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Autore: miseichan    11/05/2010    7 recensioni
Non sono mai stata il tipo di ragazza che si lascia prendere dall’ansia né tanto meno che viene colta impreparata da una situazione ai limiti dell’inverosimile… bisogna ammettere però che non mi era neppure mai successa una cosa del genere! Lo guardai ancora, respirando con calma, chiusi gli occhi per qualche attimo. Quando li riaprii non riuscii più a trattenermi: “Si può sapere per quale diavolo di motivo tieni Robert Pattinson chiuso nel tuo bagno!?”
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Byron

 

Do I have to cry for you?

 

 

* Byron *

 

 

Mi girai, guardandomi alle spalle, nella vana speranza che la signora non stesse parlando con me.

Ma dietro di me non c’era nessuno.

Tornai a fissare il viso della donna: lei mi osservava con aria interrogativa, in attesa di una mia risposta. Avrei anche, tanto, voluto risponderle… se solo avessi capito cos’è che voleva!

Aveva parlato per tipo due minuti, in modo veloce e concitato, e, parte più importante: lo aveva fatto in inglese. Naturalmente, non avrei dovuto sorprendermene: ero in Inghilterra in fin dei conti!

C’era da dire però che, se pure mi ero preparata psicologicamente a sentir parlare in una lingua non mia per due settimane, non avevo tenuto conto dei dialetti.

E quello della signora, sicuramente, era un qualche dialetto a me sconosciuto: aveva unito ed accavallato le parole al punto da non lasciarmi modo di capirne nemmeno una.

Strinsi gli occhi, lanciandole un’occhiata supplice.

Lei dovette capire in qualche modo il mio disagio, perché sorrise, annuendo con aria materna: mi si avvicinò e ripeté la sua domanda, parlando questa volta lentamente e scandendo al tempo stesso tutte le parole.

“Sa dirmi gentilmente che ore sono, signorina?”

Arrossii fino alla radice dei capelli: santo Dio, non avevo capito una domanda… quella domanda!

Come si fa ad andare in Inghilterra senza capire nemmeno quando uno ti chiede l’ora?!

Annuii rapidamente e risposi afflitta:

- Le quattro e venti, signora. Mi scusi per prima, ma non sono riuscita a…-

Lei non mi lasciò terminare, scuotendo la testa e ridacchiando:

- Non si preoccupi è più che normale! Deve solo farci l’orecchio-

Sollevai le sopracciglia, poco confortata dalle parole della signora: farci l’orecchio, diceva lei, come se fosse facile!

La osservai allontanarsi, camminando rapida nell’aeroporto quasi deserto: le uniche illuminazioni provenivano dalle fievoli lampadine, fuori era ancora buio pesto e sembrava che l’intorpidimento e la sonnolenza della notte avesse contagiato l’intero edificio.

L’enorme sala era avvolta nel silenzio, anche il monotono fruscio del nastro portante i bagagli sembrava voler far piano per non disturbare.

Mi strinsi di più nel cappotto troppo leggero, stropicciandomi gli occhi e sbadigliando: ma che fine aveva fatto la mia valigia? Che si fosse addormentata anche lei?

No, forse era uno scherzo della signorina dell’aereo: sorrisi ripensandoci…

La hostess che perse il sorriso: la vendetta.

Mi venne da ridere, scombussolata dall’assurdità dei miei stessi pensieri ma mi trattenni.

Non ero sola in fondo: alcuni impiegati ai loro posti e altri passeggeri insonnoliti o addormentati sulle sedie, c’erano. Non era il caso di passare per pazza di prima mattina.

Un urletto sorpreso mi sfuggì di bocca quando sentii una vibrazione nella tasca del jeans e una ragazza non troppo lontana da me, in piedi anche lei in attesa del bagaglio, mi fissò truce.

Prendendo il cellulare ricambiai ostile il suo sguardo: tesoro, vorresti farmi credere che tutti i tuoi problemi ti sono causati dalla vibrazione di un cellulare?!

Scuotendo impercettibilmente la testa aprii lo slide del cellulare, facendo per rispondere.

Non riuscii a dire niente però, che un urlo acuto e prolungato mi procurò una momentanea sordità.

Spostai il cellulare all’altro orecchio, non riuscendo ad evitare di sorridere.

Michela.

Solo lei riusciva ad urlare così.

L’urlo pian piano si affievolì, finendo poi per tramutarsi in una veloce parlantina:

- Sei arrivata, sei arrivata! Com’è l’Inghilterra?! Dio, non riesco a credere che tu sia in Inghilterra! Non hai idea di come ti invidio! Com’è, com’è? E il volo? E dove sei? E…-

Con un sospiro, grata del fatto che almeno stesse parlando in italiano, la fermai per rispondere gradualmente:

- Miki… che piacere sentirti! Già mi mancavi lo sai?-

Sentii la sua risatina e un calore familiare mi invase il petto:

- Certo che lo so, Giu! Speravi forse nel contrario? L’Inghilterra allora? Com’è?-

Sorrisi ancora, divertita: risposi con un accenno di ironia:

- Buia, Miki. Come ti aspettavi che fosse alle quattro di mattina? E poi sono ancora in aeroporto, non ho visto proprio niente!-

Sentii un suo sospiro deluso e dopo qualche istante di silenzio scoppiai a ridere:

- Che c’è? Cosa volevi ti dicessi?-

- Ma non lo so: qualcosa di più! Da te lo sai che mi posso aspettare di tutto: tu e la tua boccaccia ero sicura vi foste già cacciate nei guai-

Ridacchiai, rispondendo sinceramente:

- Oh, ci è mancato poco: ho rischiato prima di uccidere e poi di essere uccisa da una hostess. E lei ora ne sono sicura, mi sta trattenendo il bagaglio-

Michela scoppiò a ridere, mormorando frasi sconnesse che non riuscii ad afferrare. Tentai anche di dire qualcosa ma poi intravidi il borsone nero con le coccinelle ed esultai involontariamente.

- Che.. che c’è?-

- E’ arrivato il bagaglio!-

Miki ridacchiò, riprendendo aria:

- Quindi tutto bene: ora che ti lascio poi, ti ritroverai in mezzo a tanti spocchiosi collegiali inglesi… ce la farai, tesoro?-

Afferrai di slancio il borsone, caricandomelo in spalla e annuii convinta:

- Naturalmente! A costo di esprimermi a gesti, ce la farò-

Michela sbuffò, riprendendo a parlare con tono lievemente acido:

- Giu tu parli un inglese perfetto: non avrai niente di cui preoccuparti!-

Sospirai, ritrovandomi a fare per l’ennesima volta lo stesso discorso:

- Miki! Ma come te lo devo spiegare? Il mio inglese è prettamente teorico: mettimi davanti ad un test e non ci sono problemi ma…-

- Ma che ma e ma! Quando è venuto il madrelingua vi capivate solo voi due! Noi poveri altri italiani ce ne stavamo lì a fingere di ascoltarvi giocando a monopoli!-

Sbuffai anche io, cominciando ad innervosirmi:

- Questo perché il prof. aveva la decenza di parlare un inglese lento e puro. Come la mettiamo con i dialetti, le inflessioni, e tutto il resto eh?-

Michela prese un bel respiro, segno che non era d’accordo ma nemmeno incline a continuare:

- Ok, allora io dico che te la caverai benissimo. Tanto più che tuo padre…-

- Non metterlo in mezzo per cortesia-

La immaginai in quel momento: stesa sul divano che si passava una mano sulla fronte, esasperata.

Sorrisi, non riuscendo a fare altro, incamminandomi nel frattempo verso l’uscita dell’aeroporto.

- Miki?-

- Ci sono, ci sono. Stavo solo rielencando mentalmente i motivi per cui continuo ad essere la tua migliore amica-

- Ma perché mi vuoi troppo bene, sono simpatica, dolce…-

- Sì, come no! Proprio tu! Giu, devo andare ora: prometti che cercherai di tornare viva-

Alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa:

- Certo che ci proverò! Se mi uccidono gli inglesi però, non posso farci niente-

- Tu comunque cerca di non provocarli, ok?-

Ridacchiai, aprendo la porta a vetri e uscendo sul marciapiedi.

- Va bene, starò buona-

- Un bacio, Giu-

Chiusi lo slide, rimettendo il telefonino in tasca.

Come avrei fatto senza la mia Miki? Era capace di tirarmi su con meno di due parole!

Socchiusi gli occhi, guardandomi attorno.

Osservai i taxi fermi a bordo strada, le macchine parcheggiate, i ragazzi che in fondo alla strada giocavano a pallone… sì, era bella l’Inghilterra.

Una folata di vento mi fece rabbrividire, e stringendomi ancor di più nel cappotto mi beai di quell’aria frizzantina e nuova: sapeva di indipendenza, di possibilità.

Scorsi con lo sguardo i tassisti, chiedendomi a quale avrei dovuto rivolgermi.

Sentii una strana sensazione mentre li osservavo: mi diedi della stupida per quello, ma era una mia fobia. Avevo sempre avuto molte remore nei confronti dei taxi: forse da piccola avevo visto un film in cui un tassista uccideva qualcuno, chissà… eppure ancora l’idea di salire in auto con un perfetto sconosciuto non mi lasciava tranquilla: in fondo avrebbe potuto fare qualunque cosa, tra cui il non portarmi dovevo avevo richiesto.

Era lui a guidare, no?

Spinsi la mano libera in fondo alla tasca del cappotto, dondolandomi leggermente mentre studiavo i tassisti: uno leggeva il giornale, un altro sonnecchiava con la testa reclinata all’indietro, un altro era ben concentrato sullo schermo di una minuscola televisione.

Ad ispirarmi meno era quello che sonnecchiava, così con passo incerto superai il suo taxi, dirigendomi verso quello successivo, con il lettore silenzioso.

Ripassai mentalmente la mia parte, modificando di volta in volta le parole e il tono:

“Mi scusi, potrebbe portarmi al Lord Byron College, North London?”

No, neanche così andava bene… e se avessi…

- Scusi?-

Sobbalzai, lasciando cadere il borsone ed allontanandomi di scatto, quando una mano mi si poggiò sulla spalla. Sentivo il cuore battere decisamente troppo forte e il respiro leggermente affannato.

- Ma che ti passa per la testa? Mi hai spaventata a morte!-

Guardai con aria omicida il ragazzo in piedi a pochi metri da me.

Lui sorrideva, tenendo le mani aperte davanti a sé come a scusarsi e proteggersi.

Lo vidi ridere sotto i baffi e osservarmi divertito.

Assottigliai gli occhi, scrutandolo inviperita: studiai tutta la sua figura, dai capelli corti, biondi e sbarazzini, al corpo agile e muscoloso, fino ai vestiti informali e colorati.

Il tipico inglese, pensai fra me e me, gli mancano solo gli occhi blu ed è perfetto.

Lui si avvicinò di qualche passo, lentamente, piegando la testa verso il basso per riuscire a guardarmi negli occhi dall’alto del suo metro e settanta e più.

Quando una macchina passando ci illuminò con i fari, a stento mi trattenni dal ridere: signori e signori, perdonatemi, ha anche gli occhi celesti!

Cosa vuoi di più dalla vita?

Ridacchiai, riprendendo in mano il borsone e guardandolo con aria interrogativa.

Lui sorrise e porgendomi un casco mi indicò la moto alle sue spalle:

- Posso darti un passaggio?-

Arretrai, senza capire: ma gli inglesi erano tutti così cordiali?

Si offrono passaggi ai perfetti sconosciuti?

- Stai scherzando forse?-

Lui scosse la testa, con aria confusa, poi spalancò di colpo gli occhi, dandosi una manata sulla fronte e ridacchiando in imbarazzo:

- Scusami! E’ solo che mi hai sorpreso prima e ho dimenticato di fare le presentazioni: io sono Byron. Tuo padre mi ha detto che saresti arrivata e mi ha chiesto di venirti a prendere e… tu sei Giulia o ho sbagliato ragazza?-

Annuii, a disagio, sorridendo appena: odiavo quando papà se ne usciva con cose del genere…

- Sì, Giulia, molto piacere-

Byron mi strinse la mano con gesto amichevole e caloroso: sembrava voler dire qualcos’altro e non riuscire a trovare il coraggio per farlo.

Sorridendo un po’ di più gli tolsi di mano il casco, consegnandogli invece il borsone: lui ridacchiò, guardandomi stranito, per poi indicarmi la moto poco lontana.

Mi incamminai piano, continuando ad osservarlo:

- E tu accetti sempre senza discutere di andare a prelevare qualcuno all’aeroporto? Anche se questo qualcuno atterra alle quattro di mattina?-

Fece spallucce, sistemandosi meglio il mio bagaglio in mano:

- Bè, diciamo che non avevo niente di meglio da fare… e poi speravo di conoscere una ragazza interessante: dalle voci che girano sei tutto fuorché prevedibile. E ora come ora non mi sento di smentirle-

Parlando si era illuminato sempre più in volto, come contento delle sue stesse parole.

Alternai lo sguardo fra lui e la moto enorme che ferma ci aspettava:

- Quindi non sei rimasto deluso?-

Rise, scuotendo la testa e indicandomi di mettere il casco: ubbidii, continuando ad osservarlo.

- Certo che no! E come potrei esserlo con una ragazza così bella al mio fianco?-

Arrossi a quel complimento implicito, e fui grata in quel momento tanto al casco che mi copriva il viso quanto a mio padre, che programmandolo o meno, aveva fatto in modo che il mio primo incontro fosse con un più che aitante giovanotto inglese.

Sospirai piano, soddisfatta, salendo in moto dietro Byron: gli passai il braccio intorno alla vita e sentendo chiaramente i suoi addominali, un brivido mi percorse la schiena.

Ecco…

Quando ci si chiede: “A che servono i genitori?”…

 

*

 

 

 

Interrogazione di fisica… nuovo capitolo! ^^

Che dire, come volevasi dimostrare è una storia pazza… scusatemi per questo =D

Non so cosa ne sta uscendo né quello che ne uscirà ^^

Solo, cercherò di divertirmi il più possibile **

Chiunque voglia lasciare un commentino naturalmente (insulti, consigli, prediche) è molto più che ben accetto!! **

 

Epril68:  Sono contenta ti piaccia: spero continui così e non ti faccia invece scappare a gambe levate ^^  Per il resto… mmm non sono il tipo che rivela nulla, mi piace moltooo          di più essere sadica e far nascere dubbi su dubbi, che questi ci debbano essere o meno! =D

   
 
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