua baldanza? Ove la tua gioventù? Ove la
fulgida prestanza data dalla giovinezza nel suo primo sbocciar?”
Kakashi Hatake,
anni sette, fissò atterrito sì infervorato interlocutore, indi gli domandò con
apprensione:
“E
qual è dunque il rimedio per tale deterioramento fisico e morale?”
“Ahimè”,
replicò il roseo bocciuolo di gioventù della Foglia,
accostandosi con fare confidenziale, “temo che la soluzione sia una e una sola,
appartenente a R tale che x maggiore di -1, mio degno compare ormai perduto tra
le tristi piaghe della precoce vecchiaia che fa seccare, marcire e decomporre
nello sterco i germogli prima che codesti possano germogliare, germinare e
gemere, e da rampolli rampollando rampollare in polli: tu, senile manifesto dai
senili capelli senilmente grigi della senile senilità, hai bisogno di un
lifting.”
Colpito
nel più profondo dell’innocente anima, Kakashi Hatake decise di seguire il consiglio del gaio amico.
Pur
tuttavia, o fulgidi individui che seguite visivamente il dipanarsi della trama
di codeste inutili elucubrazioni del tutto prive di trama, l’incantevole
omuncolo commise, ahimè, letale errore, che segnò irreparabilmente l’un tempo
cheto fluir dell’esistenza dell’incantevole omuncolo stesso.
Hatake Kakashi
ebbe la pessima, infelice, terribilmente errata, stomachevole nonché
inquietante idea di rivolgersi al medico a nome Tsunade
Il-cui-cognome-non-ricordo-posto-che-ne-abbia-uno-e-non-ho-voglia-di-cercare.
Ebbene
sì.
Tsunade, medico tanto abile
nel proprio mestiere quanto poco professionale, beona dagli innumerevoli vizi
dei quali il gioco e la pratica di atti osceni in pubblico sono solo scarsi
esempi, aveva già sperimentato la chirurgia plastica su se stessa, dando sfogo
alle sue dubbie doti in un inquietante intervento di mastoplastica additiva. Il
solo risultato, non ignorabile in alcun modo – che peraltro costrinse la
procace matrona in questione ad assoldare una sarta personale che le
confezionasse reggiseni fuori taglia a prezzi
esorbitanti, conformemente all’esoso impiego di quantità impressionanti di
stoffa – avrebbe dovuto ragionevolmente indurre lo stimabilissimo individuo a
nome Kakashi Hatake a
desistere dal malsano intento suggeritogli dal malsano compare, o perlomeno a
rivolgersi ad un medico i cui esiti migliori non consistessero in una
diciottesima di reggiseno.
Ma,
ahimè, l’inesperienza e la giovane età – benché la suddetta giovane età apparisse
corrotta da segni non trascurabili di precoce invecchiamento agli occhi
dell’amico Gaio, germoglio rampollante nonché rosellina in boccio – condussero
il fulgente individuo in questione sull’erronea via che sì aspramente marchiò
il corso della sua nobile esistenza con sì cruda crudele crudità – e in ogni
crudità c’è un po’ di crudeltà.
La
spietata kunoichi leggendaria, munitasi di
certificato laurea in medicina fasullo – quello originale l’aveva perso in una
scommessa su una partita a curling – da presentare al legale che si sarebbe
costituito parte civile in difesa di Hatake Kakashi in caso di problematiche derivanti da un eventuale
fallimento dell’intervento – fallimento pressoché scontato ma non contemplato,
ahimè, nei progetti del caro ignaro giovinastro –, si presentò al cospetto del
proprio paziente e, adescandolo con melliflue orazioni ingannevoli quanto i
canti delle sirene – lorsignori capiranno che sto
riferendomi alle leggendarie creature omeriche, e non già a quei simpatici
marchingegni rumoreggianti atti a scandire con celestiale suono l’incedere di volanti
della polizia od autoambulanze –, gli presentò una parcella esorbitante, tale
da far impallidire di sdegno qualsivoglia professionista dotato un briciolo di
etica professionale, indi fissò l’intervento per due giorni più tardi,
prescegliendo come sede un cadente edificio isolato nel bel mezzo della tundra
che si estendeva tra il Paese delle Nebbie, quello dei Fulmini e quello dei
Cavallucci Marini Alati, in un vasto territorio appellato Uhn. Sì inusuale nome derivava al
brullo deserto gelido e insensibile alle fatiche degli indomiti avventurieri
che osavano azzardarsi di permettersi di tentare di affrontare l’ardua impresa
di attraversarlo – due secondi che prendo fiato – … Sì, dunque, dicevamo … Ah,
ecco: sì inusuale nome derivava dall’acclamato passaggio per quei tetri nonché
aridi nonché grigi e sperduti luoghi dell’illustre individuo a nome Deidara, il quale, trovandosi a trascorrere qualche momento
della sua inutile se non dannosa esistenza in queste regioni, alla profonda e
filosofica domanda postagli dal suo loquace compagno Sasori,
“Che nome daresti a questo posto di merda?”, replicò, saviamente e del tutto
inaspettatamente: “Uhn.”
Presumibilmente
lo stimabile bombarolo dinamitardo aggiunse poi qualche istruttivo detto
sentenzioso a proposito della fugace temporaneità momentanea e del tutto
effimera nonché transeunte della vera essenza delle autentiche opere di reale
arte, ma soffermarsi su ciò sarebbe – benché altamente formativo – ozioso ai
fini della nostra indagine.
Torniamo
dunque alla triste vicenda che sì spietatamente deviò il corso della vita del
nobile ed eroico uomo oggetto di tale superflua divagazione.
L’infida
megera, da donna spregevole e indegna quale era, aveva appositamente
selezionato quale sede dell’effettuazione dell’operazione chirurgica un luogo
in rovinoso decadimento, tale da essere scordato da tutti, luogo che peraltro
in passato era adibito a funzione di cesso pubblico. Ciò ai fini di un maggiore
riserbo sulla sua lucrosa quanto illecita attività.
E
fu così che il terzo giorno il gallo cantò, il sole sorse, la carovana partì, i
cammelli anche, l’indegno intervento fu portato a termine e il giovanissimo,
integerrimo ed amabile Hatake Kakashi
fece ritorno alla sua residenza avvolto da candidi bendaggi sì morbidamente
drappeggianti sul suo nobile volto che dovette acquistare sulla strada del
ritorno un cane addestrato a condurre i ciechi perché non vedeva una mazza.
Gli
avanzi biologici derivanti dalla messa in atto di tale progetto chirurgico –
intendi: la pelle ritagliata – furono molto ecologicamente spediti a Teuchi in apposito contenitore perché ne facesse un uso
proprio e fruttuoso aggiungendoli in qualità di ingrediente segreto alla
ricetta per il suo delizioso ramen.
Ma
ora, stimabilissimi individui degni di ogni dedizione che or ora vi accingete a
lasciar scorrere i vostri mirabili bulbi oculari al fine di giungere al termine
di sì drammatica narrazione, veniamo al triste mattino in cui Hatake Kakashi, in compagnia del
fidato amico Gaio e del leale esserino maleodorante a
nome Pakkun – il quale tuttavia si trovava al momento
decorosamente ritirato nel gabinetto, prono sulla lettiera per aver
accidentalmente ingerito crocchette per gatti in luogo delle apposite per cani
(che notoriamente sono perfettamente identiche), e dava sfogo ad ogni sua
intestinale facoltà di produrre materiale atto a concimare od eventualmente
rimpiazzare qualsivoglia altro materiale da costruzione in caso di società
edilizie poco serie –, si accingeva a liberare l’incantevole giovanile volto
dagli abbondanti bendaggi protettivi dei quali l’infame dama lo aveva fornito.
E
qual dolore nel cogliere sulla cristallina superficie del lindo specchio che il
buon amico gli offriva i ben noti tratti del suo stesso volto medesimo e
proprio! Ove la delicata armonia dei lineamenti, ove il lustro candore perlaceo
dell’incarnato, ove l’ovale deliziosamente scolpito con ineguagliabile fulgido
fascino?
Dinanzi ai suoi occhi stava il
riflesso di un uomo distrutto, rovinato, perduto, negletto, demolito, guastato,
logorato, corrotto, spacciato, sciupato, destinato a una fine triste e
deprecabile.
E allor dunque
il disperato ninja, il capo riverso, permise a tutta la sua frustrata
desolazione di sgorgare fuori delle sue viscere in un grido belluino e
sconvolto, gli occhi fissi e attoniti. Urlò, pianse, si disperò, tornò a
gridare, gorgheggiò e fece qualche gargarismo.
“Giovine amico”, l’interruppe Gai,
proprio a metà di una magistrale esecuzione di un’aria per soprano de Il flauto magico, “qual è dunque la
cagione di cotanto dolor? Ove la tua giovinezza perduta e ritrovata benché non
poi così variata? Mio germogliante amico, sei esattamente identico a prima.”
“Come dici?”
“E’ così, mio buon compare, quanto è
vero che il tuo cane è afflitto da meteorismo e flatulenza, e l’aria in questa
stanza è paragonabile al vapore esalato in presenza di sorgenti sulfuree.”
“Non è vero! Tu menti!”
“Mai ti mentirei, mio caro.”
“Millantatore!”
“Mai ti millanterei, o essere dalla
pigmentazione di colorito e chioma che con sì tanta chiarezza mi fa rimembrar
il mio anziano nonno, defunto vent’anni orsono.” – Non ci è al momento chiaro
come sia possibile che Gai all’età di sette anni rammenti il nonno morto
vent’anni prima, ma questa è questione senz’altro superflua e lungamente al di
fuori del nostro settore di competenza – “La signora dal grande seno ha
ignobilmente approfittato della tua infantilmente infantile età d’infante
all’apice dello splendor sulla smarrita via da ritrovar verso il luminescente
candor di candeggina – Ava come lava – cui giungerai quando maturato sarai e la
piena gioventù otterrai purché vecchio tu non sia a confronto con la giovinezza
mia. Detto volgarmente, ti ha fregato. Profumatamente si è fatta pagar, ciò non
toglie che il risultato faccia cagar. Senile eri, senile rimani. Ahimè,
germoglio non germoglierà, bocciuolo non sbuoccerà e rampollo non rampollerà. Che terribile irreversibile
incontrovertibile temibile vecchiezza ti possiede!”
Hatake Kakashi,
spiazzato da cotanto doloroso dolor, si sentì così abbattuto, sdegnato e
profondamente infelice che decise di non mostrare più ad alcuno le sue
celestiali fattezze, benché fosse tale e quale a prima.
Da quel giorno, dunque, si chiuse in
se stesso, si munì di quell’indumento cui prima accennavo e che per
convenzionalità tra parlanti secondo il modello dell’arcano patto all’origine
di ogni lingua promulgato dalla scuola filologica alessandrina si suole
denominare maschera, e divenne l’uomo
che oggi conosciamo e del quale ci informiamo trepidanti seguendone le prodi
gesta.
Quale triste destino è dunque toccato
in sorte ad un sì brillante personaggio all’apice di una chiara fama subdolamente
oscurata da un così triste tassello della sua integerrima esistenza!
Ahimè, signore e signori, così è
stato, ed oggi Hatake Kakashi
si muove col suo diarroico cane e il suo gaio amico nel crudele mondo che tante
sofferenze ingiustamente e spietatamente gli inflisse, sopportando sì gravoso
fardello con ammirevole fermezza e forza d’animo.
Ebbene, cortesi lettori, la relazione
qui si conclude, il mio compito è adempiuto, il mio ruolo perde di significato
e la mia mai esistita utilità si estingue in via definitiva. Mi par dunque
giusto concludere tale dettagliato resoconto con una conclusione di
fondamentale essenzialità facendo uso di un complesso ragionamento a impianto
sillogistico sul modello ipotetico edificato dalla scuola filosofica stoica:
Se Gai è un rampollo, rampollerà, ma Gai è un rampollo,
dunque senz’altro è anche un gaio pollo.
Vorrei tranquillizzare
i lettori. No, non assumo sostanze stupefacenti.
Chiedo perdono. ^_^
A presto
Averroe