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Autore: pizia    01/05/2010    3 recensioni
La donna che mi ha allevato diceva che io appartengo al Piccolo Popolo e che quindi non posso fare altro che avvertire il richiamo della Madre, e assecondarlo. Io non sono sicura di cosa questo significhi, ma qualcosa di vero ci deve essere per spiegare quello che sento
Prendete Merlin, prendete Le Nebbie di Avalon, mescolateli e stravolgeteli un po' entrambi, ed avrete l'ambientazione della mia storia.
Non ho idea se questa storia sarà lunga o breve, se sarà una commedia drammatica o una tragedia, se sarà bella oppure brutta, per cui non prendete per oro colato i generi o i rating che ora scrivo: potrei cambiarli in corso d'opera.
Per il momento ho iniziato a scriverla per il puro e semplice amore che nutro verso questi personaggi, Artù in primis.
Buona lettura... spero...
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Morgana, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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PARTE TERZA

 

Artù aprì gli occhi pigramente.

Il sole non era ancora sorto, ma il cielo ad est cominciava già a schiarire. L’aria era fredda, lui si sentiva intirizzito e stancamente rilassato. Accanto a lui, rannicchiata contro il suo corpo e con la testa poggiata nell’incavo della sua spalla, c’era Morgana. Era ancora profondamente addormentata.

Artù sorrise.

Cercò a tastoni i propri vestiti, sparsi chissà dove nel prato intorno a lui, ma quando si rese conto che non avrebbe potuto raggiungerli senza svegliare la ragazza, ci rinunciò, limitandosi a stringerla un po’ più a sé con la scusa di godere di un po’ del calore del suo corpo per scaldarsi. Cercò una posizione un po’ più comoda e, quando la trovò, tornò a guardare la giovane attentamente.

Non poteva affermare di averla notata subito non appena era arrivata a palazzo: era una serva e quasi non si era nemmeno accorto del suo arrivo, fino a quando lei non aveva fatto amicizia con Merlino. Solo allora qualcosa in lei lo aveva colpito, anche se non avrebbe saputo dire esattamente cosa.

La sera prima, quando l’aveva raggiunta presso il falò, gli era sembrata veramente una creatura magica, una di quelle da cui suo padre l’aveva messo in guardia sin da quando era molto piccolo.

Ora i riflessi argentati non le brillavano più fra i capelli neri, dandogli quasi l’impressione che lei indossasse una corona di luce, né quelli caldi del fuoco sottolineavano generosamente ogni curva del suo corpo non ancora del tutto adulto. Ora quella che gli dormiva accanto e che gli solleticava la pelle sensibile del petto con i capelli e il respiro regolare e delicato era solo Morgana, la serva di colei che un giorno sarebbe probabilmente diventata la sua sposa. Eppure per Artù, anche in quel momento, lei era bellissima, forse persino di più di quanto le fosse sembrata durante quella notte incredibile che sarebbe rimasta marchiata a fuoco per sempre nel suo cuore e nella sua anima.

 

“Non aver paura” gli aveva detto la sera prima, quando lo aveva visto apparire al limitare della piccola radura nascosta tra i boschi di Camelot, dove uno dei falò di Beltane era stato acceso nonostante il divieto del re.

Per un attimo gli era quasi venuto da ridere: aveva appena scoperto almeno una cinquantina di sudditi “traditori” che avrebbero dovuto essere messi alla gogna per il semplice fatto di trovarsi lì in quel momento, eppure era stata lei a rassicurarlo e a dirgli di non temere nulla.

“Vieni Artù” aveva continuato Morgana. “Se un giorno vorrai essere un re migliore di quanto non lo sia oggi tuo padre, dovrai imparare a conoscere e a rispettare tutta la tua gente, oltre che a pretendere il loro rispetto e la loro obbedienza”.

Lui, improvvisamente dimentico del motivo per cui aveva seguito Morgana fin là, aveva provato un profondo brivido lungo la schiena: la figura che aveva di fronte, e che lo invitava con fare rassicurante, era quella della giovane serva di Ginevra, e sua la voce che lo aveva rapito, eppure era certo che ci fosse dell’altro in lei in quel momento, qualcosa di molto più grande: questo lo spaventava a morte, lo esaltava, lo confondeva, lo irritava e lo attirava in egual misura.

“Non aver paura, mio giovane principe” aveva ripetuto Morgana, o chiunque parlasse attraverso la sua bocca. “Un tempo sono stata per te, come per chiunque altro, la Madre, dispensatrice di vita; un giorno ancora lontano sarò per te, come per chiunque altro, la Vecchia, dispensatrice di pace eterna; ora sono solamente la Vergine Sposa che attende di nuovo di poter tornare ad essere Madre. Puoi chiamarmi Dea, puoi chiamarmi Vita, puoi chiamarmi Maria, anche se i cristiani vedono in me solo l’aspetto di Vergine e Madre. Oppure puoi non chiamarmi affatto. A me non importa. A me importa solo che tu sappia chi sono, e che non lo dimentichi mai…”.

Allora lei aveva steso le braccia verso di lui, ed Artù l’aveva raggiunta. Non come qualcuno la cui volontà fosse costretta da un qualche incantesimo (quella era una cosa che aveva già sperimentato, e sapeva che non si trattava di quello, anche se suo padre probabilmente lo avrebbe pensato), ma come un assetato si avvicina ad una fonte di acqua fresca. Con bramosia, desiderio, ma anche col timore che questa possa sotto gli occhi da un momento all’altro, frutto solo di un miraggio o della propria immaginazione.

Artù non si era mai particolarmente curato di nessuna religione, Nuova o Antica che fosse, e, anche se non aveva mai escluso che potessero esistere, non si era mai fermato a riflettere su quali e quanti potessero essere gli dei, o su come desiderassero essere chiamati. Non si era mai posto il problema di ciò che non fosse tangibile ai suoi sensi, eppure in quel momento era certo di “conoscere” colei che gli stava parlando. Era certo di conoscerla e di potersi fidare. Era certo di conoscerla e di poterla amare incondizionatamente.

 

Artù chiuse di nuovo gli occhi per poter rivivere ogni istante di quella notte, ma sapeva che se avesse provato ad esprimere quelle sensazioni con parole razionali non ci sarebbe riuscito.

Ricordò il sapore della pelle di Morgana, quello delle sue labbra morbide. Ricordò il tremore delle sua mani mentre gli sfilava la tunica e la fatica che invece aveva fatto lui per essere altrettanto delicato nello slacciare i lacci della sua semplice veste, quando invece avrebbe solo voluto stracciarli per poter fare più in fretta. Ricordò il momento in cui l’aveva trascinata a terra sotto di sé, e lei lo aveva benedetto chiamandolo “Consorte” ed accolto dentro di sé. Ricordò la debole resistenza del corpo di lei, quell’attimo di paura e di esitazione superato tuttavia in fretta.

In quei momenti il bagliore che circondava Morgana si era fatto ancora più intenso ai suoi occhi e, da come lei lo aveva guardato con stupore e riverenza, Artù sospettava che una luce molto simile avvolgesse anche lui.

Ora tutto quello era passato, anche se il solo ripensarci gli aveva imporporato il volto, e non solo: ora lei era di nuovo solo Morgana, e lui era di nuovo solo Artù. Tuttavia le emozioni, le sensazioni e i sentimenti provati quella notte erano ancora lì: non erano cambiati e non lo avrebbero mai fatto. Artù sapeva che ormai avrebbe sempre visto la Dea nel volto di Morgana, e Morgana sarebbe per sempre stata la Dea ai suoi occhi. L’avrebbe amata per sempre, e, all’improvviso, tutte le sue convinzioni sul fatto che sposare una donna piuttosto che un’altra sarebbe stato indifferente, crollarono miseramente. Tutto d’un tratto, l’idea di dover sposare Ginevra tra qualche anno gli risultava ancora più insopportabile di quanto già non lo fosse prima. Non avrebbe detto nulla a suo padre, perché lui non avrebbe capito e probabilmente avrebbe condannato a morte Morgana con l’accusa di averlo stregato, ma sapeva che, da quel momento, non sarebbe più stato felice se non avesse potuto averla al suo fianco.

Tuttavia quella non era una cosa a cui fosse in grado di pensare in quel momento.

Tornò a guardare Morgana e le posò un leggero bacio sulla fronte: lei mugolò debolmente nel sonno e sprofondò ancora di più nel suo abbraccio e sotto il mantello che faceva loro da coperta. Di nuovo, Artù sorrise senza poterlo evitare.

Intorno a sé  cominciava a sentire i rumori di altre coppie che si risvegliavano e si apprestavano a tornarsene a casa e alla vita di tutti i giorni. Si chiese se la Dea e il Consorte si fossero uniti anche tramite loro o se era stato un privilegio riservato solo a lui e a Morgana. Poi sogghignò dandosi dello sciocco e scartando la seconda ipotesi. La Dea era stata chiara: ciò che era stata per lui, lo era e lo sarebbe stata anche per chiunque altro. Per un attimo si chiese se non dovesse sentirsi “tradito” per questo, ma l’immagine di Merlino che gli dava dello sciocco presuntuoso gli si parò immediatamente alla mente e, per una volta, non solo non se la prese, ma riconobbe anche che il suo amico avrebbe avuto ragione.

Sapeva che doveva alzarsi e ritornare a palazzo, e di corsa anche, prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza, ma si sentiva talmente bene lì, con Morgana tra le sue braccia e il silenzio ovattato dell’alba intorno, che non riusciva a decidersi a farlo. Se avesse potuto fermare il tempo in quell’attimo per sempre, lo avrebbe fatto. “Beh… magari potrei fermarlo ad un paio di attimi durante questa notte…” pensò maliziosamente, ridacchiando soddisfatto.

Il filo dei suoi pensieri e dei suoi ricordi venne bruscamente spezzato dal movimento repentino di Morgana che, un attimo dopo essersi svegliata, era scattata in piedi tirandosi dietro il mantello e lasciandolo disteso a terra, completamente nudo: solo il freddo improvviso impedì al principe di preoccuparsi della sua nudità.

Morgana, dal canto suo, stava cercando di recuperare le sue vesti il più in fretta possibile, ma non sembrava intenzionata a perdere il tempo necessario per indossarle. Voleva solo scappare da lì al più presto.

“Morgana” la chiamò Artù appena ripresosi dalla sorpresa, ma la ragazza non lo ascoltò.

Era spaventata.

“Morgana” disse di nuovo il figlio di Uther, in maniera un po’ più insistente, ma quando fu chiaro che la ragazza non intendeva ascoltarlo, fece per alzarsi.

A quel movimento Morgana lo fissò per un attimo e poi prese ad allontanarsi correndo, anche se non aveva ancora finito di recuperare i suoi abiti: un sandalo e il fermaglio che di solito le teneva legati i capelli erano ancora nell’erba, abbandonati.

Artù si sentì vagamente ferito da quella fuga improvvisa, ma decise di ignorare quella sensazione e con uno scatto si tirò finalmente in piedi e prese a rincorrere la giovane. “Morgana, aspetta!” disse quando infine riuscì ad afferrare la ragazza. “Perché stai scappando?”. Morgana si dimenava per liberarsi dalla presa del ragazzo. “Smettila…!” ridacchiò Artù quando lei prese a colpirlo nel tentativo di scappare. All’improvviso comprese: “Non ti denuncerò di certo, Morgana, non aver paura” disse con tono rassicurante, allentando di poco la stretta sul suo polso per non farla sentire in trappola.

Morgana, poco a poco, cessò di lottare, più per l’inutilità di quel gesto che perché fosse convinta delle parole di Artù. Lo fissò negli occhi, sfidandolo e chiedendosi se si potesse fidare di lui allo stesso tempo.

Artù allora le lasciò il braccio, e lei, istintivamente, prese a massaggiarsi il polso dove la pelle si era arrossata leggermente.

“Sei libera Morgana, se vuoi scappare non ti fermerò di nuovo, ma almeno finisci di vestirti.

Un guizzo di malizioso divertimento passò negli occhi della ragazza: “Quella completamente nuda non sono io, mio signore…” rispose, trattenendosi a stento dall’abbassare lo sguardo dagli occhi di Artù. Il ragazzo sentì l’imbarazzo montargli dentro, ma non voleva darle la soddisfazione di vederlo arrossire come una ragazzina.

“Davvero non mi farete mettere alla gogna?” chiese lei tornando seria. “Sarebbe tuo dovere…”.

“E’ vero, ma se lo facessi poi dovrei finirci anche io… Non ne ho molta voglia…” rispose scherzosamente. Poi tuttavia si fece serio e aggiunse: “Non condividevo la decisione di mio padre di proibire i Fuochi e, dopo questa notte, la condivido ancora di meno. Non mi illudo di poter spiegare esattamente quello che è accaduto qui, ma so per certo che non è stato nulla di malvagio. Non ti denuncerò, Morgana, come non denuncerò nessun altro che era qui ieri sera, per il semplice motivo che, nonostante quello che dice mio padre, nulla di male è stato fatto. E poi…”

“Poi…” chiese Morgana, avvicinandosi a lui di un passo.

“E poi non potrei mai denunciarti Morgana... Non dopo questa notte…” ammise Artù con una semplicità che sorprese prima di tutti lui stesso.

Morgana abbassò lo sguardo, imbarazzata, ma non fece nulla per allontanarsi quando Artù la costrinse delicatamente con una mano ad alzare il volto per tornare a guardarla negli occhi.

La baciò teneramente, come se temesse che lei sarebbe fuggita di nuovo: non c’era la passione che era scoppiata quella notte, solo una dolcezza e un’intimità che né Artù né Morgana avevano mai conosciuto prima.

“Ora faremo meglio a rientrare a Camelot” disse il ragazzo mentre ancora la teneva tra le braccia.

“Forse è meglio però che voi prima vi rivestiate…” rispose Morgana sorridendo imbarazzata.

“Perché? Così non ti piaccio?” stette al gioco Artù.

“Credo di avervi dimostrato questa notte quanto io apprezzi come Lady Igraine vi ha fatto, ma non mi sembra il caso che rientriate a palazzo così” rispose lei, non facendosi più alcuno scrupolo a squadrare ogni singolo centimetro della sua pelle nuda.

Artù decise che era meglio rivestirsi prima che quello sguardo provocasse altri danni difficilmente nascondibili: l’idea di ricominciare da capo con lei, in quel preciso momento, tutto quello che avevano vissuto durante la notte cominciava a frullargli per la testa con fin troppa insistenza. Decise quindi che era davvero meglio che si rivestisse e si rimettessero in cammino, altrimenti la sua assenza sarebbe stata notata senza dubbio e lui non aveva intenzione di essere costretto a fornire spiegazioni che avrebbero potuto rivelarsi pericolose per Morgana.. Tirò un profondo sospiro per calmare gli spiriti che avevano ricominciato a farsi bollenti e tornò a recuperare i propri abiti.

Mentre rientravano, Morgana si fermò per davvero a raccogliere qua e là alcune erbe che sarebbero servite a Gaius: “Alle porte della città, se qualcuno mi chiederà cosa faccio in giro a quest’ora, risponderò che sono andata a cercare erbe la sera prima e che mi sono addormentata nel bosco” aveva detto lei, quando si era accorta dello sguardo interrogativo di Artù. “E poi le scorte di Gaius stanno veramente esaurendosi, quindi se non volete che la prossima volta vi curi con dell’ortica al posta della valeriana, lasciatemi fare”.

Quando giunsero al bivio in cui Artù aveva lasciato il proprio cavallo si separarono: grazie al suo alibi vegetale, Morgana sarebbe rientrata in città dalla porta, mentre il principe avrebbe usato un tunnel che lo avrebbe portato direttamente al castello. Camelot stava cominciando a svegliarsi, ed entrambi sapevano di doversi affrettare. Tuttavia Artù trovava insopportabile l’idea di separarsi, anche se per poco, da lei. Si diede dello sciocco per quel comportamento che fino ad allora gli era stato del tutto estraneo, ma non riuscì ugualmente a non rincorrere la ragazza per darle un ultimo bacio e per strapparle la promessa che quella appena passata non sarebbe stata la loro unica notte insieme, e poi non riuscì a non seguirla con lo sguardo, mentre si allontanava, finché lei non svanì dietro la curva delle strada che l’avrebbe portata in città.

  
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