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Immaginate di provare un affetto particolare per una
determinata persona. Un affetto che non si può spiegare a
parole perché, a
rigor di logica, non c'è niente che vi leghi davvero a
quella persona. Magari
non la conoscete nemmeno o lei non si è ancora accorta di
voi, in ogni caso ne
soffrirete e starete ancora più male proprio
perché non v'è ragione di
soffrirne.
Ora immaginate di essere in un libro, uno di quei romanzi
dove qualsiasi cosa si pensi o si faccia si finisce con il mandare
sempre tutto
all'aria, dove l'autore sembra godere nell'infliggere continui tormenti
alla
sua protagonista, lei che, poverina, quell'amore infelice non riesce
proprio a
dimenticarlo.
Ora sommate i due stati d'animo, conditeli con una buona dose
di solitudine e 200 gr di odio verso se stessi e moltiplicate il
prodotto
finale per due, anzi no, elevatelo al quadrato che è anche
meglio.
Aggiungete all'impasto anche mezzo chilo di incertezza per
il fatto di provare lo stesso sentimento per due persone diverse.
Mescolate e
aggiungete 150 gr di frustrazione grattugiata
(si ottiene lo stesso risultato anche con quella venduta
in scagliette)
perché quelle due persone sono fratelli, sono gemelli e
dividono la casa con
voi. Cuocete a fuoco lento per circa mezz'ora, guarnite il tutto con
una
spolverata di lacrime amare e avrete un piccolo assaggio di quello che
sta
vivendo Sarah in questi giorni...
Tanto per cominciare non è un
“passatempo”, visto che il
tempo non solo non passa ma sembra addirittura che si moltiplichi ogni
volta
che si distoglie lo sguardo dal quadrante dell'orologio.
Seconda cosa: cosa ci sarà mai di così divertente
nello
spiare le solite otto facce che escono di casa per comprare il pane,
tornano a
casa con il sacchetto del pane, litigano con la cerniera della borsa
cercando
di ricordarsi se le chiavi di casa sono nella tasca dei pantaloni o in
quella
della giacca (finendo così per far cadere per terra il
sacchetto del pane),
imprecano a bassa voce riflettendo sull'età che avanza
mentre si chinano a
raccogliere il sacchetto del pane e, per finire, spariscono dentro casa
stringendo - indovinate cosa? - ancora il sacchetto del pane.
Stesso discorso per quelli che escono per andare al lavoro e
dimenticano la ventiquattrore dentro casa.
Sarah non ce la faceva proprio più a stare chiusa
lì dentro,
ma di uscire a passeggiare in strada proprio non se ne parlava.
Quante volte i ragazzi avevano cercato di convincerla ad
uscire da lì! Si erano persino offerti di farla accompagnare
da due delle loro
guardie, ma lei non aveva ceduto: l'assalto delle fan al loro arrivo in
aeroporto qualche giorno prima, le era bastato per farle capire che
aria tirava
da quelle parti. D'altro canto non si poteva pretendere che Bill e Tom
rinunciassero agli impegni con la casa discografica solo per tenerle
compagnia,
anche se probabilmente nessuno dei due se lo sarebbe fatto ripetere due
volte.
E così Sarah aspettava, incurante degli echi di Amburgo al
di là della finestra.
Sulla moquette ai suoi piedi c'erano sette riviste, una pila
di dvd della Walt Disney trovati in camera di Bill, una confezione maxi
di
gelato alla crema, tre sacchetti di patatine, sei numeri di Playboy
trovati
sotto il divano e una quindicina di smalti lasciati - chissà
da chi - su una
mensola della cucina. E c'era il telefono, in paziente attesa dello
squillo
delle 10.30.
I ragazzi gliel'avevano regalato subito dopo essere tornati
in città, in modo da potersi mettere in contatto con lei
durante le pause in
sala di registrazione.
Il primo giorno era stato quasi un incubo: Bill e Tom erano
così ansiosi che la chiamavano ogni mezz'ora per sapere se
andava tutto bene,
finché era stata costretta a chiedergli di smettere.
Ora le chiamate giungevano più di rado e lei quasi se ne
dispiaceva.
Sul mobiletto davanti a lei c'era ancora il biglietto che
aveva trovato al mattino sul tavolo della colazione. Sopra c'era
scritto: “Già
ci manchi! A stasera. Bill”.
Un paio di righe più in basso: “Resta
bella...”
nell'inconfondibile calligrafia di Tom.
Sarah sorrideva cercando di immaginarsi la scena...
Tom: “Niente, è solo una frase”.
Bill: “Se è solo una frase perché l'hai
scritta?”.
Tom: “Perché mi andava”.
Bill: “Ma non ha senso! É come se io avessi
scritto CACCA e
l'avessi lasciato sul tavolo”.
Tom ridendo: “No, non è esattamente la stessa
cosa”.
Bill: “Posso cancellarlo? Rovina il significato della mia
frase”.
Tom: “Ma che significato vuoi che abbia la tua frase?
C'è
scritto A STASERA!”.
Bill: “Allora ci aggiungo GIA' CI MANCHI... Va bene
così?”.
Tom: “Sì, direi di sì”.
Bill: “Adesso posso cancellare l'altra?”.
Tom: “Certo che no!”.
Bill: “Se quanto torniamo Sarah se n'è andata,
sappi che è
solo colpa tua, tua e della tua frase”.
Tom: “Ma che palle che sei! Si può sapere cos'hai
contro la
mia frase?”.
Bill: “È orrenda!”.
Tom: “Ha parlato il genio della lampadina
alogena...”.
“Ha chiamato la mamma oggi” disse Bill finendo di
condire
l'insalata.
“Che cosa voleva?”.
“Dice di smetterla di far finta di non sentire il telefono
ogni volta che vedi comparire il suo numero”.
Tom rise. “Cos'altro ha detto?”.
“Che ti saluta, che le manchiamo. Le solite cose”.
“Va bene, vedrò di richiamarla. Sarah mi
passeresti
l'acqua?”.
“Ah, quasi dimenticavo...
ha detto anche che ci aspetta per le feste di Natale.
Tutti quanti”.
“Perché, di solito in quanti siamo?”.
“Significa che vuole anche Sarah”.
La ragazza, chiamata in causa, sollevò la testa dal piatto.
“Come scusa?”.
“Bill, hai detto alla mamma di Sarah?”.
Lui tacque un istante. “Sì”.
“Come sarebbe sì?”.
“Lo sai anche tu che è impossibile tenerle
nascosto
qualcosa! Avrebbe finito per scoprirlo comunque”.
“E cosa le hai detto esattamente?” chiese Tom.
Bill si voltò verso la ragazza “Non tutto, stai
tranquilla.
Sa solo che sei un'amica, che vieni da una situazione difficile e che
ora stai
da noi. Tutto qui”.
Tom e Sarah tirarono un sospiro di sollievo.
“E comunque” proseguì Bill
“ormai manca poco a Natale.
Potremmo finire le prove per venerdì sera e raggiungere la
mamma per il fine
settimana. Cosa ne dite?”.
“Per me può andare”.
“Sarah?”.
“Io... io non sono sicura che sia una buona idea”.
“Come preferisci, possiamo rimanere qui e fare qualcosa in
città se ti va” propose Tom.
“No, non è questo. È che... siete
sempre lontani da casa,
probabilmente aspettavate quest'occasione per passare un po' di tempo
con la
vostra famiglia e io... io posso aspettarvi qui. Ci rivedremo dopo le
feste...”.
Tom scambiò un'occhiata con il fratello. “Hai mai
festeggiato il Natale, Sarah?”.
“Non... non di recente” riuscì a dire
mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime.
Bill intervenne: “Sei la benvenuta Sarah. Lo sarai
sempre”.
“Sì, anche perché ci sarà
utile un diversivo quando la mamma
ci obbligherà a cantare le canzoni di Natale con le
vicine” aggiunse Tom.
Lei rise mentre si asciugava le lacrime.
“Per non parlare del pranzo con zia Esther!”
aggiunse Bill.
“Dio mio, la mamma non l'avrà organizzato anche
quest'anno,
vero?”.
“Temo di sì e come al solito ci saranno tutte le
persone che
cerchiamo di evitare negli altri 364 giorni dell'anno”
“Chi è zia Esther?” chiese Sarah.
“È una pazza” rispose Tom.
“Non è davvero nostra zia...”.
“È una pazza maniaca”.
“E smettila! È una lontana parente di mamma.
Sembra che
ultimamente si sia presa una cotta per Tom e ogni volta che si avvicina
per
abbracciarlo... ecco... tende ad allungare un po' le mani”.
“L'ho detto io che è una maniaca!”.
“Ed è una bella donna?”
domandò la ragazza.
Bill rise. “Vorrai scherzare! Forse era bella ai tempi dei
dinosauri...”.
“È una maniaca pazza!”.
“Sì Tom, abbiamo capito” rispose Bill.
“Verrai con noi?”.
Sarah non riuscì a trovare una via di fuga per sottrarsi al
suo sguardo e finì per ricambiare il suo sorriso. “Lo dobbiamo
prendere per un sì?”. La ragazza
annuì con la testa.
“Ehi Bill, forse quest'anno non saremo costretti a
rispondere al terzo grado sulla nostra vita sentimentale!”.
“Per via di Sarah? Non credo che la nonna approverebbe un
triangolo amoroso”.
“Beh, in ogni caso saranno tutti così occupati a
sommergerla
di domande che non baderanno a noi”.
Sarah protestò: “Tom!”.
“Hai ragione! Lo sai che non è male come idea?
Dovremmo
portarla più spesso!”.
“BILL!”.