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Autore: Averroe    29/04/2010    6 recensioni
“Buon amico, la vecchiezza è palese nei tuoi tratti quasi quanto quella cagata di piccione sulla tua divisa! Ove la tua baldanza? Ove la tua gioventù? Ove la fulgida prestanza data dalla giovinezza nel suo primo sbocciar?”
[..] Vogliano i signori lettori avere la compiacenza di portare la loro cortese attenzione su di un argomento di grande attualità, che non manca di fare scalpore ogniqualvolta venga – per caso o volontariamente – tirato in ballo e che suscita fra le folle commenti di qualsivoglia genere, accende gli animi e tiene in sospeso milioni di individui evidentemente nullafacenti perché se avesse di meglio da fare non se ne curerebbero affatto: l’ignoto sembiante facciale del valente jonin di Konoha Kakashi Hatake.
Genere: Parodia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vogliano i signori lettori avere la compiacenza di portare la loro cortese attenzione su di un argomento di grande attualità, che non manca di fare scalpore ogniqualvolta venga – per caso o volontariamente – tirato in ballo e che suscita fra le folle commenti di qualsivoglia genere, accende gli animi e tiene in sospeso milioni di individui evidentemente nullafacenti perché se avesse di meglio da fare non se ne curerebbero affatto: l’ignoto sembiante facciale del valente jonin di Konoha Kakashi Hatake.

 

 

 

 

 

De incognitis signis notisque corporis – Tra amici Gai e cani diarroici, la risoluzione del dilemma

 

 

 

 

 

Ebbene, vossignoria avrà senz’altro notato quale retto e savio comportamento ha sempre, invariabilmente tenuto questo fulgido personaggio nel corso della sua brillante carriera ancora all’acme della magnificenza. Si può tuttavia osservare che cotesto integerrimo modo di porsi è disgraziatamente contrastato da un deplorevole modo di abbigliarsi.

Volendo tralasciare la contestabilissima dolcevita smanicata in microfibra nera aderente con scollo all’americana che talvolta il summentovato fulgido personaggio usa esibire nei momenti di riposo, fra le pareti della sua propria residenza, è impossibile sorvolare sullo strambo nonché a dir poco inusuale capo di vestiario, volgarmente denominato maschera, che il nostro uomo suole portare a celare l’area inferiore del viso, combinato con un’insolita inclinazione del coprifronte recante il simbolo della sua nazione di provenienza, la quale inclinazione pare volontariamente finalizzata alla copertura dell’organo visivo sinistro, sicché ne risulta che l’unica parte visibile del volto dello stimabilissimo individuo in questione sia un miserrimo spicchio di pelle circostante l’occhio destro. Un occhio destro comunissimo, per giunta, quindi c’è da domandarsi quale recondita ragione lo spinga a nascondere così subdolamente il resto del viso.

Ma, cari signori, se tali interrogativi tormentavano la mente di noi poveri telespettatori o compratori di manga od attanagliavano senza sosta le nostre affaticate meningi sin dalle primissime puntate, poco dopo, almeno parte di queste profonde domande ha ben presto ottenuto un soddisfacente responso. Quel grandissimo stronzo di Zabuza si reca all’attacco, tre fanciullini incapaci a noi tristemente noti tentano una dura lotta per la sopravvivenza, il rispettabile uomo sul quale ora stiamo disquisendo benché dovrei studiare greco si trova in difficoltà e scopre l’asso nella manica. L’arcano è svelato, il mistero disciolto, e la gioia si sostituisce al sospetto nella lieta scoperta che il nostro amico possiede un’iride di una squisita tonalità di scarlatto, e non perché porti le lenti a contatto, ma perché costui possiede lo sharingan.

Ebbene sì.

In quel lontano momento una sola domanda sorge spontanea: e che minchia è uno sharingan? Presto detto: trattasi di potente jutsu oculare sul quale non mi soffermerò dal momento che ultimamente non se ne può più di sentirne parlare, andrà di moda, non so, sta di fatto che nell’ultimo periodo una sfilza di personaggi che non c’entrano un’acca con gli Uchiha ogni tanto se ne saltano fuori con l’annuncio che anche loro ne posseggono uno. C’è chi se li fa impiantare, chi se li cuce sulle braccia, chi se li gioca a poker. Che dire? Diffidate delle imitazioni, cortesi lettori.

Ordunque dicevamo, signori miei, che uno dei nostri quesiti ha ormai da lungo tempo ottenuto risposta, ed è stato quindi relegato nei meandri delle nostre menti ove risiedono le riflessioni inutili. Ma, ahimè, resta da risolvere il secondo e più importante dei nostri dilemmi: cosa cela il summenzionato strambo e a dir poco inusuale capo di vestiario volgarmente detto maschera?

Quali sono gli sconosciuti motivi che fan sì che un valoroso ed eroico figuro nasconda il proprio nobile naso e la propria senza dubbio mirabile bocca al resto del mondo?

Quali oscure ragioni dietro questo inaccessibile riserbo?

Proviamo ad affrontare il problema in modo analitico.

I dati in nostro possesso sono i seguenti:

-       Hatake Kakashi porta un’orrenda bandana nera la quale gli copre naso e bocca;

-       Hatake Kakashi deve avere una straordinaria capacità di rapida ingestione di alimenti se nessuno ha mai avuto l’onore di vederlo privo di strambi capi di vestiario sul volto mentre mangiava;

-       Nel caso in cui la precedente sia errata, Hatake Kakashi si nutre per endovena tramite l’utilizzo di flebo;

-       Il migliore amico di Hatake Kakashi è Gai Maito, probabilmente Gai di nome e di fatto.

Vedete bene che il dato che ci torna più utile è senza ombra di dubbio l’ultimo dei quattro.

Or ora, esimi lettori, ciò che indubbiamente risulta d’uopo è la formulazione di un’ipotesi plausibili in merito a sì spinosa questione, atta a spiegare in modo logico e inopinabile tale esecrabile atteggiamento.

Ebbene, certamente la possibilità maggiormente accostabile all’ignota ma lontanamente intuibile realtà dei fatti – prego, prestare la massima attenzione – è la seguente.

Fallito intervento di chirurgia plastica.

Ebbene sì.

Tra i miliardi di biasimevoli omuncoli dall’utilità pressoché nulla ma dalla dannosità in media elevatissima che popolano indegnamente questo sputo di magma parzialmente indurito e acqua salata e non con pastasciutta e non che taluni sogliono per praticità definire Terra, esiste chi ha da celare i propri scheletri nell’armadio. E c’è invece chi nell’armadio nasconde protesi in silicone. È questo il caso.

Proviamo, signori, ad immaginare una situazione del genere.

Kakashi è un fulgido fanciullo dalle celestiali fattezze, dai lineamenti deliziosamente armoniosi e l’ossatura impareggiabilmente cesellata, sotto una folta chioma fluente di colore grigio fin dai due anni d’età, quando l’austero padre del personaggio in questione regalò al figlio quella graziosa bestiola a noi nota con l’appellativo di dubbio gusto Pakkun, e l’ignaro fanciullino, sensibile esteta, la prima volta che si ritrovò dinanzi il grinzoso muso del canide si spaventò tanto che i suoi capelli persero la pigmentazione (non divennero tuttavia bianchi per ragioni oscure su cui per il momento non indugerò).

Ma ora, gentili lettori, tentiamo per un istante di ipotizzare la ragione che portò il misterioso individuo alla sua triste condizione che tuttora ci si presenta alla vista. Il giovane Kakashi, ambizioso e perfezionista, un dì si ritrovò a conversare col suo amico Gai (proprio quel gaio amico di cui sopra), il quale lo scrutò con fervida attenzione e quindi, assai scandalizzato, declamò:

“Buon amico, la vecchiezza è palese nei tuoi tratti quasi quanto quella cagata di piccione sulla tua divisa! Ove la tua baldanza? Ove la tua gioventù? Ove la fulgida prestanza data dalla giovinezza nel suo primo sbocciar?”

Kakashi Hatake, anni sette, fissò atterrito sì infervorato interlocutore, indi gli domandò con apprensione:

“E qual è dunque il rimedio per tale deterioramento fisico e morale?”

“Ahimè”, replicò il roseo bocciuolo di gioventù della Foglia, accostandosi con fare confidenziale, “temo che la soluzione sia una e una sola, appartenente a R tale che x maggiore di -1, mio degno compare ormai perduto tra le tristi piaghe della precoce vecchiaia che fa seccare, marcire e decomporre nello sterco i germogli prima che codesti possano germogliare, germinare e gemere, e da rampolli rampollando rampollare in polli: tu, senile manifesto dai senili capelli senilmente grigi della senile senilità, hai bisogno di un lifting.”

Colpito nel più profondo dell’innocente anima, Kakashi Hatake decise di seguire il consiglio del gaio amico.

Pur tuttavia, o fulgidi individui che seguite visivamente il dipanarsi della trama di codeste inutili elucubrazioni del tutto prive di trama, l’incantevole omuncolo commise, ahimè, letale errore, che segnò irreparabilmente l’un tempo cheto fluir dell’esistenza dell’incantevole omuncolo stesso.

Hatake Kakashi ebbe la pessima, infelice, terribilmente errata, stomachevole nonché inquietante idea di rivolgersi al medico a nome Tsunade Il-cui-cognome-non-ricordo-posto-che-ne-abbia-uno-e-non-ho-voglia-di-cercare.

Ebbene sì.

Tsunade, medico tanto abile nel proprio mestiere quanto poco professionale, beona dagli innumerevoli vizi dei quali il gioco e la pratica di atti osceni in pubblico sono solo scarsi esempi, aveva già sperimentato la chirurgia plastica su se stessa, dando sfogo alle sue dubbie doti in un inquietante intervento di mastoplastica additiva. Il solo risultato, non ignorabile in alcun modo – che peraltro costrinse la procace matrona in questione ad assoldare una sarta personale che le confezionasse reggiseni fuori taglia a prezzi esorbitanti, conformemente all’esoso impiego di quantità impressionanti di stoffa – avrebbe dovuto ragionevolmente indurre lo stimabilissimo individuo a nome Kakashi Hatake a desistere dal malsano intento suggeritogli dal malsano compare, o perlomeno a rivolgersi ad un medico i cui esiti migliori non consistessero in una diciottesima di reggiseno.

Ma, ahimè, l’inesperienza e la giovane età – benché la suddetta giovane età apparisse corrotta da segni non trascurabili di precoce invecchiamento agli occhi dell’amico Gaio, germoglio rampollante nonché rosellina in boccio – condussero il fulgente individuo in questione sull’erronea via che sì aspramente marchiò il corso della sua nobile esistenza con sì cruda crudele crudità – e in ogni crudità c’è un po’ di crudeltà.

La spietata kunoichi leggendaria, munitasi di certificato laurea in medicina fasullo – quello originale l’aveva perso in una scommessa su una partita a curling – da presentare al legale che si sarebbe costituito parte civile in difesa di Hatake Kakashi in caso di problematiche derivanti da un eventuale fallimento dell’intervento – fallimento pressoché scontato ma non contemplato, ahimè, nei progetti del caro ignaro giovinastro –, si presentò al cospetto del proprio paziente e, adescandolo con melliflue orazioni ingannevoli quanto i canti delle sirene – lorsignori capiranno che sto riferendomi alle leggendarie creature omeriche, e non già a quei simpatici marchingegni rumoreggianti atti a scandire con celestiale suono l’incedere di volanti della polizia od autoambulanze –, gli presentò una parcella esorbitante, tale da far impallidire di sdegno qualsivoglia professionista dotato un briciolo di etica professionale, indi fissò l’intervento per due giorni più tardi, prescegliendo come sede un cadente edificio isolato nel bel mezzo della tundra che si estendeva tra il Paese delle Nebbie, quello dei Fulmini e quello dei Cavallucci Marini Alati, in un vasto territorio appellato Uhn. Sì inusuale nome derivava al brullo deserto gelido e insensibile alle fatiche degli indomiti avventurieri che osavano azzardarsi di permettersi di tentare di affrontare l’ardua impresa di attraversarlo – due secondi che prendo fiato – … Sì, dunque, dicevamo … Ah, ecco: sì inusuale nome derivava dall’acclamato passaggio per quei tetri nonché aridi nonché grigi e sperduti luoghi dell’illustre individuo a nome Deidara, il quale, trovandosi a trascorrere qualche momento della sua inutile se non dannosa esistenza in queste regioni, alla profonda e filosofica domanda postagli dal suo loquace compagno Sasori, “Che nome daresti a questo posto di merda?”, replicò, saviamente e del tutto inaspettatamente: “Uhn.”

Presumibilmente lo stimabile bombarolo dinamitardo aggiunse poi qualche istruttivo detto sentenzioso a proposito della fugace temporaneità momentanea e del tutto effimera nonché transeunte della vera essenza delle autentiche opere di reale arte, ma soffermarsi su ciò sarebbe – benché altamente formativo – ozioso ai fini della nostra indagine.

Torniamo dunque alla triste vicenda che sì spietatamente deviò il corso della vita del nobile ed eroico uomo oggetto di tale superflua divagazione.

L’infida megera, da donna spregevole e indegna quale era, aveva appositamente selezionato quale sede dell’effettuazione dell’operazione chirurgica un luogo in rovinoso decadimento, tale da essere scordato da tutti, luogo che peraltro in passato era adibito a funzione di cesso pubblico. Ciò ai fini di un maggiore riserbo sulla sua lucrosa quanto illecita attività.

E fu così che il terzo giorno il gallo cantò, il sole sorse, la carovana partì, i cammelli anche, l’indegno intervento fu portato a termine e il giovanissimo, integerrimo ed amabile Hatake Kakashi fece ritorno alla sua residenza avvolto da candidi bendaggi sì morbidamente drappeggianti sul suo nobile volto che dovette acquistare sulla strada del ritorno un cane addestrato a condurre i ciechi perché non vedeva una mazza.

Gli avanzi biologici derivanti dalla messa in atto di tale progetto chirurgico – intendi: la pelle ritagliata – furono molto ecologicamente spediti a Teuchi in apposito contenitore perché ne facesse un uso proprio e fruttuoso aggiungendoli in qualità di ingrediente segreto alla ricetta per il suo delizioso ramen.

Ma ora, stimabilissimi individui degni di ogni dedizione che or ora vi accingete a lasciar scorrere i vostri mirabili bulbi oculari al fine di giungere al termine di sì drammatica narrazione, veniamo al triste mattino in cui Hatake Kakashi, in compagnia del fidato amico Gaio e del leale esserino maleodorante a nome Pakkun – il quale tuttavia si trovava al momento decorosamente ritirato nel gabinetto, prono sulla lettiera per aver accidentalmente ingerito crocchette per gatti in luogo delle apposite per cani (che notoriamente sono perfettamente identiche), e dava sfogo ad ogni sua intestinale facoltà di produrre materiale atto a concimare od eventualmente rimpiazzare qualsivoglia altro materiale da costruzione in caso di società edilizie poco serie –, si accingeva a liberare l’incantevole giovanile volto dagli abbondanti bendaggi protettivi dei quali l’infame dama lo aveva fornito.

E qual dolore nel cogliere sulla cristallina superficie del lindo specchio che il buon amico gli offriva i ben noti tratti del suo stesso volto medesimo e proprio! Ove la delicata armonia dei lineamenti, ove il lustro candore perlaceo dell’incarnato, ove l’ovale deliziosamente scolpito con ineguagliabile fulgido fascino?

Dinanzi ai suoi occhi stava il riflesso di un uomo distrutto, rovinato, perduto, negletto, demolito, guastato, logorato, corrotto, spacciato, sciupato, destinato a una fine triste e deprecabile.

E allor dunque il disperato ninja, il capo riverso, permise a tutta la sua frustrata desolazione di sgorgare fuori delle sue viscere in un grido belluino e sconvolto, gli occhi fissi e attoniti. Urlò, pianse, si disperò, tornò a gridare, gorgheggiò e fece qualche gargarismo.

“Giovine amico”, l’interruppe Gai, proprio a metà di una magistrale esecuzione di un’aria per soprano de Il flauto magico, “qual è dunque la cagione di cotanto dolor? Ove la tua giovinezza perduta e ritrovata benché non poi così variata? Mio germogliante amico, sei esattamente identico a prima.”

“Come dici?”

“E’ così, mio buon compare, quanto è vero che il tuo cane è afflitto da meteorismo e flatulenza, e l’aria in questa stanza è paragonabile al vapore esalato in presenza di sorgenti sulfuree.”

“Non è vero! Tu menti!”

“Mai ti mentirei, mio caro.”

“Millantatore!”

“Mai ti millanterei, o essere dalla pigmentazione di colorito e chioma che con sì tanta chiarezza mi fa rimembrar il mio anziano nonno, defunto vent’anni orsono.” – Non ci è al momento chiaro come sia possibile che Gai all’età di sette anni rammenti il nonno morto vent’anni prima, ma questa è questione senz’altro superflua e lungamente al di fuori del nostro settore di competenza – “La signora dal grande seno ha ignobilmente approfittato della tua infantilmente infantile età d’infante all’apice dello splendor sulla smarrita via da ritrovar verso il luminescente candor di candeggina – Ava come lava – cui giungerai quando maturato sarai e la piena gioventù otterrai purché vecchio tu non sia a confronto con la giovinezza mia. Detto volgarmente, ti ha fregato. Profumatamente si è fatta pagar, ciò non toglie che il risultato faccia cagar. Senile eri, senile rimani. Ahimè, germoglio non germoglierà, bocciuolo non sbuoccerà e rampollo non rampollerà. Che terribile irreversibile incontrovertibile temibile vecchiezza ti possiede!”

Hatake Kakashi, spiazzato da cotanto doloroso dolor, si sentì così abbattuto, sdegnato e profondamente infelice che decise di non mostrare più ad alcuno le sue celestiali fattezze, benché fosse tale e quale a prima.

Da quel giorno, dunque, si chiuse in se stesso, si munì di quell’indumento cui prima accennavo e che per convenzionalità tra parlanti secondo il modello dell’arcano patto all’origine di ogni lingua promulgato dalla scuola filologica alessandrina si suole denominare maschera, e divenne l’uomo che oggi conosciamo e del quale ci informiamo trepidanti seguendone le prodi gesta.

Quale triste destino è dunque toccato in sorte ad un sì brillante personaggio all’apice di una chiara fama subdolamente oscurata da un così triste tassello della sua integerrima esistenza!

Ahimè, signore e signori, così è stato, ed oggi Hatake Kakashi si muove col suo diarroico cane e il suo gaio amico nel crudele mondo che tante sofferenze ingiustamente e spietatamente gli inflisse, sopportando sì gravoso fardello con ammirevole fermezza e forza d’animo.

Ebbene, cortesi lettori, la relazione qui si conclude, il mio compito è adempiuto, il mio ruolo perde di significato e la mia mai esistita utilità si estingue in via definitiva. Mi par dunque giusto concludere tale dettagliato resoconto con una conclusione di fondamentale essenzialità facendo uso di un complesso ragionamento a impianto sillogistico sul modello ipotetico edificato dalla scuola filosofica stoica:

 

Se Gai è un rampollo, rampollerà, ma Gai è un rampollo, dunque senz’altro è anche un gaio pollo.

 

 


 

Vorrei tranquillizzare i lettori. No, non assumo sostanze stupefacenti.

Chiedo perdono. ^_^

A presto

 

Averroe

  
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