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Autore: nuria    02/05/2010    1 recensioni
Padmé aspetta. Obi-Wan non arriva su Mustafar. Il destino della Galassia tanto, tanto lontana cambia per sempre. E anche Anakin, l'Eroe Senza Paura, è cambiato - forse per sempre: nella catastrofe della sua vita, Padmé cerca di capire cosa fare per riportare indietro suo marito.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Padmè Amidala
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ceneri della Repubblica'
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IX.                 IX.

 Tutta la famiglia Skywalker si stava rilassando. Si trovavano nei giardini della tenuta di Varykino, stesi su una grande tovaglia da picnic e cullati dal cielo azzurro e un sole gentile. Insieme, mentre si godevano ciò che di meglio poteva offrire loro l'estate naboo, non mancava loro niente di quello che già non avessero. 

Anakin era steso sulla schiena, viso al cielo e un sorriso pigro sulle labbra. Con la mano meccanica giocherellava con un filo d'erba, con l'altra accarezzava la schiena di Padmé. Padmé, accoccolata al suo fianco, teneva gli occhi chiusi mentre la brezza le smuoveva i ricci sciolti. Il sole li accarezzava e riscaldava entrambi con i suoi raggi.

Il giorno prima, Luke e Leia avevano compiuto un mese; ora riposavano in due ceste identiche accanto ai genitori. Per una volta, Leia, che era tra i due la più vivace, dormiva profondamente. Luke, d'altro canto, era sveglio ed attivo; qualche volta dalla sua cesta arrivavano dei sommessi, allegri gorgoglii. Fu in quelle, mentre un irresistibile torpore iniziava ad abbracciare Padmé, che arrivò un gridolino particolarmente acuto da una delle due ceste.

Padmé spalancò gli occhi, e si sporse un po' sul petto di Anakin per guardare i bambini. I colori improvvisi dopo aver tenuto per tanto a lungo le palpebre chiuse erano quasi insopportabili.

‹‹Mi sa che qualcuno vuole giocare.›› Il sorriso di Anakin s'allargò pigro da orecchio a orecchio. Essere un padre gli era decisamente congeniale. A minuti dalla nascita dei loro bambini, Padmé lo aveva visto scivolare nelle vesti di un padre affettuoso come se fosse nato per diventarlo. Ne era stata sorpresa, poiché Anakin non era mai stato troppo bravo con i bambini: diceva che lo intimidivano, e che lui intimidiva loro. Ma con Luke e Leia era eccezionale. Si veneravano a vicenda, lui e i bambini. 

Anakin prese Luke dalla culla e lo scrollò con delicatezza. ‹‹Hey, Luke.››

‹‹Ciao, bel ragazzo,›› salutò Padmé, guardando il viso placido del suo figlioletto.

Anakin fece librare il bimbo a mezz'aria senza l'aiuto delle braccia; in risposta, Luke fece un gridolino e sorrise uno di quei sorrisi umidicci, tutti gioia e gengive: lui e sua sorella avevano imparato da qualche giorno che erano l'arma migliore per far morire di tenerezza i loro genitori. Padmé e Anakin più di una volta, come due ragazzini alle prese con un progetto di scienze, si erano sorpresi a chiamarsi da una stanza all'altra della villa per far presente l'altro della nuovissima, adorabilissima, mai-vista-prima (o già vista, e rivista, ma sempre incredibile) scoperta dei loro bambini. In un certo senso, Luke e Leia avevano infuso nel loro rapporto una nuova dimensione: il gioco. 

‹‹Come stai?›› chiese Anakin, abbassandolo un po’ fino a che padre e figlio non erano che a pochi centimetri, petto a petto.

Luke gorgogliò qualcosa in risposta, e nella brezza la sua ciocchetta di capelli bianchissimi svolazzò allegramente. I suoi occhi erano dello stesso colore del cielo sopra di loro.

‹‹Lo prendo come un benissimo, papà. Io sto bene. Pure la mamma sta bene, anche se in questo momento mi sta guardando male. Molto male.››

Padmé sorrise. ‹‹Lo sai che m’innervosisce quando li sollievi con il pensiero -››

‹‹Con la Forza, tesoro. E per loro la Forza è assolutamente normale e naturale, è come -››

‹‹…è come respirare, poppare e dormire. Lo so.››

Anakin si rivolse di nuovo al figlio, che si sentiva tanto a suo agio, lì a mezz’aria, da assopirsi. ‹‹Visto, Luke? Mamma fa soltanto la difficile. Tutte le donne sono così.››

Padmé ignorò il commento del marito e si girò sulla schiena. Supina, osservò il suo bambino mentre Anakin lo faceva lentamente scorrere in verticale nell'aria, e sopra di lui il cielo azzurro e sgombro di nuvole della mattinata. 

Non era stato così, quando erano arrivati su Naboo. Erano sbarcati a Theed quasi due settimane prime, in assoluto segreto. Già si faceva sera, e le cupole dei palazzi si perdevano nel blu profondo della notte in agguato, mentre il sole moriva sanguinando all'orizzonte. L'aria odorava di fiori e di spezie, e, mentre passeggiavano tra le strade illuminate dai lampioni, al bouquet floreale s'aggiungevano gli odori caldi che uscivano dalle abitazioni all'ora di cena. Una folla vivace s'era riversata per le strade di Theed, determinata a godersi la fresca serata di mezz'estate.

‹‹L’aria è come me la ricordavo,›› le aveva detto Anakin ad occhi chiusi. ‹‹D’estate è ancora più buona.››

Camminarono incappucciati per le strade di Theed in silenzio, ognuno impegnato coi suoi pensieri. Quando erano arrivati alla corte della casa dei Naberrie, Padmé si era fermata sotto l'arco di accesso alla corte e aveva avuto bisogno di un momento per calmarsi. Anakin dapprima era sembrato confuso, poi i suoi occhi erano diventati comprensivi e le aveva messo un braccio sulle spalle.

‹‹Non so con quale diritto ci ritorno.›› D'improvviso, era terrorizzata di quello che i suoi genitori pensavano; meditò per un istante di saltare direttamente quella cena e partire quella sera stessa per la regione dei Laghi. Avrebbe inventato una scusa, qualcosa che magari avesse a che fare con misure di sicurezza o simili - avrebbe fatto qualsiasi cosa per ritardare il momento in cui avrebbe dovuto guardare in faccia suo padre. 

‹‹Questa è ancora casa tua,›› le aveva detto Anakin, stringendola a sè. ‹‹E non ce l'hanno con te.››

Finalmente Padmé aveva annuito ed erano entrati nella corte illuminata. Era tutto come lo aveva lasciato l'ultima volta che vi era tornata, quando a Naboo era ancora inverno e aveva appena scoperto di aspettare un bambino: tutto era antico, solido, coperto di fiori rampicanti in boccio, con le luci incassate nei muri e quella tremenda familiarità che le faceva tremare le ginocchia. Quanto le fosse mancata quella casa lo capì solo in quel momento, mentre la guardava quando pensava di averla persa per sempre; e alla felicità di essere ritornata al nido s'aggiunge la sensazione di soddisfazione di poter condividere con i suoi bambini quella che era stata la sua casa.

Jobal stava aspettando sul pianerottolo, su per le scale d'ingresso. Quando li vide, si fiondò giù per le scale, con un'agilità che non le si sarebbe attribuita. Buttò le braccia al collo della figlia e strinse quasi a soffocarla. ‹‹Padmé! Oh, Padmé, finalmente, bambina mia...››

‹‹Mamma, quanto sono felice di rivederti.›› Le parole erano banali, ma non erano mai state tanto sincere. Se non fosse stato per vaghe nozioni di compostezza e dignità, Padmé sarebbe potuta scoppiare in lacrime lì tra le braccia della madre. 

Jobal le prese il viso tra le mani e le baciò entrambe le guance. Solo quando si staccarono Jobal sembrò accorgersi che c'era qualcun altro assieme alla figlia. Passò rapidamente in rassegna Anakin e la carrozzina, e poi guardò di nuovo Padmé, come se si aspettasse un'introduzione ufficiale del genero e dei nipoti.

‹‹Mamma...lui è Anakin, e loro sono Luke e Leia.››

Anakin fece un passo avanti e allungò la mano verso la suocera. Padmé lo conosceva abbastanza bene da sapere che la sua espressione tesa nascondeva una certa timidezza. Jobal, ad ogni modo, contraccambiò con un'occhiata severa e strinse la mano senza esitazioni. ‹‹Buonasera, Anakin. Ci rincontriamo finalmente.›› 

Poi la sua espressione s'intenerì immediatamente quando guardò dentro la carrozzina. Calò le mani nella culla e ne prese Leia. La bimba, che nella sua breve vita s'era già dimostrata quella con la personalità più forte, non fece attendere un prorompente scoppio di pianto. 

‹‹E tu chi sei?›› disse Jobal alla nipote col tono acuto che si usa per calmare i neonati e infastidire gli adulti. Affondò il viso nel piccolo petto della nipote e ispirò profondamente. ‹‹Che odore buono che hai, bebè!››

‹‹Leia,›› informò Anakin.

‹‹Ah, sei Leia, la nostra principessina…›› Jobal aveva sempre avuto un certo ascendente sui bambini. Probabilmente, i pargoli sentivano il sincero affetto che Jobal provava, incondizionatamente e indiscriminatamente, verso chiunque avesse meno di cinque anni, e Leia non fu un'eccezione: la bambina, sotto l'influsso delle carezze, spalancò gli occhi, chiuse la bocca e si limitò a fissare la nonna con un'espressione vagamente confusa. ‹‹Hai gli occhi delle donne Naberrie, piccolina. Riconosco il taglio.››

Padmé sorrise, ripensando a quando aveva guardato per la prima volta in quegli occhi. ‹‹Erano così blu, quando è nata! Ora gli occhioni blu sono rimasti soltanto a Luke.››

‹‹È la prima volta che Leia smette di piangere così presto,›› osservò Anakin con un mezzo sorriso.

Jobal passò la nipote ad Anakin, e passò a somministrare le sue coccole al nipote ancora nella culla. Anakin le fece un cenno della testa. Quando Padmé guardò nella direzione che le aveva indicato, vide che c'erano due altre figure sul pianerottolo. Semicoperte dalle ombre, Padmé non le riconobbe all'istante: le ci volle un istante per capire che erano Ryoo e Pooja, le sue nipoti. 

A differenza di tutte le altre volte, le due bambine non si lanciarono dalla zia. Rimasero lì, scrutandola dalla loro posizione scura. Pooja, che era la minore e aveva sette anni, alzò una mano per salutarla; Ryoo, la maggiore, entrò in casa. Pooja sembrò incerta sul da farsi, perché guardò prima la sorella e poi la zia; poi seguì la sorella all'interno della casa. 

I tempi erano davvero cambiati.

Dopo un saluto imbarazzante con il resto della famiglia, la cena fu una questione atroce.

Jobal, buona donna ch'era, aveva cucinato una cena sontuosa. Le vivande erano varie e in quantità, le bevande raffinate. Padmé la conosceva: per quella cena importante doveva aver lavorato in cucina per almeno un giorno intero. Quando vide il delicatissimo pudding, capì che c'aveva lavorato almeno per tre giorni. Tale consapevolezza rese solo ancora più deludente l'intera situazione.

Infatti, se gastronicamente vi erano tutte le premesse per una cena deliziosa, la compagnia attorno al tavolo fu silenziosa e tesa. Jobal cercò di intavolare una conversazione il più possibile lontano dagli affari di politica interplanetaria, orbitando per forza di cose sui gemellini e sulla maternità di Padmé. Sola partecipò alla conversazione con frequenza sporadica, e suo marito s'astenne del tutto dall'intervenire; entrambi sembrarono preferire concentrarsi su ciò che c'era sul loro piatto che sulle vite dei loro ospiti. Ruwee fu altrettanto silenzioso, e, come Sola, determinato ad evitare d'incrociare gli sguardi con Padmé. 

Anakin non fece nessuno sforzo, presiedendo in assoluto silenzio alla tavolata e mandando giù ciò che gli veniva servito senza fare commenti. 

Ryoo e Pooja, sentendosi tagliate fuori dalla tavolata, ed essendo abbastanza percettive da accorgersi che gli adulti non stavano dicendo nè facendo tutto quello che avrebbero voluto, rimasero in disparte anche loro, limitandosi a giocare con il loro cibo o a scambiarsi un paio di sorrisi per qualche minuscola marachella da tavola.

Ci fu un momento, durante il dolce, in cui l'intera tavolata annegò nel silenzio: e nessuno ebbe il coraggio di guardarsi negli occhi. Fu in assoluto il momento peggiore dell'intera cena. Padmé, vedendo nel consommé il riflesso del suo viso impallidito, dovette trattenersi dal piangere. 

Fu Jobal a cercare di salvare la situazione. Usando il tono più falsamente allegro che Padmé le avesse mai sentito usare, disse: ‹‹Allora, tesoro, quanto vi tratterrete ai Laghi?››

‹‹Finché potremo,›› rispose cupamente Padmé. Quando vide l’espressione un po’ ferita della madre, aggiunse in fretta e con tono più dolce, ‹‹Io posso rimanere anche più a lungo, ad ogni modo. È Anakin quello che deve partire presto.››

Menzionare i prossimi impegni di Anakin era ovviamente una cattiva mossa. L'attenzione e la curiosità del resto della tavolata era ora concentrata su quello che aveva detto. 

 ‹‹Ah sì?›› chiese Sola acida.

Anakin non esitò. ‹‹Un settore del Bordo Esterno si è dichiarato ribelle. La situazione va…tamponata.››

Quelli erano i momenti in cui diventava difficile convincersi che non si era sposati con un alto ufficiale dell’Impero.

‹‹Curiosa scelta lessicale,›› commentò Ruwee, infilzando una patata.

Anakin, ora truce nello sguardo, non ebbe il tempo di rispondere. Jobal intervenne nuovamente, rossa in viso come se avesse corso cento metri. ‹‹Non si parla di lavoro e politica a tavola. Allora dimmi, Padmé, è bello il vostro nuovo appartamento lì a Coruscant? Hai detto che ha un bel giardino.››

Se non si poteva parlare di lavoro e politica a tavola, il soggiorno era certamente campo aperto di battaglia. Padmé rimpianse amaramente di aver deciso di trascorrere un’intera serata con la sua famiglia, per quanto avesse sentito una terribile nostalgia di ognuno di di loro. Tuttavia, la tensione indicibile che si respirava in quell’occasione aveva ammazzato con brutalità tutta la gioia del rincontro a tutti, ad eccezione dei gemellini neonati che dopo qualche capriccio si erano addormentati, a fine serata sembravano piuttosto infelici.

Anzi, Ruwee ed Anakin, più che infelici, erano irritati, e l’uno con l’altro. Ruwee, che si era fatto crescere una corta barba, sedeva sulla sua poltrona di pelle preferita, in un abbigliamento sofisticato da ‘intellettuale borghese’, come lo aveva definito una volta Padmé; Anakin era seduto rigidamente su uno dei divani accanto alla moglie, la quale era stretta tra lui e Pooja, tutta stiracchiata sulla zia.

I due, dopo alcune stoccate di valutazione, la versione umana e civilizzata dei rituali di accerchiamento con denti digrginati che vigono tra alcune bestie selvatiche, si erano addentrati nell’argomento che ad entrambi premeva di discutere: la politica.

I toni si erano mantenuti sorprendentemente civili. Vero anche che non avevano toccato gli argomenti più scottanti, come ad esempio la vicenda dei Jedi. Ma mentre da parte di Ruwee sembrava esserci una calcolata tranquillità da uomo avvezzo alla politica, capace di dissimulare l’ardore che sentiva per una causa, Padmé sentì, in maniera inspiegabile, che l’insolita calma dimostrata da Anakin era riconducibile più al desiderio latente di piacere ad un uomo importante come ad un suocero che ad una neonata assennatezza interiore.

Le donne s’astennero dal partecipare al dialogo acceso tra i due. Jobal soprattutto ignorò la situazione e si dedicò solamente ai nipotini, assistita da Ryoo, la quale sembrava aver sviluppato un particolare affetto per il cugino Luke.

Il culmine del dibattito si raggiunse solo dopo, e fu Anakin a sganciare la bomba che fece saltare in aria le carte.

 ‹‹Penso che una repubblica non sia necessariamente la forma di governo migliore.››

Padmé dovette trattenersi dal boccheggiare.

Ruwee Naberrie s’indignò. ‹‹Osi dire che una ditttatura autocratica…››

‹‹Quello che oso dire, signor Naberrie, è che il miglior sistema di governo è quello che garantisce la pace, elimina la corruzione, l’inutile spreco di danaro nelle tasche di migliaia di senatori che non riescono a decidere nemmeno quale vino ordinare a cena e che si fa sentire concretamente nella vita dei cittadini. L’antica repubblica falliva su tutti i fronti.››

‹‹Quello che dici mi sbalordisce. Neghi l’essenza stessa della democrazia, il diritto di essere tutti uguali, la libertà di essere tutto ciò che vogliamo, e di esercitare tale libertà mediante il voto -››

‹‹Signor Naberrie, forse la pensate in questa maniera perché voi facevate parte di quella ristretta cerchia di persone che il potere di esercitare quel diritto lo aveva davvero.››

‹‹E cosa dovrebbe significare questo?››

Anakin non esitò. ‹‹Bè, siete tanto ingenuo da credere che in una galassia in cui vige ancora la schiavitù fossimo tutti uguali prima dell’impero? Io dico che non c’è stata, e non ci sarà, alcuna differenza nello status dei cittadini. Non eravamo uguali, signor Naberrie. Io almeno non lo ero. Eravamo i sudditi di un’altra nobiltà, la casta politica, e voi ne facevate parte. La maggior parte dei senatori stava lì, tutta corrotta, a tramare contro i cittadini che dovevano difendere. La repubblica era totalmente ineffettiva. Forse per voi cambia tutto, ma per un contadino di Dantooine o un operaio di Corellia, credete che cambi qualcosa? Secondo voi avevano un potere realmente maggiore di quello che hanno adesso? Secondo voi erano più liberi?  Io ragiono con le cose concrete, degli ideali non so che farmene.››

Più tardi, quando furono nella camera degli ospiti, Anakin fu in umore di scuse.

 ‹‹Mi dispiace aver rovinato la serata. Forse avrei dovuto…non so.››  

Padmé lo osservò dallo specchio della toilette alla quale si stava pettinando. Era seduto sul bordo del letto con la testa bassa e un'aria generale di abbattimento; quando non ebbe risposte, si passò una mano tra i capelli e si lasciò andare all'indietro, sprofondando nel letto. Padmé continuò a spazzolarsi i capelli. Con metodo e con calma: voleva sciogliere tutti i nodi, come se sciogliendo quelli tra i capelli potesse sciogliere quelli che si trovavano dentro la sua testa. E si rifiutava di parlare di quella assurda conversazione che si era tenuta in soggiorno, e aveva sigillato la definitiva sfiducia dei suoi parenti nei confronti di Anakin.

‹‹Dì qualcosa, Padmé.››

‹‹Cosa vuoi che dica?››

Il suo tono era irritato. O demoralizzato. ‹‹Cosa ne pensi. Non mi piace sapere che Ruwee mi odia. Tutta la tua famiglia mi odia. Ma non sono sorpreso. Me lo immaginavo.››

Padmé posò il pettine e inspirò profondamente. ‹‹Mia madre non ti odia,›› disse alla fine, scegliendo con cura le sue parole. ‹‹Ryoo e Pooja non ti odiano. Sola…lei non odia nessuno. E’ solo molto confusa. E spaventata. Mio padre…››

‹‹Ha ragione.››

Padmé si girò per guardare il vero Anakin, e non il suo riflesso sullo specchio. All'improvviso si sentiva confusa. Era la prima volta, da quando tutto era successo, che Anakin concedeva qualcosa ad un avversario. ‹‹Perché lo dici?››

La voce di Anakin fu molto bassa e quieta quando rispose. C'era una vena, quasi impercettibile, di infantile petulanza nel suo tono. Fu quel dettaglio che le ricordò, come qualche volta le succedeva ancora, che suo marito era giusto un ragazzo di ventitrè anni. Ancora prima di sentire le sue parole, qualcosa, di caldo, e dimenticato, le affiorò in gola. ‹‹Non sono totalmente…ingenuo. Ci sono momenti…quando sono con i bambini, capisci?, li tengo in braccio e loro sono così innocenti, ed è come se non riuscissi a pensare che io sono il loro padre. Ci sono momenti in cui non so se...lascia stare. Sono troppo stanco per fare discorsi intelligenti.›› Rimase zitto.

‹‹Mi interessa quello che dici,›› disse piano Padmé. Da quando le loro vite erano state sconvolte dal passaggio di un violento uragano era la prima volta che Anakin le parlava dei suoi sentimenti con onestà. Erano confusi, inarticolati, gettati insieme in un abbozzo di confessione, eppure Padmé sapeva che erano assolutamente preziosi. Che se non ne avesse fatto tesoro, sarebbero stati persi per sempre. E nessuno di loro due poteva permetterselo.

S'alzò e si avvicinò al letto. Lo guardò: Anakin teneva gli occhi chiusi, e i suoi capelli biondi erano tutti sparsi sul lenzuolo bianco. La tunica era slacciata sul petto. Era così giovane. Si stese sul letto accanto a lui, e puntellando un gomito tenne la testa sollevata sulla mano per continuare ad osservarlo.

‹‹Cosa fai?›› chiese Anakin senza aprire gli occhi.

‹‹Sto un po’ con mio marito.››

Anakin aprì gli occhi stavolta, ma non la guardò. Fissò, con i suoi occhi malinconici, il candelabro appeso al centro della stanza. ‹‹È da un po’ che non si faceva.››

‹‹Sì.››

Da quando erano nati i gemelli, Padmé aveva scelto di credere che la loro relazione fosse migliorata, e superficialmente poteva accettare che fosse successo. Ma come potevano essere guariti, se ancora le ferite di entrambi bruciavano appena spegnevano le luci, e nessuno dei due osava toccare l'altro, o parlare del male che si erano fatti?

‹‹Mi dispiace.››

‹‹Non si può dire che viviamo vite semplici.››

Un mezzo sorriso si dipinse sul volto di Anakin. ‹‹Due gemelli effettivamente non sono un gioco da ragazzi.››

‹‹Lo sai a cosa mi riferisco.››

Stavolta, Anakin la guardò, con una certa ottimistica tenerezza. Era un'espressione che Padmé non vedeva da secoli.

Allungò la mano sinistra, quella libera, verso i capelli biondi del marito e glieli accarezzò. ‹‹Mi piace quando mi parli davvero,›› gli disse, continuando a passare le dita tra le sue ciocche morbide. ‹‹È da tanto che non lo facevi.››

Anakin le fermò la mano sui suoi capelli e gliela accarezzò.

Padmé rilassò il gomito, e abbassò la testa allo stesso livello di quella del marito.

‹‹Non sono stato un buon marito, queste ultime settimane.››

‹‹Ti perdono.›› 

La sua mano non smise di accarezzarle il palmo. ‹‹Non lo dire, se non lo credi davvero.››

E poi Padmé non ebbe più parole da dire. Si sporse in avanti, catturò il suo viso tra le mani e lo baciò. Non pensò più, nè volle farlo: all'improvviso, l'unica cosa che voleva era divorarselo tutto. Una fame voluttuosa s'impadronì di lei nel giro di un istante, e c'era solo una maniera per placarla. Quanto le era mancato quel suo marito strano, meraviglioso e terribile? Oh, c'erano delle voci nella sua testa che le dicevano di fermarsi e di non cedere; tentavano di farle ricordare quello che era successo tra loro, le passate offese, i futuri crimini, la generale infelicità di cui s'erano nutriti tutte quelle settimane. Quelle voci urlavano, ma non le importava. Padmé spense il lato razionale del suo cervello e lasciò che il suo corpo diventasse tutta sensazione; l'unica cosa che desiderava realmente era la sua pelle, i suoi baci, i suoi capelli, la sua mano di carne, la sua mano di metallo. Quando Anakin li rovesciò entrambi e fece sbattere la sua schiena contro il materasso e le sue grandi mani trovarono l'orlo della veste, Padmé sorrise.

La mattina dopo, rimasero abbracciati finché il sole non riscaldò loro le schiene. Tutta la stanza era immersa in un dolcissimo baglior crema, e fuori si vedevano le cupole bluverdi dei palazzi di Theed e i voli circolari degli uccelli. Rinvenne con calma dal torpore, e s'accorse, con un moto di sollievo, di non essere pentita per quello che aveva lasciato succedere quella notte.

‹‹Adoro Naboo,›› riflettè sonnacchioso Anakin, infilandole un ricciolo sparso dietro l’orecchio.

‹‹Anche io.››

‹‹Un giorno voglio chiedere la cittadinanza.›› Il suo sorriso era divertito.

‹‹Ne hai il diritto. Sei sposato con una naboo. Hai due figli di cittadinanza naboo. Se tu volessi…›› Le sue parole si persero nell’aria rilassata della stanza, e non erano tanto importanti.

L’espressione di Anakin si fece seria. ‹‹Dovresti rimanerci, quando io sarò andato via. Qui a Naboo, dico. Ti farebbe bene. Ti fa già bene…›› Tracciò con un dito le occhiaie sotto gli occhi di Padmé, e poi le accarezzò la guancia. ‹‹Richiama le tue ragazze da Coruscant, organizza una cameretta nella nostra casa, su ai Laghi. Li potrai portare tutti i giorni tra le vigne…in spaggia…ovunque.››

Padmé sorrise, tirando un po’ il lenzuolo di lino sulle loro figure nude. Il suo piede trovò un posto comodo tra le gambe di Anakin. ‹‹Forse avranno la stessa avversione alla sabbia che hai tu, e la spiaggia non vorranno vederla nemmeno in cartolina.››

‹‹Nah. Non sono nati a Tatooine. Qui è tutto diverso.›› 

‹‹Un giorno voglio che conoscano anche Tatooine,›› riflettè Padmé dopo un momento. ‹‹Per sapere dove stai andando devi sapere da dove vieni.››

Anakin si girò sulla schiena e fissò il soffitto. Sembrava poco convinto. ‹‹Se vieni da Tatooine non c’è molto da sapere. C’è solo sabbia e deserto. Se sei fortunato, cavi acqua dal nulla in mezzo al nulla. E se sei sfortunato, ti capita di essere uno schiavo di qualche lumacone.››

Era un discorso che Padmé aveva sentito molte volte, ma aveva la  netta impressione che ci fosse qualcos’altro sotto a quel continuo rinnegare il suo pianeta d’origine. Per lei era inconcepibile: di Naboo aveva una costante nostalgia.

‹‹Non hai mai avuto nostalgia di Tatooine? Proprio mai?››

Anakin fece spallucce. ‹‹Prima. I primi anni mi mancava tutto. Tutto tranne la sabbia, certo. Dopo la morte di mia madre no. Non ho niente da cui ritornare, capisci?››

Fu quasi mezzogiorno quando Anakin portò fuori le valige e i bambini dopo qualche tesa parola di addio e lasciò che Padmé salutasse in privato i suoi genitori.

‹‹Se hai bisogno di aiuto con i bambini, non ti fare scrupoli a chiamarci,›› disse Jobal, accarezzando il volto della figlia. La abbracciò un’ultima volta con le lacrime agli occhi. ‹‹Prenditi cura di te e dei bambini, tesoro.››

Ruwee l’abbracciò subito dopo, con un’intensità che Padmé non si sarebbe aspettata, considerato il comportamento freddo del padre la serata prima. ‹‹Anche se non sono stato una buona compagnia, ieri sera,›› le disse, nascondendo a stento la commozione, ‹‹sappi che un padre si sente completo soltanto quando ha tutti i suoi figli accanto a se. E io non mi sentivo completo da tanto tempo.››

E adesso Padmé capiva cosa voleva dire. Stare vicino ai suoi bambini era un desiderio costante, il contatto fisico con loro un bisogno essenziale quanto respirare e bere. Quante cose, che prima le erano apparse un eccessivo sentimentalismo ‘da genitori’, adesso erano non solo comprensibili, ma anche condivise di cuore!

‹‹E i bambini sono meravigliosi,›› continuò Ruwee. ‹‹Leia è splendida, e Luke…cielo, ho un nipote maschio!››

Padmé girò gli occhi al cielo con finta irritazione. ‹‹Papà…››

‹‹Stammi bene, piccolina.››

E nel breve viaggio da Theed fino a Varykino Padmé aveva pensato e ripensato al padre e alla madre, sentendosi mai come allora parte di quella famiglia e desiderosa di trasmetterne lo spirito alla sua nuovissima.

Il pensiero l’aveva animata tutti quei giorni lì nella loro villa. Imparando a conoscere i suoi bambini stava imparando a conoscere anche se stessa; allo stesso tempo, studiava il comportamento di Anakin, e cercava di capire cosa gli passasse per la testa. Era gentile e riservato insieme. Più di una volta lo aveva colto sovrappensiero; quando guardava i bambini, sembrava non essere più lì con loro, ma da qualche altra parte. Passavano le notti insieme, e quando facevano l’amore lui era lì, nel momento, assieme a lei; la mattina dopo la guardava come se qualcosa lo turbasse nel profondo. Sicuramente c’era molto del suo comportamento che Padmé non aveva notato: dopotutto, da lei dipendevano due neonati. Passava la maggior parte del giorno in una nebbia confusa, tra poppate e stanchezza terrificante; e qualche volta pensava che il curioso comportamento di Anakin fosse dovuto più alla mancanza di sonno che a cupi rimuginamenti sulla loro vita.

Ad ogni modo, mentre si rilassava assieme alla sua famigliola in campagna, Padmé non sentiva nessun affaticamento. Soltanto un vago senso di urgenza, e la consapevolezza al fondo dello stomaco che quei momenti tranquilli stavano per finire, travolti dalla prossima missione di Anakin.

‹‹Non mi hai ancora detto quanto dovrai stare via,›› osservò Padmé, che adesso si era seduta accanto alle ceste e osservava i suoi bambini riposare. La sua mano destra era bloccata all’interno della culla di Leia: la bimba infatti aveva deciso di usare il mignolo della madre come rudimentale orsacchiotto e non aveva alcuna intenzione di lasciar andare la presa. Chi lo sapeva che i neonati avevano tanta forza nelle loro manine?

Anakin sospirò. ‹‹Non te l’ho detto perché non lo so.››

‹‹Non hai la minima idea?››

‹‹Qualche mese. Non più di tre, quattro.›› Quando vide l’espressione di Padmé immediatamente aggiunse, ‹‹Ma anche molto meno. Non dovrebbe essere una cosa lunga…ma l’imperatore non ha voluto spiegarmi in dettaglio cosa dovrò fare quando sarò nel Bordo Esterno…››

Padmé ghiacciò. ‹‹Quando tornerai non ti riconosceranno più…››

‹‹Lo so. Mi fa impazzire.››

‹‹Ma sono piccoli,›› offrì Padmé un attimo dopo. ‹‹Non farà alcuna differenza. A quest’età non si ricordano nulla.››

‹‹Hai ragione. Il problema è che…›› Anakin si avvicinò, e accarezzò con un dito la guancia della loro bambina addormentata. ‹‹Il problema è che non so come farò a resistere senza di voi. Come faccio…come faccio a separarmi da loro quando sono così piccoli? Mi spezza il cuore.››

‹‹Non sarà la stessa cosa, ma potrai vederli quando vorrai. E loro vedranno te e sentiranno la tua voce, così quando ritornerai a casa non sarai un…perfetto estraneo. E gli parlerò sempre di te.››

Anakin sorrise. Si sporse in avanti per baciarla.

‹‹So quanto ti costa.››

Padmé ne dubitava. Anakin non poteva nemmeno iniziare a capire quanto la nauseasse nel profondo tutta quella faccenda del sedare la ribellione spontanea nata in un settore remoto dell’Impero. Anakin ovviamente sarebbe stato impiegato come arma decisiva: e quando sarebbe tornato da lei, perché sarebbe tornato, sulle sue mani ci sarebbe stato il sangue delle persone massacrate mentre difendevano l’ideale che Padmé condivideva.

Sì, Padmé era nell’intimo una ‘Ribelle’, come venivano chiamati genericamente tutti quelli che avevano espresso la benché minima remora nell’accettare totalmente l’egemonia del neonato impero.  

Apprezzava l’ironia di essere una Ribelle nell’animo, se non nei fatti, sposata con il secondo uomo più importante nella gerarchia dell’impero: sembrava la trama di un libro, e se conosceva abbastanza come funzionava la Storia e l’editoria, un giorno probabilmente lo sarebbe stato.

Avendo due bambini piccoli, Padmé non osava contattare nessuno di quelli che con ogni probabilità in quelle stesse ore iniziavano a concepire dei piani: non aveva contattato nessuno, nemmeno Bail Organa, che una volta le era stato amico, e adesso sembrava essersi dimenticato di chi lei fosse (anche se vivevano esperienze simili: a quanto pareva, il senatore di Alderaan aveva adottato da pochissimo una bambina).

Avendo due bambini piccoli, Padmé aveva deciso, razionalmente e freddamente, di desistere per quei mesi, a scadenza indefinita, da qualsiasi azione che sarebbe potuta essere considerata sovversiva, e di desistere (sacrificio assai più grande) dal ragionare e dal tentare di intavolare discussioni col marito: perché se avesse continuato a vivere nella maniera in cui aveva vissuto le settimane precedenti alla nascita dei gemelli sarebbe impazzita, e con due bambini piccoli, che dipendevano da lei, e a breve sarebbero dipesi soltanto da lei, Padmé semplicemente non se lo poteva permettere.

Era una cosa nauseabonda e lo sapeva. Non che non provasse una buona dose di disgusto verso se stessa. Aveva chinato il capo, almeno per un po’.

La sua unica giustificazione, per quanto debole, era che non poteva più pensare soltanto a se stessa e ai suoi ideali: adesso c’erano due bambini, che meritavano di avere una buona madre, serena e sana di mente.

E poi guardava Anakin, capelli biondi e occhi blu innamorati, e il suo cuore si spezzava ancora: come poteva tradirlo, quando lui non aveva altri che lei, in tutta quella Galassia? No, a costo di tradire se stessa, Padmé gli sarebbe rimasta vicino. C'erano ancora tante cose meravigliose da essere trovate dentro di lui, e lei le avrebbe trovate. Insieme avrebbero ritrovato la strada giusta, qualunque fosse, dovunque portasse.

~*~

N/A: Capitolo ponte tra i due atti - avevo la netta impressione di dovercelo inserire. Inoltre, ogni occasione è buona per inserire un po’ di fluff in mezzo a tempi tanto strani e turbolenti :) Per i prossimi capitoli potrebbe passare un po' (una settimana?)...devo infatti risolvere i nodi della trama e completare l'outline fino alla fine, altrimenti non riesco a lavorare con tranquillità. Che strana cosa scrivere una long (e questa mi sa che sarà una long-long) fic.

                    Padme Undomiel: :)))

                                  





 
  
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