Un raggio di sole entrava
dalla finestra in parte ombreggiata dai pesanti tendaggi,rigettandosi
pigro e opaco sul pavimento dell’aula di divinazione come se
anche lui condividesse il rigetto per quel luogo con l’unica
persona che in quel momento la occupava:un ragazzo con indosso una
divisa dalle finiture verdi e argento dallo sguardo fisso nel vuoto e
il volto stanco.
Pian piano la luce dall’altra parte della finestra si fece
più insistente e i raggi riuscirono a penetrare meglio
attraverso le stoffe impolverate,allungandosi fino ad arrivare a
sfiorare quella figura,quasi avessero avuto vita propria e una propria
volontà di scoprire cosa quel ragazzo stesse fissando
così intensamente nel vuoto dell’aula in penombra.
Una porticina si aprì dal lato dell’aula opposto a
quello ove solitamente entravano gli alunni, e un fruscio insistente e
fastidioso fece alzare gli occhi color verde chiaro al Serpeverde che
tanto aveva attirato i raggi solari
‘Signor
Nott… Gradirei che entro sera avesse finito di lucidare
queste sfere..quindi..lavori’
gracchiò la professoressa Cooman passando con
accanto al ragazzo, guardandolo con sufficienza da dietro quegli
occhiali così spessi da sembrare fondi di bottiglia prima di
uscire definitivamente da quello che era il suo rifugio,diretta verso
la Sala Grande per il pranzo.
Durante tutto il tragitto della professoressa Theodore non le aveva mai
staccato gli occhi di dosso,fissandola apaticamente da dietro quelle
lenti cerchiate da una montatura elegante e sobria, e chiedendosi fra
se e se quale demone maligno avesse deciso di accanirsi contro di lui
quel giorno facendogli meritare una simile punizione; Aveva quasi
tirato un sospiro di sollievo per la scomparsa di quella ributtante
figura quando la porticina si riaprì cigolante e il volto
rugoso della professoressa fece nuovamente capolino, esibendo un
sorriso maligno che avrebbe fatto invidia ad un avvincino
‘Ah..per
il pranzo… Mangerà quando avrà
finito’
a queste poche parole seguì un tonfo pesante e i passi
leggeri della donna sulle scalette che scendevano verso il corpo
centrale del castello,segnalando il suo definitivo allontanamento da
quella che Theo oramai chiamava ‘la torre delle
torture’.
Il ragazzo più tranquillo che la casa di Salazar avesse mai
vantato si lanciò,una volta che la porta fu chiusa, in una
sequela di improperi che avrebbe fatto impallidire il più
accanito frequentatore della ‘Testa di Porco’ ,
maledicendo infine se stesso per aver agito d’impulso quel
giorno forse per la prima volta in vita sua scaraventando in aria un
mazzo di tarocchi e sentenziando,con voce lapidaria, che quelli secondo
lui erano solo stupidi pezzi di carta:non solo si era dovuto sorbire
gli strilli inorriditi di quelle oche di grifondoro,ma ora era
rinchiuso li dentro quando avrebbe potuto essere sulle rive del lago a
leggere,sprofondato nell’erba ai piedi del suo salice
preferito. Se Theo si fosse guardato nello specchio delle brame avrebbe
visto se stesso con in mano un libro pregiato,sprofondato in una camera
in cui la luce veniva filtrata da leggeri tendaggi verdi, senza nessun
altro intorno: Theodore Nott era un solitario,uno di quelli che proprio
non comprendeva il bisogno di avere sempre compagnia come quello che
manifestavano i suoi compagni, dei quali sentiva le voci salire dal
basso,flebili,attutite forse dalla neve che incominciava a
ricoprire Hogwarts in quei primi giorni dell’anno nuovo.
“Stolti…
Io non ho bisogno di nessun altro per stare bene”
Sbottò il moro infastidito da quel vociare che si faceva man
mano più insistente e si lanciò poi su
l’ennesima sfera,ignorando in un primo momento la scossa che
gli attraversò il corpo quando la
toccò,accanendosi su quella macchiolina che sembrava
ingrandirsi momento dopo momento,attirando tutta la sua
attenzione:bastò poco e Theo non riuscì
più a staccare gli occhi da quel puntino che ad un
certo punto sembrò ingrandirsi a tal punto da invadere tutto
il suo campo visivo.
“La prima cosa
che Il ragazzo vide fu una grande massa bianca baluginante e dopo un po
mise a fuoco l’immagine che gli si parava davanti:una via
signorile di un villaggio magico in cui campeggiavano tre o quattro
grandi ville quasi del tutto coperte dalla neve,nel cortile di una di
queste un ometto pelato stava spalando la neve e la moglie lo guardava
severa dalla soglia di casa con la bacchetta spianata,ma ben presto
tutta l’essenza di Theodore fu attratta dall’ultima
villa della casa,quella maggiormente decorata,e pochi attimi dopo si
trovò fuori da una delle finestre del piano terra,dimentico
perfino di aver camminato per arrivare fin li. Si rannicchiò
sotto il davanzale dal quale spuntavano delle violette in parte
imbiancate,scocciato in un primo momento dal fatto che qualcuno lo
potesse vedere li e accusare di un qualche crimine, ma poi, nuovamente,
fu avvolto da quella sensazione di curiosità morbosa quando
dall’interno della casa fuoriuscirono tre risate
allegre,calde e trasmettenti serenità;una avrebbe
addirittura giurato di averla già sentita.
Quel suono cristallino poi,contro tutte le iniziali aspettative, lo
irretì,lo trasportò fuori dal tempo e
dallo spazio ancor più di quanto non facesse in generale
tutta quella strana situazione,lo avvolse fino ad entrargli dentro e
annebbiargli la vista ed il cervello,lasciando che solo le mani immerse
nella neve fredda,e le orecchie tese verso la finestra lievemente
aperta facessero da ponte verso la realtà
circostante,sempre se di realtà si potesse parlare.
Per qualche istante si perse in un ennesimo universo parallelo,fatto di
scale di vetro che suonavano allegre ad ogni passo di una figura
invisibile che pareva chiamarlo:la sua voce arrivava a Theo da
lontano,il cuore nel petto gli sussultava come se la conoscesse da
sempre,le sue gambe erano percorse da una tensione mai
conosciuta,volevano alzarsi e correre verso quella fonte di suoni
celestiali,eppure c’era qualcosa che abitava in lui che non
gli permetteva di alzarsi;quell’epifania incarnata
l’aveva da un lato svegliato,eppure continuava ad
allontanarsi senza andare da lui,come se alla fine del puzzle mancasse
ancora qualcosa.
‘Papààààà
suuuuuuuuu api paccooooo’
quell’urlo improvviso seppur di voce
armonica,quell’interferenza di trombe in una sinfonia di
violini,distolse il ragazzo da quella trance in cui era caduto,lo fece
tornare con la coscienza a quel momento presente,all’immensa
distesa candida che lo circondava e che,se ne rendeva conto solo in
quel momento come si fosse svegliato da un lungo sonno,in
realtà non gli dava freddo,reale e irreale allo stesso
tempo,come la stoffa dei sogni che ci vengono a visitare ogni notte,e
di cui noi stessi siamo fatti.
Theodore si rivoltò posizionandosi sulle ginocchia e , dopo
aver fatto vagare in maniera diffidente e circospetta gli occhi verdi a
scandagliare il luogo circostante,parve arrampicarsi sul muro fino
arrivare al davanzale ricoperto di violette,anche se in fondo si
limitò a distendere la schiena e lanciare lo sguardo
all’interno della casa,senza più indugi,troppo
bramoso di conoscere e di capire,lui che era sempre stato pacato e
altezzoso,beato nella sua solitudine.
Ciò che gli si presentò innanzi per lui ebbe
dell’incredibile,innumerevoli passaggi gli si fecero
chiari,altrettanti oscuri,o forse era solo lui che voleva percepirli
così;Certo,una coppia di giovani genitori seduti su di un
grande tappeto persiano,teneramente abbracciati mentre guardano la loro
figlia di circa tre anni che apriva i regali di natale gattonando sotto
all’albero addobbato,sarebbero risultati piacevoli da
guardare a tutti,magari anacronistici in un periodo di tensioni
belliche e dolore serpeggiante,ma affatto sconvolgenti come risultarono
per quel ragazzo in divisa scolastica che spiava,facendo slalom con lo
sguardo tra lussureggianti vasi di fiori,un se stesso adulto
e felice abbracciare una donna dai capelli color cioccolato di cui non
riusciva a vedere il volto,e guardare una bambina che aveva gli stessi
capelli della madre,eppure due enormi occhi
verdi:inequivocabilmente quelli di Theodore.
Il serpe verde ricadde nella neve,face un tonfo notevole ma nessuno lo
udì o mostrò tale accadimento,lasciandolo solo
nella sua totale confusione mentale e emotiva.
Si lasciò cadere nella neve disteso,tentando di afferrare
una qualche certezza con la mente,con i pensieri,facendo lavorare
alacremente quel cervello che molti professori lodavano,ma niente di
quell’apparente futuro riusciva a comprendere;Gli sfuggiva
totalmente il perché del suo essere stato catapultato in
quell’assurda dimensione,anche se aveva accettato fin da
subito quella pseudo realtà abituato com’era alle
mille e più cose strane che succedevano ad Hogwarts,gli
scivolava dalle dita come burro l’essenza di quel momento che
parlava di un se stesso talmente diverso da risultare falso,eppure
quelle risate gli erano entrate dentro distruggendo tutte le sue
certezze,tutti i castelli in aria sulla solitudine e sulla vera
felicità in cui aveva sempre creduto profondamente,e assieme
alle risate,come in un arcobaleno senza fine viaggiava un
qualcos’altro,un lampo di luce talmente chiara e forte da non
riuscire ad essere identificata.
Tirò un pugno nella neve,non si fece male,eppure il suo
animo era diviso in due fazioni e dai suoi occhi,se solo ci fosse stato
qualcun altro ad osservarlo tranne il destino,si sarebbero potute veder
scendere delle lacrime di rabbia,per quel ragazzo che non voleva
ammettere fino in fondo di aver sbagliato tutto, e di aver sbagliato
anche nella redenzione,visto che non riusciva ancora a penetrare nel
segreto di quella giornata perfetta dell’altro se
stesso:C’era quella voce che non riusciva a raggiungere,e
pianse.’’
Quando la terza lacrima
onirica di Theodore cadde sulla neve tutto il processo si
invertì,il ragazzo dal maglioncino grigio e verde
sentì se stesso catapultato in un vortice di neve che pian
piano si sciolse prendendo,negli ultimi attimi, il colore multiforme e
indefinito dell’infausta aula di divinazione,che vide il
ragazzo riaprire di scatto gli occhi sul mondo,sudato e affannato,con
le dita eleganti e esili convulsamente strette attorno alla sfera di
cristallo.
Inevitabilmente si ritrovò a rivolgere i suoi pensieri a
ciò che era successo,le risate,i colori,la gioia negli occhi
di quella famiglia non abbandonava la sua mente nemmeno un
istante,creando in pochi istanti un’ossessione che spesse
volte nemmeno anni e anni di pensieri insistenti riuscivano a mettere
in piedi.
Theo,il tranquillo serpe verde soddisfatto di pochi istanti prima,si
era trasformato in un’angelica eppur dannata creatura tutta
tesa a cercare di colmare la distanza che c’era tra un
futuro dorato e un presente che gli appariva sempre
più cupo e grave,ma la forma di quell’agognato
ponte continuava a sfuggirgli e in lui montava,come una valanga che si
accresce ogni metro che passa,una rabbia senza eguali nella storia
della sua persona. Prese a casaccio tutti i cuscini che gli capitavano
sotto tiro e frustrato prese a tirarli verso i muri variopinti che non
avevano nessuna colpa se non quella d dover assistere giornalmente alle
estenuanti e inutili lezioni della professoressa Cooman senza poter
avvertire gli ignari alunni di quello che li aspetta,ma Theo era
talmente preso dalla sua lotta contro i mulini a vento che non si rese
conto,nell’ennesimo lancio di un cuscino dalla stoffa
purpurea, finito molto vicino allo stipite della porta,che
quest’ultima si era lievemente aperta.Si
immobilizzò all’istante riavviandosi i capelli e
aggiustandosi gli occhiali sul naso, pronto a fulminare con lo sguardo
qualsiasi persona si fosse avventurata oltre quella porta,ma per la
seconda volta nella sua giornata non era preparato a quello che vide:il
primo a far capolino fu un vassoio con sopra un pranzo luculliano e
subito dopo attirò l’attenzione degli impassibili
occhi verdi del ragazzo una divisa da grifondoro,accompagnata da un
corpo di ragazza ormai adulta e,alla fine,in prossimità del
collo, da un volto che non si era mai reso conto fosse così
espressivo,su cui erano incastonati due grandi occhi dorati che
ricordavano lontanamente quelli di una leonessa,circondato inoltre da
un’aureola scomposta di capelli dalle stesse calde sfumature
del cioccolato fondente.
Improvvisamente la musica tornò a suonare,la
trance che aveva provato poco prima in un universo parallelo,o forse in
un viaggio nella sua stessa mente,tornò ad impossessarsi di
lui ma questa volta,nonostante il cuore minacciasse di balzargli fuori
dal petto e il peso immobile delle gambe era immensamente
frustrante,qualcosa era cambiato:le nebbie si diradarono e ai suoi
occhi profani fu concesso di scorgere per qualche istante
ciò che era al di là del velo,si
mostrò alla sua anima il volto di colei che cantava quella
musica che così dolcemente l’aveva irretito.
Nello stesso momento in cui la porta si chiudeva alle spalle della
ragazza nella sua testa tutto si faceva chiaro,la donna del
futuro,quella proiezione così vivida da sembrare vera,si
voltò e gli diede un bacio indicando bonariamente la bambina
che tentava avidamente di scartare un regalo troppo grande per lei,e
Theodore capì cos’era che gli sfuggiva,cosa
rendeva inqualificabilmente lontano quell’attimo che aveva
vissuto e sognato allo stesso tempo:Lei,la sua compagna,la madre di sua
figlia,la chiave di tutto.
La solitudine improvvisamente non era più questa oasi di
diamante che lui aveva sempre sognato,dai muri indistruttibili che non
avrebbero mai lasciato passare nessuno,nel suo cuore si era aperta una
piccola breccia,e il suo futuro ideale si era modificato
nell’arco di pochi attimi lunghi tanto quanto due o
più vite intere,assumendo dei contorni ben definiti,dei nomi
ben precisi e un colore imperante:l’oro,l’oro di
quegli occhi che continuava a fissare insistentemente,e che oramai
sapeva essere tutto quello che avrebbe voluto avere nella sua vita.
‘Nott,stai
bene o la megera ti ha drogato per farti stare fermo?Ti ho portato il
pranzo’
E nessuno dei due badò a quanto fosse strana quella
frase,detta a Lui,e soprattutto detta da Lei,entrambi persi nel
contemplare e tentar di decifrare un qualcosa di palpabile e
indefinibile,sogno e realtà avvolti nella stessa elica.
Lui le tese la mano,signorile,poi le indicò un cuscino,uno
dei pochi che non aveva ancora lanciato.
‘Mangia
con me Hermione Granger’
disse con una voce che risuonò nella stanza profonda e
calda,forse addirittura emozionata e emozionante,e che sancì
quella che era una promessa per la vita,anche se colei che rispondeva
al nome di Hermione e sul cui petto splendeva una spilla da
caposcuola,ancora non poteva saperlo.
E risate risuonarono in quelle mura,parole e primi passi di una storia che non avrebbe avuto euguali,un quadro quasi idilliaco nella sua normalità che fece sorridere un’esile figuretta argentata che era rimasta,presumibilmente per tutto il tempo,seduta sul davanzale esterno di una delle grandi finestre e che nel momento in cui lui sfiorò timidamente la mano alla ragazza,volò via,soddisfatta e tronfia,come solo l’artefice di un piano perfetto può essere.
Perché non
bisogna mai e poi mai sottovalutare un pomeriggio innevato,si rischia
di veder cambiare la propria vita,con un soffio di vento.
La Neve è magica.