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Autore: Melitot Proud Eye    22/08/2005    2 recensioni
[maxi-edit! 09/2011]
Post Bakuten Shoot Beyblade. I Demolition Boys sono pronti a ricominciare da zero grazie all'aiuto di Daitenji e della BBA; ma Vorkof e Hiwatari sono ancora liberi e il viaggio verso il Giappone finisce per trasformarsi in una vera e propria lotta per la sopravvivenza. [Yuriy/OC]
Primi quattro capitoli classificatisi PRIMI al concorso STORIE IMCOMPIUTE indetto da Solly e giudicato da Kukiness.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boris, Nuovo personaggio, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: capitolo partecipante allo Storie Incompiute contest di Solly.




Capitolo I
Non sarai mai più lo stesso



Voglio bere
per tergere tutta la polvere e lo sporco dalla mia gola
per lavar via il sozzume nelle mie viscere.
Dunque lasciateci bere—lasciateci ridere—lasciateci andare.”

Genesis



Tap. Tap. Tap.
Nevica. Ancora un po' di pazienza.
Tap. Tap. Tap.
Chi pensa che il condizionamento di tutta una vita si possa annullare in un'ora è un povero pazzo.
La porta dell'ufficio si spalancò, proiettando una lama di luce nella penombra. Seduto alla scrivania, circondato da valigette, Vorkov smise di battere la punta della penna sul legno e si sfilò le lenti rosse.
«Vi aspettavo, ragazzi.» Sorrise. «E sono certo che non mi deluderete più.»

Mosca era angariata da una tormenta di neve.
La coltre turbinante sommergeva il Cremlino, vorticava intorno alla Piazza Rossa e s’accumulava agli angoli delle strade, tramutando la città in una cartolina degli anni Cinquanta. Un solo edificio restava intoccato dall'aria fiabesca. Era l'antico monastero dove si diceva avesse complottato Gregorij Efimovič Rasputin; di recente, due criminali avevano condotto fra le sue mura esperimenti terribili, con l'obiettivo di conquistare il mondo. Il giorno della loro sconfitta, informazioni preoccupanti erano trapelate agli organi di sicurezza russa.
Da quel momento eran trascorse quasi dodici ore: i servizi segreti, rallentati dalla bufera, s’apprestavano a fare irruzione col favore della notte.
All'improvviso, un elicottero di tipo militare decollò dal monastero e si aprì la strada fino al cielo. Nonostante la forza del maltempo riuscì a prendere quota e scomparve, ignaro. Un trio di ragazzi osservò dall’attico. Erano bladers, volti assorti nel limbo tra prigionia e libertà.
‹‹Cosa fa là sotto?›› chiese il più piccolo, fissando una sagoma ritta nella neve del cortile.
‹‹Riflette sulla decisione da prendere.››
‹‹Ancora, Boris?››
‹‹Possiamo anche capirlo›› intervenne il terzo. ‹‹Lui si è giocato molto più dell’infanzia, per questo progetto.» Finse d'attaccarsi un elettrodo. «Ma ora sa... e Yuriy non è tipo da ignorare l'evidenza.››
‹‹Ascoltate›› disse Boris, torvo.
Raggiunse la finestra, girandosi a favore degli spifferi; poi la aprì, scardinando il vecchio telaio. Gli altri gli si affiancarono.
‹‹E’ il portone.››
‹‹Cos'è questo rumore? Sembrano–››
«Trapani silenziati. E rampini sulle mura.»
Il sistema di sicurezza lanciò un allarme.
‹‹...Kei aveva ragione. Arrivano.››
Di sotto Yuriy correva già attraverso il cortile, in direzione dell'ingresso.

Ignorando le turbolenze del volo, che spargeva dappertutto la sua vodka, Vorkov rivisse ogni preparativo, ogni imprevisto risolto e maledisse la sorte che gli era stata avversa. La situazione era più che incerta: dovevano consolidare le basi dell'organizzazione, sparendo dai riflettori per un po'.
‹‹Calma›› si disse. «Non tutto è perduto.»
Qualche notizia poteva esser fuggita, le autorità potevano sospettare, ma le prove erano ben nascoste e quello sciocco di Daitenji non li avrebbe denunciati. Era un frangente da sfruttare.
In quel momento, nel cielo comparve un secondo elicottero. Dopo i segnali convenuti s’accodò.
Atterrarono presso una base mimezzata nella tundra siberiana; uomini della sicurezza e guardie personali uscirono e si disposero intorno alla pista d’atterraggio. Vorkov scese per primo, attese che le portiere del secondo velivolo s’aprissero, poi avanzò spalancando le braccia.
‹‹Mia cara matrioska. Hai fatto buon viaggio?››
Scese una ragazzina filiforme, vestita di verde, che gli andò incontro con cautela. Il ganster la guidò con decisione alla limousine. Quando furono fuori portata d’orecchi le ringhiò un insulto.
‹‹Perché non è venuta? Avevo detto che la volevo qui.››
La ragazzina chinò il capo. ‹‹E’ stata male, eccellenza.››
Dovette forzarsi la mano per non lanciarla sul sedile. Sua figlia non gli aveva mai disobbedito – non ne aveva motivo: la vezzeggiava come vezzeggiava il proprio futuro. Perché ora sì? Una delle sostitute aveva cantato? Quello poteva essere un problema, e lui ne aveva fin sopra i capelli, di problemi.
Distratto, impiegò un po' di tempo per notare che il numero di uomini in nero aumentava. Corrugò la fronte. Forse l’assenza della sua erede non era un male.
Del resto si sarebbe occupato dopo.

Quando videro Yuriy avanzare con passo sicuro nella neve, le guardie dell'ingresso si tirarono da parte. Il capo-divisione gli rivolse un cenno e, rapido, chiamò cinque dei suoi uomini. «Stanno cercando di entrare anche nel settore D. Contenimento totale!»
«Allarme nel settore F!» gridò qualcuno.
«Tutti gli uomini non impegnati nel settore B, accorrere!»
Mentre la milizia non guardava, Yuriy alzò Wolborg controvento, lo agganciò al lanciatore e tirò. Al suo grido di battaglia, i compagni irruppero sulla scena e un lupo di ghiaccio e d'argento travolse gli uomini di Vorkov.

La sala giaceva nella più profonda oscurità, fatta eccezione per un rigagnolo di luce che filtrava dall’occhio della cupola e illuminava dense volute di fumo. Al centro s'intravedeva un tavolo ovale.
‹‹La situazione è grigia, amici miei.››
‹‹A me sembra più nera›› commentò una voce, sarcastica. Seguì un mormorio.
‹‹Calma, signori. Il progetto B è stato inizializzato e procede. Tutto era stato programmato.››
‹‹Credevo che la sconfitta non fosse contemplata, Vorkov.››
Una risata. ‹‹Non siamo degli stupidi: ogni possibilità era stata vagliata e un modello d’azione approntato. E' ora che abbiamo più bisogno gli uni degli altri.››
‹‹Ma come dice una vecchia favola›› raspò una voce dal fondo ‹‹guai al lupo che rimane solo.››
‹‹Hiwatari, abbiamo bisogno di ben altro che di favole giapponesi. Le società che noi rappresentiamo vogliono garanzie, guadagni; l’unica cosa visibile, finora, è stata la sconfitta del suo decantato pupillo ai campionati mondiali.››
Dall’oscurità provenne un cozzare di denti. ‹‹Non tollererò quest'insolenza. Noi abbiamo ancora i più forti bladers del mondo!››
‹‹Lo provi.››
Nel silenzio che seguì alcuni si mossero sulle loro poltrone, a disagio. Sotto la facciata dell’accordo – lo sapevano – strisciava il ricatto.
‹‹Fate bene a pensare quel che state pensando›› rise la voce del vecchio Hiwatari, secca. ‹‹Ho ancora le prove dei vostri passatempi. Il governo russo sarebbe molto felice di riceverle.››
‹‹Brutto bast–››
‹‹Restiamo calmi›› comandò una voce baritonale. ‹‹Spieghi il suo piano, Vorkov.››
Vorkov attese il segnale, poi accese uno schermo. Iniziarono a scorrere immagini di combattimenti, bit-beasts e macchinari, utti corredati di note.
‹‹Abbiamo reso le nostre intenzioni troppo accessibili a orecchie indiscrete. Collaboratori hanno parlato, voci son trapelate. Ma l'errore più grande è stato iscrivere la nostra squadra di cacciatori a un campionato esterno: i ragazzi sono entrati in contatto con influenze malsane e la situazione ci è sfuggita di mano. Per riavviare le cose, è necessario controllare il campo da gioco.››
‹‹In poche parole, state dicendo di…››
‹‹Creare il primo campionato professionistico di beyblade. Promosso da noi, gestito da noi, vinto da noi.››
‹‹E’ questo che farà la BEGA›› aggiunse Hiwatari.
‹‹Professionismo? Per delle trottole? Ridicolo.››
‹‹Vedremo.››
‹‹E con quali bladers pensate di realizzarlo?››
‹‹I Demolition Boy ci sono ancora fedeli!››
La voce sarcastica tornò a farsi sentire. ‹‹Andiamo, Vladimir. Sa meglio di me quanto la sconfitta abbia sconvolto i suoi piccoli fauni, e soprattutto scosso le loro convinzioni. Quell’Ivanov mi è sembrato molto amichevole nello stringere la mano del Bladebreaker, per essere un mezzo cyborg.››
‹‹Non rinuncerò mai al mio progetto›› ringhiò il presidente della Hito.
‹‹La fiducia dei ragazzi è riconquistata» aggiunse Vorkov. «E se non dovessero vincere i propri limiti, dimostreremo che il mondo è pieno di bladers che attendono solo un’occasione.››
Ma non sarà necessario.
(Quattro orfani, cresciuti nelle loro mani; burattini forgiati nel fuoco.)
Non possono sottrarsi alla nostra educazione.
‹‹Tutto quello che vi chiediamo è compiacenza e discrezione. In questo modo, la base sarà operativa entro l’anno.››
Il mormorio che seguì parve un po’ più benevolo, ma la voce baritonale si schiarì di nuovo.
‹‹Non ci basta.››
Stavolta fu il vecchio Hiwatari a rispondere. ‹‹Non vi basta?!›› sbatté un pugno sul tavolo. ‹‹Avete le garanzie. Avrete i guadagni. Migliaia di sponsor! Chiedere di più è idiozia!››
‹‹Ma vede, Hiwatari, sebbene lei conosca certi episodi piuttosto imbarazzanti della nostra carriera, la sua posizione, dopo il campionato, si è fatta assai spinosa. Le parole della sua squadra hanno destato i sospetti degli organi di sicurezza internazionale. Si vocifera persino di un monitoraggio segreto da parte degli Stati Uniti. Capisce bene che continuare è un rischio.››
‹‹E i nostri nomi sono riconducibili alla Borg.››
Mentre il vecchio iniziava a straparlare, Vorkov strinse i pugni. Il mondo della malavita è fatto di compromessi, e chi non è abituato a restare indietro conosce l’amaro gusto della rinuncia. Quello era il momento di proporre uno scambio, per prendere tempo e accumulare i primi risultati. Ma cosa sacrificare? Le opere all’Ermitage, le terre in Alsazia, la villa di Kijev? Cosa poteva far più gola a quei bastardi?
Stava per aprir bocca quando la doppia porta si spalancò.
‹‹Signore!›› esclamò il capo dei messaggeri.
‹‹Cos’è quest’intrusione?›› abbaiò Hiwatari.
‹‹Perdonatemi, eccellenza–››
‹‹Spiegati!››
«Il monastero è stato perquisito e i Demolition Boys l'hanno consegnato alle autorità!››
Tutti si alzarono, esplodendo in un gran vociare – tutti tranne Vorkov, che sorrise, rilassandosi.
«Avevo previsto l'eventualità» disse appena fu tornata un po' di calma. «E i ragazzi hanno seguito le mie istruzioni alla lettera.»
Nella penombra riuscì a distinguere l'espressione stravolta di Hiwatari. «Come
«I miei laboratori?» chiese, ignorandolo.
«I-intatti, eccellenza. Ma–»
«Bene. Sedetevi, signori. E' tutto a posto.»
«A posto?» gridò il vecchio, spruzzando saliva. «In che modo una base persa e dieci anni di ricerche buttati nel cesso sono a posto?»
Vari grugniti d'assenso, irati, disgustati.
«Non sono persi» spiegò, sventolando brevemente una mano. «Consegnando il monastero e comportandosi bene per un po', i Demolition Boys conquisteranno la fiducia dello stato e potranno muoversi liberamente, recuperando terreno per noi. Un po' semplicistico, direte, ma più efficace di quanto si pensi. Del resto, la situazione era–»
«Eccellenza, perdonate» disse il messaggero, nervoso. «Non è tutto.»
Vorkov aggrottò le sopracciglia, ruotando la sedia a suo favore. «Sì?»
«I ragazzi... i ragazzi non hanno consegnato solo il monastero.»
«Che vuoi dire?»
«Yuriy Ivanov ha mostrato alla polizia gli archivi segreti, compresi» esitò «quelli delle ricerche e delle proprietà. Non sappiamo come li abbia trovati.»
Vorkov balzò in piedi.
«Quando abbiamo ricevuto notizie, andavano a porre sotto sequestro la vostra villa.»
Due passi e l'aveva sollevato per il bavero, nel silenzio attonito dei presenti. «E...?»
«E» deglutì l'uomo «la signorina era già stata allontanata.»
Rigido, Vorkov aprì la mano; il messaggero si afflosciò contro il muro.
Impossibile.
Tradito. Tradito di nuovo! Tutti i suoi calcoli–gli ultimi ordini–la ricostruzione...! I suoi burattini rovinati, tutto per colpa di quei Bladebreakers... e della loro stessa debolezza. Della sua debolezza.
Risedette, mentre fra i soci tornava a regnare il caos.
Un uomo deve saper riconoscere i propri fallimenti: era necessario ricominciare da capo. Per farlo, avrebbe dovuto distruggere l'esperimento pilota.
«Chiamatemi Yuzaemon.»

La neve continuava a scendere; nel chiarore giallo del crepuscolo, i fiocchi riflettevano i colori delle insegne e la luce dell'atrio di un albergo. I Demolition Boys furono fatti scendere da un furgoncino e guidati all'interno. Yuriy batté gli scarponi sulla moquette, togliendosi il ghiaccio dai pantaloni con qualche manata. Notò che Boris, Ivan e Sergej restavano indietro, silenziosi come tombe.
«Hey, su con la vita» disse. «Andrà bene.»
Il tipo che li accompagnava tornò dalla reception. «Venite, vi faccio vedere dove starete per la notte. Domani verranno a prendervi per interrogarvi, ma il Presidente Daitenji sta già lavorando a un accordo.»
«Che intenzioni ha?»
«Gli piacerebbe molto avervi in Giappone» rispose quello, avviandosi «come parte della BBA, in un programma internazionale di recupero. Dal momento che non ci sono state denunce e la situazione non è di dominio pubblico, potrete ricostruirvi una vita dove volete, a patto che manteniate il più assoluto riserbo. In fondo, siete già scagionati.»
«Recupero, uh?» disse Ivan quando furono soli, scuro.
«Non ti sembra una buona idea?» fece Yuriy, sedendosi in poltrona. Prese Wolborg e lo controllò, rigirandoselo fra le dita. «Abbiamo bisogno di cambiare aria, e di qualcuno che ci aiuti a farlo.»

«Che intenzioni hai, ora? C'è un piano di riserva anche per questo
Vorkov raccolse il cappotto e aprì la porta dello studio, uscendo in un corridoio plumbeo. «Non si preoccupi. Tutte le grandi organizzazioni hanno avuto dei ritardi. Lei tenga al guinzaglio quegli idioti della Tavola Rotonda e molto presto vedrà il mondo ai nostri piedi.»
«Lo spero, per il tuo bene.»
Si voltò verso Hiwatari. «E' un ultimatum?»
«Non mi piace girare in tondo, dovresti saperlo.»
Prima che potesse rispondere squillò un telefono. Lo estrasse da una tasca e: «Spero sia importante.» Pochi secondi e la sua espressione era passata dall'inflessibile al furioso. «Vi avevo affidato la sua sicurezza. Avrò le vostre–non me ne frega niente! Quale parte dell'ordine "non perdetela di vista" era poco chiara? Sta' zitto! Che significa "non sappiamo dov'è", allora!»
La sua presa scardinò la batteria, interrompendo la chiamata.
«Dannazione!»
Livido, scagliò il telefono nel buio e si allontanò a grandi passi, urlando ordini alle guardie nascoste.
   
 
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