LE LACRIME DELL’ARIETE
CELESTE
“Cosa guardi, Mu?”
“Le stelle sono tristi, maestro…”
Il sommo sacerdote, tanto anziano da superare ogni
limite che mente umana potesse concepire, si accovacciò accanto al bambino, i
cui occhi erano puntati sulla volta celeste trapunta di astri.
Era ancora agile Sion, nonostante l’età
pluricentenaria e non ebbe alcuna difficoltà nell’assumere quella posizione
acquattata. Rivolse anch’egli lo sguardo verso l’alto e, benché non avesse
bisogno di ulteriori conferme, dovette dar credito al piccolo discepolo così
precoce e sensitivo da saper cogliere le minime sfumature che facevano vibrare
tutto l’universo.
Le stelle di Grecia, sempre così rifulgenti da
sembrare in tripudio, quella notte erano opache, come se una parte del loro
splendore fosse stata spenta e rubata da sovrannaturali, crudelissime mani.
Poi, improvvisa, una pioggia di luce si accese e
tracciò scie che attraversarono tutto il cielo, senza trasmettere serenità alle
due persone che recepirono il messaggio.
“Perché l’Ariete piange?” mormorò la voce tenera del
bimbo, lievemente incrinata.
Sion serrò appena le palpebre e sospirò, senza sapere se quella stretta al cuore che lo aggredì fosse dovuta più all’opprimente atmosfera calata ad attanagliare il suo animo o alla percezione della tristezza di Mu, proprio perché così raramente l’allievo si lasciava catturare dai sentimenti negativi, ma sembrava così incapace di reagire quella notte…
Il sacerdote era conscio che non si trattava di
suggestioni dovute a sensazioni illusorie e mai avrebbe voluto rendere nota a
Mu l’esattezza di ciò che gli astri avevano infuso in lui, tuttavia aveva
vissuto abbastanza da essersi rassegnato all’ineluttabilità del destino, così
tante volte si era dovuto piegare ad esso, tanto a causa di esso aveva perduto
e anche Mu, presto, più presto di quanto entrambi avevano sperato, avrebbe
dovuto sostenere la prima prova davvero atroce della sua breve vita.
Il valore e l’abnegazione dei sacri guerrieri di
Athena avevano piegato il fato in determinate occasioni, se una scelta era
data, ma neanche la loro tenacia avrebbe potuto, in alcun modo, impedire
l’inevitabile.
Dall’ingombrante veste sacerdotale spuntò una mano
magra, grinzosa, dal colorito lunare ed andò, abbastanza sicura, se si
escludeva un lieve tremore con il quale la vecchiaia intaccava appena quel
corpo secolare, a sfiorare la chioma bionda del bambino, lisciando i sottili
fili d’oro in tutta la loro notevole lunghezza.
“Le stelle vanno sempre ascoltate e tu lo sai, mio
dolce discepolo. Immagino non ci sia bisogno che io ti dica come anche questa
volta non mentano.”
Senza mutare la direzione del proprio sguardo, né
interrompere la propria contemplazione, Mu annuì:
“Ho tentato a lungo di illudermi che, almeno questa
volta, tutto fosse sogno, che forse ero io teso e più nervoso ed influenzavo,
per questo, la mia percezione delle cose, ma tutto è inutile… il loro messaggio
è chiaro dentro di me.”
Il pontefice si sforzò di ignorare la profonda
tristezza che crepava la serenità di quegli occhi verdi, intrisi della saggezza
attinta all’eterno rincorrersi dei secoli; un bambino tanto piccolo che già
assaporava le vastità dell’illimitato infinito, del rincorrersi interminabile
dei millenni, ma che, al tempo stesso, ne assorbiva il dramma impietoso,
l’angoscia che non conosce confini.
“Il messaggio è chiaro, sì, lo sento anche io, ma le
stelle non ci rivelano verità affinché noi ci disperiamo…”
“… Ma affinché siamo pronti ad affrontarle… lo so…”
Il volto di Mu finalmente si mosse, i loro occhi si
incontrarono, specchiarono l’uno nell’altro la condivisione di un’appartenenza
antica, occhi così puri da non sembrare umani.
“Affinché siamo pronti ad affrontarle… proprio
così…”
“E’ sempre così difficile, tuttavia, essere
preparati ad affrontare ciò che non si conosce… le stelle non rivelano cosa,
esattamente, accadrà…”
La carezza leggera di Sion si posò sulla guancia del
piccolo:
“Col tempo imparerai a valutare sempre meglio e
sarai sempre più pronto a capire cosa dovrai fare… non ad acquisire certezze,
le certezze sono appannaggio degli stolti… ma ad intuire il necessario che ti
prepari all’azione.”
“Lei lo sa, maestro, cosa dobbiamo fare adesso? Lei
che ha così tanta esperienza, lo sa quale azione vada compiuta?”
Le labbra del sommo sacerdote si piegarono un poco
verso l’alto e Mu poté rendersi conto, una volta di più, quanto fosse ancora
bello il suo sorriso intriso di nobiltà.
“So cosa devi fare tu, dolce discepolo.”
Seguì qualche istante di silenzio, durante il quale
Mu trattenne il fiato, gli occhi verdi grandissimi sotto le sopracciglia
rasate, altro dettaglio fisico che lo accomunava all’anziano e che identificava
entrambi quali discendenti di una stirpe ormai scomparsa dal mondo conosciuto.
Il bambino, sempre così composto, in quella snervante
attesa manifestò alcuni atteggiamenti tipici della sua età: mosse nervosamente
le dita, spostò il peso dei piedi, alternativamente, dall’uno all’altro. E
quello stato di ansia non ebbe tregua nel momento in cui udì, dalle labbra del
maestro, il seguito del complicato discorso:
“So che devi lasciare il Santuario e che per un po’
non potrai tornarvi.” Il tono di Sion non era mutato nel pronunciare una così
crudele sentenza, così come non scomparve il sorriso dalle sue labbra, né si
spostò la mano pallida che si attardava sulla guancia di Mu. Il bambino
sussultò e non riuscì a trattenere dentro di sé l’esclamazione, per quanto
sottile, che gli salì alle labbra:
“Perché, maestro?”
“L’hai detto tu stesso che le stelle non danno
risposte certe e hai anche detto che ho esperienza per leggerle nel migliore
dei modi… e ciò che ti impongo di eseguire è dovuto a certezza, l’unica scelta
giusta per te. Accadrà qualcosa che, lo so, ti turberà e desidero che tu possa
scrutare da un luogo distante della terra gli eventi che qui accadranno, non
solo perché i monti del Pamir ti aiuteranno a considerare gli eventi con
maggior raccoglimento interiore… è importante che tu vada lontano…”
“Ma lei verrà con me, vero maestro?”
“Non fingere, per il bisogno di mantenere un protettivo
atteggiamento infantile, di mostrarti quell’ingenuo che non sei… sai già la
risposta, non è vero?”
La testolina dorata del bambino si abbassò, mentre
la mano del vecchio si posava, con forza, sulla sua spalla, come a voler
trasmettere saldezza, capacità di reazione.
“La so… sì… eppure non la comprendo… non io corro
dei rischi…”
“Da lassù potrai osservare il susseguirsi degli
eventi con maggior lucidità.”
Le mani del bambino, abbandonate lungo i fianchi, si
strinsero in piccoli pugni frementi e la voce dalle labbra uscì alterata, quasi
Mu avesse ormai rinunciato a mantenere l’autodominio che aveva imparato ad
interiorizzare fin dalla nascita:
“E’ lei a non essere al sicuro, questo il messaggio
che ha colto il mio cosmo!”
Apparentemente nessun moto di emozione attraversò il
corpo di Sion e le sue parole si diffusero intorno all’allievo, dolci come una
carezza:
“Qualunque sia il messaggio ti è stato concesso di
apprenderlo affinché tu sia pronto ad andare incontro al destino, qualunque
esso sarà.”
“Ma non potrebbe essere che mi sia stata concessa
l’intuizione in modo che lei possa fuggire con me?”
Il vecchio accantonò la propria impassibilità per
emettere una lieve risatina che circonfuse di umanità il nobile volto toccato
dalla vecchiaia. Scosse il capo:
“Il messaggio giunto a me è un altro; mi si impone
di restare, perché il futuro sta per intraprendere il proprio corso; il mio
posto è qui, perché di questo futuro, ciò che mi accadrà sarà un tassello
doloroso, ma necessario.”
“Sono un gold saint!” scattò il bambino “Anche il
mio posto è qui!”
“Il tuo posto sarà qui… dopo… non continuare a
fingere di non comprendere cosa le stelle ti dicono, non interpretare in base
ai tuoi desideri.”
Il piccolo deglutì, abbassò il capo e due ciocche
del caschetto biondo scivolarono ad accarezzare morbidamente le gote paffute e
candide, sulle quali spiccavano due chiazze rosse, causate dall’istinto al
pianto.
“E’ che” pigolò “La sensazione che sento è così
brutta da farmi stare male, come se fossi sul punto di soffocare.”
“Lo so, mio dolce discepolo” annuì serio Sion, senza
interrompere il contatto fisico “Ma a nessun essere vivente è concesso
sottrarsi a ciò che è brutto, la tua esistenza sarà costellata di eventi
terribili e tanto ti faranno soffrire quanto ti renderanno forte. Fingere di
non comprendere gli astri per mascherare ciò che è brutto…”
Si interruppe e lo fissò con i suoi occhi ancora
così vivi, porte aperte sull’infinito, sembrava attendersi una reazione da
parte del bambino che, in effetti, giunse quando Mu, infelice, ma in apparenza
rassegnato, parlò con l’intento di completare la frase:
“…Non sarebbe degno di un saint… lo so…”
Scese il silenzio; neanche gli animali notturni
osavano interrompere la sacralità di quegli istanti. Il tempo sembrava essersi
fermato: il vecchio e il bambino, immobili su quel prato, in riva ad un lago
nel quale il cielo stellato specchiava la propria distesa senza confini, erano
come due statue congelate in un mito immortale ed eterno, simboli di un’eredità
che si tramandava nei secoli.
L’incantesimo si spezzò nel momento in cui la mano
del sacerdote si mosse, scivolando via dal bambino e, quasi nello stesso
momento, la vocetta infantile, ma tanto elegante di Mu si levò, in un tenue
trillo forzatamente deciso:
“Quando dovrò partire?”
“Appena sorge il sole ti metterai in viaggio; ti è
concesso utilizzare il teletrasporto, perché domani notte voglio che tu già sia
nel Pamir e che da lassù ascolti le stelle…”
La sofferenza del bambino fu palesata da un solo
sussulto, da un gemito soffocato senza che venisse meno la maestosa dignità di
quelle due figure, neanche quando l’autocontrollo del piccolo si spezzò
definitivamente: fece un salto in avanti e gettò le braccine bianchissime
intorno al collo del vecchio, che rispose a quell’abbraccio ricambiandolo e
stringendo il discepolo contro il proprio petto.
Una lacrima dal bagliore più intenso venne versata
dall’Ariete celeste e attraversò tutto il cielo.
***
“Era una notte come questa… l’ultima volta che lo
vidi… anche allora le stelle piangevano…”
Gli occhi di Mu di Aries, custode della Prima Casa
del Grande Tempio di Atena, erano levati al cielo, occhi straordinari, puri e
saggi, eterni come lo scorrere inarrestabile dei secoli.
Quello sguardo profondo si fissò sulla costellazione
dell’Ariete e ad essa il loro riflesso terrestre rivolse una preghiera; sapeva
che era inutile tentare di convincere gli astri a mutare il cammino del fato,
l’aveva imparato a costo di un’immane sofferenza quando breve corso aveva
ancora la sua vita. Di anni ne erano passati tredici e con la saggezza si era
accresciuta la capacità di dialogare con i movimenti celesti, ma ogni tanto
sognava ancora di sbagliare, desiderava ardentemente che le sue previsioni
fossero errate.
“Ora come allora…” mormorarono le sue labbra gentili,
la sua voce non più infantile, ma sempre dolce nella sua morbida profondità.
E come allora lo sapeva da tempo.
“Quanto vorrei che mi ingannaste a volte… o quanto
vorrei non saper leggere in voi. Ma questo giorno… questa notte… era attesa… da
voi, dai miei compagni, da me… e come allora non potrò sottrarre chi amo al
proprio destino di morte.”
Una notte attesa da tanto tempo, sì, eppure ciascuno
sperava che non sarebbe mai giunto ciò che minacciava Athena e la terra con una
cappa di tenebra.
L’intera zona del Santuario brulicava, dai sacri
guerrieri ai soldati semplici, ogni singolo uomo era allertato, presto l’ente
responsabile di una tale tensione si sarebbe palesato e nessuno, esclusi forse
Dhoko di Goro-ho e la stessa Athena, ne conosceva esattamente l’identità,
neanche Mu. Tuttavia, come suo malgrado aveva appreso, intuiva quando le stelle
lo mettevano all’erta e, in quelle notti di primavera, ogni notte da tempo
oramai, gli astri alternavano palpitanti singhiozzi in seguito ai quali
sembravano spegnersi, a momenti in cui lacrime fulgenti impregnavano il cielo
di un senso d’agonia e orrore.
Il cosmo negativo proveniva da lontano, ma era
sempre più prossimo, sempre più soffocante e così nero da intridere l’animo
d’angoscia.
Avvolto da capo a piedi nel cloth dorato che
assorbiva le stille piante dall’universo, rifulgendo nella notte come se lo
stesso giovane saint fosse una stella caduta sulla terra, Mu scendeva, lento e
guardingo, le scale che, dalla sua dimora, all’interno del primo tempio dello
zodiaco, conducevano ai piedi del colle. Apparentemente tutto era calmo ed
immobile, ma il giovane non si lasciava ingannare, si trattava della
sospensione inquietante che solitamente anticipa la catastrofe… e la catastrofe
era nell’aria, portata a lui da radi sbuffi di vento che spazzavano i ciottoli
e accarezzavano i suoi capelli, trasmettendogli il brivido di una gelida mano
di morte la quale, ghignando, apponeva su di lui la propria muta condanna.
Senza mostrare superficialmente alcun turbamento,
mentre l’anima si stringeva in una morsa, Mu avvertì la presenza possente del
primo invasore e l’inquietudine divenne oppressione quando un avviso dal nulla
riverberò nel suo animo, a metterlo in guardia, quasi a volerlo proteggere.
Nessuna emozione rifluì lungo il corpo del composto guerriero che rimase
impassibile, pronto ad affrontare l’ignoto; fermo e saldo nel volto, il cuore
doleva, pesante, nel petto.
Un mantello forgiato nella tenebra danzò con gli
sbuffi di vento e la presenza apparve, maestosa, figlia della notte. Il
protettore del tempio di Aries si erse, gareggiando in maestosità, lottando per
ignorare il brivido che gli corse lungo la spina dorsale, respingendo le
assillanti domande che salivano alla sua coscienza, generate da un fluido
bizzarro che intercorreva tra lui e chi lo fronteggiava, un fluido che, lo
intuì, anche l’altro condivideva.
“Così diversa e al tempo stesso così simile, questa
notte, a quella di tredici anni fa” pensò e seppe che tale pensiero era giunto alle
percezioni dell’invasore.
“L’emozione non deve trovare spazio mentre si va
incontro al proprio dovere di saint…”.
Giungeva
dalle stelle quel messaggio muto che oltrepassava le barriere della materia? O
non era forse un cosmo, un flusso mentale troppo vicino… e troppo conosciuto
dal sacro guerriero di Aries?
“Preparati ad
affrontare una nuova, difficile prova, mio dolce discepolo…”
Trattenne
a stento un sussulto il gentile Mu e parlò, con tono fermo e deciso:
“Non avanzare oltre, non rispondo della tua vita se
procederei ancora di un passo!”
La voce era come un canto, colma di benevolenza
seppur nella minaccia e dal cosmo del visitatore si levò un fremito, che solo
la mente di Mu poté percepire: per il suo spirito fu come un’affettuosa
carezza.
La sentenza pronunciata dalle labbra dell’invasore
fu feroce, ma sotto l’asprezza si celava una sfumatura che fece tremare
interiormente il sacro guerriero di Aries:
“Mu, non vedo cosa potresti fare contro di me.”
“Come?” ribatté il custode del primo tempio,
sospettoso, colpito senza capire perché.
“Non devo crollare” impose a se stesso “Non
devo credere a ciò che odo, a ciò che percepisco, è illusione che rischia di
perdermi!”
La
figura continuava a salire, un passo dopo l’altro, scalino dopo scalino, ancora
invisibile il viso, sommerso dalla tenebra dell’immenso cappuccio, sempre che
lo avesse un viso, che quel mantello, il quale quasi sembrava possedere vita
propria, davvero avvolgesse qualcosa di fisico.
“Hai forse dimenticato il mio volto?”
“Quale volto?” Urlò la mente di Mu, “Non riesco a vedere
nessun volto!”
Ma
indietreggiò, perché il cosmo, l’anima, il cuore, potevano invece vedere ciò
che agli occhi era celato ed improvvisamente il guerriero comprese che quella
figura aveva su di lui un potere insopprimibile, che, contro di essa, lui non
avrebbe potuto muovere un dito.
“Non è possibile” balbettò, sconcertato, sconvolto,
interiormente distrutto “E’ assurdo… lei è…”
Ogni controllo svanito, sfaldato a causa di un
sentimento troppo intenso per poter essere contenuto, si sentiva ancor più
fragile ed infantile di quando, bambino, aveva accolto con disperata
rassegnazione un destino inevitabile. Ma ciò che ora stava cominciando a
comprendere era talmente crudele da apparirgli insensato, inaccettabile persino
per lui che aveva oramai accettato ed interiorizzato tante sofferenze al solo
scopo di assecondare un sacro dovere.
“Mi stai mancando di rispetto! Inginocchiati!”
Mu divenne livido, le orecchie incredule e
indietreggiò ancora, senza più dominare i tremiti che gli scuotevano le membra
doloranti, perché i nervi tesi all’estremo vibravano come corde sottili
prossime a spezzarsi.
“Lui non mi parlava mai in questo modo” rifletté speranzoso, una
volta di più, di interpretare erroneamente quella che ormai si mutava in
certezza “Lui era gentile anche quando, severo, pretendeva obbedienza, non
può essere chi io credo!”
“Tu mi hai conosciuto quand’ero vecchio, mio dolce
discepolo.”
Ancora
un messaggio mentale, con il tono e l’inflessione che Mu riconosceva e che
aveva, un tempo, imparato ad amare.
“Da
decenni avevo perduto la boria della giovinezza acquisendo, al contrario, la
ferma pazienza del maestro gentile.”
“Rifiuti
di obbedirmi?”
La voce fisica stridette, minacciosa, in netto
contrasto seppur tanto simile nelle sfumature più intime a quell’altra, che pur
apparteneva alla medesima entità. La figura gli era giunta accanto, era grande,
dominatrice… amata… troppo amata…
“Quel che mi si chiede è troppo”, pensò Mu ritenendosi ormai
sconfitto. “Ancora lei pretende che io
accetti ciò che il cosmo di Aries, ora, mi sta confidando? Come posso…”
“Allo stesso modo in cui io ho accettato. Sì, lo
pretendo, mio dolce discepolo… lo pretendo perché so che puoi farcela, ora,
come allora… come sempre ce l’hai fatta.”
La figura proseguì, lo oltrepassò e Mu cadde in
ginocchio, non era certo se per senso del dovere, per istinto all’obbedienza
nei confronti del visitatore, o se le gambe avessero ceduto, a causa di un
autentico crollo nervoso. I suoi occhi erano sgranati sul nulla, il cuore
batteva fino a volergli scoppiare nel petto.
“Ecco, così va meglio, non potrai mai andare contro
la mia volontà.”
Se fosse stato in grado di sottrarsi al torpore, Mu
avrebbe pianto nell’ascoltare quella suprema verità; non aveva mai potuto
contraddire quell’uomo. Ancora non capiva, non poteva sapere quale terribile
strada il destino aveva intrapreso, in qual modo l’adorato maestro, indossate
le vesti di traditore, stava servendo la Dea.
Nonostante l’inconsapevolezza, difendersi contro di
lui non poteva, ciò che lo legava a quell’uomo giunto dal passato, antico santo
di Aries, superava forse il dominio del proprio volere; e alzare le mani contro
un maestro era un disonore.
“Questa nuova battaglia ci
mette alla prova sfidando il nostro stesso cuore”,
gridò il suo spirito a pezzi. “Che cosa ci aspetta, Mia
Dea? Perché tutto questo? Maestro!”
“Sei in grado di capire… e
ben presto districherai il nodo di questo mistero… più presto di quanto tu
pensi…”
Nelle tenebre si muoveva qualcosa… o qualcuno. Il
santo di Aries si preparava a reagire. L’Ariete celeste piangeva, accendendo di
lacrime astrali quegli istanti che preludevano al dramma. Il mondo attendeva un
nuovo giorno che forse non sarebbe mai sorto.