L’ultimo petalo
Da
molto non calpestava quelle terre, ma a lungo era stato preso da faccende di
ben più elevata valenza.
Quanto
era passato? Un anno? Due?
Non
aveva molta importanza il tempo ai suoi occhi, ma per lei sì, che lo percepiva
diversamente.
E
se si fosse dimenticata del suo Signore?
Non
avrebbe avuto senso: aveva dato incarico di lasciare regolarmente il suo dono
per rammentargli la sua costante, ma assente, presenza.
Iniziò
a camminare con elegante lentezza lungo il fiume, nella direzione prescelta.
Stavolta avrebbe portato il suo dono personalmente.
Una
risata familiare lo costrinse ad arrestare la sua marcia. La sentì ancora
quella voce infantile e gioiosa e non esitò oltre.
Non
fu difficile incontrare quella minuta figura sbarazzina, immersa in acqua fino
le ginocchia e fasciata in uno dei suoi regali in seta, sollevato per evitare
d’inzupparlo.
I
capelli neri e portati come ricordava, solare e fragile come quando l’aveva
lasciata.
“Rin.”un
nome che da molto non pronunciava e che la fece voltare di scatto, spaurita.
Lo
youkai si sorprese di quella reazione, mentre due occhi grigi lo squadravano
con terrore.
La
piccola fuggì voltandogli le spalle, senza una parola, mentre Sesshomaru volle
accertarsi del dubbio insinuato da quegli occhi.
***
Le
stagioni si susseguono con perfetta cadenza. Non ricordo neve caduta prima
delle foglie ingiallite d’autunno. Un ciclo che ogni anno si compie,
rammentando il tempo che passa e che muta ogni cosa. Mi scricchiolano le ossa
quando il cambiamento è palpabile, ad ogni successione più rumorosamente. Ne ho
viste di stagioni, mai preoccupandomi di quella che sarebbe seguita: la
certezza che dopo il gelo tutto rifiorisse, e che dopo la raccolta del riso
tutto appassisse, cadendo in un profondo letargo era per me indiscutibile.
Invecchiando, con un velo opaco e nuovo sugli occhi, l’attenzione verso i
piccoli cambiamenti crebbe follemente; come un’aquila che cerca la lepre su cui
gettarsi in picchiata, dall’alto e con arguzia, così gli anziani ningen, nel
silenzio della loro continua riflessione, osservano la vita scorrere attorno a
loro, un fiume che inutilmente tentano di ghermire con artigli sdentati.
Essere
prigionieri di un corpo stanco e poco predisposto ad assecondare i capricci
della mente, a volte risulta terribile, eppure questa mancanza viene compensata
con un’arguzia ed una consapevolezza che, seppur trascurate in gioventù, ora
divengono un prezioso appiglio. Solo ora che mi trovo nelle sue medesime
condizioni, comprendo la schiena incurvata di Kaede-sama e la sua fronte
aggrottata. Ricordo il tremore sempre maggiore delle sue mani macchiate e
rugose, mentre mirava ad un bersaglio reggendo l’arco oppure mentre mi riempiva
il piatto di zuppa.
Gesti
la cui fatica che le costava, comprendo appieno solo adesso.
Mi
mancò molto quando anche l’altro e superstite occhio si chiuse, per non
riaprirsi mai più. La sua voce rugosa ed i suoi capelli grigi mi facevano
sentire a casa e quell’improvvisa assenza mi sconvolse più del previsto. Fu la
prima morte che affrontai da adulta. La
prima volta che vedevo qualcuno morire quand’era la sua ora: di vecchiaia e non
strappato alla vita con violenza. Credo fu esattamente in quell’istante, mentre
il funerale della veneranda e cara miko terminava, che realizzai che il destino
di noi ningen era la morte, che avvenisse in un modo o nell’altro. Non era
paura quell’inquietudine che sentivo e che mi faceva addormentare con fatica la
sera: non temevo il momento in cui sarei scivolata verso il regno dei morti, ma
temevo di sprecare il tempo concessomi.
La
solitudine di quella capanna lasciatami in dono, in cui ero stata catapultata
con irruenza, mi avviliva. Forse fu questo timore, quello di lasciare questa
terra senza imprimere traccia della mia esistenza, a spronarmi nell’accantonare
i miei sogni di bambina e accettare la maturità a cui mi affacciavo. Ormai ero
una donna agli occhi degli altri, nonostante interiormente restassi la solita
bimba orfana, dall’insolito passato fra gli youkai. Non esitai molto a
rispondere sì alla proposta di Kohaku. Non sarei potuta divenire la moglie di
nessun altro ningen se non sua, l’unico che aveva condiviso parte della mia
felice fanciullezza, che conosceva la Rin che spaventava la gran parte dei
paesani. Ero diversa, ma anche lui. Non mi ha mai fatto sentire sola.
Anche
ora, che poso candidi gigli sulla sua tomba, sorrido. Abbiamo vissuto a lungo
insieme e anche ora che se ne è andato lo sento accanto a me. I ricordi di
questa vita sono gelosamente custoditi sotto il mio fragile e debole corpo da
vecchia. Non ho rimpianti e sorrido. “Presto ci rivedremo, prima o poi ci
ritroveremo tutti!” lo rassicuro ogni giorno, quando m’inginocchio sulla terra
che custodisce le sue spoglie. Lui mi ascoltava sempre ed io non tacevo mai;
anche ora non è diverso. All’improvviso incupisco. Rivedrò tutti, ma non lui …
Sarebbe
l’unico rimpianto di questa vita non dirgli addio.
Le
sue visite sono continuate sempre più sporadicamente, fino a cessare. Non ne
incrociai più lo sguardo da quando il mio seno si fece più pieno e non potei
neppure invitarlo al mio matrimonio, con sommo dispiacere anche del mio sposo.
Non lo biasimai per questo. Ogni primavera un pacco mi giungeva puntuale, ma
senza nessuna certezza fosse lui a lasciarmelo all’ingresso. Un kimono per una
fanciulla di otto anni, l’età in cui ci separammo: la conferma che il tempo
scorreva diversamente per entrambi.
“Nonna!”
la voce del mio stesso sangue mi perforò le orecchie e il suo minuto corpicino
mi piombò in grembo, tremante.
“Moe,
mio piccolo bocciolo, cosa ti ha così spaventata?” la consolo come ho imparato
a fare dalla maternità, ma sono preoccupata: non l’ho mai vista così.
“C’era
un demone al fiume.” Mi guarda con quegli occhi che gli ha donato sua madre,
molto più belli dei miei e di quelli di suo padre. “Mi sono spaventata e sono
fuggita!”
Sono
più grigie del solito le sue tonde iridi, anche sua zia scuriva gli occhi così
quando si risvegliava da un incubo.
“Un
demone? Ti ha attaccato Moe?” chiedo preoccupata, guardando nei paraggi. È allora
che lo incrocio e le mie poche forze mi abbandonano.
Non
avrei mai creduto di rivedere quegli occhi, quei capelli, quella figura eterea.
“Signor Sesshomaru …” mi lascio sfuggire flebilmente.
Sento
lo sguardo di mia nipote fissarmi interrogativo e le sue mani stringermi il
kimono con più forza. Posso capire il suo smarrimento.
“Sei
cambiata … Rin.” Maschera bene la sua sorpresa, ma capisco che la scoperta non
l’ha lasciato indifferente. Non avanza, ma resta immobile in quella posa
statica.
“Voi
non lo siete affatto.” ridacchio: non riesco a contenere il mio divertimento
per quella sua affermazione. È esilarante il divario che ora ci separa.
Non
l’ho mai sentito così distante, neanche quando mi chiedevo se l’avrei più
rivisto.
“L’ho
scambiata per te al fiume.” Posa il suo sguardo severo su Moe, che si
rannicchia ancor di più al mio seno. “Indossa un tuo kimono.” specifica quasi
offeso.
“I
vostri doni non posso più indossarli, come potete intuire” Le accarezzo la
testa istintivamente. “È un peccato lasciarli in un angolo vista la loro
bellezza.” Spiego con calma.
Lo
sento mugugnare, quasi imbarazzato dal dono che stringeva sotto al braccio. So
per certo si tratta di un abito come gli altri, uno che non potrò indossare.
Decido
di cambiare argomento. Moe non smette di nascondersi: è confusa.
“Dovete
scusare mia nipote, ma le è stato insegnato a riconoscere e a sfuggire ai
demoni.” sono orgogliosa abbia subito percepito la natura da youkai, mettendo
in pratica l’insegnamento datole.
Sesshomaru-sama
mi guarda stranito, così decido di chiarire la mia affermazione. “Suo padre è
uno sterminatore e Moe potrebbe diventarlo.” continuo, mentre non cesso di
rassicurarla.
Il
suo sguardo ambrato mi sorpassa, individuando la tomba su cui siedo. Quel suo
silenzio era chiaro: urlava d’aver intuito di chi si doveva trattare.
Il
mio Signore si volta e la nostra lontananza cresce. È deluso; lo sento; lo
temo.
“Il
tuo odore … è sempre lo stesso.” Mi lasciano di stucco le sue parole. Mi
commuovono piacevolmente, ma mi rattristano.
“Sono
lieta non l’abbiate scordato.” A stento trattengo le lacrime, mentre lo vedo
annuire prima di sollevarsi in volo.
È
sempre bellissima la sua figura. Stavolta non mi ha lasciato nessun kimono,
anzi è svanito con lui.
“Nonna
Rin?” Moe mi tira per la manica e sono costretta a smettere di fissare il
cielo. Sorrido a mia nipote e le chiedo cosa desidera.
“Chi
è quel demone? Perché vi conoscete?”
La
curiosità dei fanciulli mi fa sempre sorridere. “È una lunga e bella storia. La
vuoi sentire?” la vedo annuire senza incertezza.
“Allora
te la racconterò, mentre ti riaccompagno dai tuoi genitori.” prometto, mentre a
fatica mi rimetto in piedi, sulle vecchie anche.
Per
mano, raccontando la fiaba della fanciulla e il demone, ci avviammo al
villaggio.
***
Altre
stagioni si sono susseguite e con esse il poco rimastomi si è consumato.
Sono
da giorni relegata in questo letto. Non ho fame e sono senza forze.
Lo
sento: è la mia ora.
È
notte tarda, eppure la candela è ancora accesa per mio capriccio, mentre mia figlia
dorme esausta in un angolo della stanza.
Mi
spiace essere un vecchio peso per loro: sarebbe meglio morissi in fretta senza
dover costringere i miei cari a sfinirsi per vegliarmi.
Un
vento gelido si leva all’improvviso all’interno della capanna, facendo
tremolare la fiammella. È lui.
Lo
so prima d’incontrarne il volto.
“Mio
Signore.” bisbiglio a fatica, mentre mi volto.
“Non
parlare.” sorrido nel sentire premura nella sua voce.
“Siete
venuto a dirmi addio?”inutile mentire a me stessa: non so se avrò ancora la
forza per un’altra alba.
“Sì.”
Sorrido nel sentire le sue parole sincere. Anche lui sa quello che anch’io so.
“Ne
sono lieta.” Respiro a fatica e la luce si fa sempre più tenue.
“Eri
uno splendido fiore.” mi commuove sentirlo così vicino, a parlarmi come mai
prima d’ora.
“Ogni
fiore ha un determinato numero di petali.” spiego sorridente. “Ora si sta per
staccare l’ultimo …” annaspo.
Non
credevo che si potesse essere così sereni di fronte la morte.
“Veglierò
sui tuoi semi.” la sua voce mi giunge distante, forse semplice illusione di una
moribonda, ma la sento.
Vorrei
ringraziarlo, ma sono troppo stanca …
***
Nonna
è morta. Non ci credo ancora!
Ho
pianto moltissimo al suo funerale e non da meno poi.
Mi
manca così tanto …
Due
cicli di stagioni sono trascorsi e ancora non riesco a calmare il mio cuore.
Ricordo
ancora il suo racconto, la sua storia: una fanciulla e un padre, una ningen e
un demone, una vecchia e un immortale.
Non
so perché, ma sento sia importante mi rammenti del suo racconto. È uno di quei
tesori da custodire gelosamente.
Ancora
oggi ben ricordo la mattina in cui papà ci ha dato la triste notizia: zia si
era svegliata e l’aveva trovata serenamente addormentata.
Sembrava
riposasse felice quando la vidi, ma le lacrime non smettevano di scendere e non
ero la sola.
Accanto
a lei c’era un pacco contenente un kimono: era della sua misura, ma io sola
parvi intuire il suo significato.
Insistetti
a lungo con tutti, ma alla fine fu con quello indosso che la seppellimmo.
Sapevo
che era un dono di … Sesshomaru? Sì,
così mi aveva detto nonna, e sapevo che lei lo avrebbe voluto indosso.
***
È
ufficiale: mi sposo.
Riku
si è finalmente dichiarato per mia somma gioia.
Mio
padre non approva molto, nonostante sia un ottimo partito come mamma ripete sempre.
Il
fatto è che non sopporta la sua bambina diventi
grande, ma oltre a ciò non ha motivo per impedire la cerimonia.
Sono
così agitata!
Manca
poco alla primavera e i preparativi sono ancora tanti da fare.
Pensavo
di indossare il vestito da sposa della nonna, ma purtroppo le tarme non hanno
avuto pietà.
Spero
di riuscire a sistemarlo: vorrei poterla sentire vicina quel giorno, in un
qualche modo.
Il
sole è alto ormai e io e mio fratello abbiamo appuntamento con Riku e i nostri
cugini al fiume.
Papà
non vuole lasciarci soli neppure un attimo ed ovviamente mi circonda di guardie
del corpo: che scocciatura!
***
È
sera e ho dovuto salutare il mio promesso. Mio fratello sa davvero essere
peggio di mio padre in quanto protettività!
Sarà
pure il maggiore, ma questo non lo giustifica.
Non
ci permetteva nemmeno di incrociare gli sguardi e lui invece? Passa le notti a
corteggiare la figlia del capo villaggio!
"È
un’ingiustizia!" continuo a ripetere, mentre me ne torno a casa da sola.
Un
pacco davanti l’ingresso pare attendermi, ma non ho idea di chi possa averlo
lasciato.
Lo
apro, spinta da una forte curiosità e il suo contenuto mi lascia sconvolta.
È
un abito da sposa splendido!
Lo
prendo, lisciandone il tessuto pregiato e subito rammento il racconto della nonna
e del demone che l’aveva lasciata al villaggio, continuando a vegliarla.
Sorrido.
Non avrei potuto sentirla più vicina …
Guardo il fondo della scatola che lo conteneva poco
prima: c’è un petalo, un candido e isolato petalo, privo di significato.
Fine.
Spazio autore:
Avevo bisogno di scrivere qualcosa e così lentamente è nata questa One-shot: un po’ frutto di ispirazione un po’ del caso, che
spero vi piaccia. ^-^
Faccio presenti alcune annotazioni:
Moe = significa “germoglio/bocciolo”
Riku = significa “Terra”
Grazie in anticipo a chi leggerà questa one-shot. Spero mi lascerete un commentino con un vostro
parere. ^^
KissKiss KiraKira90