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Autore: _thunderstorm_    08/05/2010    3 recensioni
Questa ff doveva partecipare al contest "Secrets within these deep, red eyes", indetto da The Forgotten Dreamer e Verolax, contest che però non è stato aperto causa esiguità partecipanti.
"E la testa si piegò innaturalmente all’indietro, guidando lo sguardo ormai sfocato verso il cielo notturno, ultima visione di quel mondo che avrebbe abbandonato. Perché, ora, la morte stava afferrando proprio lui, ma nel modo più meraviglioso possibile.
E i pensieri andarono al passato, in una frenetica corsa a ritroso nel tempo, prima dell’oblio che avrebbe cancellato tutto."
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Penso sia necessario premettere qualcosa: questa ff doveva partecipare al contest "Secrets within these deep, red eyes", indetto da The Forgotten Dreamer e Verolax, contest che però non è stato aperto causa esiguità partecipanti. Ciò che si chiedeva era di dare una spiegazione plausibile della strage compiuta da Itachi come se non si sapesse nulla delle rivelazioni che Kishimoto per bocca di Madara ci ha offerto. Ecco, il necessario è stato detto. Buona lettura. (Giudizi a fondo pagina)
Ah, un grazie alle giudici e anche a Bravesoul, per lo splendido banner! =)




Nome autore: CoryCory
Titolo: “Una lacrima, una sola”
Rating: verde
Genere: introspettivo, triste
Note d’autore: Uh beh…il mio Itachi è pazzo. Pazzo. E il problema è che io non lo vedo pazzo, poverino, io provo un amore viscerale per l’Itachi originale. Per questo non sono entusiasta di questa fic. Anche per molto altro, ma questa è un’altra storia. Perdonatemi, questo è tutto ciò che la mia mente ha partorito nel poco tempo in cui ho potuto dedicarmi al contest. ;_;



Pray to your god, open your heart,
whatever you do don’t be afraid of the dark,
cover your eyes, the devil’s inside…
(Night of the hunter, 30 seconds to Mars)

Fu consapevole che presto il cuore si sarebbe fermato. Il corpo martoriato cedeva lentamente ad ogni colpo infertogli, lentamente si arrendeva alla forza di gravità che ora, squilibrandolo, lo attirava a terra. E la testa si piegò innaturalmente all’indietro, guidando lo sguardo ormai sfocato verso il cielo notturno, ultima visione di quel mondo che avrebbe abbandonato. Perché, ora, la morte stava afferrando proprio lui, ma nel modo più meraviglioso possibile. E i pensieri andarono al passato, in una frenetica corsa a ritroso nel tempo, prima dell’oblio che avrebbe cancellato tutto.

[Una lacrima, una sola, pura, cristallina. Tutto ciò che della sua umanità era rimasto.]

L’oscurità lo avvolgeva dolcemente nel suo abbraccio, materna, e lui, desideroso delle sue carezze, vi si abbandonava, trovando conforto nel silenzio che lei gli offriva. Disteso a terra, sconfinava con lo sguardo nell’immensità del cielo che lo sovrastava, su quelle due uniche stelle che brillavano solitarie nel buio. Inspirò a fondo, per quanto il suo petto piccino potesse permettergli: l’aria gelida gli entrava come un balsamo nei polmoni, alleggerendo il peso che da un po’ lo soffocava. E, per un attimo, gli sembrò di aver trovato veramente la pace.
“Perché non vieni dentro, Itachi? Fa freddo qui.”
Si interruppe tutto molto bruscamente:  si riscosse; ora il profumo dell’erba su cui stava sdraiato, bagnata dalla recente pioggia, era stato sostituito dalla sgradevole sensazione della maglietta umida appiccicata alla schiena, ora, al posto del dolce torpore che gli aveva preso le membra, sentiva la morsa gelida del vento sulla pelle.
Si puntellò sui gomiti, voltandosi indietro verso villa Uchiha. I suoi occhioni neri, così infantili, eppure così abili, scandagliavano il buio nel punto da cui era arrivata la voce.
“Shisui.”
Il cugino, ospitato in casa al ritorno da una missione, si avvicinò, sedendosi accanto a lui. Itachi sentì la sua mano calda posarsi sui suoi capelli, in un’affettuosa scompigliata.
“Sei stato bravo oggi.”
Il bimbo abbassò lo sguardo. Strappava nervosamente fili d’erba, unica esternazione dell’enorme angoscia che nuovamente gli era piombata addosso a quella semplice constatazione: l’immagine di ciò che aveva compiuto quel giorno galleggiava ancora nitida nella sua mente, amplificando il suo terrore. Il cugino non vi badò, continuava a elogiarlo, gesticolando vivacemente per farlo divertire, ma i suoi discorsi scivolavano su Itachi come un rivolo di parole insensate.
“Io ho paura.”, lo interruppe il bimbo.
Il giovane si zittì, improvvisamente serio. Gli occhi percorrevano velocemente i lineamenti del cuginetto , ma non riuscivano a discernere la sua espressione, celata dall’oscurità.
“È normale aver paura di morire, Itachi.” disse infine.
Si interruppe un attimo, meditando, tastandosi la peluria che cominciava a crescergli sulle guance.
“Comunque, mi hanno detto che oggi sei stato molto coraggioso. Non hai temuto quei tre ninja nemici, li hai uccisi. Tuo padre è molto fiero di te, lo sai, vero?”
Ma Itachi non ascoltava, vedeva solo davanti a sé ancora gli sguardi spenti di quegli uomini.
Rabbrividì. Villa Uchiha troneggiava dietro di loro, austera e imponente, gettando la sua debole ombra lunare sul giardino: come lo stemma che portavano alla schiena, li legava agli obblighi e ai divieti che la casata imponeva.
Tenere alto l’onore del clan.
Rimanere fedeli al clan.
Non uccidere altri membri del clan.
“Io non ho paura di morire.”, sussurrò, arrossendo dalla vergogna.
La rumorosa risata di Shisui riecheggiò nel silenzio della notte, molesta.
“Sei così forte da non temere la morte? Guarda che hai ancora molta strada da fare, pivellino. Allora, di cosa hai paura?”
Quegli sguardi vuoti, senz’anima, dominavano la sua mente, accusatori.
“Ho paura di uccidere.”
Il più grande sorrise rassicurante.
“Con gli anni ti abituerai, non preoccuparti.”
Il piccolo Uchiha annuì debolmente.
Shisui indugiò con lo sguardo sull’esile figura del bambino, chiedendosi per un attimo se la sua preannunciata prodigiosa carriera ninja non fosse iniziata troppo prematuramente. Immediatamente scosse la testa: tutti erano del parere che il bimbo sarebbe stato uno degli shinobi che più avrebbero recato onore alla casata. In quella totalità includeva anche lui stesso.
“Sei un Uchiha, diventerai sicuramente un grande ninja e terrai alto l’onore del clan.”
Si alzò, non trovando necessario proseguire oltre, come se con quella affermazione fosse risolta la questione.
“Ti aspetto dentro, pivellino.”
Shisui fu presto inghiottito dall’oscurità.
Itachi rimase immobile, trovandosi nuovamente a fissare il punto in cui il cugino era scomparso, rimanendo ad ascoltare i suoi passi che si allontanavano da lui sul selciato del vialetto. La stretta della solitudine lo avvinghiò, facendogli desiderare di poter godere di un’altra scompigliata di capelli, di un altro sorriso. Ma quegli occhi morti su cui si era visto riflesso implicitamente gli dicevano che non si meritava niente di tutto quello. Gliel’avrebbero ricordato per tutta la sua esistenza.
Nel giardino desolato e silenzioso, Itachi si tormentava le mani, ancora soffocato da un peso angosciante che gli toglieva il respiro.  
Perché nessuno capiva?


L’ultimo invitato, un parente che non aveva mai saputo di avere, se ne andò, congedandosi stilando una serie di banali complimenti. Dopo la festa, la casa sembrava di colpo tremendamente vuota: i festoni con il simbolo del clan pendevano flosci e il sole ormai morente che filtrava tra le finestre proiettava lugubri ombre sulle pareti. Itachi stava seduto in salotto, guardando affascinato le fiamme nel camino: da quando era arrivato, era sempre rimasto lì, dei mille invitati ai festeggiamenti in onore di suo fratello lui era l’unico che ancora non lo aveva visto. Era appena tornato da una missione: l’odore del sangue che impregnava i suoi vestiti gli giungeva pungente al naso; nonostante fosse passato del tempo, ancora lo trovava fastidioso.
“Itachi.”
Si voltò verso suo padre: lo attendeva appoggiato allo stipite della porta, serio, ma irradiato da una strana luce negli occhi.
“Vieni a salutare tuo fratello.”
Itachi si levò in piedi, obbediente, e Fugaku gli poggiò la mano sulla spalla, guidandolo nella stanza in cui si trovava a riposare sua madre.
“Sono fiero di te, figlio mio. Sarai un grande esempio per Sasuke.”
Trovò difficile trattenere il conato che gli salì acido alla bocca. Il ragazzino pensò che, così vicino, anche suo padre potesse percepire il puzzo di sangue dei suoi vestiti, ma evidentemente a lui l’odore non appariva nauseabondo. Anzi, Fugaku ora sorrideva.
Deglutì: l’angosciante senso di colpa che lo tormentava dopo ogni missione gli stritolava dolorosamente le viscere. Non c’era niente di magnifico in lui, tutt’altro. Se ne rendeva conto sempre di più. Eppure, tutti gli continuavano a sorridere orgogliosi e, accidenti, veramente iniziava ad odiarlo.
Suo padre spalancò una porta: Mikoto stava seduta su una sedia, tenendo dolcemente in grembo un neonato, radiosa. Il ragazzino posò lo sguardo sul fagotto che teneva tra le braccia.
Sasuke. Si chiamava così, allora.
“Prendilo.”
Sua madre gli porgeva il fratellino e presto Itachi se lo trovò tra le braccia: era sveglio e lo guardava imbronciato, pronto a uno scoppio di pianto. Probabilmente percepiva l’odore del sangue. A lui non  piaceva. Il ragazzino goffamente se lo riassestò meglio tra le braccia, inarcando all’indietro la schiena per sostenerlo. Quell’altro già urlava agitando energicamente le braccine, desideroso di ritornare tra i seni profumati della madre, lontano dallo sconosciuto che puzzava di morte: Itachi lo sentiva contorcersi contro il suo petto con singolare forza.  Si vedeva chiaramente che non sopportava stargli in braccio: suo fratello – almeno lui – lo guardava e non ci trovava nulla di magnifico. Itachi lo contemplava.
Alla fine, gli concesse uno dei suoi rari sorrisi.
“Ciao, Sasuke…”          



La luna brillava alta in cielo. Itachi guardava all’interno del pozzo e, nonostante il buio che lo avvolgeva, riusciva ancora a vederci dentro il suo riflesso: un viso emaciato, due occhi spenti, due spalle muscolose ma incurvate, stanche sotto un troppo pesante fardello. Strinse le dita sul bordo di pietra, facendo sbiancare le nocche, come in procinto di gettarsi. C’era qualcosa di marcio in lui, da sempre: gli dilaniava il cuore e lentamente lo distruggeva. Un brivido gli corse lungo la schiena: il vento soffiava gelido, scuotendo con violenza le fronde degli alberi. Quel giardino non era tanto diverso da quello di casa sua: un vialetto contornato da aiuole percorreva il manto erboso, perdendosi nell’oscurità, poco più in là gorgogliava un ruscello, singhiozzante. Quel giardino era desolato quanto il suo, ora capiva che andare lì era stato inutile. Lui non poteva aiutarlo. Appena formulò il pensiero, una scossa di rabbia lo percorse dalla testa ai piedi. Era destinato a diventare ciò che da anni temeva.
“Fatti vedere. Lo so che sei qui.”
Al suo imperativo, un uomo uscì lentamente dall’ombra.
“Questa è casa mia. Non puoi darmi ordini.”, rispose pacato.
Lo fissava, cercando di carpire dai suoi occhi antracite un qualcosa che gli permettesse di comprendere. Ma Itachi sapeva che in quelli avrebbe visto solo due baratri neri, profondi, senza fine. Era finito il tempo in cui gli dava una scompigliata ai capelli, gli sorrideva e lo rassicurava. Itachi sapeva che per lui non c’era più speranza, tornare indietro era impossibile.
“Dovremmo essere già alla riunione, cugino.”
“Io non vengo.”
La voce di Itachi riecheggiò nell’oscurità, vibrante, la tensione si tramutò in terribile gelo e, dopo molti anni, Shisui il fulmineo fu scosso da un brivido di paura. Teneva le braccia lungo i fianchi, inerti, nello sguardo un’espressione di dolorosa resa. Strinse i pugni, consapevole che il tempo disponibile per recuperare ciò che era rimasto di Itachi da quegli occhi spenti era ormai scaduto.
“Tu devi venire. Sei un Uchiha, è un tuo dovere. Il tuo comportamento sarebbe irrispettoso nei confronti del clan.”
Lo disse con asprezza, senza volerlo, adirato con se stesso per i sentimenti che ora provava. Si era affezionato troppo al ragazzo, quello era il problema. In due passi gli si avvicinò, prendendolo per le spalle e scuotendolo, sputandogli in faccia tutto l’esagerato dolore che lo tormentava, irritato dalla maschera di impassibilità che Itachi continuava ad ostentare. Sembrava che nessuna cosa potesse toccarlo, niente potesse scalfire la sua inespressività. Shisui pensò che non era umano. E, assieme a questa constatazione, Shisui si trovò bizzarramente a pensare che, sì, Itachi poteva anche arrivare al punto di ucciderlo senza provare rimorso. Che pensiero stupido.  
“Di’ qualcosa, diamine!”
Alla sua richiesta, il giovane increspò le labbra in un ghigno. Di Itachi non era rimasto nulla.
“Sono cambiato, Shisui. Sono diventato altro, ho superato tutti voi. Il diverso fa paura, vero, cugino? Sento il terrore in ogni tua parola, serpeggia nel tuo sguardo, assieme all’invidia. Sei come tutti gli altri, un Uchiha legato stupidamente al clan. Ma io sono andato oltre.”
I suoi occhi ora erano rossi: nessuna paura, nessun rimorso, solo la frenesia che lo prendeva da sempre, in ogni missione, in ogni assassinio. Fissavano disgustati Shisui, che più volte aveva guardato il ragazzino che era stato con ammirazione, con amore. Forse ora finalmente capiva che in lui, Itachi Uchiha, non c’era nulla da ammirare, nulla da amare. Lesse chiaramente il panico nelle sue pupille dilatate e in quelle si vide riflesso, come tanti anni fa in quelle delle sue prime vittime, un demone dagli occhi di sangue. Ma stavolta non ne fu spaventato, né disgustato. Si abbandonò al buio senza controllarsi, sentendosi libero, il mostro era lui, la sua euforia nell’uccidere la propria.
Itachi era morto, Itachi non c’era più.



E finalmente non avrebbe più rivisto alcun sorriso orgoglioso. Non ci sarebbe più stato suo padre che gli dicesse di essere fiero di lui, né sua madre che gli regalasse sguardi pieni d’amore.
Il demone guardava ai suoi piedi i loro cadaveri, immobili e finalmente silenziosi. Aveva sempre amato la notte con la sua assenza di rumori e, anche se quella non era sicuramente la pace che essa gli donava nell’infanzia, ora si sentiva vivo nel suo abbraccio, accaldato ed eccitato come nella stretta di un’amante. Respirava affannato, piacevolmente stanco dopo la strage compiuta. Alla fine, non era riuscito a soffocare ciò che la natura l’aveva fatto diventare e, abbandonato ogni tentativo di resistenza, il mostro dentro di lui godeva della libertà ottenuta.
“Itachi.”
Assaporò quella nota di disperazione che vibrava ancora nell’aria alla pronuncia del suo nome. Poi, distolse lo sguardo dai genitori per riporlo assassino sull’ultimo Uchiha rimasto.
Sasuke stava sulla soglia, pietrificato, spostando la sua attenzione dal fratello ai genitori, dai genitori al fratello, ininterrottamente. Il tempo si cristallizzò lì, così, in quell’istante. Itachi osservava, attendendo, e lentamente si accorse come il terrore negli occhi del piccolo venisse gradualmente sostituito dall’incredulità di ciò che comprendeva, e come quell’incredulità si trasformasse improvvisamente in odio, puro e cieco. Quando Sasuke tentò di avventarglisi contro, il suo Sharingan lo stese a terra, ma la sete di sangue scemava. Tutta la furia che lo aveva spinto a cancellare l’espressione di chiunque appartenesse al clan lentamente implodeva di fronte all’esile figura accasciata sul pavimento insanguinato: si rendeva conto che Sasuke, guardandolo, non ci aveva mai trovato niente di meraviglioso. Quell’odio che ora lo animava era lo stesso, seppur maturato, che da neonato lo faceva urlare di rabbia tra le sue braccia, era un odio che il bimbo aveva sempre tentato di soffocare, odio scomodo in una casata che non riusciva a discernere il male dal bene, resa cieca dalla brama di onori, di ascesa politica e sociale, odio che, nonostante tutto, il clan stesso aveva fatto fomentare.
Mentre il demone dentro di lui si assopiva, dopo tanto tempo si ritrovò di nuovo se stesso. Ciò che il mostro aveva divorato al suo interno per alimentarsi si tramutava in un terribile senso di vuoto, ma, se ne rendeva conto sempre di più, qualcosa di lui era rimasto in quel suo corpo, qualcosa di umano.
E scoprì una cosa sconcertante. Scoprì di voler bene a Sasuke. Rimase stordito dalla forza del sentimento, ma si aggrappò ad esso, affascinato.
“Perché lo hai fatto?”
La sua voce gli arrivò lontana, un capogiro gli annebbiò la vista. Non sapeva cosa rispondergli, semplicemente per il fatto che era stato il mostro ad agire, non lui. Si inventò un motivo qualunque, ancora confuso.
“Per testare le mie capacità.”
Sasuke parlò, immobile a terra come fosse morto, ma ad Itachi non giungevano le sue parole, arrivava solo l’odio profondo che le accompagnava, facendole tremare nell’aria. Poi, la verità che per tutti quegli anni non era mai stata pronunciata. Tre parole, verdetto finale.
“Tu sei pazzo.”
Sasuke era l’unico che aveva capito.


 
Vedeva le stelle, sentiva l’erba bagnata sotto di sé.
Un respiro.
Vedeva le stelle. Le stelle erano due.
Un colpo.
L’erba era bagnata – di sangue, è bagnata di sangue, ma che importa? – sentiva il freddo della notte – o forse della morte, ma che importa? – vedeva le due stelle che nel buio brillavano solitarie – siamo noi, Sasuke. Io e te.
Faceva fatica a collegare i pensieri. Sasuke lo sovrastava, con gli occhi rossi, come i suoi, con la katana sporca di sangue, il suo. Ma, in fondo, voleva bene a Sasuke. Sasuke aveva sempre disprezzato la sua parte peggiore, Sasuke aveva amato quel poco di umanità che inizialmente gli aveva dimostrato di possedere. Ma ora i suoi occhi erano rossi.
Pensò di dirglielo, che gli voleva bene, che gli aveva sempre voluto bene.
Ma ora i suoi occhi erano rossi.
In fondo, la verità è superflua quando è troppo tardi.
E così, Sasuke sollevò la katana, in un ultimo gesto definitivo.
Sasuke…
Il più giovane sorrise, invasato.
Sasuke…
“Ti odio, fratello.”
Sasuke…
Calò la katana.
Ti voglio bene, fratello.

Una lacrima, una sola, pura, cristallina. Tutto ciò che della sua umanità era rimasto.


 ***********

Giudizio di verolax a “Una lacrima, una sola” di Corycory

GRAMMATICA E LESSICO: 15/15
Punteggio pieno in questo ambito: nessuna scorrettezza da segnalare, un’ottima padronanza della lingua italiana e delle sue regole. Siccome sono pignola, mi piace comunque farti notare due piccole sviste che pur senza essere scorrette risultano appena sgradevoli all’interno della tua prosa fluida e attenta al rispetto delle regole. La prima: “La luna brillava alta in cielo. Itachi guardava all’interno del pozzo e, nonostante il buio che lo avvolgeva, riusciva ancora a vederci dentro il suo riflesso”(p. 3). Nulla di scorretto, ripeto: solo che “vederci dentro” è un po’ più tipico della lingua parlata che non di quella scritta, soprattutto se utilizzi un lessico abbastanza ricercato come hai fatto tu. Penso che avrei rigirato la frase dicendo “riusciva ancora a vedervi riflesso il suo volto”. Seconda piccola segnalazione: “odio che, nonostante tutto, il clan stesso aveva fatto fomentare”(p. 5). Anche qui, non posso dire che vi sia alcunché di scorretto, semplicemente avrei detto “che il clan stesso aveva fomentato”, o magari “lasciato fomentare”, se volevi sottolineare il fatto che pur rendendosene conto nessuno aveva fatto nulla per cambiare le cose. In ogni modo, tengo a precisare che la lettura della tua storia è risultata particolarmente piacevole sotto l’aspetto della grammatica e del lessico, perché non ho dovuto fermarmi a sottolineare scorrettezze o errori di battitura, e soprattutto perché utilizzi un lessico variato ricco di aggettivi interessanti e mai ripetitivi. Quindi non potevo che assegnarti un punteggio pieno. Brava.
STILE: 15/15
Per i motivi suddetti, i due parametri relativi a stile e grammatica sono quelli che più mi hanno fatto apprezzare questa storia. Hai uno stile deciso, sicuro, ricco di spunti, ben gestito e mai banale. È piacevole leggere riga dopo riga senza ritrovarsi ingarbugliati in qualcosa che non si capisce – come troppo spesso, purtroppo, avviene – navigando sempre tra frasi della giusta lunghezza, che utilizzano i corretti segni di interpunzione, dove ogni cosa ha il giusto peso. Noto soltanto qua e là (e per qua e là intendo un paio di casi, non di più) un uso eccessivo delle virgole laddove un punto e virgola o una congiunzione potrebbero risultare più appropriati; ma nulla che non possa attribuirsi al mio gusto personale.
ADERENZA ALLA TRACCIA: 18/20*
In questo caso ho tolto due punti al massimo punteggio perché, pur ruotando correttamente attorno al massacro del clan Uchiha e facendone giustamente il perno centrale della narrazione, la tua ff non ha utilizzato una delle frasi segnalate nel bando del contest. Sinceramente non mi sento di penalizzarti oltre perché anche noi non ti abbiamo ricordato di scegliere una frase quando potevamo farlo. Diciamo che la “colpa” sta un po’ da entrambe le parti, e così ti assegno comunque un punteggio molto alto.
IC ITACHI: 15/20
Veniamo al punto dolente della tua storia. So che leggerai queste frasi pensando “ecco, è proprio come presentivo, ho descritto un Itachi pazzo e vengo giustamente penalizzata per questo”, e invece non è così. Cercherò di spiegarmi al meglio per quanto sia difficile. Nel mio modo di vedere il personaggio, la pazzia ci sta – per quanto ben mascherata, certo, dietro una corazza di indifferenza, risentimento, potenza distruttiva – e non è in questo che Itachi non regge. Anzi, per la verità regge eccome. Il personaggio ha un suo perché ed è coerente. Il motivo che mi ha spinto a dare un punteggio un po’ più basso è che le motivazioni che lo spingono alla pazzia ed infine a quel gesto terribile sono appena accennate, non vengono sviluppate al meglio. Il lettore si aspetta di addentrarsi sempre più in un Itachi sconvolto dalle dinamiche perverse del suo Clan, dal suo uccidere, dalle sensazioni che ciò gli provoca, ed invece questa introspezione si blocca proprio sul più bello. Le interruzioni tra un momento della narrazione e quello successivo sono un ottimo spunto per dare propulsione alla trama e permetterle un decollo, ma sono scarti troppo netti ed il lettore fa fatica ad aggiustare la propria percezione ad una situazione interiore di Itachi che non corrisponde a quella del momento narrativo precedente, ma che pur originandosi da essa è notevolmente esacerbata rispetto al “quadro” precedente. Certo, si può imputare questo scarto al passaggio del tempo, all’inasprirsi di una situazione conflittuale che non trovi il suo giusto rilascio, ma ci si aspetta comunque una sequenzialità dal personaggio che invece non sempre si ritrova. Il lettore è costretto ad osservare un Itachi sempre più “pazzo” senza sapere come è giunto a tale pazzia. Ecco perché il punteggio che ti ho assegnato non è altissimo. Spero di essere stata chiara; se così non fosse ti prego di dirmelo, non vorrei mai che le mie parole fossero fraintese. Ho capito che tieni molto a questo personaggio e so quanto possono far male i punteggi bassi sull’IC di un personaggio cui si è molto legati. Ho dovuto inserire queste mie riflessioni in questo parametro perché era quello che più si avvicinava a ciò che ti volevo dire, ma come avrai capito non è proprio dell’IC che qui si parla, spero perciò che le mie parole possano essere per te spunto di riflessione e non causa di afflizione.
ORIGINALITA’ DELLA TRAMA: 10/20
Che dire, mi aspettavo qualcosa di più “eclatante” sotto questo punto di vista. Certo, l’idea che l’eccidio sia stato “maturato” da Itachi in risposta ad un troppo precoce addestramento da ninja, che gli abbia causato un senso alquanto tragico dell’ineluttabilità della morte, mescolatosi con una dolorosa non-accettazione della malata e morbosa ossessione della gloria del Clan e del suo personale contributo allo stesso, questa idea, certo, ha un suo senso logico. Ne ha moltissimo, davvero – proprio per questo forse è un po’ scontata. Speravo in una rivelazione più scioccante, in una trama più “contorta”: era un po’ questa la motivazione della seconda parte del titolo del contest, “Itachi come non l’avete mai visto”. Ovvio che non mi aspettassi un Itachi gay che aveva sterminato tutti solo perché non gli lasciavano indossare il tutù rosa da danza classica, ma certamente immaginavo una spiegazione più “sorprendente” per un gesto così terrificante. In ogni modo, riprendo in parte le mie riflessioni sull’IC di Itachi per dirti che non ti avrei assegnato un punteggio così basso in questo parametro se fossi riuscita a gestire in maniera più approfondita la tua idea, esponendola con maggior respiro: quello che voglio dire è che anche un’idea meno originale di un’altra può risultare piacevole se approfondita nella giusta maniera.
OPINIONE PERSONALE: 8/10
Nonostante ciò che mi sono trovata costretta a dire per questi ultimi due parametri, e che perciò potrebbe averti fatto pensare il contrario, ho letto volentieri questa storia e mi è piaciuta. Scrivi molto bene e questo è per me molto importante; penso che se avessi avuto più tempo da dedicare mentalmente alla trama di questa ff sarebbe venuto fuori un vero capolavoro. Ed è per questo che ti esorto a pensarci ancora, se ti va: se sviluppi meglio la tua idea, approfondendo l’introspezione ed aggiungendo episodi, la storia ne gioverà in chiarezza e in forza d’espressione. Lodo la tua correttezza nel voler consegnare entro la scadenza nonostante fossi l’unica (al momento) partecipante, ed al tempo stesso me ne rammarico perché sono certa che attendendo ancora avremmo letto e commentato una storia più completa. In ogni modo il tuo è un buon lavoro che ho letto con piacere
PUNTEGGIO TOTALE: 81/100

*(Il punteggio al riguardo sarebbe pieno, è stato controllato con la giudicia ^^)


Giudizio di The Forgotten Dreamer a "Una lacrima, una sola" di corycory


Grammatica e lessico: 14,5 punti
Non ho corretto quasi nulla, se non fosse per qualche virgola qui e là e qualche “e” congiunzione dopo il punto, che non è corretto grammaticalmente ma che ti ho lasciato come “licenza stilistica”, perché era davvero adeguata ai punti nei quali l’hai utilizzata. Non ho trovato errori di ortografia ne di battitura. Ho adorato lo stile e la scelta delle parole, molto più che “adeguati”, ma praticamente perfetti. Il lessico è ricco, accurato, “incisivo” come era inevitabile per il tema richiesto nel bando. Brava.
Stile: 14/15 punti
Hai uno stile molto bello, lineare, pulito e nello stesso tempo non semplicistico. In generale ho adorato l’impostazione della ff, ossia iniziare dalla “fine”, percorrere la storia a ritroso e ritrovarsi poi al punto d’inizio. Nonostante lo stile si sia mantenuto a livelli molto alti dall’inizio alla fine, le parti iniziali e finali sono le mie preferite. La frase è ben inserita: “In fondo, la verità è superflua quando è troppo tardi.” Sembrava fosse una tua “creazione” non una frase di un altro autore inserita da te in un lavoro indipendente dall’opera originale dalla quale è tratta. Complimenti.
Aderenza alla traccia: 18/20 punti
L’aderenza alla traccia è molto buona, ma non ho dato il massimo perché, per come hai impostato la cosa, avrei preferito ti soffermassi un po’ di più sul “passaggio” che Itachi affronta, sulla sua lenta “corruzione” se così si può definire il delirio che lo porta a trovare esilarante la sensazione dell’uccidere. Comunque nulla di grave. Anche in questo caso il risultato è stato ottimo.
IC Itachi: 19/20 punti
Itachi era lui, semplicemente e totalmente IC. Confesso di non aver trovato nemmeno un momento nel quale il personaggio fosse “fuori dagli schemi”, era sempre se stesso. “Ma stavolta non ne fu spaventato, né disgustato. Si abbandonò al buio senza controllarsi, sentendosi libero, il mostro era lui, la sua euforia nell’uccidere la propria.” Trovo questa frase splendida davvero, come se dentro fossi riuscita a comprimere un insieme di sensazioni contrastanti. Per un istante ho avuto davanti l’Itachi bambino, ancora puro, ancora spaventato da quella sensazione che inizia a risvegliarsi, ma poi quella è stata sostituita dal “nuovo” Itachi, un mostro dagli occhi rossi, ormai totalmente abbandonato alla propria lucida follia. Confesso che, se Kishimoto avesse deciso di continuare su questa linea e non stravolgere totalmente l’impostazione iniziale del personaggio, probabilmente ne sarebbe venuto fuori qualcosa di divino, cosa che ho visto i questa ff. “Tu sei pazzo.” Bellissima questa frase e bello il modo in cui è stata inserita. L’ho trovata incisiva al punto giusto ed hai fatto bene a lasciar dire a Sasuke quelle tre parole senza aggiungere altro. Direi che aggiunte eventuali sarebbero state superflue. Brava.
Originalità della trama:18,5/20 punti
La lucida follia di Itachi è qualcosa che mi ha stregata dal primo momento in cui si è parlato del personaggio nel manga, proprio per questo in apparenza la ff potrebbe peccare di originalità, ma non è assolutamente così. Il graduale declino di Itachi è accompagnato passo dopo passo da quello che ha intorno. Ho adorato la scena nella quale il piccolo Itachi avverte dietro di se villa Uchiha come un’ombra, qualcosa pronta a schiacciarlo sotto il peso delle responsabilità, di qualcosa che non vuole. Che dire poi dell’incontro con il Sasuke neonato: perfetto! Si instaura subito un legame “diverso” fra i due. Sasuke non è come gli altri, ma scappa, si ritrae dall’odore di sangue che Itachi ha addosso, lo ammira per il poco affetto capace di trasmettere e non per le sue doti guerriere. Credo tu abbia centrato esattamente il rapporto fra i fratelli Uchiha, per lo meno come avrebbe dovuto essere in origine. E quell’ultima lacrima sul viso di Itachi è stata la prova che, quello con il fratello, è stato l’unico vero legame della sua vita, per quanto fatto di cose non dette, di parti mancanti, di strani silenzi. Brava.
Opinione personale: 8/10 punti
Ho adorato questa storia dall’inizio alla fine. “Pensò di dirglielo, che gli voleva bene, che gli aveva sempre voluto bene. Ma ora i suoi occhi erano rossi. In fondo, la verità è superflua quando è troppo tardi.” Non solo hai fatto un uso perfetto della frase, ma sei riuscita ad andare oltre, a non fermarti a delle semplici parole inserite in un contesto ma a “viverle”, a sentirle. Le emozioni mi sono rimaste impresse, sembravano davvero vive. Complimenti.
Totale: 92/100





 
   
 
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