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Autore: Barsine    27/08/2005    4 recensioni
Si meravigliò ad accorgersi che il suo tocco un tempo tanto bramato gli provocava un acuto fastidio.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fianchi rotondi

Fianchi rotondi

Capitolo 10

 

 

 

 

 

   Era stordito, e la sua vista era appannata. La prima cosa che, strizzando le palpebre due o tre volte, riuscì a mettere a fuoco fu un viso affranto circondato da una massa di biondi e lucenti capelli e un profumo irresistibile che sembravano avvolgerlo in una morbida nube.

- Alessandro – la voce gli tremava. Anche il re sopra di lui gli sembrava che tremasse, allora avvicinò lentamente una mano al suo viso. – Alessandro, perché tremi? Dove sono? Cos’è successo?

- Sei nella mia stanza.

Efestione cercò di alzarsi ma l’acuto dolore lo costrinse a rinunciare. – Cosa…? Sono ferito!

Alessandro sorrise dolcemente e gli passò la mano tra i capelli per un tempo che parve meravigliosamente interminabile. Quei capelli, gli sembravano più morbidi. E quello sguardo… - Sì, Efestione, sei ferito. Non ricordi?

Chiuse gli occhi per cercare di ricordare, ma era tutto così confuso. – Io… l’unica cosa che ricordo è che ero ad un banchetto… - Alessandro si era chinato per baciargli la fronte ma a quelle parole sussultò e lo guardò negli occhi - Sì… ero ad un banchetto. Ricordi? O forse mi sono sognato tutto? Oh, Alessandro, mi pare d’aver dormito per così tanto tempo… chi mi ha ferito? Perché? Ero ubriaco e ho litigato con qualcuno?

Gli occhi di Alessandro divennero umidi e presto lacrime sottili gli rigarono nuovamente le guance già sciupate.

- Xandre… - protese una mano e la ingarbugliò fra le soffici trame di quei folti capelli.

- Sì… sì, hai dormito per così tanto tempo… e io avevo una così grande paura d’averti perso per sempre…

- Perso per sempre… - ripeté Efestione quasi involontariamente, mentre si perdeva davvero a guardare quel viso bellissimo e gli pareva fossero passati cent’anni dall’ultima volta che l’aveva ammirato. Lo vide chinarsi su di sé e sentì quelle labbra carnose posarsi sulla sua fronte. – Xandre… - e quanto tempo era passato dall’ultima volta che l’aveva chiamato così? – Xandre… dove sei stato tu, per tutto questo tempo?

- Qui, Phai. – in un lampo, i suoi occhi bassi sul pavimento e le sue braccia tese, il suo sguardo perduto. Scosse la testa per scacciare quell’immagine – Qui. Ti ho vegliato.

- Per tutto questo tempo?

Un attimo di silenzio e due occhi che parlavano più di mille parole – Tu… non mi parlavi più.

- Xandre… - fece scorrere la mano sulla sua guancia umida – Cos’è successo?

- Non avrei mai pensato che tu potessi essere così crudele con me.

- Crudele… Alessandro, io…

- Eros sconvolge la vita degli uomini. Guarda come mi ha ridotto. – non erano più parole rivolte ad Efestione.

- Alessandro… - pensò che il suo re fosse di nuovo preda dei suoi tormenti interiori; con un braccio lo attirò a sé e contro il suo petto ferito. Alessandro si lasciò andare a quel battito caldo e regolare, a quelle mani così familiari e sapienti, a quel profumo suo di una terra lontana, a quei ricordi di un’infanzia felice, a quella promessa di tanti anni fa.

- Lo sai, non mi piace vederti così.

- Perdonami, Efestione. Dovrei rilassarmi, pensavo ad alta voce. E’ che era tutto così scuro, quando tu non c’eri.

- Ora ci sono. Fino alla morte, Alessandro.

- Fino alla morte, Efestione.

E restarono così, immobili, ad ascoltare il battito dei loro cuori, a rendersi conto di essere ancora uniti, a stringersi la mano più forte che potessero; restarono così per un tempo infinito, fino a quando Efestione sollevò il viso dell’altro e lo pose di fronte al suo. E, per un attimo ancora, silenzio; rotto soltanto da un gemito disperato che sembrava provenire direttamente dall’Ade. Alessandro sussultò. – Devo… devo andare, Efestione.

- Dove?

- A sbrigare alcune faccende. Manderò qualcuno a prendersi cura di te, tornerò presto. – si alzò molto lentamente dal letto tenendo la mano di Efestione e non la lasciò fino a che le loro braccia non potessero più toccarsi, lo guardò fino a che non ebbe girato l’angolo della porta.

Una volta fuori, sospirò e si diresse nella stanza di Aristandro per ordinargli di badare al suo amico.

 

 

   Le sembrava ormai che fosse passata un’eternità. Come sarebbe stato il resto della sua vita, chiusa in quella cella?

Bagoas, sbattuto contro il muro, sembrava non sentire più il peso di quella disgrazia, sembrava che la morsa della fame non gli attanagliasse lo stomaco; o forse soffriva come lei ma non lo dava a vedere. Senza il suo Iskander non avrebbe più saputo vivere?

All’improvviso la luce di una fiaccola, e il suo viso fu illuminato.

- Grande Re… - fece lei.

- Is… Iskander… - fece una voce fievole alle sue spalle, ancora avvolta tra le tenebre. Avrebbe loro comunicato la sentenza; le loro gambe tremavano inesorabilmente.

- Di solito non faccio visita ai prigionieri più di una volta – una lunga pausa – Efestione si è svegliato.

- Ci fa piacere, Grande Re.

- Immagino. Bagoas.

Quando lentamente l’eunuco si alzò e si fece illuminare dalla fiaccola, scoprì un viso pallido e scavato dalle profonde sofferenze. – Mio signore.

- Perché l’hai fatto?

Un lungo, pesante silenzio, e una voce rotta dal pianto – Per amore.

- Amore?

- Non avrei mai voluto farti del male. Volevo solo che tu mi amassi, Iskander. Volevo essere amato sinceramente, per una volta nella mia vita.

- Le vostre azioni sono state efferate.

- L’amore mi ha bendato, Iskander. Un amore invincibile, che mi bruciava nel petto e mi faceva male. Non chiedo perdono, mio signore, non l’avrò mai, ma ormai la mia vita non ha senso.

- Narda.

- Alessandro.

- Parli bene il greco.

- Il mio primo padrone era greco.

- Perché hai accettato tutto questo? Mi sono state dette cose dignitose su di te.

- Cose dignitose? Grande Re, la mia famiglia mi vendette quando ero appena una ragazza, e io non avevo mai conosciuto altro che la sopravvivenza. Re Dario non mi preferì mai alle altre e ho sempre vissuto tra stenti e privazioni – si gettò a terra e giunse le mani verso Alessandro – perdonami, Grande Re, la mia famiglia è sempre stata così povera, e io così sciocca, così ignorante, quando vidi il denaro che mi fu offerto non ci pensai due volte, non pensai alle conseguenze, ero una così sciocca puttana… il denaro, mio Re, il denaro…

- Capisco. Mentre Bagoas può contare su una cassa non indifferente. E’ sempre stato il favorito, a quanto mi risulta.

- Sì, mio signore. Ma non l’avrei mai fatto se non fossi stato innamorato.

- Ricordi il discorso sull’amore che facemmo sul mio balcone?

- Sì, mio signore, e quando mi guardi muoio dalla vergogna, perché i tuoi occhi bruciano sulla mia pelle, e mi viene da piangere al pensiero d’averti ormai perso per sempre, di non poterti più accarezzare, di non sentire più le tue braccia stringermi forte. Non sopportavo il pensiero che cercassi da me solo voluttà, e che il tuo amore trovasse sollievo tra le braccia di Efestione, ho provato di tutto per farmi amare da te, per sentirmi finalmente amato da te, ma è inutile, ai voleri di Eros nessuno può scampare. Eros è stato crudele con me, guarda come mi ha ridotto.

Alessandro teneva gli occhi fissi su Bagoas, le cui parole gli fiammeggiavano nella mente come tizzoni ardenti. L’amore fa soffrire, pensava, fa soffrire tutti. Come poteva dimenticare gli occhi del suo Efestione che lo guardavano gelidi e le sue labbra che gli rivelavano di non amarlo più, di lasciarlo dormire? – Ma… vi rendete conto di quello che avete fatto? Voi due, schiavi, contro un re.

Narda gemette, Bagoas alzò gli occhi - L’amore non conosce restrizioni. E io ti amo, Iskander.

- Tu – prese Alessandro con voce atona – sei uno schiavo. E il tuo compito è…

- Quello di amarti. – concluse Bagoas – Ti amerò, Iskander, anche se tu non lo vorrai. Ti amerò anche chiuso in questa cella.

Un lungo, interminabile silenzio; e l’armeggiare di oggetti metallici.

- Tra due settimane, quando Efestione starà meglio, si terrà un banchetto. Siete invitati anche voi.

Narda si gettò ai suoi piedi, baciandoli e stringendoli, piangendo e gridando in una lingua incomprensibile, e in greco gli giurò fedeltà assoluta.

Bagoas si inginocchiò  nel rispetto dei costumi persiani, tenendo però gli occhi timidamente piangenti su quelli del re, impassibili, che fissavano un punto indefinito, in là nel tempo. Mai, pensò, potrà perdonarci.

E già si chiedeva cosa avesse in mente.

 

 

   Ora, finalmente, avrebbe potuto dedicarsi completamente al suo Efestione. Salì impaziente le scale per tornare ai suoi appartamenti, ma davanti alla porta della stanza di Bagoas si arrestò per qualche secondo. Quanti segreti nascondeva il suo servo? Cosa narravano i libri che teneva sullo scrittoio? Fu vinto dalla curiosità e, guardandosi attorno, decise di entrare.

Grossi volumi ingialliti di grammatica persiana, storie popolari. E quel papiro consumato, con disegni di strane erbe e medicamentosi. Chissà, forse erano proprio quelli gli strani ingredienti della pozione d’amore. Aristandro aveva ragione, pensava, Bagoas doveva desiderarlo con tutto stesso per essere arrivato a tanto. L’amore non ha restrizioni, aveva detto; ah, quanto era vero. Fa soffrire re e schiavi allo stesso modo, e chi avrebbe potuto dire se, al suo posto, lui stesso non si sarebbe comportato esattamente come il suo servo?

Prese con sé il papiro e tornò nella stanza. Aristandro sedeva sul treppiedi di fianco al letto e conversava con Efestione. – Oh, Alessandro.

- Aristandro. Avrei bisogno di te.

- Certo. – uscì. Efestione fece una smorfia di disappunto: Alessandro gli stava tenendo nascosto qualcosa.

   - Cosa? Li hai risparmiati?

- Sì.

- Ti sei rincitrullito, Alessandro? Ti rendi conto di quello che hai fatto?

- Perfettamente.

- Hanno attentato alla vita di Efestione! Avresti condannato chiunque! Perché mai risparmiare due schiavi!

- Al mio posto avresti scelto la stessa punizione. L’amore non ha restrizioni, Aristandro.

L’indovino alzò gli occhi al cielo – Dio di tutti gli dei!, ho sempre pensato che tu fossi imprevedibile, ma che arrivassi a tanto…

Alessandro, per tutta risposta, rise.

- Ma, d’altronde – continuò Aristandro – tu sei il re. Mi chiedo comunque come abbiano potuto quei due intenerirti a tal punto.

- Mi raccomando, Efestione non deve sapere nulla di quanto è successo.

- Fidati di me.

Alessandro mostrò il foglio di papiro all’indovino. – Dai un’occhiata.

Aristandro passò attentamente i suoi occhi piccoli sul foglio – Mmm. Erbe… strane erbe. Dove l’hai preso?

- Nella stanza di Bagoas. Perché non provi ad… esaminarlo meglio? E magari domani vieni a trovarmi, avrò sicuramente bisogno di te. - e lanciò al vecchio un’occhiata d’intesa.

 

 

   Rientrò nella stanza ed era bellissimo nella veste di lino leggera rossa coi bordi ricamati in oro. I capelli biondi gli ricadevano sofficemente sulle spalle incorniciando un viso finalmente sereno e rilassato. Si voltò; il suo Efestione lo stava guardando. E, anche così, pallido, scavato e smagrito, era naturalmente bello, virile, energico. Sorrise. Non l’avrebbe cacciato, quella volta; non sembrava avere sonno. Leggerissimo, gli si avvicinò e si sedette sul letto accanto a lui; si guardarono per un tempo infinito, come mai si erano guardati. E in quell’esatto momento, il resto scompariva. Niente più Bagoas, niente più Narda, niente più occhi bassi, niente più braccia tremanti, niente più.

Efestione protese una mano e lentamente scostò la veste dell’altro accarezzandogli il petto. Le sue labbra si schiusero – Alexandre

   Il suo amato chiamava il suo nome. Le sue labbra l’avevano pronunciato in un filo di voce, cercandolo; non le fece aspettare e le unì alle sue con una passione disperata, e sentì di nuovo il suo sapore, lo sentì vibrare, e allora si sollevò appena, e vide gli occhi socchiusi, le membra inerti sul letto, e il collo scoperto, lo baciò e lasciò la lingua alla sua libidine,  strappandogli un gemito.

   Gli strinse forte i capelli e alzò il suo viso per dirgli che si sentiva debole, che moriva dalla voglia di prenderlo, possederlo lì, ora, ma non avrebbe potuto. Ma quando vide gli occhi dell’altro accesi di una bramosia incoercibile, le sue labbra parlarono da sole: - Sei bello, Xandre. E desiderabile… - e in un ansimo abbandonò la testa al cuscino e ogni resistenza tra le sue braccia, mentre sentiva la folta chioma del suo amato spargersi sulla sua pelle tesa e sensibile, mentre sentiva la sua lingua farlo sprofondare negli abissi di un piacere sconvolgente, mentre sentiva il sangue scorrere furentemente sempre più giù.

   Quanto l’aveva desiderato? Quanto? E quella meravigliosa pelle, l’aspro profumo dei suoi capelli, erano ancora intatti, acqua nel deserto, soffiavano via ogni sofferenza; eppure gli sembrava ancora più bello, gli occhi socchiusi e brucianti erano più luminosi, e quelle forme perfette, non gli sembrava vero; e lo poteva ancora abbracciare, accarezzare, baciare dappertutto, poteva tremare di commozione, era suo; vide le sue mani impazienti raggiungerlo per far scivolare morbidamente la veste che lo avvolgeva sulle spalle, sulla vita, sui fianchi, e si scoprì liscio e splendente, e vide i suoi occhi accarezzarlo con libido, e allora gli donò la sua luce; e lo guardava sempre, mai abbassava gli occhi, mentre lo deliziava di ferventi piaceri, mentre lo sentiva scuotersi appena e gemere sotto di sé, mentre sentiva il suo respiro affannato, mentre sentiva il sangue nel suo sesso gonfio scalpitare di desiderio, e quando si adagiò su di lui e gli catturò sensuale i fianchi tra le cosce affondandolo nel suo calore vide i suoi occhi spalancarsi e il suo petto vincere il dolore, sollevandosi, per poterlo afferrare e stringere forte a sé.

 

 

   Quando si svegliarono erano ancora abbracciati. Alessandro giaceva con la testa sul petto di Efestione, sorridente mentre la mano del suo amato percorreva la sua schiena e si aggrovigliava fra i suoi capelli. La sua tranquillità fu violentemente turbata quando vide la chiazza rossa notevolmente allargata, e si alzò immediatamente.

- Ti sei sforzato troppo, ieri notte. Avresti dovuto rimanere steso. – fece mentre lo tamponava e gli cambiava le bende.

- Lo so. Non ho resistito. – e non resisteva nemmeno ora a quei capelli profumati e a quegli occhi cangianti – Ho dormito per troppo tempo, e avevo voglia di te.

Alessandro sorrise a quell’ammissione e gli promise che quel giorno si sarebbe dedicato completamente a lui.

- Alessandro – fece Efestione dopo una lunga esitazione - dimmi la verità, cos’è successo durante quel banchetto? Chi mi ha ferito?

Alessandro tentennò: - Un… un servo. Non so perché vi foste messi a litigare, ma tutta la situazione precipitò in pochi minuti. Non preoccuparti, comunque, la sentenza è già stata eseguita.

- Ah, capisco. Chissà, forse ero ubriaco.

- Sì, forse. – si chinò per dargli un bacio sulla fronte e il suo viso venne trattenuto dalle mani di Efestione; i loro sguardi si smarrirono e le loro labbra si unirono ancora una volta. – Ti fa molto male?

Efestione fece per sollevare il petto ma si accasciò subito dopo in un gemito.

- Mmm. Cerca di stare steso, in questi giorni. – e si ritrovò di nuovo con la testa sul petto del suo amato. Le sue mani su di lui, calde e sapienti, lo facevano sentire più che mai desiderato.

- Mi stai tenendo nascosto qualcosa, non è vero?

- Non sia mai. A cosa ti riferisci?

- Ieri, hai chiamato da parte Aristandro. Cos’è tutto questo mistero?

- Niente di particolare, Efestione, una sciocchezza.

Il generale alzò il viso del suo amato e lo costrinse a guardarlo negli occhi – Se fosse stata una sciocchezza – disse con tono leggermente alterato – avresti potuto dirla anche in mia presenza, non credi?

Alessandro non trattenne un risolino. Era così divertente Efestione con quella smorfia quasi di gelosia, e non ricordava assolutamente nulla, non ricordava il suo comportamento meschino, quando amava quella dannata ancella.

- Perché ridi? M prendi in giro?

- Sciocco! Voleva essere una sorpresa, ma siccome insisti, parlerò. Avevo intenzione di organizzare un banchetto, tra due settimane, in tuo onore.

Efestione gli abbassò il viso sul suo petto e lo strinse ancora di più a sé. Dei, quanto lo amava.

   All’improvviso, tre tocchi leggeri alla porta.

- Sì?

Entrò un bellissimo ragazzo persiano, portando due vassoi.

- Le nostre colazioni. Mangiare qualcosa ti rimetterà in forze.

Il ragazzo persiano obbedì al cenno del suo re di portargli le pietanze sul letto e gliele porse silenziosamente. Poi, tenendo gli occhi bassi, con un lieve inchino uscì come era venuto.

- Bagoas – mormorò Efestione, mentre Alessandro gli offriva la colazione – sempre così obbediente, così discreto. Mi piacerebbe proprio avere un servo come lui.

Alessandro rise e strinse forte la mano del suo Patroclo, com’era giusto: ai voleri di Eros era impossibile scampare, e quello era un volere di Eros.

  
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