Tutta la famiglia Skywalker si stava rilassando. Si trovavano nei giardini della tenuta di Varykino, stesi su una grande tovaglia da picnic e cullati dal cielo azzurro e un sole gentile. Insieme, mentre si godevano ciò che di meglio poteva offrire loro l'estate naboo, non mancava loro niente di quello che già non avessero.
Anakin era steso sulla schiena, viso al cielo e un sorriso pigro sulle labbra. Con la mano meccanica giocherellava con un filo d'erba, con l'altra accarezzava la schiena di Padmé. Padmé, accoccolata al suo fianco, teneva gli occhi chiusi mentre la brezza le smuoveva i ricci sciolti. Il sole li accarezzava e riscaldava entrambi con i suoi raggi.
Il giorno prima, Luke e Leia avevano compiuto un mese; ora riposavano in due ceste identiche accanto ai genitori. Per una volta, Leia, che era tra i due la più vivace, dormiva profondamente. Luke, d'altro canto, era sveglio ed attivo; qualche volta dalla sua cesta arrivavano dei sommessi, allegri gorgoglii. Fu in quelle, mentre un irresistibile torpore iniziava ad abbracciare Padmé, che arrivò un gridolino particolarmente acuto da una delle due ceste.
Padmé spalancò gli occhi, e si sporse un po' sul petto di Anakin per guardare i bambini. I colori improvvisi dopo aver tenuto per tanto a lungo le palpebre chiuse erano quasi insopportabili.
‹‹Mi sa che qualcuno vuole giocare.›› Il sorriso di Anakin s'allargò pigro da orecchio a orecchio. Essere un padre gli era decisamente congeniale. A minuti dalla nascita dei loro bambini, Padmé lo aveva visto scivolare nelle vesti di un padre affettuoso come se fosse nato per diventarlo. Ne era stata sorpresa, poiché Anakin non era mai stato troppo bravo con i bambini: diceva che lo intimidivano, e che lui intimidiva loro. Ma con Luke e Leia era eccezionale. Si veneravano a vicenda, lui e i bambini.
Anakin prese Luke dalla culla e lo scrollò con delicatezza. ‹‹Hey, Luke.››
‹‹Ciao, bel ragazzo,›› salutò Padmé, guardando il viso placido del suo figlioletto.
Anakin fece librare il bimbo a mezz'aria senza l'aiuto delle braccia; in risposta, Luke fece un gridolino e sorrise uno di quei sorrisi umidicci, tutti gioia e gengive: lui e sua sorella avevano imparato da qualche giorno che erano l'arma migliore per far morire di tenerezza i loro genitori. Padmé e Anakin più di una volta, come due ragazzini alle prese con un progetto di scienze, si erano sorpresi a chiamarsi da una stanza all'altra della villa per far presente l'altro della nuovissima, adorabilissima, mai-vista-prima (o già vista, e rivista, ma sempre incredibile) scoperta dei loro bambini. In un certo senso, Luke e Leia avevano infuso nel loro rapporto una nuova dimensione: il gioco.
‹‹Come stai?›› chiese Anakin, abbassandolo un po’ fino a che padre e figlio non erano che a pochi centimetri, petto a petto.
Luke gorgogliò qualcosa in risposta, e nella brezza la sua ciocchetta di capelli bianchissimi svolazzò allegramente. I suoi occhi erano dello stesso colore del cielo sopra di loro.
‹‹Lo prendo come un benissimo, papà. Io sto bene. Pure la mamma sta bene, anche se in questo momento mi sta guardando male. Molto male.››
Padmé
sorrise. ‹‹Lo
sai che m’innervosisce quando li sollievi con il pensiero
-››
‹‹Con
‹‹…è
come respirare,
poppare e dormire. Lo so.››
Anakin si
rivolse di
nuovo al figlio, che si sentiva tanto a suo agio, lì a
mezz’aria, da assopirsi.
‹‹Visto, Luke? Mamma fa soltanto la difficile.
Tutte le donne sono così.››
Padmé ignorò il commento del marito e si girò sulla schiena. Supina, osservò il suo bambino mentre Anakin lo faceva lentamente scorrere in verticale nell'aria, e sopra di lui il cielo azzurro e sgombro di nuvole della mattinata.
Non era stato così, quando erano arrivati su Naboo. Erano sbarcati a Theed quasi due settimane prime, in assoluto segreto. Già si faceva sera, e le cupole dei palazzi si perdevano nel blu profondo della notte in agguato, mentre il sole moriva sanguinando all'orizzonte. L'aria odorava di fiori e di spezie, e, mentre passeggiavano tra le strade illuminate dai lampioni, al bouquet floreale s'aggiungevano gli odori caldi che uscivano dalle abitazioni all'ora di cena. Una folla vivace s'era riversata per le strade di Theed, determinata a godersi la fresca serata di mezz'estate.
‹‹L’aria è come me la ricordavo,›› le aveva detto Anakin ad occhi chiusi. ‹‹D’estate è ancora più buona.››
Camminarono incappucciati per le strade di Theed in silenzio, ognuno impegnato coi suoi pensieri. Quando erano arrivati alla corte della casa dei Naberrie, Padmé si era fermata sotto l'arco di accesso alla corte e aveva avuto bisogno di un momento per calmarsi. Anakin dapprima era sembrato confuso, poi i suoi occhi erano diventati comprensivi e le aveva messo un braccio sulle spalle.
‹‹Non so con quale diritto ci ritorno.›› D'improvviso, era terrorizzata di quello che i suoi genitori pensavano; meditò per un istante di saltare direttamente quella cena e partire quella sera stessa per la regione dei Laghi. Avrebbe inventato una scusa, qualcosa che magari avesse a che fare con misure di sicurezza o simili - avrebbe fatto qualsiasi cosa per ritardare il momento in cui avrebbe dovuto guardare in faccia suo padre.
‹‹Questa è ancora casa tua,›› le aveva detto Anakin, stringendola a sè. ‹‹E non ce l'hanno con te.››
Finalmente Padmé aveva annuito ed erano entrati nella corte illuminata. Era tutto come lo aveva lasciato l'ultima volta che vi era tornata, quando a Naboo era ancora inverno e aveva appena scoperto di aspettare un bambino: tutto era antico, solido, coperto di fiori rampicanti in boccio, con le luci incassate nei muri e quella tremenda familiarità che le faceva tremare le ginocchia. Quanto le fosse mancata quella casa lo capì solo in quel momento, mentre la guardava quando pensava di averla persa per sempre; e alla felicità di essere ritornata al nido s'aggiunge la sensazione di soddisfazione di poter condividere con i suoi bambini quella che era stata la sua casa.
Jobal stava aspettando sul pianerottolo, su per le scale d'ingresso. Quando li vide, si fiondò giù per le scale, con un'agilità che non le si sarebbe attribuita. Buttò le braccia al collo della figlia e strinse quasi a soffocarla. ‹‹Padmé! Oh, Padmé, finalmente, bambina mia...››
‹‹Mamma, quanto sono felice di rivederti.›› Le parole erano banali, ma non erano mai state tanto sincere. Se non fosse stato per vaghe nozioni di compostezza e dignità, Padmé sarebbe potuta scoppiare in lacrime lì tra le braccia della madre.
Jobal le prese il viso tra le mani e le baciò entrambe le guance. Solo quando si staccarono Jobal sembrò accorgersi che c'era qualcun altro assieme alla figlia. Passò rapidamente in rassegna Anakin e la carrozzina, e poi guardò di nuovo Padmé, come se si aspettasse un'introduzione ufficiale del genero e dei nipoti.
‹‹Mamma...lui è Anakin, e loro sono Luke e Leia.››
Anakin fece un passo avanti e allungò la mano verso la suocera. Padmé lo conosceva abbastanza bene da sapere che la sua espressione tesa nascondeva una certa timidezza. Jobal, ad ogni modo, contraccambiò con un'occhiata severa e strinse la mano senza esitazioni. ‹‹Buonasera, Anakin. Ci rincontriamo finalmente.››
Poi la sua espressione s'intenerì immediatamente quando guardò dentro la carrozzina. Calò le mani nella culla e ne prese Leia. La bimba, che nella sua breve vita s'era già dimostrata quella con la personalità più forte, non fece attendere un prorompente scoppio di pianto.
‹‹E tu chi sei?›› disse Jobal alla nipote col tono acuto che si usa per calmare i neonati e infastidire gli adulti. Affondò il viso nel piccolo petto della nipote e ispirò profondamente. ‹‹Che odore buono che hai, bebè!››
‹‹Leia,›› informò Anakin.
‹‹Ah, sei Leia, la nostra principessina…›› Jobal aveva sempre avuto un certo ascendente sui bambini. Probabilmente, i pargoli sentivano il sincero affetto che Jobal provava, incondizionatamente e indiscriminatamente, verso chiunque avesse meno di cinque anni, e Leia non fu un'eccezione: la bambina, sotto l'influsso delle carezze, spalancò gli occhi, chiuse la bocca e si limitò a fissare la nonna con un'espressione vagamente confusa. ‹‹Hai gli occhi delle donne Naberrie, piccolina. Riconosco il taglio.››
Padmé sorrise, ripensando a quando aveva guardato per la prima volta in quegli occhi. ‹‹Erano così blu, quando è nata! Ora gli occhioni blu sono rimasti soltanto a Luke.››
‹‹È la prima volta che Leia smette di piangere così presto,›› osservò Anakin con un mezzo sorriso.
Jobal passò la nipote ad Anakin, e passò a somministrare le sue coccole al nipote ancora nella culla. Anakin le fece un cenno della testa. Quando Padmé guardò nella direzione che le aveva indicato, vide che c'erano due altre figure sul pianerottolo. Semicoperte dalle ombre, Padmé non le riconobbe all'istante: le ci volle un istante per capire che erano Ryoo e Pooja, le sue nipoti.
A differenza di tutte le altre volte, le due bambine non si lanciarono dalla zia. Rimasero lì, scrutandola dalla loro posizione scura. Pooja, che era la minore e aveva sette anni, alzò una mano per salutarla; Ryoo, la maggiore, entrò in casa. Pooja sembrò incerta sul da farsi, perché guardò prima la sorella e poi la zia; poi seguì la sorella all'interno della casa.
I tempi erano davvero cambiati.
Dopo un saluto imbarazzante con il resto della famiglia, la cena fu una questione atroce.
Jobal, buona donna ch'era, aveva cucinato una cena sontuosa. Le vivande erano varie e in quantità, le bevande raffinate. Padmé la conosceva: per quella cena importante doveva aver lavorato in cucina per almeno un giorno intero. Quando vide il delicatissimo pudding, capì che c'aveva lavorato almeno per tre giorni. Tale consapevolezza rese solo ancora più deludente l'intera situazione.
Infatti, se gastronicamente vi erano tutte le premesse per una cena deliziosa, la compagnia attorno al tavolo fu silenziosa e tesa. Jobal cercò di intavolare una conversazione il più possibile lontano dagli affari di politica interplanetaria, orbitando per forza di cose sui gemellini e sulla maternità di Padmé. Sola partecipò alla conversazione con frequenza sporadica, e suo marito s'astenne del tutto dall'intervenire; entrambi sembrarono preferire concentrarsi su ciò che c'era sul loro piatto che sulle vite dei loro ospiti. Ruwee fu altrettanto silenzioso, e, come Sola, determinato ad evitare d'incrociare gli sguardi con Padmé.
Anakin non fece nessuno sforzo, presiedendo in assoluto silenzio alla tavolata e mandando giù ciò che gli veniva servito senza fare commenti.
Ryoo e Pooja, sentendosi tagliate fuori dalla tavolata, ed essendo abbastanza percettive da accorgersi che gli adulti non stavano dicendo nè facendo tutto quello che avrebbero voluto, rimasero in disparte anche loro, limitandosi a giocare con il loro cibo o a scambiarsi un paio di sorrisi per qualche minuscola marachella da tavola.
Ci fu un momento, durante il dolce, in cui l'intera tavolata annegò nel silenzio: e nessuno ebbe il coraggio di guardarsi negli occhi. Fu in assoluto il momento peggiore dell'intera cena. Padmé, vedendo nel consommé il riflesso del suo viso impallidito, dovette trattenersi dal piangere.
Fu Jobal a cercare di salvare la situazione. Usando il tono più falsamente allegro che Padmé le avesse mai sentito usare, disse: ‹‹Allora, tesoro, quanto vi tratterrete ai Laghi?››
‹‹Finché potremo,›› rispose cupamente Padmé. Quando vide l’espressione un po’ ferita della madre, aggiunse in fretta e con tono più dolce, ‹‹Io posso rimanere anche più a lungo, ad ogni modo. È Anakin quello che deve partire presto.››
Menzionare i prossimi impegni di Anakin era ovviamente una cattiva mossa. L'attenzione e la curiosità del resto della tavolata era ora concentrata su quello che aveva detto.
‹‹Ah sì?›› chiese Sola acida.
Anakin non
esitò.
‹‹Un settore del Bordo Esterno si è
dichiarato ribelle. La situazione va…tamponata.››
Quelli erano
i
momenti in cui diventava difficile convincersi che non si era sposati
con un
alto ufficiale dell’Impero.
‹‹Curiosa scelta lessicale,›› commentò Ruwee, infilzando una patata.
Anakin, ora truce nello sguardo, non ebbe il tempo di rispondere. Jobal intervenne nuovamente, rossa in viso come se avesse corso cento metri. ‹‹Non si parla di lavoro e politica a tavola. Allora dimmi, Padmé, è bello il vostro nuovo appartamento lì a Coruscant? Hai detto che ha un bel giardino.››
Se non si
poteva
parlare di lavoro e politica a tavola, il soggiorno era certamente
campo aperto
di battaglia. Padmé rimpianse amaramente di aver deciso di
trascorrere
un’intera serata con la sua famiglia, per quanto avesse
sentito una terribile
nostalgia di ognuno di di loro. Tuttavia, la tensione indicibile che si
respirava in quell’occasione aveva ammazzato con
brutalità tutta la gioia del
rincontro a tutti, ad eccezione dei gemellini neonati che dopo qualche
capriccio si erano addormentati, a fine serata sembravano piuttosto
infelici.
Anzi, Ruwee
ed
Anakin, più che infelici, erano irritati, e l’uno
con l’altro. Ruwee, che si
era fatto crescere una corta barba, sedeva sulla sua poltrona di pelle
preferita, in un abbigliamento sofisticato da ‘intellettuale
borghese’, come lo
aveva definito una volta Padmé; Anakin era seduto
rigidamente su uno dei divani
accanto alla moglie, la quale era stretta tra lui e Pooja, tutta
stiracchiata
sulla zia.
I due, dopo
alcune
stoccate di valutazione, la versione umana e civilizzata dei rituali di
accerchiamento con denti digrginati che vigono tra alcune bestie
selvatiche, si
erano addentrati nell’argomento che ad entrambi premeva di
discutere: la
politica.
I toni si
erano
mantenuti sorprendentemente civili. Vero anche che non avevano toccato
gli
argomenti più scottanti, come ad esempio la vicenda dei
Jedi. Ma mentre da parte
di Ruwee sembrava esserci una calcolata tranquillità da uomo
avvezzo alla
politica, capace di dissimulare l’ardore che sentiva per una
causa, Padmé
sentì, in maniera inspiegabile, che l’insolita
calma dimostrata da Anakin era
riconducibile più al desiderio latente di piacere ad un uomo
importante come ad
un suocero che ad una neonata assennatezza interiore.
Le donne
s’astennero
dal partecipare al dialogo acceso tra i due. Jobal soprattutto
ignorò la
situazione e si dedicò solamente ai nipotini, assistita da
Ryoo, la quale
sembrava aver sviluppato un particolare affetto per il cugino Luke.
Il culmine
del
dibattito si raggiunse solo dopo, e fu Anakin a sganciare la bomba che
fece
saltare in aria le carte.
‹‹Penso
che una
repubblica non sia necessariamente la forma di governo
migliore.››
Padmé
dovette
trattenersi dal boccheggiare.
Ruwee
Naberrie
s’indignò. ‹‹Osi dire che
una ditttatura autocratica…››
‹‹Quello
che oso
dire, signor Naberrie, è che il miglior sistema di governo
è quello che
garantisce la pace, elimina la corruzione, l’inutile spreco
di danaro nelle
tasche di migliaia di senatori che non riescono a decidere nemmeno
quale vino
ordinare a cena e che si fa sentire concretamente nella vita dei
cittadini.
L’antica repubblica falliva su tutti i
fronti.››
‹‹Quello
che dici mi
sbalordisce. Neghi l’essenza stessa della democrazia, il
diritto di essere
tutti uguali, la libertà di essere tutto ciò che
vogliamo, e di esercitare tale
libertà mediante il voto -››
‹‹Signor
Naberrie,
forse la pensate in questa maniera perché voi facevate parte
di quella
ristretta cerchia di persone che il potere di esercitare quel diritto
lo aveva
davvero.››
‹‹E cosa dovrebbe significare questo?››
Più tardi, quando furono nella camera degli ospiti, Anakin fu in umore di scuse.
‹‹Mi dispiace aver rovinato la serata. Forse avrei dovuto…non so.››
Padmé lo osservò dallo specchio della toilette alla quale si stava pettinando. Era seduto sul bordo del letto con la testa bassa e un'aria generale di abbattimento; quando non ebbe risposte, si passò una mano tra i capelli e si lasciò andare all'indietro, sprofondando nel letto. Padmé continuò a spazzolarsi i capelli. Con metodo e con calma: voleva sciogliere tutti i nodi, come se sciogliendo quelli tra i capelli potesse sciogliere quelli che si trovavano dentro la sua testa. E si rifiutava di parlare di quella assurda conversazione che si era tenuta in soggiorno, e aveva sigillato la definitiva sfiducia dei suoi parenti nei confronti di Anakin.
‹‹Dì qualcosa, Padmé.››
‹‹Cosa vuoi che dica?››
Il suo tono era irritato. O demoralizzato. ‹‹Cosa ne pensi. Non mi piace sapere che Ruwee mi odia. Tutta la tua famiglia mi odia. Ma non sono sorpreso. Me lo immaginavo.››
Padmé posò il pettine e inspirò profondamente. ‹‹Mia madre non ti odia,›› disse alla fine, scegliendo con cura le sue parole. ‹‹Ryoo e Pooja non ti odiano. Sola…lei non odia nessuno. E’ solo molto confusa. E spaventata. Mio padre…››
‹‹Ha ragione.››
Padmé si girò per guardare il vero Anakin, e non il suo riflesso sullo specchio. All'improvviso si sentiva confusa. Era la prima volta, da quando tutto era successo, che Anakin concedeva qualcosa ad un avversario. ‹‹Perché lo dici?››
La voce di Anakin fu molto bassa e quieta quando rispose. C'era una vena, quasi impercettibile, di infantile petulanza nel suo tono. Fu quel dettaglio che le ricordò, come qualche volta le succedeva ancora, che suo marito era giusto un ragazzo di ventitrè anni. Ancora prima di sentire le sue parole, qualcosa, di caldo, e dimenticato, le affiorò in gola. ‹‹Non sono totalmente…ingenuo. Ci sono momenti…quando sono con i bambini, capisci?, li tengo in braccio e loro sono così innocenti, ed è come se non riuscissi a pensare che io sono il loro padre. Ci sono momenti in cui non so se...lascia stare. Sono troppo stanco per fare discorsi intelligenti.›› Rimase zitto.
‹‹Mi interessa quello che dici,›› disse piano Padmé. Da quando le loro vite erano state sconvolte dal passaggio di un violento uragano era la prima volta che Anakin le parlava dei suoi sentimenti con onestà. Erano confusi, inarticolati, gettati insieme in un abbozzo di confessione, eppure Padmé sapeva che erano assolutamente preziosi. Che se non ne avesse fatto tesoro, sarebbero stati persi per sempre. E nessuno di loro due poteva permetterselo.
S'alzò e si avvicinò al letto. Lo guardò: Anakin teneva gli occhi chiusi, e i suoi capelli biondi erano tutti sparsi sul lenzuolo bianco. La tunica era slacciata sul petto. Era così giovane. Si stese sul letto accanto a lui, e puntellando un gomito tenne la testa sollevata sulla mano per continuare ad osservarlo.
‹‹Cosa fai?›› chiese Anakin senza aprire gli occhi.
‹‹Sto un po’ con mio marito.››
Anakin aprì gli occhi stavolta, ma non la guardò. Fissò, con i suoi occhi malinconici, il candelabro appeso al centro della stanza. ‹‹È da un po’ che non si faceva.››
‹‹Sì.››
Da quando erano nati i gemelli, Padmé aveva scelto di credere che la loro relazione fosse migliorata, e superficialmente poteva accettare che fosse successo. Ma come potevano essere guariti, se ancora le ferite di entrambi bruciavano appena spegnevano le luci, e nessuno dei due osava toccare l'altro, o parlare del male che si erano fatti?
‹‹Mi dispiace.››
‹‹Non si può dire che viviamo vite semplici.››
Un mezzo sorriso si dipinse sul volto di Anakin. ‹‹Due gemelli effettivamente non sono un gioco da ragazzi.››
‹‹Lo sai a cosa mi riferisco.››
Stavolta, Anakin la guardò, con una certa ottimistica tenerezza. Era un'espressione che Padmé non vedeva da secoli.
Allungò la mano sinistra, quella libera, verso i capelli biondi del marito e glieli accarezzò. ‹‹Mi piace quando mi parli davvero,›› gli disse, continuando a passare le dita tra le sue ciocche morbide. ‹‹È da tanto che non lo facevi.››
Anakin le fermò la mano sui suoi capelli e gliela accarezzò.
Padmé rilassò il gomito, e abbassò la testa allo stesso livello di quella del marito.
‹‹Non
sono stato un
buon marito, queste ultime settimane.››
‹‹Ti perdono.››
La sua mano non smise di accarezzarle il palmo. ‹‹Non lo dire, se non lo credi davvero.››
E poi Padmé non ebbe più parole da dire. Si sporse in avanti, catturò il suo viso tra le mani e lo baciò. Non pensò più, nè volle farlo: all'improvviso, l'unica cosa che voleva era divorarselo tutto. Una fame voluttuosa s'impadronì di lei nel giro di un istante, e c'era solo una maniera per placarla. Quanto le era mancato quel suo marito strano, meraviglioso e terribile? Oh, c'erano delle voci nella sua testa che le dicevano di fermarsi e di non cedere; tentavano di farle ricordare quello che era successo tra loro, le passate offese, i futuri crimini, la generale infelicità di cui s'erano nutriti tutte quelle settimane. Quelle voci urlavano, ma non le importava. Padmé spense il lato razionale del suo cervello e lasciò che il suo corpo diventasse tutta sensazione; l'unica cosa che desiderava realmente era la sua pelle, i suoi baci, i suoi capelli, la sua mano di carne, la sua mano di metallo. Quando Anakin li rovesciò entrambi e fece sbattere la sua schiena contro il materasso e le sue grandi mani trovarono l'orlo della veste, Padmé sorrise.
La mattina dopo, rimasero abbracciati finché il sole non riscaldò loro le schiene. Tutta la stanza era immersa in un dolcissimo baglior crema, e fuori si vedevano le cupole bluverdi dei palazzi di Theed e i voli circolari degli uccelli. Rinvenne con calma dal torpore, e s'accorse, con un moto di sollievo, di non essere pentita per quello che aveva lasciato succedere quella notte.
‹‹Adoro Naboo,›› riflettè sonnacchioso Anakin, infilandole un ricciolo sparso dietro l’orecchio.
‹‹Anche io.››
‹‹Un giorno voglio chiedere la cittadinanza.›› Il suo sorriso era divertito.
‹‹Ne hai il diritto. Sei sposato con una naboo. Hai due figli di cittadinanza naboo. Se tu volessi…›› Le sue parole si persero nell’aria rilassata della stanza, e non erano tanto importanti.
L’espressione di Anakin si fece seria. ‹‹Dovresti rimanerci, quando io sarò andato via. Qui a Naboo, dico. Ti farebbe bene. Ti fa già bene…›› Tracciò con un dito le occhiaie sotto gli occhi di Padmé, e poi le accarezzò la guancia. ‹‹Richiama le tue ragazze da Coruscant, organizza una cameretta nella nostra casa, su ai Laghi. Li potrai portare tutti i giorni tra le vigne…in spaggia…ovunque.››
Padmé sorrise, tirando un po’ il lenzuolo di lino sulle loro figure nude. Il suo piede trovò un posto comodo tra le gambe di Anakin. ‹‹Forse avranno la stessa avversione alla sabbia che hai tu, e la spiaggia non vorranno vederla nemmeno in cartolina.››
‹‹Nah. Non sono nati a Tatooine. Qui è tutto diverso.››
‹‹Un giorno voglio che conoscano anche Tatooine,›› riflettè Padmé dopo un momento. ‹‹Per sapere dove stai andando devi sapere da dove vieni.››
Anakin si girò sulla schiena e fissò il soffitto. Sembrava poco convinto. ‹‹Se vieni da Tatooine non c’è molto da sapere. C’è solo sabbia e deserto. Se sei fortunato, cavi acqua dal nulla in mezzo al nulla. E se sei sfortunato, ti capita di essere uno schiavo di qualche lumacone.››
Era un
discorso che
Padmé aveva sentito molte volte, ma aveva la netta
impressione che ci
fosse qualcos’altro sotto a quel continuo rinnegare il suo
pianeta d’origine.
Per lei era inconcepibile: di Naboo aveva una costante nostalgia.
‹‹Non
hai mai avuto
nostalgia di Tatooine? Proprio mai?››
Anakin fece
spallucce. ‹‹Prima. I primi anni mi mancava
tutto. Tutto tranne la sabbia,
certo. Dopo la morte di mia madre no. Non ho niente da cui ritornare,
capisci?››
Fu quasi
mezzogiorno
quando Anakin portò fuori le valige e i bambini dopo qualche
tesa parola di
addio e lasciò che Padmé salutasse in privato i
suoi genitori.
‹‹Se
hai bisogno di
aiuto con i bambini, non ti fare scrupoli a
chiamarci,›› disse Jobal,
accarezzando il volto della figlia. La abbracciò
un’ultima volta con le lacrime
agli occhi. ‹‹Prenditi cura di te e dei bambini,
tesoro.››
Ruwee
l’abbracciò
subito dopo, con un’intensità che Padmé
non si sarebbe aspettata, considerato
il comportamento freddo del padre la serata prima.
‹‹Anche se non sono stato
una buona compagnia, ieri sera,›› le disse,
nascondendo a stento la commozione,
‹‹sappi che un padre si sente completo soltanto
quando ha tutti i suoi figli
accanto a se. E io non mi sentivo completo da tanto
tempo.››
E adesso
Padmé capiva
cosa voleva dire. Stare vicino ai suoi bambini era un desiderio
costante, il
contatto fisico con loro un bisogno essenziale quanto respirare e bere.
Quante
cose, che prima le erano apparse un eccessivo sentimentalismo
‘da genitori’,
adesso erano non solo comprensibili, ma anche condivise di cuore!
‹‹E
i bambini sono
meravigliosi,›› continuò Ruwee.
‹‹Leia è splendida, e
Luke…cielo, ho un nipote
maschio!››
Padmé
girò gli occhi
al cielo con finta irritazione.
‹‹Papà…››
‹‹Stammi
bene,
piccolina.››
E nel breve
viaggio
da Theed fino a Varykino Padmé aveva pensato e ripensato al
padre e alla madre,
sentendosi mai come allora parte di quella famiglia e desiderosa di
trasmetterne lo spirito alla sua nuovissima.
Il pensiero
l’aveva
animata tutti quei giorni lì nella loro villa. Imparando a
conoscere i suoi
bambini stava imparando a conoscere anche se stessa; allo stesso tempo,
studiava il comportamento di Anakin, e cercava di capire cosa gli
passasse per
la testa. Era gentile e riservato insieme. Più di una volta
lo aveva colto
sovrappensiero; quando guardava i bambini, sembrava non essere
più lì con loro,
ma da qualche altra parte. Passavano le notti insieme, e quando
facevano l’amore
lui era lì, nel momento, assieme a lei; la mattina dopo la
guardava come se
qualcosa lo turbasse nel profondo. Sicuramente c’era molto
del suo
comportamento che Padmé non aveva notato: dopotutto, da lei
dipendevano due
neonati. Passava la maggior parte del giorno in una nebbia confusa, tra
poppate
e stanchezza terrificante; e qualche volta pensava che il curioso
comportamento
di Anakin fosse dovuto più alla mancanza di sonno che a cupi
rimuginamenti sulla
loro vita.
Ad ogni modo,
mentre
si rilassava assieme alla sua famigliola in campagna, Padmé
non sentiva nessun
affaticamento. Soltanto un vago senso di urgenza, e la consapevolezza
al fondo dello stomaco che quei momenti tranquilli stavano per finire,
travolti dalla prossima missione di Anakin.
‹‹Non
mi hai ancora
detto quanto dovrai stare via,››
osservò Padmé, che adesso si era seduta
accanto alle ceste e osservava i suoi bambini riposare. La sua mano
destra era
bloccata all’interno della culla di Leia: la bimba infatti
aveva deciso di
usare il mignolo della madre come rudimentale orsacchiotto e non aveva
alcuna
intenzione di lasciar andare la presa. Chi lo sapeva che i neonati
avevano tanta
forza nelle loro manine?
Anakin
sospirò. ‹‹Non
te l’ho detto perché non lo
so.››
‹‹Non
hai la minima
idea?››
‹‹Qualche
mese. Non
più di tre, quattro.›› Quando vide
l’espressione di Padmé immediatamente
aggiunse, ‹‹Ma anche molto meno. Non dovrebbe
essere una cosa lunga…ma
l’imperatore non ha voluto spiegarmi in dettaglio cosa
dovrò fare quando sarò
nel Bordo Esterno…››
Padmé
ghiacciò.
‹‹Quando tornerai non ti riconosceranno
più…››
‹‹Lo
so. Mi fa
impazzire.››
‹‹Ma
sono piccoli,››
offrì Padmé un attimo dopo.
‹‹Non farà alcuna differenza. A
quest’età non si
ricordano nulla.››
‹‹Hai
ragione. Il
problema è che…›› Anakin si
avvicinò, e accarezzò con un dito la guancia
della
loro bambina addormentata. ‹‹Il problema
è che non so come farò a resistere
senza di voi. Come faccio…come faccio a separarmi da loro
quando sono così
piccoli? Mi spezza il cuore.››
‹‹Non
sarà la stessa
cosa, ma potrai vederli quando vorrai. E loro vedranno te e sentiranno
la tua
voce, così quando ritornerai a casa non sarai
un…perfetto estraneo. E gli
parlerò sempre di te.››
Anakin
sorrise. Si
sporse in avanti per baciarla.
‹‹So
quanto ti
costa.››
Padmé
ne dubitava.
Anakin non poteva nemmeno iniziare a capire quanto la nauseasse nel
profondo
tutta quella faccenda del sedare la ribellione spontanea nata in un
settore
remoto dell’Impero. Anakin ovviamente sarebbe stato impiegato
come arma
decisiva: e quando sarebbe tornato da lei, perché sarebbe
tornato, sulle sue
mani ci sarebbe stato il sangue delle persone massacrate mentre
difendevano l’ideale
che Padmé condivideva.
Sì,
Padmé era
nell’intimo una ‘Ribelle’,
come venivano chiamati genericamente tutti
quelli che avevano espresso la benché minima remora
nell’accettare totalmente
l’egemonia del neonato impero.
Apprezzava
l’ironia
di essere una Ribelle nell’animo, se non nei fatti, sposata
con il secondo uomo
più importante nella gerarchia dell’impero:
sembrava la trama di un libro, e se
conosceva abbastanza come funzionava
Avendo due
bambini
piccoli, Padmé non osava contattare nessuno di quelli che
con ogni probabilità
in quelle stesse ore iniziavano a concepire dei piani: non aveva
contattato
nessuno, nemmeno Bail Organa, che una volta le era stato amico, e
adesso
sembrava essersi dimenticato di chi lei fosse (anche se vivevano
esperienze
simili: a quanto pareva, il senatore di Alderaan aveva adottato da
pochissimo
una bambina).
Avendo due
bambini
piccoli, Padmé aveva deciso, razionalmente e freddamente, di
desistere per quei
mesi, a scadenza indefinita, da qualsiasi azione che sarebbe potuta
essere
considerata sovversiva, e di desistere (sacrificio assai più
grande) dal
ragionare e dal tentare di intavolare discussioni col marito:
perché se avesse
continuato a vivere nella maniera in cui aveva vissuto le settimane
precedenti
alla nascita dei gemelli sarebbe impazzita, e con due bambini piccoli,
che
dipendevano da lei, e a breve sarebbero dipesi soltanto
da lei, Padmé
semplicemente non se lo poteva permettere.
Era una cosa
nauseabonda e lo sapeva. Non che non provasse una buona dose di
disgusto verso
se stessa. Aveva chinato il capo, almeno per un po’.
La sua unica
giustificazione, per quanto debole, era che non poteva più
pensare soltanto a
se stessa e ai suoi ideali: adesso c’erano due bambini, che
meritavano di avere
una buona madre, serena e sana di mente.
E poi guardava Anakin, capelli biondi e occhi blu innamorati, e il suo cuore si spezzava ancora: come poteva tradirlo, quando lui non aveva altri che lei, in tutta quella Galassia? No, a costo di tradire se stessa, Padmé gli sarebbe rimasta vicino. C'erano ancora tante cose meravigliose da essere trovate dentro di lui, e lei le avrebbe trovate. Insieme avrebbero ritrovato la strada giusta, qualunque fosse, dovunque portasse.
~*~
N/A: Capitolo
ponte
tra i
due atti - avevo la netta impressione di dovercelo inserire. Inoltre,
ogni
occasione è buona per inserire un po’ di fluff
in mezzo a tempi tanto
strani e turbolenti :) Per i prossimi capitoli potrebbe
passare un po'
(una settimana?)...devo infatti risolvere i nodi della trama e
completare
l'outline fino alla fine, altrimenti non riesco a lavorare con
tranquillità.
Che strana cosa scrivere una long (e questa mi sa che sarà
una long-long) fic.