All
night long
*
21.05 *
Era sposato!
Ancora non riuscivo a farmene una ragione: era
sposato.
Lui… lui aveva una moglie! Aveva già una moglie!
E anche dei figli Santo Dio!
Io poi, cosa diavolo mi aspettavo?! Non dovevo
rimanerci male: non mi era concesso.
Ero sposata anch’io, perché tendevo a
dimenticarlo quella notte?
Mi poggiai al muro con la schiena, improvvisamente
stanca.
Mi sembrava di non riuscire più a sorridere.
Era uno stronzo. Nient’altro che uno stronzo.
- Qualche problema?-
Mi girai lentamente verso il
punto da cui era arrivata la voce, accorgendomi con sgomento che era a pochi
centimetri da me. Mi scostai di scatto, riconoscendo lo stesso uomo che era
uscito dietro di me. Non mi piaceva, per niente.
Aveva uno strano sguardo,
come se avesse bevuto troppo o semplicemente non ci stesse tanto con la testa.
In ogni caso nessuna delle due ipotesi mi piacque.
Scossi la testa e lui si
avvicinò pericolosamente.
Socchiuse gli occhi
completamente neri e si accarezzò con due dita la sottile barbetta sul mento.
- Ti va di venire con me,
bellezza?-
Scossi ancora la testa, con
decisione questa volta, facendo per allontanarmi.
Lui non me lo permise: con
una mano mi afferrò saldamente l’avambraccio, stringendolo violentemente.
Mi guardò con cattiveria, sorridendomi tetro:
- Non era davvero una
proposta, bambola. Voglio solo divertirmi, non preoccuparti. Ora usciamo e
andiamo in un bel posto-
Sentii un brivido di paura
pervadermi tutta mentre diceva quelle cose.
Lo guardai con terrore, rendendomi
conto che non scherzava per niente e che era davvero fuori.
Scossi ancora la testa,
disperatamente stavolta e cercai di divincolarmi dalla sua stretta.
Lui sembrò sul punto di
scoppiare a ridermi in faccia per quell’inutile tentativo e io stavo per
crollare quando una parola mi giunse alle spalle:
- Lasciala-
Riconobbi subito quella
voce.
Sospirai e sentii gli occhi
inumidirsi tanto era il sollievo di sentirla.
Mi ero completamente
dimenticata della sua presenza: Edward.
- Non mi hai sentito? La
signora ti ha già risposto: non vuole venire. Lasciala immediatamente-
Quasi stentai a credere che
fosse davvero Edward a parlare: c’era una vibrazione minacciosa e
tremendamente intimidatoria nella voce che mise paura anche a me.
Mi sembrava incredibile che
potesse cambiare tanto un modo di parlare: da che lo avevo sentito rivolgersi a
me sempre dolcemente, con un modo di fare gentile anche quando non doveva,
ascoltarlo ora che sembrava pronto a ricorrere alle mani mi stordì non poco.
L’uomo di fronte a me
non allentò la presa nemmeno un po’ e soltanto si voltò a guardare
Edward, ormai al mio fianco. Quando parlò lo fece con una voce strascicata e
monca, mangiandosi alcune lettere e unendo parole diverse fra di loro.
- Non ti impicciare
stronzetto. Non sono affari tuoi-
Edward rise di una risata
che metteva i brividi, breve e sarcastica.
- Non mi sono spiegato: hai
dieci secondi per lasciarla e sparire-
La presa sul mio braccio a
quelle parole si irrigidì, arrivando a sembrare quella di una morsa.
Mi lasciai sfuggire un
gemito quando le unghie dell’uomo mi penetrarono la carne, ma non passò
nemmeno un secondo che quell’accenno di dolore sparì del tutto.
Quasi non ebbi modo di
rendermi conto dello svolgersi delle azioni e solo in seguito riuscii a capire
cosa era successo: Edward non era più riuscito a mantenersi e aveva colpito
l’uomo.
Un sinistro micidiale.
Proprio sotto il mento, di
una potenza brutale.
Ogni pressione sul mio
braccio sparì e l’uomo crollò sul pavimento, momentaneamente fuori uso.
Edward al mio fianco
respirava con affanno, come se stentasse a trattenersi dal continuare a
pestarlo a sangue. Non riuscivo a trovarmi in disaccordo: quel rifiuto umano si
meritava quello e molto di più. Non era però il caso e tantomeno il luogo.
Sembrò arrivare a quelle
stesse conclusioni anche Edward: mi prese gentilmente a braccetto guidandomi
verso la porta del bagno. Lo seguii docilmente, ancora sotto shock.
Sentii distintamente il
gelido contatto con le piastrelle di marmo contro cui mi aveva fatto
appoggiare, eppure in quel momento non riuscivo a sentire nemmeno il freddo:
fissavo semplicemente due iridi di ghiaccio che non mi perdevano di vista
neanche per un istante.
Lui si fermò di fronte a me,
a meno di un respiro di distanza, reggendomi con le mani sui miei fianchi, come
se temesse che potessi svenire di lì a qualche minuto.
- Come stai?-
- Bene-
Avevo risposto subito, senza
pensarci. Ed ero convinta fosse la verità.
Non mi aveva fatto niente
quel bastardo: solo aveva una stretta un po’ pesante.
Quello gli dissi quando mi
ripose la domanda, con tono preoccupato e inquieto: non mi credeva e da come mi
osservava non dovevo avere un bell’aspetto.
Non era colpa
dell’energumeno, avrei voluto dirgli: la colpa è tua. Di te che non sei
altro che uno stronzo. Un maledettissimo stronzo.
- Non piangere, dolcezza-
Aveva detto anche altre
cose, di incoraggiamento sicuramente, per rassicurarmi.
Io non lo avevo sentito,
come al solito, distratta dai miei assurdi pensieri.
Non mi ero accorta di star
piangendo.
La cosa di cui purtroppo mi
accorsi però, fu l’effetto che mi facevano i pollici di Edward sulle
guance che si muovevano piano, asciugandomi le lacrime.
Le stava asciugando tutte,
con cura meticolosa.
E la cosa peggiore era che
il sentire la sua presenza lì, mi faceva tremendamente piacere.
Anche quel piccolissimo
gesto, dolce e delicato, mi stava facendo impazzire.
Ma non poteva essere così.
Non doveva essere così.
Lui era sposato.
E più di tutto, io ero
sposata!
Lanciai un’occhiata
alla fede che portavo all’anulare e fu un riflesso incondizionato
guardare anche la sua. Lui si accorse di quel mio gesto e ritrasse la mano,
come per nasconderla.
Si fermò giusto in tempo,
bloccandola a metà strada, lasciandola pendere sopra la tasca dei pantaloni,
con un dito appeso ai passanti della cintura.
- Sei sposato-
Non era una domanda, non era
un’affermazione.
Non sapevo nemmeno io
cos’era.
Lui non rispose, annuì
semplicemente, continuando a guardarmi negli occhi.
Lo odiai per quello: non
abbassò lo sguardo.
Non se ne vergognava, non si
vergognava di avermi mentito.
Fu proprio perché non
abbassò lo sguardo però che notai un lampo di dolore passare veloce per i suoi
occhi. Lì per lì comunque non ci feci caso, troppo sconvolta dalla mia
personale tragedia interiore per accorgermi che anche lui poteva starci
passando.
- Stronzo-
Continuai a ripeterlo,
alzando ogni volta un po’ di più la voce.
Non riuscivo a fermarmi: era
come se in quel modo sperassi che a soffrire non sarei stata più soltanto io.
Pretesa assurda, ma reale per me, assolutamente reale.
- Perché?-
Bastò quella domanda a
fermarmi. Mi zittii all’istante, guardandolo come se fosse pazzo.
Lo allontanai da me con un
gesto stizzito prima di rispondere, con rinnovato odio:
- Non me lo hai detto! Non
me lo hai detto! Mi hai fatto credere…-
- Cosa? Cos’è che ti
ho fatto credere? Ho parlato fin dall’inizio di finzione o sbaglio?-
Mossi qualche passo verso i lavandini,
poggiandomi a quel piano di marmo mentre parlava e la verità delle sue parole
mi colpiva appieno: aveva ragione.
Finsi di aggiustarmi i
capelli allo specchio, osservando la sua figura che mi dava le spalle percossa
da un leggero tremore. Osservai per un po’ il mio viso tornare a passare
da un bianco cadaverico ad un rosso diffuso. In fondo era meglio così, mi
dissi.
Era meglio che avessi
continuato ad avercela con lui, anche se non ce n’era ragione.
Non potevo fare la pace,
come fosse niente. Non dovevo.
Mi girai ancora verso di
lui, questa volta decisa a continuare la lotta.
- Dovevi dirmelo. Dovevi dirmi
che eri sposato!-
- Come si chiama tuo
marito?-
- Mike-
Non mi resi conto del
tranello implicito finchè non risposi alla domanda che mi aveva posto
placidamente, girandosi verso di me senza sorridere, con uno sguardo
malinconico.
- Sei sposata-
Era un’affermazione la
sua. Una pura e semplice constatazione.
- L’ho sempre saputo:
dal primo momento in cui ho visto la fede al tuo dito-
Continuò a parlare, con tono
di voce incolore, basso e mesto, passandosi una mano fra i capelli:
- Anche io portavo la fede:
non l’ho nascosta. Mai. Neppure un attimo. Se avessi prestato un
po’ di attenzione…-
Si bloccò, indeciso se
continuare o meno per quella strada che sapeva essere un mio punto dolente.
Preferì di no e cambiò tattica, alzando di qualche decibel il tono di voce,
avvicinandosi a me:
- Tu non l’hai voluta
vedere. Non volevi. Per questo non l’hai vista. Non puoi incolpare
me-
La porta del bagno si aprì
in quel momento, prendendo entrambi di sorpresa.
Entrò a passo svelto la
capo-iena che avevo conosciuto ad inizio serata: si accorse subito di noi e ci
lanciò diverse occhiate senza ritegno. Cercava di capire se fossimo sul punto
di fare qualcosa o se per caso avesse interrotto qualcosa, cosa di cui ero
sicura sarebbe stata solo felice.
Non si scusò, non disse
niente. Continuò a guardarci.
Edward uscì per primo,
rivolgendosi a me con un tono freddo ed impersonale che mi fece venire la pelle
d’oca. Le parole che disse erano in netta contrapposizione con la voce
che le pronunciò:
- Amore, ti aspetto in sala:
ormai avranno servito il primo. Non fare tardi mi raccomando, lo sai che non
resisto a lungo senza di te-
Rimasi bloccata sul posto,
non credendo alle mie orecchie.
Era una situazione assurda,
più di quanto non lo fosse stata fin dall’inizio.
*
Ed ecco un’altra
parte della storia ^^
Ora: devo dire
che inizio ad avere sempre più dubbi: cioè se la trovate noiosa, banale,
stupida…
… fatemi
sapere e la cancello subito! Perché non potrei proprio biasimarvi! =D
Grazie comunque a
tutte!