Fianchi rotondi
Capitolo 10
Era stordito, e la sua vista era appannata. La prima cosa che,
strizzando le palpebre due o tre volte, riuscì a mettere a fuoco fu un viso affranto circondato da una massa di biondi e
lucenti capelli e un profumo irresistibile che sembravano avvolgerlo in una
morbida nube.
- Alessandro – la voce gli tremava.
Anche il re sopra di lui gli sembrava che tremasse, allora avvicinò
lentamente una mano al suo viso. – Alessandro, perché tremi? Dove
sono? Cos’è successo?
- Sei nella mia stanza.
Efestione cercò di alzarsi ma
l’acuto dolore lo costrinse a rinunciare. – Cosa…? Sono
ferito!
Alessandro sorrise dolcemente e gli
passò la mano tra i capelli per un tempo che parve meravigliosamente
interminabile. Quei capelli, gli sembravano più morbidi. E quello
sguardo… - Sì, Efestione, sei ferito. Non ricordi?
Chiuse gli occhi per cercare di ricordare, ma
era tutto così confuso. – Io… l’unica cosa che ricordo
è che ero ad un banchetto… - Alessandro si era chinato per
baciargli la fronte ma a quelle parole sussultò e lo guardò negli
occhi - Sì… ero ad un banchetto. Ricordi? O forse mi sono sognato
tutto? Oh, Alessandro, mi pare d’aver dormito per così tanto tempo…
chi mi ha ferito? Perché? Ero ubriaco e ho litigato con qualcuno?
Gli occhi di Alessandro divennero umidi e
presto lacrime sottili gli rigarono nuovamente le guance già sciupate.
- Xandre…
- protese una mano e la ingarbugliò fra le soffici trame di quei folti
capelli.
- Sì… sì, hai dormito per così
tanto tempo… e io avevo una così grande paura d’averti perso
per sempre…
- Perso per sempre… - ripeté
Efestione quasi involontariamente, mentre si perdeva davvero a guardare quel
viso bellissimo e gli pareva fossero passati cent’anni dall’ultima
volta che l’aveva ammirato. Lo vide chinarsi su di sé e
sentì quelle labbra carnose posarsi sulla sua fronte. – Xandre… - e quanto tempo era
passato dall’ultima volta che l’aveva chiamato così? –
Xandre… dove sei stato tu, per
tutto questo tempo?
- Qui, Phai.
– in un lampo, i suoi occhi bassi sul pavimento e le sue braccia tese, il
suo sguardo perduto. Scosse la testa per scacciare quell’immagine –
Qui. Ti ho vegliato.
- Per tutto questo tempo?
Un attimo di silenzio e due occhi che
parlavano più di mille parole – Tu… non mi parlavi
più.
- Xandre…
- fece scorrere la mano sulla sua guancia umida – Cos’è
successo?
- Non avrei mai pensato che tu potessi essere
così crudele con me.
- Crudele… Alessandro, io…
- Eros sconvolge la vita degli uomini. Guarda
come mi ha ridotto. – non erano più parole rivolte ad Efestione.
- Alessandro… - pensò che il suo
re fosse di nuovo preda dei suoi tormenti interiori; con un braccio lo
attirò a sé e contro il suo petto ferito. Alessandro si
lasciò andare a quel battito caldo e regolare, a quelle mani così
familiari e sapienti, a quel profumo suo di una terra lontana, a quei ricordi
di un’infanzia felice, a quella promessa di tanti anni fa.
- Lo sai, non mi piace vederti così.
- Perdonami, Efestione. Dovrei rilassarmi,
pensavo ad alta voce. E’ che era tutto così scuro, quando tu non
c’eri.
- Ora ci sono. Fino alla morte, Alessandro.
- Fino alla morte, Efestione.
E restarono così, immobili, ad
ascoltare il battito dei loro cuori, a rendersi conto di essere ancora uniti, a
stringersi la mano più forte che potessero; restarono così per un
tempo infinito, fino a quando Efestione sollevò il viso dell’altro
e lo pose di fronte al suo. E, per un attimo ancora, silenzio; rotto soltanto
da un gemito disperato che sembrava provenire direttamente dall’Ade.
Alessandro sussultò. – Devo… devo andare, Efestione.
- Dove?
- A sbrigare alcune faccende. Manderò
qualcuno a prendersi cura di te, tornerò presto. – si alzò
molto lentamente dal letto tenendo la mano di Efestione e non la lasciò
fino a che le loro braccia non potessero più toccarsi, lo guardò
fino a che non ebbe girato l’angolo della porta.
Una volta fuori, sospirò e si diresse
nella stanza di Aristandro per ordinargli di badare al suo amico.
Le sembrava ormai che fosse passata un’eternità. Come
sarebbe stato il resto della sua vita, chiusa in quella cella?
Bagoas, sbattuto contro il muro, sembrava non
sentire più il peso di quella disgrazia, sembrava che la morsa della
fame non gli attanagliasse lo stomaco; o forse soffriva come lei ma non lo dava
a vedere. Senza il suo Iskander non
avrebbe più saputo vivere?
All’improvviso la luce di una fiaccola,
e il suo viso fu illuminato.
- Grande Re… - fece lei.
- Is… Iskander… - fece una voce fievole alle sue spalle, ancora
avvolta tra le tenebre. Avrebbe loro comunicato la sentenza; le loro gambe
tremavano inesorabilmente.
- Di solito non faccio
visita ai prigionieri più di una volta – una lunga pausa –
Efestione si è svegliato.
- Ci fa piacere, Grande Re.
- Immagino. Bagoas.
Quando lentamente
l’eunuco si alzò e si fece illuminare dalla fiaccola,
scoprì un viso pallido e scavato dalle profonde sofferenze. – Mio
signore.
- Perché l’hai fatto?
Un lungo, pesante silenzio, e una voce rotta
dal pianto – Per amore.
- Amore?
- Non avrei mai voluto farti del male. Volevo
solo che tu mi amassi, Iskander.
Volevo essere amato sinceramente, per una volta nella mia vita.
- Le vostre azioni sono state efferate.
- L’amore mi ha bendato, Iskander. Un amore invincibile, che mi
bruciava nel petto e mi faceva male. Non chiedo perdono, mio signore, non
l’avrò mai, ma ormai la mia vita non ha senso.
- Narda.
- Alessandro.
- Parli bene il greco.
- Il mio primo padrone era greco.
- Perché hai accettato tutto questo? Mi
sono state dette cose dignitose su di te.
- Cose dignitose? Grande Re, la mia famiglia
mi vendette quando ero appena una ragazza, e io non avevo mai conosciuto altro
che la sopravvivenza. Re Dario non mi preferì mai alle altre e ho sempre
vissuto tra stenti e privazioni – si gettò a terra e giunse le
mani verso Alessandro – perdonami, Grande Re, la
mia famiglia è sempre stata così povera, e io così
sciocca, così ignorante, quando vidi il denaro che mi fu offerto non ci
pensai due volte, non pensai alle conseguenze, ero una così sciocca
puttana… il denaro, mio Re, il denaro…
- Capisco. Mentre Bagoas
può contare su una cassa non indifferente. E’ sempre stato
il favorito, a quanto mi risulta.
- Sì, mio signore. Ma non l’avrei
mai fatto se non fossi stato innamorato.
- Ricordi il discorso sull’amore che
facemmo sul mio balcone?
- Sì, mio signore, e quando mi guardi muoio dalla vergogna, perché i tuoi occhi
bruciano sulla mia pelle, e mi viene da piangere al pensiero d’averti
ormai perso per sempre, di non poterti più accarezzare, di non sentire più
le tue braccia stringermi forte. Non sopportavo il pensiero che cercassi da me solo voluttà, e che il tuo amore
trovasse sollievo tra le braccia di Efestione, ho provato di tutto per farmi
amare da te, per sentirmi finalmente amato da te, ma è inutile, ai
voleri di Eros nessuno può scampare. Eros è stato crudele con me,
guarda come mi ha ridotto.
Alessandro teneva gli occhi fissi su Bagoas,
le cui parole gli fiammeggiavano nella mente come tizzoni ardenti.
L’amore fa soffrire, pensava, fa soffrire tutti. Come poteva dimenticare gli occhi
del suo Efestione che lo guardavano gelidi e le sue
labbra che gli rivelavano di non amarlo più, di lasciarlo dormire?
– Ma… vi rendete conto di quello che avete
fatto? Voi due, schiavi, contro un re.
Narda gemette, Bagoas
alzò gli occhi - L’amore non conosce restrizioni. E io ti amo, Iskander.
- Tu – prese
Alessandro con voce atona – sei uno schiavo. E
il tuo compito è…
- Quello di amarti. – concluse Bagoas
– Ti amerò, Iskander,
anche se tu non lo vorrai. Ti amerò anche chiuso in questa cella.
Un lungo, interminabile silenzio; e
l’armeggiare di oggetti metallici.
- Tra due settimane, quando Efestione
starà meglio, si terrà un banchetto. Siete invitati anche voi.
Narda si gettò ai suoi piedi,
baciandoli e stringendoli, piangendo e gridando in una lingua incomprensibile, e in greco gli giurò
fedeltà assoluta.
Bagoas si inginocchiò nel rispetto dei costumi persiani,
tenendo però gli occhi timidamente piangenti su quelli del re, impassibili,
che fissavano un punto indefinito, in là nel tempo. Mai, pensò,
potrà perdonarci.
E già si
chiedeva cosa avesse in mente.
Ora, finalmente, avrebbe potuto dedicarsi
completamente al suo Efestione. Salì impaziente le scale per
tornare ai suoi appartamenti, ma davanti alla porta della stanza di Bagoas si
arrestò per qualche secondo. Quanti segreti nascondeva
il suo servo? Cosa narravano i libri che teneva sullo
scrittoio? Fu vinto dalla curiosità e, guardandosi attorno, decise di
entrare.
Grossi volumi ingialliti di grammatica
persiana, storie popolari. E quel papiro consumato,
con disegni di strane erbe e medicamentosi. Chissà, forse erano proprio
quelli gli strani ingredienti della pozione d’amore. Aristandro aveva ragione,
pensava, Bagoas doveva desiderarlo con tutto sé
stesso per essere arrivato a tanto. L’amore non ha restrizioni, aveva
detto; ah, quanto era vero. Fa soffrire re e schiavi allo stesso modo, e chi avrebbe potuto dire se, al suo posto, lui stesso non si
sarebbe comportato esattamente come il suo servo?
Prese con sé il papiro e tornò
nella stanza. Aristandro sedeva sul treppiedi di
fianco al letto e conversava con Efestione. – Oh, Alessandro.
- Aristandro. Avrei bisogno di te.
- Certo. – uscì. Efestione fece
una smorfia di disappunto: Alessandro gli stava tenendo nascosto qualcosa.
- Cosa? Li hai risparmiati?
- Sì.
- Ti sei rincitrullito, Alessandro? Ti rendi
conto di quello che hai fatto?
- Perfettamente.
- Hanno attentato alla vita di
Efestione! Avresti condannato chiunque! Perché
mai risparmiare due schiavi!
- Al mio posto avresti scelto la stessa
punizione. L’amore non ha restrizioni, Aristandro.
L’indovino alzò gli occhi al
cielo – Dio di tutti gli dei!, ho sempre pensato
che tu fossi imprevedibile, ma che arrivassi a tanto…
Alessandro, per tutta risposta, rise.
- Ma,
d’altronde – continuò Aristandro – tu sei il re. Mi
chiedo comunque come abbiano potuto quei due
intenerirti a tal punto.
- Mi raccomando, Efestione non deve sapere
nulla di quanto è successo.
- Fidati di me.
Alessandro mostrò il foglio di papiro
all’indovino. – Dai un’occhiata.
Aristandro passò attentamente i suoi
occhi piccoli sul foglio – Mmm. Erbe… strane erbe.
Dove l’hai preso?
- Nella stanza di Bagoas. Perché
non provi ad… esaminarlo meglio? E magari domani
vieni a trovarmi, avrò sicuramente bisogno di te. - e
lanciò al vecchio un’occhiata d’intesa.
Rientrò nella stanza ed era bellissimo nella veste di lino
leggera rossa coi bordi ricamati in oro. I capelli
biondi gli ricadevano sofficemente sulle spalle incorniciando un viso
finalmente sereno e rilassato. Si voltò; il suo Efestione lo stava
guardando. E, anche così, pallido, scavato e
smagrito, era naturalmente bello, virile, energico. Sorrise. Non
l’avrebbe cacciato, quella volta; non sembrava avere sonno. Leggerissimo,
gli si avvicinò e si sedette sul letto accanto a lui; si guardarono per
un tempo infinito, come mai si erano guardati. E in
quell’esatto momento, il resto scompariva. Niente
più Bagoas, niente più Narda, niente più occhi bassi,
niente più braccia tremanti, niente più.
Efestione protese una mano e lentamente
scostò la veste dell’altro accarezzandogli il petto. Le sue labbra
si schiusero – Alexandre…
Il suo amato chiamava il suo nome. Le sue
labbra l’avevano pronunciato in un filo di voce, cercandolo; non le fece
aspettare e le unì alle sue con una passione disperata, e sentì
di nuovo il suo sapore, lo sentì vibrare, e allora si sollevò
appena, e vide gli occhi socchiusi, le membra inerti sul letto, e il collo
scoperto, lo baciò e lasciò la lingua alla sua libidine, strappandogli
un gemito.
Gli strinse forte i capelli e alzò il suo viso per dirgli che si sentiva debole, che moriva dalla voglia di
prenderlo, possederlo lì, ora, ma non avrebbe potuto. Ma quando vide gli
occhi dell’altro accesi di una bramosia incoercibile, le sue labbra parlarono da sole: - Sei bello, Xandre. E
desiderabile… - e in un ansimo abbandonò la testa al cuscino e
ogni resistenza tra le sue braccia, mentre sentiva la folta chioma del suo
amato spargersi sulla sua pelle tesa e sensibile, mentre sentiva la sua lingua
farlo sprofondare negli abissi di un piacere sconvolgente, mentre sentiva il
sangue scorrere furentemente sempre più giù.
Quanto l’aveva desiderato? Quanto? E quella meravigliosa pelle,
l’aspro profumo dei suoi capelli, erano ancora intatti,
acqua nel deserto, soffiavano via ogni sofferenza; eppure gli sembrava
ancora più bello, gli occhi socchiusi e brucianti erano più
luminosi, e quelle forme perfette, non gli sembrava vero; e lo poteva ancora
abbracciare, accarezzare, baciare dappertutto, poteva tremare di commozione,
era suo; vide le sue mani impazienti raggiungerlo per far scivolare
morbidamente la veste che lo avvolgeva sulle spalle, sulla vita, sui fianchi, e
si scoprì liscio e splendente, e vide i suoi occhi accarezzarlo con libido, e allora gli donò la sua luce; e lo guardava sempre, mai
abbassava gli occhi, mentre lo deliziava di ferventi piaceri, mentre lo sentiva
scuotersi appena e gemere sotto di sé, mentre sentiva il suo respiro
affannato, mentre sentiva il sangue nel suo sesso gonfio scalpitare di
desiderio, e quando si adagiò su di lui e gli catturò sensuale i
fianchi tra le cosce affondandolo nel suo calore vide i suoi occhi spalancarsi
e il suo petto vincere il dolore, sollevandosi, per poterlo afferrare e
stringere forte a sé.
Quando si svegliarono erano ancora abbracciati.
Alessandro giaceva con la testa sul petto di Efestione,
sorridente mentre la mano del suo amato percorreva la sua schiena e si
aggrovigliava fra i suoi capelli. La sua tranquillità fu violentemente turbata quando vide la chiazza rossa notevolmente allargata,
e si alzò immediatamente.
- Ti sei sforzato troppo, ieri notte. Avresti
dovuto rimanere steso. – fece mentre lo tamponava e gli cambiava le
bende.
- Lo so. Non ho resistito. – e non
resisteva nemmeno ora a quei capelli profumati e a quegli occhi cangianti
– Ho dormito per troppo tempo, e avevo voglia di te.
Alessandro sorrise a quell’ammissione e
gli promise che quel giorno si sarebbe dedicato
completamente a lui.
- Alessandro – fece Efestione dopo una
lunga esitazione - dimmi la verità,
cos’è successo durante quel banchetto? Chi mi ha ferito?
Alessandro tentennò: - Un… un
servo. Non so perché vi foste messi a litigare, ma tutta la situazione
precipitò in pochi minuti. Non preoccuparti, comunque, la sentenza
è già stata eseguita.
- Ah, capisco. Chissà, forse ero
ubriaco.
- Sì, forse. – si chinò
per dargli un bacio sulla fronte e il suo viso venne trattenuto dalle mani di
Efestione; i loro sguardi si smarrirono e le loro labbra si unirono ancora una
volta. – Ti fa molto male?
Efestione fece per sollevare il petto ma si
accasciò subito dopo in un gemito.
- Mmm. Cerca di stare steso, in questi giorni.
– e si ritrovò di nuovo con la testa sul
petto del suo amato. Le sue mani su di lui, calde e sapienti, lo facevano
sentire più che mai desiderato.
- Mi stai tenendo nascosto
qualcosa, non è vero?
- Non sia mai. A cosa ti riferisci?
- Ieri, hai chiamato da parte Aristandro. Cos’è tutto questo mistero?
- Niente di particolare, Efestione, una
sciocchezza.
Il generale alzò il viso del suo amato
e lo costrinse a guardarlo negli occhi – Se fosse stata una sciocchezza
– disse con tono leggermente alterato – avresti
potuto dirla anche in mia presenza, non credi?
Alessandro non trattenne un risolino. Era
così divertente Efestione con quella smorfia quasi di gelosia, e non
ricordava assolutamente nulla, non ricordava il suo
comportamento meschino, quando amava quella dannata ancella.
- Perché ridi?
M prendi in giro?
- Sciocco! Voleva essere una sorpresa, ma
siccome insisti, parlerò. Avevo intenzione di
organizzare un banchetto, tra due settimane, in tuo onore.
Efestione gli abbassò il viso sul suo
petto e lo strinse ancora di più a sé. Dei, quanto
lo amava.
All’improvviso, tre tocchi leggeri alla
porta.
- Sì?
Entrò un bellissimo ragazzo persiano,
portando due vassoi.
- Le nostre colazioni. Mangiare qualcosa ti
rimetterà in forze.
Il ragazzo persiano obbedì al cenno del
suo re di portargli le pietanze sul letto e gliele porse silenziosamente. Poi,
tenendo gli occhi bassi, con un lieve inchino uscì come
era venuto.
- Bagoas – mormorò Efestione,
mentre Alessandro gli offriva la colazione – sempre così
obbediente, così discreto. Mi piacerebbe proprio avere un servo come
lui.
Alessandro rise e strinse forte la mano del
suo Patroclo, com’era giusto: ai voleri di Eros
era impossibile scampare, e quello era un volere di Eros.