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Autore: verolax    03/05/2010    3 recensioni
*** PRIMA classificata al contest "'Cause girls want... Bad Guys" indetto da the forgotten dreamer sul forum di EFP e vincitrice dei premi speciali Tears, Best Bad Guy e Aforisma*** Uno sconosciuto jichuuriki incontra il misterioso Itachi, e... la loro storia avrà un epilogo del tutto particolare.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fiction si è classificata PRIMA al contest “’Cause Girls Want… Bad Guys” indetto da the forgotten dreamer sul forum di EFP. Si è inoltre aggiudicata tre premi speciali:

Premio “Tears per la storia più commuovente

Premio “Best bad guy per il miglior personaggio maschile

Premio “Aforisma” per il miglior utilizzo della frase

Ringrazio TANTO forgotten per il magnifico commento e tutti i premi speciali; il giudizio lo allego in fondo, alla fine della storia.

 

Veleno Interiore

 

Il mio nome è Riomi Miazuke e credo di essere giunta al termine della mia breve vita.

Sono un ninja di altissimo livello, preparata dal Villaggio del Suono; sono un jinchuuriki e la mia forza è tremenda; posso contare su una quantità di chakra fuori dal comune; ciononostante, sto per soccombere al mio avversario.

Lui combatte con rabbia, come se non avesse nulla da perdere. Nero come la notte che lo avvolge è il suo mantello; corvini e taglienti i suoi capelli, che a volte nella foga della lotta ricadono sulla fronte pallida arrivando fino agli occhi. Quegli occhi: sono in grado di indovinare ogni mia mossa,minacciano di incenerirmi in un istante, possono togliermi la ragione con un unico, rapido battere di ciglia.

 Il mio avversario mi ha bloccato con le spalle al muro. La sua stretta è così potente da togliermi il respiro; annaspo alla ricerca d’aria e mi impongo di non osservarlo in volto, nonostante la curiosità di incrociare gli occhi di colui che mi ha in pugno. La voglia di comprendere l’avversario è più forte per me della sconfitta; non ho paura della morte e lui lo percepisce. È così vicino che posso sentire il suo respiro caldo sfiorarmi le guance; i suoi denti sono serrati e l’aria esce sibilando dalle nari rendendolo simile ad una bestia furiosa. Potrebbe infliggermi il colpo mortale in qualsiasi momento.

“Adesso tu vieni con me,” ringhia; è la prima volta che mi rivolge la parola e mio malgrado mi ritrovo ad osservare come la sua voce sia calda, profonda, in contrasto con la sua furia cieca e senza nome.

Il tocco della sua mano sul mento mi fa rabbrividire: le sue dita sono fredde e la forza che riesce ad imprimere in un gesto così semplice mi stupisce profondamente. Non oppongo resistenza, so di non poterlo fare;  finisco per allacciare il mio sguardo al suo. Mi preparo ad incassare il colpo tremendo del suo Sharingan Ipnotico, ma capisco subito che non è quella la sua intenzione: i suoi occhi sono liberi dal rosso assassino, e mi restituiscono uno sguardo truce ma profondo, un misto di rabbia e determinazione. In un angolino nascosto delle sue pupille, leggo persino un sentimento di velenosa soddisfazione: quella di aver battuto un avversario valoroso, di aver bloccato il jinchuuriki con le spalle al muro. Di avermi in suo potere.

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Partecipo per la prima volta ad una riunione dell’Akatsuki: all’interno di una grotta buia, gli uomini di nero vestiti parlano in tono grave, restando in piedi, mentre io siedo al centro del cerchio formato dai loro corpi, le gambe incrociate, vestita appena di una leggera maglia bianca e sottili pantaloncini verdi.

Tobi sta spiegando agli altri il motivo del mio reclutamento. Ho accettato velocemente di far parte dell’organizzazione perché non avevo altra scelta: il mio destino era comunque segnato.

Al termine della riunione Itachi mi lancia un mantello identico al suo. Lo accolgo con gratitudine: mi sentivo nuda ai loro sguardi, spogliata di forza dai loro occhi rapaci. L’unica donna dell’Akatsuki.

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È l’alba; non ho chiuso occhio, stanotte. Mentre gli altri dormono ancora, mi libero del sacco a pelo ed esco a prendere i primi raggi di sole.

L’aria è fresca e frizzante e ne assaporo la lieve carezza sul volto. Muovo qualche passo in direzione di un torrente che scorre a pochi metri dalla grotta che utilizziamo come base; poi, lo vedo.

È appollaiato come un corvo su una roccia appuntita, torvo nel suo mantello troppo largo che nasconde al mondo le sue vere forme; feroce nella curva rapace delle sue spalle; impietoso nella sua surreale immobilità. Blocco all’istante ogni movimento del mio corpo e riduco al minimo le emissioni di chakra: voglio restare ad osservarlo in silenzio, senza che lui possa accorgersi della mia presenza.

Noto ogni particolare della sua figura: i capelli nerissimi, raccolti in una lunga coda, che ricadono scomposti sulle spalle strette, il bavero alto che nasconde l’esile collo, la curva disegnata dalla sua schiena che denota la scomodità della sua posizione; mi domando perché abbia scelto proprio quella roccia, quando potevano esservi un milione di posti migliori sui quali sedersi. Non si è accorto di me, quindi potrebbe rilassarsi nella sua solitudine, ma evidentemente non ne è capace. La sua perenne, velenosa inquietudine interiore non glielo permette. È un uomo misterioso, incomprensibile per me: mi ritrovo a chiedermi quale sia il suo segreto.

Sono così assorta in tali considerazioni che non mi rendo conto che ha notato la mia presenza fino a quando non mi rivolge la parola.

“Hai intenzione di stare lì ad osservarmi ancora per molto?” chiede con tono di disprezzo.

Non sono in grado di rispondere immediatamente, tanta è la sorpresa che provo. Credevo di essere riuscita ad annullare ogni traccia della mia presenza, ma avevo sottovalutato la potenza dei suoi sensi sempre all’erta.

“Hai ragione, scusami. È che non credevo di trovarti qui,” dico mettendo insieme a caso le prime parole che affiorano alla mia mente.

“Neppure io”.

Così dicendo si alza e fa per allontanarsi: è chiaro che preferisce restare solo.

“Aspetta,” dico stupendomi di me stessa: la mia bocca si è mossa da sola, senza chiedere il permesso al cervello. Non sono donna da imporre la mia presenza a chi non la desideri, anzi per la verità sono generalmente io stessa ad evitare il contatto umano; ma Itachi mi incuriosisce oltre ogni limite. Si potrebbe persino dire che mi attrae.

Volta appena la testa per rivolgermi uno sguardo obliquo: si aspetta che continui la frase.

“Raccontami qualcosa di te”, sputo fuori di getto, maledicendomi nel medesimo istante in cui le parole fuoriescono dalla mia bocca.

Il suo sguardo si accende d’improvvisa malignità. Le labbra si scostano dai denti per scoprire un ghigno perverso; capisco che pregusta già la gioia di rispondermi duramente.

“E chi saresti tu perché io ti racconti qualcosa di me?”

Terminata la frase, svanisce in un turbinio di corvi neri come la sua anima.

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L’Akatsuki mi affida la prima missione. Vogliono mettermi alla prova, così incominciano con un compito relativamente semplice: una vendetta. Procedo sola attraverso la foresta alla ricerca dell’uomo che mi è stato indicato, ma penso ad Itachi che è partito per un’altra missione – ben più ardua - con il suo fido compagno Kisame. Quell’uomo è orribile e lo detesto: gli occhi piccoli e cattivi, la pelle squamosa, i denti aguzzi sempre scoperti e quel ghigno onnipresente sul volto grigiastro.

Niente a che vedere con Itachi: anche i suoi occhi sono malvagi, ma nascondono una profondità ben diversa. Anche il suo ghigno ha un che di spaventoso, ma rivela un’anima sofferente, sotto l’apparente maschera di indifferenza; entrambi provano gusto nell’uccidere, entrambi sono spietati e perversi; ma oltre a questo, Itachi possiede molto di più. Kisame è solo un assassino senz’anima. Itachi l’anima la possiede, per quanto nera e avvelenata.

Una vita senz’anima non può essere vissuta; nascosta sotto una coltre d’illusione giace l’estasi contorta di un dolore; la dama interiore di nerovestita turba l’animo del peccatore senza colpe; l’uomo trema e si contorce sotto il peso della ragione.

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Sono rientrata alla base ormai da due giorni, e non v’è ancora traccia di Itachi; mio malgrado, inizio a preoccuparmi. È l’unico membro dell’Akatsuki di cui mi importi qualcosa, e non so nemmeno perché. Detesto ammetterlo, ma vorrei che tornasse sano e salvo. Come posso essere… no, non è possibile: dev’essere una sorta di rispetto che nutro per lui; del resto, è stato il primo ninja in grado di battere la forza spaventosa del mio chakra.

Trascorrono altre ventiquattr’ore prima che si abbiano notizie di Itachi. Siedo con i piedi immersi nel ruscello, quando il mukenin della Foglia si materializza in uno scintillio di nere ali di corvo: lo fa vicino all’ingresso della caverna, e subito dopo si accascia esanime. Deidara sibila qualcosa che suona molto come un’imprecazione e si avvicina per verificarne le condizioni: io non oso muovermi dalla mia posizione, non voglio mostrare il mio interessamento. Eppure dentro di me si è rotto qualcosa.

Itachi viene portato nella grotta. Passano alcuni minuti, durante i quali sono appena in grado di spostare i miei piedi fuori dall’acqua e di farli asciugare, agendo meccanicamente e senza riuscire a puntare lo sguardo su nulla a parte le pietre levigate ai margini del ruscello; poi, finalmente, la voce di Deidara. Si avvicina rapidamente; confabula con qualcuno che non riesco a sentire né vedere. È solo il biondo dinamitardo ad avvicinarmi per fornire una laconica spiegazione al mio cervello, che al momento rassomiglia terribilmente ad un ingranaggio inceppato.

“Itachi è malconcio, ma se la caverà,” mi informa, quasi scocciato di dovermi portare un simile messaggio; si allontana di qualche passo, scosta il ciuffo biondo dall’occhio meccanico e si volta nuovamente per scrutare il mio volto.

Forse vi si legge il sollievo che sto provando, penso con lieve imbarazzo.

Kisame, invece, non tornerà,” precisa Deidara, fissandomi col suo occhio inquietante come attendendo un ulteriore responso  del mio volto; evidentemente, è soddisfatto del risultato prodotto dalle sue parole, perché accenna un mezzo sorriso sarcastico e rientra alla base senza più voltarsi.

Io resto a domandarmi se il mio volto abbia lasciato trapelare la gioia per la morte di Kisame più del sollievo provato alla notizia che Itachi sarebbe guarito.

Deidara si blocca dopo aver mosso i primi passi nel buio della caverna, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa. Non riesco a delineare bene i contorni del suo corpo nel contrasto tra il luminoso pomeriggio esterno nel quale mi trovo immersa e la nera cavità in cui si è addentrato Deidara.

“Ah, dimenticavo,” dice in tono canzonatorio; “d’ora in avanti, sarai tu a fare coppia con Itachi”.

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 Io e Itachi procediamo a passo svelto, saltando di ramo in ramo con le braccia rivolte all’indietro. Lui è sempre mezzo metro avanti a me e scruta silenzioso la foresta alla ricerca della strada migliore da percorrere.

È una missione difficile, la nostra: la stessa che ha ucciso Kisame e che ha costretto Itachi ad un forzato riposo di due settimane. Dobbiamo eliminare una squadriglia di ninja molto esperti che si è fatta venire la brillante idea di contrastare i piani dell’Akatsuki.

Tento di raccogliere informazioni sui nostri avversari, ma Itachi è uomo di poche parole e rende il mio compito decisamente arduo.

“Quanti sono?” chiedo ad un tratto, squarciando il silenzio della foresta deserta.

Una lunga pausa durante la quale Itachi sembra pensare se sia il caso di rispondermi oppure di tacere: evidentemente, prevale la sua professionalità rispetto alla naturale avversione per il contatto umano, perché si degna di rispondermi.

“Sono cinque,” mi informa laconico prima di richiudersi in un ostinato silenzio.

Attendo qualche istante prima di rilanciare: “Quali tecniche utilizzano?”

Sbuffa rumorosamente: l’ho già annoiato. Accelera il passo per aumentare la distanza tra noi, ma io lo raggiungo in pochi balzi.

“Ho bisogno di sapere: come faremo altrimenti a batterli?” il mio tono è volutamente neutro, ma temo di non essere riuscita a nascondere almeno parte della stizza che riesce a procurarmi. Del resto, non sto certo chiedendogli la storia della sua vita, come purtroppo ho fatto durante il nostro primo incontro non belligerante… dopotutto, sto domandandogli vitali informazioni sui nostri avversari!

“Mi pare di averti già detto tutto,” abbaia; scarta lateralmente cambiando rotta, sperando forse di distanziarmi ancora. Temo non abbia compreso che sono velocissima e che la quantità di chakra che possiedo mi consente di mantenere un’andatura sostenuta per periodi molto lunghi.

Atterro appena un passo dietro di lui: dal modo in cui indurisce le spalle intuisco che c’è un’altra cosa che non ha capito di me, cioè che so essere particolarmente ostinata, quando voglio.

“Itachi, te lo domando per l’ultima volta. Quali tecniche di combattimento utilizzano i nostri avversari?”

Questa volta, il mio tono è ben lontano dall’essere neutro.

Itachi, che si è fermato a riprendere fiato, spicca un salto dando il via ad un nuovo inseguimento.

Sono ostinata, d’accordo; ma capisco anche quando è il momento di smettere. Decido che le informazioni che mi ha fornito durante l’ultima riunione dell’Akatsuki alla grotta mi saranno sufficienti per incominciare la lotta; il resto lo scoprirò direttamente sul campo. Trovo oltremodo stupido che per rimanere chiuso in se stesso Itachi si rifiuti di collaborare con il suo nuovo compagno, ma in realtà so che non avrei potuto aspettarmi nient’altro da lui.

Il nostro viaggio procede silenzioso per tutto il giorno fino a che il rosso arancio del tramonto non lascia il posto al grigio azzurro del crepuscolo.

Con la stessa velocità con cui sfrecciava tra i rami, Itachi si lascia cadere in una piccola radura.

“Il viaggio è ancora lungo,” dice; “per stanotte ci fermiamo qui”.

Credo che sia la frase più lunga che mi abbia mai rivolto.

La notte ha ormai steso il suo nero velo di seta sulla terra addormentata; io e Itachi sediamo uno di fronte all’altro come due sconosciuti che si osservino prima della lotta.

“Se vuoi, puoi riposare un po’; io resterò di guardia”, azzardo io, più per rompere il silenzio che altro.

“No”.

“Davvero: io non ho sonno, per adesso”.

“Ti ho detto di no”.

Sposta nervosamente il peso dal lato destro a quello sinistro. So che sarebbe meglio non insistere, ma credo che sia opportuno riposare, prima di una battaglia importante; e credo anche che lui ne abbia più bisogno di me, dato che è appena guarito da ferite importanti.

“Vorrei sapere perché ti ostini tanto,” domando seccata.

Lo vedo serrare i pugni nel tentativo di controllarsi. L’ho nuovamente fatto arrabbiare: non che ci voglia molto impegno per riuscirci.

Non risponde.

“Itachi, potresti almeno rispondermi?”

Capisco che lo sto irritando oltre ogni misura, ma lui ancora non risponde e mi sto irritando anch’io.

Alla fine, sbotto: “Se dobbiamo essere compagni di squadra devi considerarmi tua pari. Devi rispondermi e portarmi rispetto. Chiaro?!”

L’ultima parola ha assunto un tono minaccioso che lo costringe suo malgrado ad osservarmi con un misto di sorpresa e disprezzo.

“Tu non sarai mai come Kisame!” ruggisce a denti stretti; detto questo, srotola il suo sacco pelo e vi si sistema sopra distendendosi su un fianco in modo da darmi le spalle.

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Sono passate alcune ore e la notte si è fatta più profonda e silenziosa; tengo gli occhi puntati sulla schiena di Itachi che non ha mai mosso neppure un muscolo in tutto questo tempo. È chiaro che è sveglio. Lo detesto perché non si fida di me, eppure la certezza che non stia dormendo mi scatena un’insana voglia di parlargli, di estorcergli qualche altra sillaba, per quanto pronunciata con tono rude; mi piace la sua voce, mi piace quando mi guarda con gli occhi velati di una profonda e innominabile tristezza, quegli occhi nero pece che si portano dentro, perenne, il rimpianto senza volto di una colpa lontana nel tempo, ma viva nel ricordo del dolore. È fintamente insensibile, il combattente senza volto, il mukenin dal cuore avvelenato; trascina un’esistenza vuota e fragile come cristallo, pronta a frantumarsi in mille e mille pezzi se vi si esercita pressione nel punto giusto.

Mi incuriosisce molto Itachi Uchiha, è impenetrabile e misterioso come una notte senza luna.

Mi piace molto Itachi Uchiha, il guerriero sopravvissuto; è diverso da tutti gli altri.

E allo stesso tempo, lo odio perché mi tratta come nessuno ha mai osato trattarmi; io, che nascondo sigillato al mio interno il Demone più potente, il Leone a Dieci Code!

… e nonostante questo, ti ha battuto. Come ha potuto? È stata una lotta dura, infinita. Eppure, allo stremo delle forze, ti sei arresa… è forte, certo. Ma tu lo sei di più. Come è andata veramente? Ti sei arresa a lui, sciocca, stupida, sconsiderata. Ti piace: ti sei voluta arrendere. Sei una sciocca, un ninja non deve, non può, non è autorizzato… Riomi, sei una sciocca.

Resto seduta con le ginocchia appoggiate al petto, meditando una segreta vendetta contro la parte di me che mi ha fatto cedere nella lotta contro Itachi, quel giorno; lo sguardo vaga liberamente tra le pieghe del mantello del mio compagno, seguendo la linea bianca che contorna le nuvole rosse, perdendosi nel nero baratro che le divide l’una dall’altra; l’occhio, soffermandosi sulle morbide curve disegnate dalla stoffa nei punti in cui non è tesa dai muscoli sottostanti, è libero di immaginare ghirigori fantastici; un intero mondo in miniatura si dispiega davanti alla mia pupilla dilatata per l’oscurità. È quasi come immaginare di vedere forme umane o animali nelle soffici e bianche nuvole: nella trama del tessuto, la fantasia cuce terribili guerrieri ninja impegnati in scontri all’ultimo sangue, bestie dalle mille code che sputano chakra infuocato, mostri fantastici che pasteggiano con le viscere delle loro vittime… ma in mezzo a questo circo di stranezze partorite dalla mia mente, c’è sempre lui. Itachi Uchiha dallo sguardo fiero, Itachi Uchiha col suo ghigno immobile, Itachi Uchiha con la sua immensa ed innominabile tristezza.

Più ci penso e più mi detesto: Itachi mi ha colpito subito. Le sue tecniche, la sua determinazione, il suo coraggio. Non ho mai incontrato un avversario così valido prima d’ora. Forse potevo batterlo, ma non ho mai tentato davvero di farlo. Stupida. Ed ora, non paga della mia indicibile stoltezza, mi arrendo a lui anche psicologicamente; mi sto lasciando soggiogare, stregare, ammaliare da lui. Dalla sua solitudine profonda, dai suoi occhi ora neri, ora rossi, dal suo inquieto veleno interiore che risale sobbollendo verso la superficie quando lui si sente minacciato da un contatto umano non desiderato.

Mi spaventa Itachi Uchiha, e tuttavia ne sono attratta.

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Dopo ore ed ore di interminabile tormento interiore, divisa tra l’attrazione per Itachi e la consapevolezza di avvicinarmi a lui come ad un baratro senza fondo, finalmente l’orizzonte schiarisce le sue tenebre. Non appena il lieve chiarore si fa più diffuso, il mukenin della Foglia si alza di scatto, ripiegando il sacco a pelo e osservando assorto la montagna che si delinea in lontananza.

“È laggiù che dobbiamo arrivare,” afferma in tono distratto.

“Accidenti, mi rivolgi la parola appena sveglio. Che c’è, ti sei alzato espansivo, stamani?”

Ho deciso di rispondere alla freddezza con l’ironia; mi proteggerà quanto basta per non cadere nelle sue trappole velenose. 

Incredibilmente, lui sorride. Non è capace di sopprimere nella curva delle sue labbra un vago sentore di ironico distacco, ma è pur sempre l’espressione meno truce e rigida che sia mai riuscito a rivolgermi. La registro come una piccola vittoria personale. Forse ho capito come vuole essere trattato Itachi Uchiha.

Eppure, per quanto io sia sempre stata abituata alla solitudine e abbia avuto una quantità decisamente irrisoria di contatti umani, l’ironia non è la mia arma migliore; in tutto il giorno, non mi viene in mente nessun’altra frecciatina da rivolgergli, così il nostro viaggio procede esattamente come ieri, nel più totale ed immoto silenzio. L’unica differenza è che c’è meno tensione nell’aria. Forse Itachi si è rilassato un po’ constatando che per tutta la notte non gli ho dato alcun fastidio, pur sapendo con certezza che era sempre stato sveglio.

È sera quando arriviamo ai piedi della montagna. I ninja nostri avversari hanno il nascondiglio sul fianco ovest, circa a metà strada tra le pendici e la cima.

“Che facciamo, riposiamo ancora questa notte e li attacchiamo domattina oppure proseguiamo e li cogliamo di sorpresa col favore delle tenebre?”

Per la prima volta da che lo conosco, capisco che sta prendendo sul serio le mie parole: non risponde subito, ma assume l’aria assorta di chi soppesa due alternative altrettanto valide.

“Sono molto forti negli attacchi combinati: forse è meglio sfruttare l’effetto sorpresa e tentare di eliminarne almeno uno prima che riescano a sfoderare la loro tecnica più pericolosa, il Pentacolo,” risponde infine, lasciandomi stupita per la sua inaspettata loquacità.

Sto per replicare qualcosa, ma lui aggiunge: “devono essere in cinque per quella tecnica, se manca anche solo uno di loro riusciremo a batterli”.

Proseguiamo dunque inerpicandoci sul sentiero stretto e colmo d’ostacoli: rocce instabili, irte strettoie chiuse tra rovi e spine, passaggi  in cui soltanto la larghezza di un piede ci separa dallo strapiombo sottostante; il nostro cammino è costantemente accompagnato dall’inquietante rumore causato dal distacco di piccole porzioni di pietra che ruzzolano a valle.

Infine, la capanna. Nell’oscurità di questa notte senza luna il chiarore delle stelle nel cielo terso rischiara appena la piana che ospiterà lo scontro. Nessun rumore né luce dall’interno del covo; l’adrenalina inizia il suo viaggio verso il cervello partendo dalle ghiandole surrenali, e io mi irrigidisco nell’attesa della lotta, i sensi all’erta, i pugni stretti per la concentrazione.

Io e Itachi ci scambiamo un cenno d’assenso e spicchiamo un salto all’unisono. Con un calcio lui fa esplodere la porta di legno della capanna mentre io mando in frantumi il vetro dell’unica finestra. È come se fossimo compagni da sempre, tanta è la precisione del nostro agire insieme.

Cinque uomini di nero vestiti scattano in piedi dalle rispettive brande in un unico movimento coordinato: era chiaro che ci stessero aspettando. La capanna è troppo piccola per ospitare sette ninja inferociti, e in breve tempo le sue quattro deboli mura crollano a terra con un tonfo sordo.

La lotta si sposta nella piana.

Itachi sta cercando di bloccare il ninja più corpulento per incenerirlo con l’Amaterasu, ma nel frattempo è costretto a respingere gli attacchi di altri due uomini; io impiego una mano per ciascuno dei miei avversari. Sono molto forti, ma sono io ad avere il controllo della situazione, così come Itachi è perfettamente in grado di reggere lo scontro impari che lo vede solo contro tre velocissimi ninja.

Mentre il mio volto viene sfiorato da una lama di chakra e sono costretta ad abbassarmi per schivarla, Itachi viene scaraventato contro una roccia da un calcio combinato di due ferocissimi avversari; sono mosse pensate ad arte per fornire ai cinque compagni il tempo di raggrupparsi e sfoderare le loro tecniche combinate.

“Non lasciarglielo fare!”, sibila Itachi scagliandosi sul ninja più vicino. Con uno scarto laterale mio porto in direzione di un altro di loro e mi preparo per una delle mie tecniche del Leone: Criniera infuocata.

Effettivamente colpisco il  mio avversario, che si accascia al suolo con un gemito appena trattenuto. Subito un secondo uomo lo soccorre: “Isue!” grida, e rialzandolo lo tocca nel punto colpito dalla mia criniera. La sua è una tecnica d’acqua: pochi istanti di apposizione di ghiaccio sulla ferita e l’uomo torna a combattere come se nulla fosse.

Accidenti. Le tecniche di fuoco servono a poco contro questi due.

So che non devo distrarmi, eppure lo stridio di due lame contrapposte mi costringe a voltarmi verso Itachi:  gli altri tre di cui non mi stavo occupando gli sono addosso, armi alla mano. Itachi li contrasta solo con un kunai; è fisicamente impossibile che possa parare i colpi provenienti da tutti e tre gli avversari.

Senza pensarci un attimo, faccio confluire il chakra nel mio braccio destro. Artiglio a distanza!

L’enorme nuvola azzurrina che fuoriesce dal mio braccio si trasforma in una poderosa  zampa di leone, si stacca da me rimanendo congiunta alla mia mano solo tramite un sottile filo di chakra; va a colpire i tre avversari di Itachi rovesciandoli con un solo, potentissimo colpo.

Faccio appena in tempo a scorgere sul volto di Itachi un’espressione ambigua ed indecifrabile, composta da sentimenti contrapposti quali sollievo, stizza, ammirazione, concentrazione, furia. Mi rivolge appena un accenno di sorriso, col quale sembra volermi dire: “Grazie per avermi tolto d’impaccio; sei forte, dopotutto. Ma non provare mai più ad umiliarmi in questo modo: me la sarei cavata benissimo anche da solo”.

Mi sono distratta nuovamente, accidenti. Un istante di troppo, e due uomini mi sono addosso. Rovino a terra sotto il peso dei loro corpi; come al rallentatore, vedo Itachi  che scaraventa un ninja contro ciò che resta della capanna, mentre un secondo uomo lo attacca lateralmente. Itachi lo respinge senza problemi, ma non si è accorto che l’ultimo membro del terzetto che lo sta attaccando si è portato alle sue spalle.

“ATTENTO,” grido; la mia voce è però soffocata da un pugno allo stomaco sferratomi da Isue. L’uomo della tecnica d’acqua mi blocca entrambi i polsi. Vedo Itachi cadere a terra sotto un colpo violento e mi arrabbio seriamente; sento il chakra ribollire nelle vene e solo con la sua forza scaravento i miei avversari spalle al muro di roccia friabile. Una porzione sopra le loro teste si stacca e minaccia di precipitar loro in testa, ma uno degli avversari di Itachi la blocca con una tecnica a distanza; vedo i cinque scambiarsi un cenno di assenso, mentre Itachi si rialza a fatica; poi, accade in un attimo.

Mi scaglio contro il ninja più vicino, ma gli altri quattro, ormai riuniti, riescono a ghermirlo prima di me; sento la voce di Itachi provenire dalle mie spalle, sta lanciando l’Amaterasu nel tentativo di fermarli all’ultimo istante, ma a nulla valgono i nostri sforzi. Velocissimi gli uomini neri si dispongono in un pentagono di forma molto allungata. Al vertice c’è Isua, in posizione sopraelevata rispetto agli altri. Le loro mani si muovono rapidissime a formare svariate figure in successione. Con la coda dell’occhio vedo Itachi precipitarsi su di me e spingermi lontano dall’epicentro della loro tecnica: nascosti dietro uno sperone di roccia vediamo i cinque vorticare a velocità spaventosa seguendo una forma ellittica, la traiettoria è mutevole e in avvicinamento, ci stanno accerchiando.

“Dobbiamo andarcene di qui,” sussurra Itachi al mio orecchio; alzo lo sguardo verso i suoi occhi, decisa a rispondergli che dobbiamo restare, che possiamo ancora batterli, ma la risolutezza che leggo sul suo volto mi fa desistere immediatamente. Capisco che la nostra è una situazione disperata. Itachi non ha paura, ma nei suoi occhi alberga un’incrollabile certezza. Abbiamo solo due alternative: scappare o soccombere.

Stringe la mano attorno al mio polso fino a farmi male. “Adesso,” dice, scartando lateralmente e trascinandomi con sé, ma è troppo tardi; nello stesso istante cinque voci gridano “Pentacolo!” quasi fossero un’unica entità e ci ritroviamo all’interno dell’ellissi formata dai loro corpi in movimento. Sono così rapidi che neppure lo Sharingan di Itachi è in grado di percepire la loro posizione. In una frazione di secondo capisco perché la loro tecnica è così pericolosa: l’ellissi si sta chiudendo attorno a noi, la sua traiettoria è sempre più stretta, piovono i primi shuriken lacerando i nostri mantelli.

È tutto chiaro, adesso. Non abbiamo scampo.

Guardo Itachi; i suoi occhi rosso fuoco sono l’immagine stessa della furia; tenta disperatamente di agganciare anche solo uno degli avversari con una delle sue tecniche oculari, ma non può nulla contro di loro, ormai. Posso solo rallentare la nostra fine formando uno scudo con il mio chakra; lo faccio per guadagnare qualche istante di tempo.

Lui si accorge di essere all’interno della mia tecnica e per un momento smette di lottare; i suoi occhi tornano neri e mi guarda, muto, l’immagine della sconfitta sul volto scavato e livido.

Serra i pugni ed apre la bocca per dire qualcosa, ma lo fermo ponendogli le dita sulle labbra. Sento il suo corpo scosso da un istintivo tremito: vorrebbe sottrarsi al mio tocco, ma non può farlo perché lo scudo è appena sufficiente per contenere i nostri due corpi vicini.

Prendo un momento per pensare. Penso ad Itachi e a ciò che significa per me. Certamente, è il sentimento più… caldo che io abbia mai provato. Osservo il suo volto scavato da profonde rughe, i suoi occhi brucianti di veleno, le mani rapaci strette l’una attorno all’altra. Ho deciso. Sollevo lo sguardo ad incontrare il suo, la mia espressione è quasi rabbiosa.

“Itachi, adesso io infrangerò lo scudo,” dico in un tono che non ammette repliche; “durerebbe comunque solo un’altra manciata di secondi. Non appena l’avrò fatto, ti devi smaterializzare con la tua tecnica, d’accordo?”

Lui mi guarda interrogativo.

“Io li trattengo, e tu fuggi,” spiego.

Sento che la rabbia lo assale nuovamente. “Non se ne parla nemmeno,” dice.

Il mio scudo sta cedendo; oh, ma questa volta Itachi Uchiha farà come dico io.

L’ultimo istante con Itachi Uchiha. Vorrei dire qualcosa, ma non posso. Ho uno strano nodo in gola. Un pensiero affiora lucido nella mia testa, ma resta inesorabilmente inespresso. Tutto ciò non vale il veleno che sgorga dai tuoi occhi… laghi in cui la mia anima trema specchiandovisi rovesciata… ADESSO.

Rilascio il chakra tutto insieme, lo scudo rientra ed al suo posto compare il mio Artiglio. Prima che Itachi possa realizzare quello che sta succedendo, la mia tecnica lo solleva da terra e oltre il Pentacolo, lasciandolo andare senza troppi complimenti una volta sorpassato l’ostacolo.

L’ellissi si chiude su di me; tra pochi istanti non esisterò più.    

Il mio nome è Riomi Miazuke e questa volta sono certa di essere giunta al termine della mia breve vita.

Sono un ninja di altissimo livello, preparata dal Villaggio del Suono; sono un jinchuuriki e la mia forza è tremenda; posso contare su una quantità di chakra fuori dal comune; ciononostante, sto per soccombere. Morirò da ninja valoroso, sacrificatosi per difendere il proprio compagno. Per meglio dire, morirò per mano del mio compagno: lui è stato il primo a sconfiggermi, mi ha portato via il cuore. Per lui, e solo per lui, accetto il mio destino.

Nel turbinio di corpi e shuriken che mi avvolge, riesco ancora a scorgere per un istante il volto di Itachi. Il suo grido sovrasta il frastuono che mi dilania i timpani:

“Avevo ragione,” dice in tono disperato, “tu non sei come Kisame: sei molto meglio”.

Sparisce con la consueta tecnica, lasciando che il suo mantello sia divorato dai corvi neri che si librano nell’aria tersa del primo mattino; potrei giurare di aver visto una singola, cocente lacrima solcargli la guancia, mentre l’ultimo corvo si sostituiva al suo volto; ancora una parola giunge alle mie orecchie prima che tutto divenga nero.

Grazie.

Tanto mi basta, per morire felice: ho trasformato il suo veleno interiore in un sentimento umano,terso, onesto, pieno di calore.

Grazie a te, Itachi Uchiha: mi hai insegnato ad amare.

 

Prima classificata: verolax con "Veleno interiore"

Correttezza grammaticale e sintattica, ortografia: 14, 75/15 punti
Ho tolto pochissimo al punteggio perché è una ff molto pulita dal punto di vista grammaticale, a parte un minimo errore di battitura ed una virgola. Nessun appunto sulla sintassi (periodi elaborati, ma sempre perfettamente chiari) e sull’ortografia. Posso solo dire che sei stata molto brava.

Stile, forma e lettura scorrevole: 15/15 punti
Uno stile molto interessante, né troppo complesso, né semplicistico. Mi è assolutamente congeniale, soprattutto perché di grande potere evocativo. La ff scorre così bene che non sembra nemmeno durare dieci pagine. Ho davvero apprezzato la scelta dei vocaboli, molto d’impatto. Ti hanno permesso di costruire delle immagini bellissime, poetiche ma insieme realistiche. Brava.

Originalità: 10/10 punti
L’originalità c’era tutta. A partire dalla costruzione di un OC (di un nuovo un jinchuuriki poi, il Leone a dieci code), sino al modo in cui la trama è stata impostata. La situazione creata fra i due mi è particolarmente piaciuta: ho adorato la scena nella quale Riomi “spia” Itachi. Non è originale in sé, ma per come è stata trattata. Ho apprezzato moltissimo questo paragrafo: “È appollaiato come un corvo su una roccia appuntita, torvo nel suo mantello troppo largo che nasconde al mondo le sue vere forme; feroce nella curva rapace delle sue spalle; impietoso nella sua surreale immobilità…” Mi sembrava di avere davanti il capitolo di un romanzo gotico. Il rapporto fra i due è insolito forse, ma interessante. Che dire del finale: triste senza essere patetico, commuovente ma non strappalacrime all’inverosimile. Sei stata molto convincente.

Caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10 punti
E qui il mio cuore si divide. Bellissima Riomi: una donna forte, un ninja esperto, ma nello stesso tempo incapace di resistere a quella sorta di attrazione magnetica che la lega a Itachi. L’ho trovata convincente dall’inizio alla fine e, pur sacrificandosi per salvare lui, non mi ha dato l’impressione di un’eroina tragica. Mi è sembrata quasi una conclusione “logica”, come se la trama portata avanti per tutto il racconto, quel sentimento strano, quell’attrazione oscura e pericolosa non si potesse risolvere in altro modo. Itachi mi è piaciuto, ma non mi ha convinto pienamente. L’ho adorato nella parte iniziale, quando lo descrivi quasi “appollaiato” su una roccia, in quella posa innaturale, con quegli occhi imperscrutabili: sembrava un uccello rapace pronto a colpire (mi è sembrato anche di poter meglio capire la scelta di usare le illusioni con i corvi, quasi rappresentassero un aspetto della sua interiorità). Un’immagine di natura quasi “vampiresca”, dalle tinte fosche… mi è sembrato quasi di avvertire un pizzico di sovrannaturale in tutto questo. Ho molto gradito la sensazione che sei riuscita ad imprimere con le parole. Non ti ho dato punteggio pieno perché delle volte, per come lo conosciamo noi, Itachi mi è sembrato troppo “arrabbiato”. L’avrei reso meno coinvolto, ma comunque hai fatto ugualmente un buon lavoro.

Utilizzo della frase: 9,5/10 punti
Hai scelto una frase molto difficile, ma hai saputo gestirla bene. Tutta la ff sembra ruotare intorno all’oscura (e con oscura non intendo solo cupa, ma anche enigmatica) natura di Itachi. Quegli occhi nascondono più di quanto si possa percepire a prima vista, un’anima avvelenata forse dal troppo dolore. La frase è stata usata in modo piuttosto originale, ma non ho dato il massimo perché il finale, nella quale è stata inserita, si svolge forse un po’ troppo velocemente. Mi sarei soffermata appena un po’ di più su quel punto.

Giudizio personale: 9/10 punti
Una storia a mio parere molto interessante: dallo sguardo enigmatico di Itachi, al sottile ed ambiguo rapporto che si viene ad istaurare fra i due; dalla descrizione degli stati d’animo al finale commuovente. Non servono baci, troppe parole o gesti espliciti in questa storia: tutto si lega perfettamente e quella sottile ambiguità è ciò che dà omogeneità a tutto il discorso. Non c’è che dire: è una di quelle storie che non possono lasciare indifferenti.

Per un totale di 66, 75/ 70 punti.

  
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