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Autore: Tynuccia    09/05/2010    4 recensioni
[Gundam SEED] Gli faceva piacere che Athrun intervenisse per difenderlo, ogni tanto, ma era certo che, se solo avesse saputo…
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Athrun Zala, Nicol Amarfi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sbagliato

 

*

 

 “Mi raccomando, tesoro, fai il bravo.” Romina Amalfi strinse le labbra per non cominciare a piangere, ma si lasciò comunque trascinare dai sentimenti e, in un battito di ciglia, si avvicinò al figlio e lo strinse a sé, passando un braccio intorno alla sua vita e mettendogli una mano sulla nuca, com’era abituata a fare quando ancora aveva qualcosa come uno o due anni. “Non causare problemi al Comandante La Kleuze e ai tuoi compagni di squadra, ma sei un bravo bambino, sì… Non c’è bisogno di dirti certe cose.”

 Ragazzo, mamma.” Nicol Amalfi arrossì violentemente, sia per i modi di fare affettuosi della madre e sia per la scelta sbagliata di parole. “Sono un adolescente, ora.”

 Romina si allontanò di un paio di passi, premendo la mano stretta a pugno sul petto, ed aprì la bocca per replicare, ma suo marito, Yuri Amalfi, le strofinò delicatamente la spalla, facendola guardare in su. “Mia cara, il nostro ometto è cresciuto,” disse con un sorriso smagliante che fece annuire vigorosamente il più giovane dei tre. “Guarda, ha pure la divisa da Red Coat… Se c’è una cosa che non devi fare, quella è preoccuparti per certe inezie.”

 “Sì, è vero,” ammise la donna, a sua volta con le guance leggermente vermiglie. “Mi dispiace, ma per me lui sarà sempre il mio bambino.”

 “Chiamala ossessione materna, se ti va.” Yuri scoppiò a ridere, imitato dal figlio, sebbene fosse comunque imbarazzato, mentre la moglie rientrava in casa. “Ma è solo il suo modo per esprimere quanto tenga a te.”

 “Mi sta bene, papà. So che la mamma è apprensiva e quello che faccio non è esattamente sicuro… Le chiederesti se può prendersi cura del mio pianoforte, mentre sono su Heliopolis?” Nicol scoccò un sorriso smagliante al padre quando annuì. “Grazie.” Si accomodò sul sedile posteriore dell’auto di famiglia e Yuri si sporse per guardarlo un’ultima volta. “Sì, papà, starò attento.”

 “Questo è il mio ragazzo,” replicò lui, ghignando. “Buon viaggio, non credo sia il caso di augurarti un buon divertimento…”

 Dopo che Nicol ebbe riso, l’autista accese il motore e cominciò a guidare tranquillamente verso il porto spaziale di Aprilius dove, insieme ai suoi cinque compagni, si sarebbe imbarcato sulla Vesalius di Raww La Kleuze, tutti pronti a partire alla volta di Heliopolis per la loro prima missione. Non aveva il minimo rimorso per il furto che avrebbero operato all’interno degli hangar della colonia, dopotutto ZAFT era nella ragione; era stata l’Alleanza a distruggere Junius Seven, a spazzare via un’infinità di vite innocenti: vecchi e bambini… Uomini e donne… Lenore Zala.

 C’erano volte, la notte, che si sognava ancora l’espressione affranta che aveva deturpato il bellissimo viso di Athrun al funerale della madre. Esplicitamente il figlio del Consigliere Patrick non aveva mostrato a tutti la sua sofferenza, ma Nicol era stato in grado di capire subito che, nel sorriso di circostanza che aveva piegato all’insù le labbra del giovane, c’era qualcosa che non andava e, più lo guardava, più associava ad esso tristezza, dolore, rabbia. Non osava neppure immaginare cosa volesse dire perdere la propria mamma, sinceramente non sarebbe sopravvissuto senza le amorevoli – e talvolta imbarazzanti – cure di Romina.

 Conosceva Athrun da quando erano piccoli visto che era usanza, su PLANT, stringere saldi rapporti di amicizia tra colleghi e quindi gli Amalfi e gli Zala si incontravano abbastanza spesso, ma mai per loro volere in quanto Patrick e Yuri, all’interno del Consiglio, erano sempre stati agli antipodi e, involontariamente, le loro idee non avevano mai permesso loro di avvicinarsi. Nicol era comunque entusiasta di vedere il bimbo dai capelli blu alle feste di gala o ai banchetti dell’Alta Società. L’aveva sempre trovato divertente e brillante, in qualche modo l’aveva rapito sin dal loro primo incontro e, ben presto, era diventato per lui un modello da imitare e poco importava se avrebbe potuto solo guardarlo da lontano.

 Era stato un minimo colpo al cuore quando l’aveva ritrovato in Accademia, nella sua stessa classe per giunta. Durante quei mesi si era dato da fare per diplomarsi con voti ottimi, ma anche per guadagnarsi un posticino nel cuore del suo idolo ed era stata un’immensa gioia scoprire come Athrun fosse incline ad assecondarlo, a non spingerlo via quando gli trotterellava intorno. Se aveva qualcosa da dire, lui lo ascoltava; se aveva qualche problema nello studio, lui lo aiutava; se finiva un nuovo brano al pianoforte, lui sorrideva e, sebbene non fosse un grande ammiratore della musica classica o dei concerti, si sedeva su una sedia e chiudeva gli occhi smeraldo, lasciandosi cullare dalle melodie. Più volte si era addormentato ed il rossore sulle sue guance quando Nicol lo canzonava quasi maliziosamente era uno spettacolo in grado di procurargli la pelle d’oca: Athrun Zala era davvero la creatura più bella che l’universo avrebbe mai potuto concepire.

 Ed erano proprio quei pensieri di carattere sentimentale che gli procuravano quotidianamente dei tremendi mal di testa in grado di far assumere al suo giovane volto le medesime smorfie che deformavano un secondo sì e quello dopo pure quello del suo compagno di squadra Yzak Joule. Aveva solo quindici anni, era un ragazzino nonostante le sue pretese da adulto con sua madre, e mai aveva avuto delle esperienze sentimentali, giusto qualche cotta leggera per questa o quella ragazza. Femmina. Con le curve e tutto il resto. Non per i maschi con cui era solito giocare e mai si era ritrovato a pensare ad uno del suo stesso sesso; con il suo stesso sesso. La prima volta che, inconsciamente, aveva immaginato di toccare Athrun in maniera diversa dal solito, più piacevole e leziosa, era arrossito talmente che il loro insegnante lo aveva invitato ad andare in infermeria, sospettando una qualche febbre da cavallo per imporporargli così la pelle altrimenti pallida. Non aveva avuto il coraggio di controbattere, soprattutto perché sentiva gli sguardi sprezzanti di Dearka e Yzak perforargli la nuca, e si era andato a stendere su una brandina, dove le sue fantasie lo avevano tormentato fino a quando la dottoressa, sorpresa di non vedere il suo compagno dal caschetto argenteo, gli si era seduta a fianco e gli aveva chiesto cosa ci fosse che non andava.

 Dire che l’episodio l’aveva segnato era minimizzare la faccenda e, da quel giorno in avanti, si era abituato all’idea che la sua ammirazione nei confronti di Athrun fosse qualcosa di più profondo e proibito, se così poteva dire; conviveva con le sue speranze, quasi le accettava, ma ancora si sentiva estremamente imbarazzato nei confronti di se stesso quando la parola omosessuale gli attraversava la mente, alla fine dell’ennesimo viaggio mentale riguardo a cosa avrebbe potuto fare al suo amico, accompagnata dal lancinante dolore che la consapevolezza dell’eterosessualità del giovane Zala portava con sé. Questo, comunque, non gli impediva di immaginare un mondo dove lui era interessato seriamente alla sua persona ed alle sue capacità, dove non solo i complimenti per un brano particolarmente bello o un buon voto avrebbero significato tutto, ma anche baci e carezze il cui pensiero, nel mondo reale, bastava per mortificarlo oltre ogni limite e farlo sentire diverso, sbagliato, malato. Le prese per i fondelli da parte di Dearka e Yzak, poi, servivano solo a farlo sprofondare nell’abisso ulteriormente e i due neppure immaginavano che erano nella ragione quando lo chiamavano La fidanzatina di Zala e lui, invece, non capiva che erano loro i due emeriti stronzi e non lui quello strano. Gli faceva piacere che Athrun intervenisse per difenderlo, ogni tanto, ma era certo che, se solo avesse saputo…

 “Signorino Nicol, siamo arrivati.”

 La voce dell’autista lo destò dai suoi laconici pensieri e sorrise comunque, inclinando lievemente il capo. “Grazie.” Scese dalla macchina con la borsa stretta in mano e si guardò intorno, il porto che brulicava di vita ed una moltitudine quasi imbarazzante di soldati in verde era impegnata a caricare la Vesalius di ogni provvista che sarebbe servita loro, Miguel Ayman poco più in là con il Comandante La Kleuze e, davanti alla scaletta di accesso con le braccia conserte c’era Rusty McKanzie, la zazzera rossa inconfondibile e che faceva a pugni con la vernice celeste della loro nave. Nicol sorrise ulteriormente e si fece largo verso il più bilanciato della loro squadra, l’unico che riusciva a trovare un compromesso sia con la parte Amalfi-Zala e la parte Elthman-Joule. E, anche, l’unico a conoscenza del segreto del giovane dai capelli verdi.

 “Oh, signora Zala, la vedo in forma!” esclamò infatti, ghignando divertito, ma senza malizia o cattiveria, a differenza dei più perfidi del team.

 “Rusty, piantala,” strillò Nicol, piccato comunque. Sospirò e spiò curiosamente dietro di lui. “Siamo gli unici?”

 “No, Scemo e Più Scemo sono già entrati, mentre suo marito ancora non è arrivato,” continuò il rosso, abbassandosi per evitare una sberla. “Ehi, quanta potenza… Si trattano così gli amici?”

 “Scusa,” borbottò lui, avvampando. C’era una perversa soddisfazione che lo inondava quando l’unico plebeo della squadra faceva quelle considerazioni, come se lui e Athrun fossero spos- scosse violentemente il capo, cercando di darsi un contegno e non perdersi ancora nel turbine della finzione che li vedeva protagonisti, sebbene fosse decisamente appagante.

 “Figurati,” Rusty gli passò un braccio intorno alle spalle e sospirò teatralmente. “Posso capire il tuo dolore. Se solo Dearka mi amasse…”

 “Idiota,” rise Nicol, pensando all’impossibile coppia formata dall’Elthman e dal suo interlocutore. I suoi pensieri vennero comunque interrotti quando notò gli inconfondibili capelli blu notte dell’oggetto dei suoi desideri più proibiti avvicinarsi, bello e impossibile, e sentì un calore irresistibile salirgli alle guance.

 “Okay, vi lascio,” sussurrò Rusty, seriamente. “Vi aspettiamo dentro, comunque, sai che il Comandante è schifosamente preciso riguardo ai tempi.”

 “Grazie,” disse il giovane, girandosi per guardarlo allontanarsi nella nave. E per non incontrare lo sguardo magnifico di Athrun Zala, ovviamente.

 “Buongiorno,” sbadigliò quest’ultimo quando gli fu dietro. Gli sorrise gentilmente, incontrando i suoi occhi castani, e gli battè un’amichevole pacca sulla spalla. “Già qui?”

 “Ho preferito essere puntuale,” si confidò Nicol, arrossendo. “E sono anche abbastanza agitato riguardo alla missione, visto che è la prima…”

 “Idem,” concordò Athrun, annuendo lentamente. “Spero vada tutto bene.”

 Il soldato più giovane lo seguì nella Vesalius e gli posò una mano sul braccio, sentendo le palpitazioni aumentare a dismisura solo per quel semplice contatto, specie quando lui si voltò e gli rivolse uno sguardo confuso, le labbra ancora increspate e la testa leggermente inclinata. “S-se hai voglia di sfogarti, Athrun… Beh io ci sono.”

 Il figlio di Patrick Zala sorrise allegramente e lo ringraziò gentilmente, offrendogli uno sguardo d’apprezzamento, prima di continuare a camminare nel corridoio della nave. Nicol rimase immobile, stringendo la borsa e guardandolo allontanarsi. Sogghignò a sua volta e decise che, sbagliato o meno, sano o malato, per lui il sentimento nei confronti del suo compagno di squadra era qualcosa di serio e profondo e che, sicuramente, col tempo avrebbe potuto smaltire ed accettare, a prescindere dalla reazione del mondo. Tutto finchè Athrun sarebbe stato al suo fianco, anche solo come un amico.

  
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