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Autore: apple_pie    30/04/2010    5 recensioni
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Ladynotorius assistente amministratrice.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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uhm

Elva era stremata. Si accasciò per terra e si prese le testa fra le mani. Stupido incantesimo che le succhiava l’energia. Lo stomaco le bruciava e non riusciva a controllare il respiro.

Angela la guardava, seduta a gambe incrociate sul tappeto rosso. Le tese un bicchiere pieno di un liquido verde. Elva pensò che sembrava melma, ma lo bevve ugualmente: subito si sentì un po’ meglio.

“Devi pronunciare la parola più lentamente. E l’accento è sulla y. Wyrda. Capito?”

Maledetta strega. Elva non aveva idea di come facesse a proteggersi dal suo potere, ma di fatto non era ancora riuscita ad imparare il suo punto debole.

Però l’aveva convinta ad insegnarle la magia. E Angela l’aveva accontentata, perché – Elva lo sapeva bene – la voleva usare. Una magia per vedere il futuro. Anzi, no: il fato.

“Perché non la insegni a qualcuno come Eragon, per esempio?” Ci avrebbe goduto a vederlo sforzarsi di compiere l’incantesimo. Peccato che Saphira avrebbe sofferto con lui. Ma Angela scosse la testa e disse: “Questa magia prosciuga così tanta energia che se lui ci provasse rimarrebbe fulminato. Non sarei in grado di salvarlo nemmeno io, perché non resisterebbe più di cinque secondi dopo aver pronunciato la parola”.

“Allora vuoi uccidere me? Tutti che mi vogliono bene, quando hanno la possibilità di sfruttarmi” Sul volto di Angela si tese un sorriso nervoso. Sempre così, quando usava quel tono distaccato e freddo. Elva rise. L’ho messa a disagio, pensò, e intanto continuava a ridere. Sapeva che Angela non l’avrebbe uccisa. Era terribilmente buona, sotto sotto. “Il controincantesimo di Eragon fa si che tu non possa morire per colpa della magia. Questo ti permetterà di fare magie incredibili. Anche se forse ti costringeranno a stare a letto per qualche mesetto.” Sorrise e si tirò indietro i capelli con una mano. “Ora riprova, dai. Ci sei quasi riuscita, devi solo” Angela le toccò la spalla “crederci un po’ di più. E migliorare la pronuncia”.

Elva Chiuse gli occhi. Allontanò da se tutto il dolore che percepiva attorno a lei, concentrandosi solo sull’energia che scorreva intorno e, cercando di azzeccare la pronuncia, sussurrò: “Wyrda”, Fato. Il destino. Un turbine di energia – la sua energia, la sua forza vitale! – la avvolse. Fu sbalzata via. Le sembrò chi il cuore le sbalzasse via dal petto mentre veniva lanciata verso l’alto, in un fumo nero che le entrava nelle narici e la faceva tossire. La polvere sembrava premere contro di lei, come se la volesse stritolare. Ma poi si diradò, allontanandosi in tante piccole nuvolette. 

Vide una stanza. Sembrava una sala di una reggia: un arazzo rappresentante un drago nero era appeso sopra a un’enorme caminetto. Sedie ricoperte di velluto rosso erano disposte a semicerchio e dal soffitto pendeva un enorme lampadario di vetro, retto da una corda dorata. Dall’ampia finestra, poteva vedere una cittadina, ma la pioggia fitta che cadeva là fuori le impediva di vedere più di tanto. 

Sentì come un pop nelle orecchie e iniziò a sentire anche i rumori. Boati, urla, sembrava un campo di battaglia. Elva provò ad aprire la finestra per vedere cosa succedeva, ma non poteva toccare nulla in quel posto: come due calamite che si respingono, lei non riusciva a toccare niente, perché la sua mano veniva allontanata da una forza misteriosa. A un tratto, fuori dalla finestra vide un drago. Un enorme creatura blu: Saphira. Con un rumore di vetri infranti, L’enorme drago si schiantò con tutto il suo peso contro la finestra. Gli artigli rasparono il pavimento di legno, finché il drago non riuscì a ritrovare l’equilibrio. Sotto il suo peso le mura iniziarono a cedere. 

Nello stesso momento dalla porta a sinistra entrarono Eragon e Murtagh. “Galbatorix” urlò Murtagh “non è qui” Un sorriso gli deformò il viso. Eragon vide Saphira. Elva poteva vedere l’energia che sprigionavano quei due. Murtagh aveva perso. Eragon lo immobilizzò con un incantesimo: una luce azzurra che lo avvolse. Saphira gli mise sopra una delle sue enormi zampe, gli artigli ben in mostra. “Ora, dimmi dove si è nascosto!” gli urlò Eragon. Murtagh rise. “Quando dico che non c’è, significa che l’ho ucciso.” Gli uscì un po’ di sangue dalla bocca. “Io l’ho ucciso”.

Eragon non ci credeva. Elva poteva vedere l’incredulità sul suo viso. “Volevo il regno tutto per me”, aggiunse, prima di svenire. Elva considerò che doveva aver perso molto sangue. Aveva una profonda ferita al braccio e alla gamba, oltre a un taglio sulla fronte. Elva vide Eragon inginocchiarsi accanto a Murtagh. Gli aveva voluto bene, lui, aveva davvero sperato che, almeno in parte, quel suo fratellastro non fosse cattivo. Così ora – Elva lo vedeva benissimo – non aveva il coraggio di finirlo. Teneva il pugnale testo sopra di lui, senza abbassare la guardia. Attraverso il buco che aveva fatto Saphira poteva vedere, in lontananza, un drago rosso. 

Elva si chiese, in una frazione di secondo, se sarebbe arrivato prima il drago o se Eragon avrebbe ucciso per primo Murtagh. 

Ma non fece in tempo a saperlo. Improvvisamente si sentì risucchiare. Il cuore, stavolta, le sembrò andasse verso l’alto, mentre lei precipitava in un baratro di fumo nero, mentre l’aria le usciva dai polmoni. Atterrò di pancia sul tappeto della sua stanza. Fitte dolorose si levarono dallo stomaco e dal petto, mentre la testa le sembrava esplodere. Il rosso del tappeto la accecò. Chiuse gli occhi e si girò sulla schiena, ansimando. 

Quello che aveva appena visto le tornava in mente. L’espressione addolorata di Eragon. La faccia terrorizzata di quel traditore e Castigo che, planando sotto la pioggia, era sempre più vicino.

Si sentì sollevare sul letto. Angela l’aveva presa in braccio. La maga le mise una stoffa bagnata sulla fronte e si preoccupò che respirasse bene, prima di sedersi vicino alla bambina e darle da bere un sorso d’acqua.

Elva la osservava. Era così premurosa, pensò, solo perché voleva sapere quello che aveva visto. Chiuse occhi e si addormentò. Un sonno senza sogni.

“Tredici ore, complimenti” Angela sembrava contrariata, ma poi si mise a ridere. Le porse una ciotola di minestra fumante. Si assicurò che fosse ben sorretta dai quattro cuscini che aveva dietro la schiena e si rimise seduta accanto al suo letto.

“Questa volta sei riuscita a vedere qualcosa?”

Elva sorrise. “Sai Angela”, sussurrò, restituendole la ciotola vuota, “ognuno è il padrone del proprio destino.”

Angela la fissò. “No. Ci sono persone il cui destino è già stato tracciato.” La maga ne era sicura.

“Ma sono sempre libere di seguirlo o no”, replicò lei. “Io, per esempio, faccio quello che più mi piace. Sempre. E ora, per esempio, ho appena deciso di non dirti quello che ho visto. Sbirciare nel futuro è barare. Se il destino è così inevitabile, che io ti dica o no cosa ho visto non farà certo la differenza”.

  
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