Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Ricorda la storia  |       
Autore: Fiamma Drakon    14/05/2010    3 recensioni
I miei standard di allegria erano molto limitati, perché io, Thalia Daelis, diciassette anni, ero la figlia della Morte.
Sì, avete capito bene: la Morte aveva una figlia, e quella figlia ero io.
Impossibile, direte, e invece no.
Anche la Morte aveva trovato qualcuno con cui procreare e dare la vita ad una nuova creatura.
Nonostante fosse un grosso controsenso, come anche io non avevo mancato di sottolineare, era così.
La fine di mio padre?
Provate a indovinare.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1_Mostruosità Non ricordavo neppure quand’era stata l’ultima volta che il sole aveva rischiarato questa cittadina. Era stato quando ero ancora una bambina, a detta di conoscenti, quando ancora non capivo niente né del mondo che mi circondava, né di chi ero davvero.
Qui a Hellingh pioveva sempre e, nei rari casi di assenza di pioggia, il cielo era comunque coperto da una pesante cappa plumbea di nubi, che rendevano l’aria greve e opprimente.
Anche quella mattina, come tante altre, stavo andando a scuola, l’ombrello saldamente stretto in pugno a coprirmi dalla pioggia e le cuffie dell’I-pod nelle orecchie.
Procedevo sul ritmo di Going Under degli Evanescence. Personalmente, una canzone che reputavo anche troppo “allegra”, considerato ciò con cui avevo a che fare al di fuori della mia vita scolastica.
I miei standard di allegria erano molto limitati, perché io, Thalia Daelis, diciassette anni, ero la figlia della Morte.
Sì, avete capito bene: la Morte aveva una figlia, e quella figlia ero io.
Impossibile, direte, e invece no.
Anche la Morte aveva trovato qualcuno con cui procreare e dare la vita ad una nuova creatura.
Nonostante fosse un grosso controsenso, come anche io non avevo mancato di sottolineare, era così.
La fine di mio padre?
Provate a indovinare. Esatto, è morto ♥!
Come facevo a vivere una vita normale?
Be’, facile: a dispetto della natura tutt’altro che umana di mia madre, io sembravo una comune diciassettenne umana. Forse eccessivamente pallida, forse con gusti lievemente dark, ma lo sembravo.
Nessuno, difatti, sospettava che razza di creatura potessi essere e, in verità, neppure io lo sapevo.
Mi fermai: avevo raggiunto la scuola.
Non tolsi la musica, non mi guardai in giro: mi limitai a mettermi in un angolo e attendere che l’inizio delle lezioni giungesse.
Mia madre mi aveva, ahimé, trasmesso una caratteristica importante del suo essere, e cioè l’incutere inquietudine e paura in chi mi stava intorno.
Ciò spiegava perché nessuno avesse piacere a starmi vicina, cosa che io ricambiavo: dal mio punto di vista, tutti quelli che avevo intorno potevano diventare in un baleno potenziali vittime della mamma, per cui meno amicizie avevo, meno avrei sofferto per la loro morte.
This is your life, Switchfoot.
Iniziai a temere che il mio I-pod riuscisse a leggermi nella mente.
Inchiodai gli occhi al marciapiede bagnato sotto di me, sovrappensiero: nell’anno precedente erano morti in incidenti stradali ben dieci studenti.
C’erano stati i funerali, mi ero dispiaciuta della loro tremenda dipartita, ma come potevo fingere di non gioirne?
Ebbene sì, io gioivo alla morte altrui.
“Pazza, sadica!”, direte voi, ma era una cosa che mi scorreva nel sangue, o qualsiasi cosa io avessi al posto di esso: ogni volta che incontravo i morti, si risvegliava in me una strana sensazione di piacere e desiderio al tempo stesso.
Desideravo toccarli e desideravo vederli.
La mia era un’eccitazione perversa, ma radicata talmente nel profondo che sapevo perfettamente di non poterla estirpare in alcuna maniera.
Sentivo la morte pulsare nei corpi dei cadaveri, per quanto essi potessero essere vecchi o putridi, e l’adrenalina schizzava alle stelle.
Immaginatevi la mia reazione quando entravo nel cimitero.
Anche quella sensazione doveva essere un “effetto collaterale” dell’essere la figlia della Morte, tuttavia non ne avevo mai fatto parola con la mamma e mai ero intenzionata a farne: era un qualcosa di inesprimibile a parole. O lo sentivi o niente: era impossibile descriverlo.
E poi, non avevo certamente bisogno di sentirmi dire cose tipo “non preoccuparti, tesoro, è naturale”; piuttosto avrei gradito essere consolata di quella manifestazione alquanto bizzarra della mia mostruosità.
Avrei scommesso che sì, era troppo bizzarra perfino per la Morte stessa.
End of all hope, Nightwish.
Appropriato, di nuovo.
Proprio in quel momento udii, al di sopra della musica, il ripetitivo, assordante suono che annunciava l’inizio delle lezioni.
Mi scostai dalla parete vicino a cui ero rimasta fino ad allora e mi diressi verso l’ingresso.
Notai, con un misto di delusione e soddisfazione, un gruppetto di studentesse che si ritraevano al mio passaggio. Una sensazione davvero particolare.
Di certo non era per il mio abbigliamento, che consisteva in una canotta nera sostenuta sulle mie gracili spalle da due spessi lacci, guanti neri che mi rivestivano le mani e gli avambracci lasciando però scoperte le dita, una minigonna a pieghe con un motivo scozzese nero su sfondo rosa, un paio di calze nere e stivaletti neri muniti di varie borchie.
Insomma, il mio abbigliamento abituale, dal quale probabilmente si evinceva la mia spiccata preferenza per il nero.
Raggiunsi l’aula.
Alcuni dei miei compagni si volsero a me nell’attimo in cui varcai la soglia.
Notai nei loro sguardi un misto di inquietudine e paura e me ne rallegrai: non avevano altro per la mente al di fuori del sesso, delle donne e del fumo.
Alcuni di essi erano stati sospesi per aver infastidito delle studentesse, perciò potete immaginarvi la mia gioia nel pensare che mi temevano.
Temevano una appartenente al genere femminile che amavano tanto molestare. Essere ciò che ero non era una brutta cosa in ogni circostanza. Solo nella maggior parte.
Attraversai l’aula e andai a sedermi al mio solito posto, nell’angolino più buio e isolato della classe.
Rimasi lì al mio banchino, completamente sola e a mio agio, ascoltando la musica, finché la professoressa d’Inglese non entrò in aula.
Spensi il mio I-pod e lo feci sparire nella mia tracolla, estraendo al suo posto il libro di testo.
Mi volsi verso la professoressa.
Fu allora che una scarica elettrica mi percorse bruscamente la schiena, scuotendomi convulsamente.
Vidi, alle spalle dell’insegnante, un essere dalle ali nere e grandi, vestito del medesimo colore, gli occhi privi di pupille e cinerei, che sogghignava all’indirizzo della donna, che a quanto pareva non si era accorta di quella mostruosa presenza, come del resto pareva tutta la classe.
Quella cosa alata emise una bassa e gutturale risata, quindi si girò a squadrare gli alunni, incontrando infine il mio sguardo.
Sentii un bruciore forte e inesplicabile prendere lentamente forma in fondo all’anima, mentre mi sentivo consumare da quella presenza, da quegli occhi che bruciavano come braci ardenti.
D’istinto distolsi lo sguardo, quasi con terrore, augurandomi che quella bestia non se ne accorgesse.
Sentii la sua attenzione addosso a me per alcuni minuti, poi ne percepii l’assenza.
Che cosa mi stava accadendo e che diavolo era quella cosa mostruosa?!
Io sarò anche stata inumana, ma non lo manifestavo in modo tanto evidente.
E poi quel bruciore acuto, del quale ancora avevo un vago sentore, era per me inconcepibile.
Perché il suo sguardo mi aveva fatto quell’effetto? Forse perché non era umano? Forse perché ambedue non eravamo umani?
Inoltre, ero l’unica che potesse vederlo.
L’unica soluzione plausibile a quel fatto era, di nuovo, la sua inumanità, certamente correlata a qualche strano potere sovrannaturale. Che io sapessi, il mio non essere umana aveva come unico effetto l’avere una sorta di “affinità coi morti”.
Improvvisamente sentii un sibilo sinistro, molto simile ad un risucchio, provenire dalla parte della cattedra.
Mi volsi di nuovo ad essa, staccando dalla finestra la mia attenzione: la creatura non c’era più.
Dove fosse andata, ero certa di non volerlo sapere, ma speravo che fosse lontanissima.
Fifa, direte voi, ma per me era istinto di sopravvivenza: avevo percepito quell’essere come una presenza ostile a me.
«Miss Daelis, are you here?».
La voce dell’insegnante mi fece riscuotere dai miei pensieri e le mie preoccupazioni.
Notai che tutti quanti si erano girati a fissarmi.
«Sorry?» risposi meccanicamente.
E così mi guadagnai il primo posto della lista nera della prof d’Inglese: come inizio della mattina non c’era male.
Durante le altre lezioni non riuscii ad evitare di pensare a quel primo, spaventoso incontro.
Era come se, in fondo all’anima, sapessi che quella cosa era il preludio di qualcosa di peggiore, d’apocalittico, quasi.
Faceva tanto film dell’orrore, eppure era esattamente quello che provavo.
Non feci altre esperienze simili nel corso delle altre lezioni, e di ciò fui immensamente sollevata.
Arrivai all’ultima ora che quasi non ricordavo più di ciò che era accaduto, però rimasi del tutto sconcertata, allibita e direi anche spaventata, quando una seconda scossa elettrica mi percorse la schiena, nell’attimo in cui vidi entrare il professore di Storia.
Al suo seguito, come un’ombra, c’era la creatura più orripilante che avessi mai visto: ali nere e grandi, come quelle dell’altra creatura, che al confronto di questa era un adone.
La pelle era grigia e marcia, la guancia in mostra scavata. Da essa pendeva un lembo di carne flaccida e umida che mi faceva venire il voltastomaco.
Era scheletrico e alto, ma si muoveva quasi con eleganza mistica e terrificante a un tempo.
Repentinamente volse il suo viso verso il mio e potei vedere bene che parte della sua pelle dal lato del cranio che mi era rimasto fino ad allora nascosto si era sciolta come cera al sole, lasciando bene scoperto la parte inferiore dell’orbita e lo zigomo di sinistra e una parte della mandibola.
Mi trattenni a stento dall’urlare, mentre l’essere mi fissava con le sue minuscole iridi che lo facevano sembrare un pazzo e sadico assassino.
Aprì la bocca e ne uscì un gutturale suono che non riuscii a comprendere, ma che aveva un che di vagamente minaccioso.
Era innaturale oltremodo che un tale essere fosse in giro per il mondo.
Perché nelle settimane addietro non l’avevo mai visto? Che fosse solo un’allucinazione?
Assolutamente no: quella schifezza vivente, ahimé, era reale e concreta, anche troppo per i miei gusti.
Fece schioccare la mandibola con un agghiacciante scrocchio, come se l’avesse volontariamente rotta.
Riprese ad emettere gli strani e lugubri versi di prima.
A sorpresa, tuttavia, udii quei suoni cavernosi farsi gradualmente più comprensibili, finché non riuscii a carpirvi delle parole: «Adesso puoi vederci, vero, Figlia della Morte?».
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: Fiamma Drakon